Una campagna di demonizzazione importante è in corso contro il Sudan e il suo governo. È vero, il governo sudanese di Khartoum ha avuto un record negativo per quanto riguarda i diritti umani e la corruzione dello Stato, e nulla poteva giustificare questo. Per quanto riguarda il Sudan, condanne selettive o mirate sono state attuate. Ci si dovrebbe, tuttavia, chiedere perché la leadership sudanese è presa di mira dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, mentre la situazione dei diritti umani in diversi clienti sponsorizzati dagli Stati Uniti tra cui l’Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, e l’Etiopia sono casualmente ignorate.
Khartoum è stato diffamata come una oligarchia autocratica colpevole di genocidio mirato sia in Darfur e Sud Sudan. Questa attenzione deliberata sullo spargimento di sangue e l’instabilità nel Darfur e nel Sud Sudan è politica e motivata dai legami di Khartoum con gli interessi petroliferi cinesi.
Il Sudan fornisce alla Cina una notevole quantità di petrolio. La rivalità geo-politica tra Cina e Stati Uniti per il controllo delle forniture energetiche mondiali e africane, è il vero motivo per il castigo del Sudan e il forte sostegno dimostrato dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dagli ufficiali israeliani alla secessione nel Sud Sudan. E’ in questo contesto che gli interessi cinesi sono stati attaccati. Ciò include l’attacco dell’ottobre 2006 alla Greater Nile Petroleum Company di Defra, Kordofan, da parte della milizia del Justice and Equality Movement (JEM).
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Direttamente o tramite proxy (pedine) in Africa, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e Israele sono i principali architetti degli scontri e dell’instabilità sia in Darfur che in Sud Sudan. Queste potenze straniere hanno finanziato, addestrato e armato le milizie e le forze di opposizione al governo sudanese in Sudan. Esse scaricano la colpa sulle spalle di Khartoum per qualsiasi violenza, mentre esse stesse alimentano i conflitti al fine di controllare le risorse energetiche del Sudan. La divisione del Sudan in diversi Stati è parte di questo obiettivo. Il Supporto al JEM, al Sud Sudan Liberation Army (SSLA) e alle altre milizie che si oppongono al governo sudanese da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e d’Israele è orientato al raggiungimento dell’obiettivo di dividere il Sudan.
E’ anche un caso che per anni, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, e l’intera UE, con la scusa dell’umanitarismo stiano spingendo al dispiegamento di truppe straniere in Sudan. Hanno attivamente sostenuto il dispiegamento di truppe NATO in Sudan sotto la copertura di un mandato di peacekeeping delle Nazioni Unite.
Si tratta della rievocazione delle stesse modalità utilizzate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea in altre regioni, in cui i Paesi sono stati suddivisi a livello informale o formale e le loro economie ristrutturate dai proxy installati da governi stranieri, sotto la presenza di truppe straniere. Questo è quello che è successo nella ex Jugoslavia (attraverso la creazione di numerose nuove repubbliche) e nell’Iraq occupato dagli anglo-statunitensi (attraverso la balcanizzazione soft tramite una forma di federalismo calcolato, volto a definire uno Stato debole e de-centralizzato). Le truppe straniere e una presenza straniera hanno fornito la cortina per lo smantellamento dello Stato e l’acquisizione estera delle infrastrutture, risorse ed economie pubbliche.
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La balcanizzazione del Sudan è legato anche al Piano Yinon, che è la continuazione dello stratagemma britannico. L’obiettivo strategico del Piano Yinon è quello di garantire la superiorità israeliana attraverso la balcanizzazione del Medio Oriente e degli Stati arabi, in Stati più piccoli e più deboli. E’ in questo contesto che Israele è stato profondamente coinvolto in Sudan. Gli strateghi israeliani videro l’Iraq come la loro più grande sfida strategica da uno Stato arabo. È per questo che l’Iraq è stato delineato come il pezzo centrale per la balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo. The Atlantic, in questo contesto, ha pubblicato un articolo nel 2008 di Jeffrey Goldberg “Dopo l’Iraq: sarà così il Medio Oriente?”. In questo articolo di Goldberg, una mappa del Medio Oriente è stato presentata, che seguiva da vicino lo schema del Piano Yinon e la mappa di un futuro in Medio Oriente, presentato dal Tenente-colonnello (in pensione) Ralph Peters, nell’Armed Forces Journal delle forze armate degli Stati Uniti, nel 2006.
