L’esordio in Afghanistan.
L’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane continua ad irrobustirsi ed a costare alla gente perbene altri miliardi di euro,
di Giancarlo Chetoni
La pianificazione del coinvolgimento bellico dell’Italietta in Afghanistan nasce nella Sede del Comando Generale Alleato per il Sud Europa nei mesi successivi al Novembre 2001.
Se la campagna aerea USA ha spazzato via le posizioni tenute dalle forze pashtun a est a sud ed a nord del Paese e disperso sul terreno le sue formazioni combattenti con il sostegno dei Signori della Guerra dell’Alleanza del Nord del calibro di Daud, a libro paga della CIA, accusato recentemente di efferati crimini di guerra, per la Coalizione il lavoro che resta da fare nel Paese delle Montagne è semplicemente enorme.
Il nemico non mollerà facilmente la presa. La morfologia del territorio, la sua estensione, una viabilità primitiva che si inerpica su tornanti di montagna, la totale mancanza di una decente rete stradale di altopiano, l’assenza di risorse minerali ed energetiche da depredare, una struttura sociale e religiosa reiteratamente refrattaria, ostile, a modelli di civiltà estranei ed una struttura statale inesistente fanno dell’Afghanistan, per bene che vada, un grosso buco nero.
I comandanti locali taliban, anche se danno l’ordine di smobilitazione, inviteranno i militanti a mimetizzarsi alle periferie delle città lasciando nei centri urbani i combattenti più determinati per avere occhi, orecchie e braccia alle spalle degli aggressori.
I nuclei pashtun che non saranno sciolti o distrutti esfiltrano un po’ alla volta dalle aree sottoposte a rastrellamenti e bombardamenti per trovare riparo nei fondovalle, nelle aree rurali e nei villaggi di montagna.
Anche se la vittoria è stata facile, quasi senza perdite, gli analisti militari USA e NATO sanno che tenere sotto stretto controllo militare l’intero Afghanistan non sarà né semplice né facile. Occorrerà chiedere ed ottenere, ancora una volta, il sostegno politico, economico e militare alla cosiddetta Comunità Internazionale, a quella nuova e vecchia Europa dell’Est e dell’Ovest, all’Inghilterra, al Canada, a Stati Criminali e Repubbliche delle Banane.
La nostra (!?) avventura militare prende così ufficialmente avvio sulle montagne di Kost, dopo un anno di preparazione logistica e di acclimatamento, nel Luglio 2003 con un distaccamento di paracadutisti della Folgore coinvolto in un primo conflitto a fuoco con presunte formazioni terroriste che, quella volta, si sganciano nell’oscurità.
Li guida il colonnello Bertolini, attuale Vice-Comandante Generale di ISAF con sede a Kabul.
Lo sostituirà il Generale Graziano, Capo Missione UNIFIL in Libano dal 2006.
Elemento che la dice lunga sulle modalità con cui le Segreterie Generali dell’ ONU impongono agli Stati membri in aree regionali ad alto rischio come Libano e Kosovo Comandanti Militari o Rappresentanti Plenipotenziari che imparziali non possono certo essere.
A quel tempo, la task force Nibbio a ridosso del Waziristan è già forte di 1.000 uomini mentre altri 450 militari italiani sono impegnati nel controllo di Kabul con la forza di stabilizzazione ISAF-NATO.
Il campo dei ribelli che si sono scontrati con la Folgore verrà distrutto nelle ore successive da una squadriglia di cacciabombardieri di Enduring Freedom.
Le perdite subìte dai “terroristi“ assommeranno a 70 morti e 130 feriti. Questo allora scrisse e riferì il corrispondente locale dell’Agenzia afghana Pajhwok.
I sopravvissuti dopo le cure mediche verranno avviati al carcere di Bagram, un centro di detenzione dove “polizia segreta“ di Karzai e consiglieri militari USA si lavoreranno i prigionieri superstiti con gli stessi metodi di interrogatorio che a quel tempo stanno già facendo scuola in tutto l’Iraq.
La Folgore spedita in Afghanistan dal Ministro della NATO Martino a ridosso del Pakistan alloggerà negli accantonamenti di una base di “Forze Speciali” e Ranger a stelle e strisce.
Per la stampa internazionale sarà il compound “Salerno“.
Non è mai stato accertato se dietro al nome affibbiato a quell’“avamposto“ ci fosse stata una deliberata volontà del comandante della base o del suo Stato Maggiore di ricordare con malizia agli “scarponi“ della Folgore cosa fosse successo in Italia il 9 Settembre 1943 tra le località marittime di Maiori e Agropoli con l’operazione Avalanche della 5° Armata capeggiata dal Generale statunitense Clark, quattordici mesi dopo El Alamein.