Non è neanche un caso che da un Iraq diviso a un Sudan diviso, comparivano sulla mappa. Libano, Iran, Turchia, Siria, Egitto, Somalia, Pakistan e Afghanistan erano presentati anch’esse come nazioni divise. Importante, nell’Africa orientale nella mappa, illustrata da Holly Lindem per l’articolo di Goldberg, l’Eritrea è occupata dall’Etiopia, un alleato degli Stati Uniti e d’Israele, e la Somalia è divisa in Somaliland, Puntland, e una più piccola Somalia.
In Iraq, sulla base dei concetti del Piano Yinon, gli strateghi israeliani hanno chiesto la divisione dell’Iraq in uno Stato curdo e due Stati arabi, uno per i musulmani sciiti e l’altro per i musulmani sunniti. Ciò è stato ottenuto attraverso la balcanizzazione morbida del federalismo nell’Iraq, che ha permesso al Governo regionale del Kurdistan di negoziare con le compagnie petrolifere straniere per conto suo. Il primo passo verso l’istituzione di ciò fu la guerra tra Iraq e Iran, che era discussa nel Piano Yinon.
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Dall’Iraq all’Egitto, i cristiani in Medio Oriente sono sotto attacco, mentre le tensioni tra musulmani sciiti e sunniti sono alimentate. L’attacco a una chiesa copta di Alessandria, il 1° gennaio 2011, o le successive proteste e rivolte copte non dovrebbero essere considerati isolatamente. Né la furia successiva dei cristiani copti espressasi nei confronti dei musulmani e del governo egiziano. Questi attacchi contro i cristiani sono legati ai più ampi obiettivi geo-politici di Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e NATO sul Medio Oriente e sul mondo arabo.
Il Piano Yinon precisa che se l’Egitto viene diviso, il Sudan e la Libia sarebbero anch’esse balcanizzate e indebolite. In questo contesto, vi è un legame tra il Sudan e l’Egitto. Secondo il Piano Yinon, i copti o cristiani d’Egitto, che sono una minoranza, sono la chiave per la balcanizzazione degli Stati arabi del Nord Africa. Così, secondo il piano Yinon, la creazione di uno Stato copto in Egitto (sud Egitto) e le tensioni cristiani-musulmani in Egitto, sono dei passi essenziali per balcanizzare il Sudan e il Nord Africa.
Gli attacchi ai cristiani in Medio Oriente sono parte delle operazioni di intelligence destinate a dividere il Medio Oriente e il Nord Africa. La tempistica degli attacchi crescenti ai cristiani copti in Egitto e il processo per il referendum nel Sud Sudan, non è una coincidenza. Gli eventi in Sudan ed Egitto sono collegati l’uno all’altro e sono parte del progetto per balcanizzare il mondo arabo e il Medio Oriente. Essi devono anche essere studiati in collaborazione con il Piano Yinon e con gli eventi in Libano e in Iraq, nonché in relazione agli sforzi per creare un divario sunniti-sciiti.
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Da La balcanizzazione del Sudan: ridisegnare Medio Oriente e Africa del Nord, di Mahdi Darius Nazemroaya.
[grassetti nostri]
orologio svizzero
(AGI/AFP) – Khartoum, 31 gen. – E’ morto uno studente ferito dalla polizia sudanese negli scontri a Khartoum, dove domenica un migliaio di universitari sono sfilati in corteo contro il governo. Lo hanno riferito i suoi compagni dell’universita’ islamica di Omdurman, che hanno definito Mohamed Abdelrahman un “martire” della protesta.