Mentre il Governo Berlusconi apre la campagna afghana impegnando gli effettivi di quattro battaglioni, lo Stato Maggiore della Difesa affida al capitano di fregata Bruno Vianini del Comsubin, un reparto di èlite della NATO, la missione di organizzare il trasferimento di personale e logistica dall’Italia a Herat.
Il comandante Vianini, uomo di punta del Cos (il Comando delle Forze Speciali di Centocelle), perderà la vita il 4 Febbraio 2005 a bordo di un 737 della Kam Air che si schianterà contro una montagna a sud est di Kabul. Con lui moriranno due italianissimi addetti, si disse, alla “cooperazione“ di cui ancora oggi non si conosce l’identità.
Il ché porta a 16 il numero dei caduti in “missione di pace“ nella Terra delle Montagne.
L’approntamento del Provincial Reconstruction Team (PRT) va comunque avanti con l’arrivo di altro personale militare.
Un C-130 sbarca il primo “advanced party“ di sette unità, poi ne arrivano altri 40 appartenenti all’Aviazione, alla Marina, all’Esercito e all’Arma dei Carabinieri fino al raggiungimento dei 400 militari previsti.
A ruota entreranno in organico a quello che diventerà il West Rac di Herat e al Comando di Kabul gli inviati del Ministero degli Esteri ed i primi collaboratori delle ONG a libro paga della Farnesina.
Si farà vedere da quelle parti anche un cappellano militare che erigerà con manodopera locale la prima chiesa, in muratura, con i fondi della cooperazione pro Afghanistan.
La costruzione di un aeroporto militare a cemento spessorato di 625.000 mq completerà la prima fase di approntamento. Il materiale logistico e militare trasportato a Herat dall’Italia con uno scalo intermedio di sosta e rifornimento ad Al Bateen negli Emirati Arabi Uniti raggiungerà dal 2003 al 2008 le 22.500 tonnellate.
Camp Arena e Camp Vianini saranno destinati ad essere i nodi focali di una imponente, sofisticata e costosissima struttura militare finalizzata al controllo del territorio ed all’interdizione terrestre ed aerea di formazioni “terroriste“ nelle province di Herat, Farah, Bagdis e Ghor.
Non si disdegnerà di organizzare un servizio di intelligence a base di “palloni“ radar ed antenne satellitari per tentare di metter naso anche nello spazio aereo dell’Iran mentre si allestisce il centro comando e controllo per gli UAV Predator.
Aerei senza pilota, con capacità di bombardamento, di cui si parlava da tempo a mezza bocca a Palazzo Baracchini ma che nessun Consiglio Supremo della Difesa, di Palazzo Chigi o Consiglio dei Ministri aveva ancora ufficialmente deliberato di inviare al PRT di Herat.
I politici sapevano bene quello che facevano i militari ma nel 2003 occorreva ancora rispettare un approccio alla riservatezza, alla gradualità delle notizie per far digerire un po’ alla volta la faccenda all’opinione pubblica.
L’Ammiraglio Di Paola nel frattempo annota : “Le operazioni procedono per il meglio in un clima che non esito a definire del tutto favorevole e di ottima sinergia con le autorità locali“ aggiungendo per ultimo nel rapporto che “garantire la sicurezza costerà inevitabilmente molto al Paese soprattutto se lo sforzo italiano si protrarrà, come previsto, nel tempo al fine di garantire una piena vittoria contro il terrorismo“.
Il Segretario Generale Jaap De Hoop Scheffer fisserà a distanza di qualche settimana la scadenza dell’impegno NATO in Afghanistan a 25 anni (!) durante una conferenza stampa al Comando Generale di Bruxelles.
Fra un De Hoop Scheffer che passerà le consegne al danese Rasmussen il prossimo 1 Agosto 2009 e quel pinocchio di Obama che parla di exit strategy dall’Afghanistan mentre aumenta da 31 a 57mila i militari di Enduring Freedom e ISAF che, alla zitta, un po’ alla volta sta portando i militari dell’Alleanza Atlantica al raddoppio, appare decisamente più credibile l’olandese con il coltello tra i denti.
Di Paola , dal canto suo, è attualmente Presidente del Comitato Militare della NATO. L’incarico gli sarà dato da Bruxelles nel Novembre 2007 quando ancora esercita le funzioni di Capo delle Forze Armate Italiane. Napolitano e Berlusconi per l’occasione inneggeranno senza un briciolo di pudore al ruolo riconosciuto all’Italia nelle strutture di comando dell’Alleanza Atlantica.
A livello politico, il Ministro Martino otterrà già a partire dal Giugno 2002 il pieno sostegno dell’“opposizione“ di centro-sinistra in vista della preparazione della “missione di pace“ in Afghanistan.
Appoggio che gli verrà confermato per un’intera legislatura nelle Commissioni di Palazzo Madama e Montecitorio, nel voto a Camera e Senato e nei successivi iter parlamentari per l’approvazione degli stanziamenti finanziari semestrali fino all’Aprile 2006.
Poi sarà la volta del Governo Prodi. Dall’estate di quello stesso anno diventerà operativa nelle provincie di Herat e di Farah la Task Force 45, la più grande unità di “forze speciali“ messa in campo dall’Italia dall’“Operazione Ibis“ in Somalia, dirà l’esperto militare Gianandrea Gaiani. La guerra dell’Italia in Afghanistan sta per fare un decisivo salto di “qualità“.
Si passerà dalla “risposta armata proporzionata all‘offesa“ alla ricerca ed alla distruzione del nemico con l’attacco preventivo da terra, l’intervento della forze aeree ed i rastrellamenti, di annientamento, contro formazioni isolate di coraggiosissimi straccioni pashtun.
Gente senza capacità di movimento e di contrasto che si affidano per la sopravvivenza alla mimetizzazione in aree tribali pashtun. Si passerà dal peace keeping – peace enforcing ad uno stato di guerra dove tra aggressori ed aggrediti c’è un abissale squilibrio di forze.
L’Italietta comincerà per conto della NATO a combattere una guerra sporca, senza onore, finalizzata a generare cattiveria e ad alzare il livello di uno scontro che ci vede invadenti invasori, destinati alla sconfitta.
L’avventurismo della Task Force 45 servirà da miccia per far esplodere un dibattito politico finalizzato alla rimozione dei caveat.
Chi l’ha spedita in Afganistan ne conosce l’addestramento e l’aggressività, sa di poter contare su una struttura di comando di assoluta fedeltà “atlantica“, su una censura militare a prova di bomba e di un parco gazzettieri addetti al depistaggio.
Della Task Force 45 faranno parte incursori-guastatori dei Ranger del 4° Alpini, del Comsubin, del 9° Col Moschin, del 185° Rao Folgore, duecento uomini in tutto che opereranno a fianco di famigerate unità killer della Delta Force statunitense e delle SAS britanniche responsabili tra l’altro dell’uccisione del Maresciallo Lorenzo D’Auria del SISMI.
Morte su cui gravano interrogativi e sospetti anche questa volta rimasti senza risposta.
La Task Force “Sarissa“ più volte solleciterà, prima, durante e dopo gli inseguimenti a caldo contro i taliban, il dispositivo di sorveglianza e di attacco elicotteristico ed aereo oltre che di ISAF anche di Enduring Freedom con piloti e navigatori che da quelle parti non vanno certo per il sottile.
I caduti pashtun nelle aree delle province di Herat e Farah si conteranno a centinaia, decine saranno i bambini, le donne e gli anziani uccisi, feriti o seppelliti sotto le macerie di villaggi costruiti con mattoni di paglia e fango. Hanefi e Strada, per averne parlato, dovranno passare per le pesanti attenzioni della polizia segreta di Karzai che agisce per conto di USA e NATO.
Prodi, Parisi e D’Alema lasceranno correre, defilandosi.
Sull’Afghanistan scenderà un silenzio di tomba. L’opinione pubblica del Bel Paese dovrà accontentarsi, da quel momento in poi, di un‘“informazione“ fatta di marchette.
In Afghanistan si sta consumando un autentico genocidio con l‘autorizzazione ed il sostegno dell‘ONU e dell’Occidente. In Afghanistan non ci sono militari né dell’intera Asia, né dell’Africa né dell’America Indio Latina.
Una pace lorda di un fiume di sangue che Quirinale, Governo, Maggioranza ed “Opposizione“ ritengono “irrinunciabile“ per la “nostra sicurezza“ con la variante farsa (ben programmata dai Poteri Forti e mediaticamente efficace ad incanalare consensi) della Lega di Bossi.