Gli agenti avevano usato i gas lacrimogeni e i manganelli per disperdere gli studenti e si e’ avuta notizia di almeno cinque feriti e altrettanti fermati. I giovani del corteo provenivano dall’Universita’ islamica di Omdurman, mentre in un altro ateneo della capitale, quello di Ahlia, 500 studenti hanno inscenato un sit-in. La polizia ha circondato le sei universita’ di Khartoum e quelle di altre citta’ del Paese africano, che ha appena assistito alla secessione del Sud in seguito a un referendum.
Una delle icone della protesta e’ Luis Moreno Ocampo, procuratore del Tribunale internazionale per i crimini contro l’umanita’, che ha incriminato il presidente sudanese Omar al-Bashir con l’accusa di genocidio nel Darfur. “Ocampo, quello che dici e’ giusto”, e’ stato uno degli slogan urlati dai giovani, che, arrivati vicino al palazzo presidenziale, hanno invocato il cambiamento del regime e la diminuzione dei prezzi. “Il pacifico corteo”, ha detto Mubarak al-Fadl, esponente dell’opposizione rappresentata dal partito Umma, “e’ stato organizzato da giovani ispirati da cio’ che vediamo in Egitto e irritati dalla politica di un governo che ha portato alla divisione del Paese”. La manifestazione era stata organizzata utilizzando Internet.
Khartoum, 31 gen. – (Adnkronos/Aki) – Un giovane studente sudanese e’ morto negli scontri tra manifestanti e polizia scoppiati durante le ultime proteste contro il governo a Khartoum, la capitale del Sudan, nella zona di Omdurman. Lo riferisce l’agenzia di stampa ‘Dpa’, citando attivisti locali. Stando alla pagina Facebook del gruppo ‘Giovani per il cambiamento’, che ha organizzato le manifestazioni di ieri in Sudan, Mohamed Abdel Rahman e’ il ”primo martire” delle proteste all’Universita’ Omdurman Ahlia.
Ieri per bloccare le manifestazioni degli studenti sudanesi la polizia e’ ricorsa all’uso dei manganelli e dei gas lacrimogeni. Decine di dimostranti sono stati arrestati.
Sulla pagina Facebook attraverso cui e’ stata organizzata la protesta, sulla scia di quanto avvenuto in Tunisia e delle dimostrazioni in corso in Egitto, oltre 16mila persone avevano confermato la propria presenza. ”La popolazione del Sudan non restera’ piu’ in silenzio – si legge sulla pagina – E’ tempo di rivendicare i nostri diritti e di prenderci cio’ che e’ nostro con manifestazioni pacifiche”.
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Webster G. Tarpley, alla domanda “Perché Washington è così ossessionata dall’idea di rovesciare questi governi?”, risponde:
“La risposta ha molto a che fare con Iran, Cina e Russia. Per quanto riguarda l’Iran, è noto che il Dipartimento di Stato sta tentando di mettere insieme un fronte unitario dei paesi arabi occupati e dei regimi sunniti contro l’Iran sciita e i suoi vari alleati nella regione. Questa strategia non sta funzionando bene, come dimostra l’incapacità degli USA di instaurare il loro fantoccio preferito, Allawi, al potere in Iraq, dove sembra che il filoiraniano Maliki riuscirà a mantenere le redini del governo nel prevedibile futuro. Gli USA sono alla disperata ricerca di una nuova generazione di traballanti demagoghi “democratici”, più disponibili a guidare i propri paesi contro l’Iran di quanto abbia dimostrato di voler fare l’immobilismo dei regimi attuali. C’è poi la questione dell’espansione dell’economia cinese. Possiamo star certi che tutti i nuovi leader instaurati dagli USA includeranno nei propri programmi la rottura delle relazioni economiche con la Cina, a partire dalla riduzione delle esportazioni di petrolio e materie prime, sulla falsariga di ciò che il boss della “Twitter Revolution”, Mir-Hossein Mousavi, stava preparando per l’Iran nel caso in cui avesse conquistato il potere nell’estate 2009, all’apice delle sommosse in affitto che avevano come slogan “Morte alla Russia, morte alla Cina”. Inoltre, l’ostilità degli USA verso la Russia non è affatto diminuita, nonostante l’effetto cosmetico della recente ratifica dello START II. Ad esempio, se una rivoluzione colorata dovesse colpire la Siria, potremmo star certi che la presenza navale russa nel porto di Tartus, che infastidisce molto i progettisti NATO, verrebbe rapidamente eliminata. Se i nuovi regimi mostreranno ostilità verso Iran, Cina e Russia, vedremo ben presto scomparire le questioni interne dei diritti umani dalle priorità degli Stati Uniti.”