Quando La Russa definisce le preoccupazioni di Bossi quelle di un “papà buono“ imprimendogli di fatto il marchio del handicappato scosso da un tremito incoercibile, e la “missione di pace“ in Afghanistan “irrinunciabile“, il Ministro della Difesa in realtà con una fava vuole cogliere due piccioni usando il “Ministro delle Riforme“ per indirizzare il consenso di una parte dell’elettorato di sinistra verso la Coalizione di Governo di cui la Lega fa parte, ribadendo al contempo per il Popolo delle Libertà una posizione, come ha dichiarato, “indefettibilmente“ schierata con la NATO in Afghanistan. Che a difesa delle dichiarazioni del Capo della Padania si sia schierato un mangia-islamici come Calderoli fa capire con estrema chiarezza la studiata strumentalità della parte fatta recitare a Bossi da Poteri Forti, Governo ed Istituzioni. Il sospetto lancinante è che Bossi, rimbambito com’è, non sia nient’altro che il cimbello del nostro pruriginoso, e molto fuori di testa, Presidente del Consiglio Berlusconi.
Il mantra da recitare è che stiamo (stanno) in Afghanistan per garantire, pensate un po’, la nostra sicurezza. Lo dicono tutti i “politici“. Lo ha ribadito più volte anche il Capo della Repubblica dalla città di Pulcinella indossando un bel feltro bianco modello Panama. Peccato che evitino accuratamente di dirci gli autentici come e perché.
Postilla numerica
Roma, 30 luglio – Ok definitivo bipartisan dalle commissioni Esteri e Difesa di Palazzo Madama in sede deliberante, cioè senza passaggio in Aula, alla proroga di quattro mesi, fino al 31 ottobre prossimo, della partecipazione italiana alle missioni internazionali.
Il provvedimento che rifinanzia le 35 missioni militari italiane, tra cui quella in Afghanistan, prevede 509.996.466 euro di finanziamento, con l’impiego di 8.942 uomini di cui 6.977 dell’Esercito, 615 Carabinieri, 588 della Marina militare, 551 dell’Aeronautica, 133 della Guardia di Finanza e 78 della Polizia di Stato.
(AGI)
anche la Spagna si allinea sempre più:
(AGI) – New York, 30 lug. – La Spagna e’ pronta a rafforzare il contingente militare in Afghanistan. Lo ha detto il premier spagnolo, Jose Luis Rodriguez Zapatero, in un’intervista al ‘New York Times”. E secondo Zapatero la novita’ potrebbe scaturire dal prolungamento della permanenza in Afghanistan delle truppe inviate per rafforzare la sicurezza in vista delle elezioni presidenziali afghane del 20 agosto. “Siamo sempre stato disposti a fornire truppe aggiuntive per appogiare le elezioni, come stiamo facendo attualmente”, ha detto Zapatero, intervistato mercoledi’ alla Moncloa, la sede del governo a Madrid. “E se fosse necessario mantenere una maggiore presenza in Afghanistan, saremo pronti a farlo”. Secondo il quotidiano, la novita’ espressa da Zapatero “sembra essere un gesto di appoggio all’ammiistrazione (del presidente Usa, Barack) Obama”, considerato che “il governo socialista spagnolo ha sempre resistito alle richieste degli Stati Uniti e degli altri alleati della Nato” a rafforzare le sue truppe in Afghanistan.
La Spagna ha in Afghanistan 800 soldati, dislocati nella provincie di Herat (dove sono anche gli italiani) e a Baghdad. A meta’ luglio, inoltre, ha inviato un contingente aggiuntivo di 450 soldati per vigilare sulla sicurezza delle prossime elezioni presidenziali. “Credo che essi stiano lavorando in una zona nella quale il loro contributo e’ riconosciuto in forma positiva e saremo disposti a mantenere i nostri sforzi nel futuro se e’ necessrio”, ha detto Zapatero. Il quotidiano segnala che il contingenete di truppe spagnole in Afghanistan e’ “un terzo di quello di Francia o Germania”, che partecipano anch’essi allo schieramento Nato composto in totale di 64.000 soldati.
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Afghanistan: italiani per il ritiro
(ANSA) – ROMA, 30 LUG – La maggioranza degli italiani e’ per il ritiro della missione militare in Afghanistan. Lo dice un sondaggio dell’Istituto Ipr Marketing. Dei mille italiani intervistati, il 56% si dice favorevole al ritiro delle truppe italiane e quindi al termine della missione del nostro contingente. Tra questi, il 62% sono elettori del centrosinistra ed il 35% del centrodestra. Prevale pero’ la scelta di un disimpegno progressivo e programmato.
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AFGHANISTAN: LA GUERRA E’ COSTATA 17 VOLTE IL PIL DEL PAESE
Secondo i dati dell’Istituto di ricerca del Congresso Usa, la guerra in Afghanistan è costata, dal 2001 al 2008, 173 miliardi dollari ai soli contribuenti americani. Poiché il Pil afghano attuale è di soli 10 miliardi dollari, con la stessa cifra si sarebbe potuto mandare in vacanza o trasferire in luoghi lontani dal terrorismo l’intera popolazione afghana per vari anni. E con meno di un miliardo di dollari all’ anno si potrebbe riconvertire tutta la produzione di oppio del paese, dando una occupazione legale ai 2 milioni e 400 mila afghani, pari al 10% della popolazione del paese coinvolti nella coltivazione illecita”.
fonte misteriditalia.com
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Afghanistan: Rasmussen Favorevole a Negoziato Con Alcuni Gruppi Talebani
Copenaghen, 1 ago. – (Adnkronos/Dpa) – Il nuovo segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, si dice favorevole al negoziato con i talebani in Afghanistan in una intervista al quotidiano danese “Politiken”, concessa nel primo giorno di assunzione dell’incarico alla guida dell’Alleanza atlantica, in sostituzione dell’olandese Jaap de Hoop Scheffer. “Tra i talebani ci sono gruppi con i quali si puo’ parlare per arrivare alla riconciliazione nel paese”, dice l’ex primo ministro danese, avvertendo comunque che esiste un nocciolo duro che parla solo con le armi e non intende negoziare.
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Piccola annotazione a latere. Chi si aspettasse da parte degli anarchici ufficiali itaGlioti anche solo una qualche rituale blaterazione “contro la guerra” (quella dentro la cui melma si trova volontariamente e sempre più il Bel Paese della vergogna) rimarrebbe deluso. I “libertari” spettrali, completamente ingiudagliati, filoccidentali e antislamici, succursale dell’ultrasinistra trotskostaliniana da sub prefisso telefonico, custodi che più vili, cretini, in malafede e conformisti non si potrebbe del politically correct, hanno ben altro di cui occuparsi. Si legga a questo proposito “il numero di questo mese” di “A rivista anarchica” (TE POSSINO!…): http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/. Sì, il “direttore” Paolo Finzi, rabbi frollo e gelatinoso, dopo più di trent’anni di spolpamento univoco dell’osso-bottega (ALLA FACCIA DELLA ROTAZIONE DEGLI INCARICHI!…), è effettivamente riuscito a rendere ‘sto misero resto qualcosa in tutto a lui simile. “Addio Lugano”… no: addio decenza, addio coraggio, addio verità, addio giustizia. Cambiate nome, s…..i
Joe Fallisi
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A proposito di “anarchici”… si abbia l’onestà dire le cose per quel che sono. Questi echi di orme di ombre fanno una vita e hanno un’anima piccolissimoborghese, da pannolone fin dalla prima gioventù, da crin canuto già a ventisette anni… Invariabilmente, con eccezioni ultrarare, professorucoli aummaumma… ignoranti, gnucchi… ma espertissimi in qualunque genere di prepensionamento, di privilegio e di truffa… ah lì no ce n’è per nessuno!… ogni comma e leggiucola e variante a memoria… e sempre aggiornati… all’occhio!… dei veri legulei dello sbafo!… oppure impiegaticchi para-sottostatali, nullità parassitarie, specialisti in malattia… lotta dura!… sì, a rubacchiare e intascare… a mungere la mammella, a spolpare l’osso… E oltre a ciò… una generazione di veri e propri minishylock… gente che quando c’è da tirar fuori un nichelino impallidisce, si sente mancare… tirchioni incredibili, ABOMINEVOLI… e in più falsoni, conformisti, drittoni, vigliacchi… microbiotici radicali!… “Anarchici”!… ah certo, comodo, no?… ecco il porto sicuro, oggi, di ogni ballista inverecondo. Cari miei vecchi compagni e amici, Pinelli, Augusta, Franco Leggio e gli altri che ho amato, vi invidio perché non dovete subire la vista di ‘sto obbrobrio gelatinoso. Un giorno ci ritroveremo seduti attorno al tavolo di via degli Osii, a parlare di grandi cose. Che faremo.
Joe Fallisi
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forza e coraggio, guardiamo avanti!
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serve altra “carne da cannone”
(AGI) – Londra, 7 ago. – Esplicito appello del neo-segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, per il dispiegamento di un maggior numero di soldati alleati in Afghanistan, dove la violenza dilaga sempre di piu’ nell’imminenza delle elezioni del 20 agosto.
“Onestamente, penso che ci servano piu’ truppe”, ha sottolineato l’ex premier danese in un’intervista rilasciata da Kabul, dove era giunto a sorpresa due giorni fa, alla radio del network pubblico britannico ‘Bbc’. “Ho constatato progressi nel sud afghano, non ultimo grazie all’incremento delle truppe, e dunque quest’ultimo e’ un fattore assolutamente rilevante”, ha insistito. “Nel giro di poche settimane i nostri comandanti sul campo ci forniranno una valutazione aggiornata della situazione, sulla base della quale adotteremo le decisioni necessarie per il prosieguo”.
A parere di Rasmussen, inoltre, uno dei punti-chiave consiste nel migliorare l’addestramento delle forze di sicurezza afghane, cosi’ da elevarne gli standard attualmente insufficienti. “Il mio criterio per farcela prevede la possibilita’ di trasmettere gradualmente agli stessi afghano le capacita’ inerenti alla sicurezza”, ha spiegato il segretario generale dell’Alleanza. “Dobbiamo creare una missione di addestramento della Nato mirata allo sviluppo di maggiori attitudini in seno all’Esercito e alla polizia nazionali afghani, cosi’ da poterli rendere in grado di assumersi la responsabilita’ principale della sicurezza, provincia per provincia”, ha concluso Rasmussen, insediatosi il 1 agosto.
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Afghanistan: presenza britannica per “30-40 anni”, dice generale.
La Gran Bretagna potrebbe mantenere la propria presenza in Afghanistan fino al 2050, secondo quanto riferito dal prossimo capo dell’esercito britannico, in un’intervista pubblicata oggi
Reuters, 8 agosto
Il generale David Richards, che diventerà capo delle forze armate alla fine del mese, ha detto che il coinvolgimento dell’esercito britannico dovrebbe essere necessario soltanto nel medio periodo ma che in seguito servirà aiutare le autorità a governare il Paese.
“Credo che la Gran Bretagna sarà impegnata in Afghanistan in diversi campi, dallo sviluppo, alla governance, alla riforma del settore della sicurezza, per i prossimi 30-40 anni”, ha detto al Times.
“Il ruolo dell’esercito evolverà, ma l’intero processo dovrebbe durare dai 30 ai 40 anni”.
Il generale ha anche detto che “non c’è alcuna possibilità” che la Nato si ritiri prima che le forze di sicurezza dell’Afghanistan siano pronte.
“Come in Iraq, dobbiamo disimpegnarci militarmente, ma gli afghani e i nostri nemici devono sapere che ciò non significa un abbandono della regione”, ha spiegato al Times.
“Abbiamo già fatto questo errore una volta. I nostri nemici contano su questo, e dobbiamo dimostrargli che si sbagliano”, ha detto facendo apparentemente riferimento al disimpegno occidentale dall’Afghanistan dopo la ritirata sovietica del 1989.
Con la Gran Bretagna che conta 9.000 uomini in Afghanistan, il secondo più vasto contingente dopo gli Usa, l’idea di mantenere lì le truppe britanniche per anni potrebbe essere difficile da far comprendere all’opinione pubblica.
Il mese scorso un sondaggio realizzato per il Times mostrava che due terzi degli elettori vogliono che le truppe vengano ritirate entro un anno.
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Afghanistan: Germania, Rimarremo Impegnati Fino Ad Altri Dieci Anni
Berlino, 8 ago. (Adnkronos/Dpa) – I militari tedeschi potranno rimanere in Afghanistan fino ad altri dieci anni. Lo ha affermato in una intervista al Bild, il ministro della difesa tedesco,Franz Josef Jung, precisando che Berlino sara’ impagnata nella missione ”fino a che la situazione della sicurezza non si stabilizzera’ per davvero”. E per stabilizzare la provincia settentrionale di Kunduz, dove e’ basato il contingente tedesco, ”abbiamo bisogno di altri 5-10 anni”, ha aggiunto.
Il mese scorso, la Germania ha sollevato uno dei caveat alla missione, cambiando le regole di ingaggio per consentire una maggiore efficacia della sua azione contro i talebani. ”Abbiamo gia’ 4.500 soldati in Afghanistan, piu’ 300 in servizio con gli AWACS (i radar per la ricognizione aerea, ndr). Versiamo 200 milioni di euro all’anno per l’Afghanistan, e questo significa 1,2 miliardi di euro dal 2002”, ha precisato Jung escludendo un aumento dell’impegno del suo Paese.
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la faccia come il c…
l’assassino seriale gen. Stanley McChrystal ora dice di avere “come priorità la protezione della popolazione più che neutralizzare i ribelli”:
(ASCA-AFP) – Washington, 10 ago – I talebani hanno preso il sopravvento in Afghanistan, costringendo gli Stati Uniti a cambiare strategia sul campo. Lo ha ammesso in un’intervista con il Wall Street Journal il comandante delle forze statunitensi nel Paese, il generale Stanley McChrystal. secondo il quale i ribelli hanno guadagnato terreno oltre le loro roccaforti nel sud, arrivando a minacciare regioni finora stabili come il nord e l’ovest. Secondo il generale, gli insorti compiono attacchi sofisticati, che uniscono bombe artigianali ad agguati tesi da piccoli gruppi pesantemente armati. ”Al momento e’ un nemico molto aggressivo”, ha detto McChrystal al giornale, sottolineando che le forze da lui comandane devono ”fermare la loro dinamica”, ma che ”e’ un duro lavoro”.
Stando al comandante, il futuro ridispiegamento delle forze americane e’ stato pensato con l’obiettivo di proteggere maggiormente i civili afghani dall’escalation delle violenze e dalle intimidazioni dei talebani. Tale ridispiegamento e’ la manifestazione piu’ evidente della strategia di McChrystal in Afghanistan, che ha come priorita’ la protezione della popolazione piu’ che neutralizzare i ribelli.
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(…)
The current, direct war being waged in Afghanistan and across the border in Pakistan can also be seen as the twentieth year of a war that commenced as the Cold War ended. The amassing by the US, all its major NATO allies and assorted minor clients of as many as three-quarters of a million troops for Operation Desert Shield in 1990 was the opening salvo. After the following year’s Operation Desert Storm and its devastating, overwhelming assault on Iraq military forces in Kuwait and on Iraq itself, then US President George G.W. Bush announced the creation of a New World Order and the war front moved, inexorably and unremittingly, to new theaters.
Almost immediately after the carnage on the Highway of Death and in the Amiriyah shelter ended the US and its NATO allies shifted their application of military force to the Balkans (Croatia, Bosnia, Yugoslavia, Macedonia) and since then have waged, directed and assisted armed conflicts – individually, multilaterally, collectively and by proxy – in the Middle East (Yemen, Iraq, Lebanon, Gaza), the Horn of Africa (Somalia, Djibouti-Eritrea), Africa west of the Horn (Sierra Leone, Ivory Coast, Liberia, Congo, Chad, the Central African Republic, Sudan, Mali), the Caucasus (Georgia-South Ossetia/Russia), South Asia (Afghanistan, Pakistan) and as far away as the Philippines in Southeast Asia and Colombia in South America.
The current main front in this global campaign is Afghanistan, NATO’s first ground war and the US’s longest war since Vietnam. A war that will be eight years old this October and that is escalating daily with no end in sight.
A war that has already pulled in troops from 45 nations in four continents and has extended itself through bases, troop transit and military operations to several other countries – Pakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan and Uzbekistan – with the logistical theater of operations slated to expand to the Baltic Sea, the South Caucasus and even over the skies of Russia.
The routes used for the transportation of troops, military hardware and supplies are those envisioned and commenced by the United States fifteen years ago in relation to anticipated hydrocarbon transit projects which are only now reaching fruition. Projects utterly dependent on oil and natural gas reserves in the Caspian Sea Basin. The Caspian is where the US and NATO drive for military expansion into Asia meets up with an equally ambitious campaign to monopolize control of energy supplies for all of Europe and much of South and Far East Asia.
In anticipation of this past Monday’s meeting of American and Russian presidents Barack Obama and Dmitry Medvedev, a Russian commentator averred that “presidents come and go – while NATO’s Drang nach Osten continues inexorably.”
Military Escalation: From Afghanistan To the Caspian Sea and Central Asia.
Largest ground combat operation since the Vietnam War,
by Rick Rozoff
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=14316
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Troops, arms and equipment are pouring into Afghanistan from all parts of the world. US ambassador to NATO Ivo Daalder has just recruited more New Zealand special forces; Armenia announced that it may send its first troops under NATO Partnership for Peace obligations to join those from its Caucasus neighbors Georgia and Azerbaijan; South Korea has been pressured to return military forces withdrawn in 2007 as part of a hostage release deal; Japanese government officials have recently spoken of deploying soldiers on the ground in Afghanistan even while armed hostilities rage, a violation of the nation’s constitution; the army of Mongolia, wedged between Russia and China, “which has not seen major combat since assisting the Soviet invasion of Manchuria in 1945” will soon deploy troops as part of its “third neighbor” policy “to reach out to allies other than China and Russia” and “cement its alliance with the United States and secure grants and aid….Mongolia’s deployment will mark its largest military presence in Afghanistan since the age of Genghis Khan….”
On July 28, the world’s newest nation, diminutive Montenegro (population 650,000), announced that it was assigning an initial 40 troops to NATO for the war. On the same day it was reported that fellow Balkan nation Albania, inducted into NATO in March, will double its contingent and CBS News reported that US Green Beret-trained Colombian commandos were headed to Afghanistan to apply their brutal counterinsurgency methods in South Asia.
There will soon officially be military units from fifty or more nations serving under NATO command in Afghanistan – including what is left of alleged neutral nations in Europe ( Austria , Finland , Ireland , Sweden and Switzerland ) – from four continents and the Middle East . Never before in history have soldiers from so many nations served under a common military structure in a single war theater. Afghanistan is the training and testing ground for an embryonic world army.
(…)
As he was stepping down from the post of NATO Supreme Allied Commander late last month US General Bantz Craddock shouted the truth about Afghanistan over his shoulder as it were: “The politicians can call it whatever they like. I am a military man and for me it is a war.”
Within weeks of now General McChrystal assuming control of all US and NATO military forces in Afghanistan and nearby nations ( Kyrgyzstan , Tajikistan and Uzbekistan ) on July 2nd the US launched its largest combat offensive in Asia (and probably the world) since its war in Indochina decades ago. Operation Strike of the Sword (Khanjar) began with an assault by Marines, tanks and attack helicopters and is still raging almost a month afterwards. Britain began a simultaneous and complementary offensive, Operation Panther’s Claw, also in Helmand Province . Less than two weeks after the commencement of both German NATO Rapid Response Force troops started a major, Germany ‘s first, combat offensive in the northern province of Kunduz which is still being carried out and may last six weeks altogether.
The Pentagon’s 21st Century Counterinsurgency Wars: Latin America and South Asia,
by Rick Rozoff
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=14599
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As a reflection of the urgency the Pentagon and NATO attach to the deteriorating security situation in the nation, an emergency conclave was held on a U.S. airbase near NATO Headquarters in Belgium with American Defense Secretary Robert Gates, chairman of the Joint Chiefs of Staff Admiral Mike Mullins, commander of NATO and U.S. forces in Afghanistan General Stanley A. McChrystal, deputy commander of U.S. forces in Afghanistan General David Rodriguez, NATO Supreme Allied Commander Admiral James Stavridis and Central Command chief David Petraeus.
Two days later NATO’s governing body, the North Atlantic Council, announced plans “to reorganize the alliance’s command structure in Afghanistan by setting up a new headquarters” to be named Intermediate Joint Headquarters and commanded by U.S. General Rodriguez.
A news account of the NATO decision said that “It is similar to the model used in Iraq, where overall command of the multinational forces was under a four-star American general, while a three-star general ran daily operations.”
(…)
A war that expanded into a 50-nation military campaign and that has fanned out to include U.S. and NATO military incursions into South and Central Asia and the Caspian Sea region.
A war that serves as a furnace to forge an integrated, battle-hardened international military force that can be employed wherever else in the world Brussels and Washington choose to use it in the future.
The Afghan war, then, is no ordinary war, as abhorrent as all wars are.
It is only going to expand in width and in the amount of blood shed, but already it is distinguished by several developments:
It is the U.S.’s first war in Asia and its longest one anywhere since Vietnam.
It is NATO’s first ground war and its first military campaign in Asia.
The German army has engaged in its first combat operations since the defeat of the Third Reich in 1945.
Finnish soldiers have engaged in combat for the first time since World War II and Swedish forces in almost 200 years.
Canada has lost its first troops in combat, 127, since the Korean War.
Australia has registered its first combat deaths since the Vietnam War.
More British soldiers have been killed, 191, than at any time since the Falklands/Malvinas war in 1982.
A nation that borders Pakistan, Iran, China and two Central Asian nations has been thrown into turmoil. The world’s seven official nuclear nations are either in the neighborhood – China, Pakistan, India and Russia – or are engaged in hostilities – the U.S., Britain and France.
The only beneficiary of this conflagration is a rapidly emerging Global NATO.
Afghan War: NATO Builds History’s First Global Army.
Never before have soldiers from so many states served in the same war theater,
di Rick Rozoff
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=14707
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