http://blogghete.altervista.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=768:gianluca-freda&catid=32:politica-internazionale&Itemid=47
sugli effetti del referendum che sancirà la secessione del Sudan meridionale, svoltosi dal 9 al 15 gennaio ed i cui risultati ufficiali saranno resi noti a giorni, si legga “Sudan to split in two” di Andrei Fedyashin:
“If everything goes according to plan, the world’s 193rd state (according to the UN list) will be proclaimed in Juba, the capital of Southern Sudan, on July 9. After the south splits from the north, Sudan will cease to be Africa’s largest state, ceding first and second place to Algeria and Congo, respectively.
The new country should fare quite well, at least initially, thanks to its large oil reserves. However, nearly 90% of the 450,000-500,000 barrels of oil produced in Sudan each day comes from the south, while the processing and transportation facilities are located in the north. This means that these future neighbors will have to share profits.
This imbalance could lead to disputes and even war. Both sides have been bled dry by 20 years of civil war and will likely lack the resources to wage a new war, this time as independent states. That being said, it is rumored that the south, fearing an attack from the north in the wake of the referendum, has accumulated large weapon stockpiles.”
http://en.rian.ru/analysis/20110118/162197825.html
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appunto…
(AGI) Juba, 4 febbraio – Almeno tredici persone sono rimaste uccise e altre trenta ferite a Malakal, capoluogo del ‘wilaya’ o Stato dell’Alto Nilo, nel Sudan meridionale, in seguito alla rivolta di ex miliziani fedeli al governo centrale di Khartoum, inquadrati ora nelle file dell’Esercito regolare: soldati di quest’ultimo hanno aperto il fuoco contro i commilitoni allorche’ costoro si sono rifiutati di obbedire all’ordine di riposizionarsi nel Nord del Paese africano, in vista della sempre piu’ prossima secessione del Sud dopo il trionfo dei si’ nel recente referendum sull’indipendenza .
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intitolavamo “Demonizzazione politicamente motivata” e non sbagliavamo…
(AGI) Washington, 7 febbraio – In virtu’ dell’ufficializzazione dei risultati del referendum sulla secessione del Sudan Meridionale dal Nord, che hanno visto il trionfo dei si’, gli Stati Uniti hanno annunciato di aver avviato l’iter per rimuovere il Paese africano dalla ‘lista nera’ degli sponsor del terrorismo, anche per ricompensare la piena accettazione dell’esito della consultazione da parte delle autorita’ di Khartoum .
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a un anno di distanza il Sudan torna nel mirino dell'”Impero del Bene”…
L’America è davvero incredibile: già coi film plagia a livelli parossistici le menti della gente – quella sventurata gente che ha avuto la sorte di essere occupata prima militarmente, e poi su tutti gli altri piani -, ci tira su una barca di soldi, e poi, grazie alla notorietà e al “credito morale” riscosso dagli attori famosi – i quali impersonano sempre “eroi positivi”in lotta contro il “male” – sfrutta questo fattore a beneficio delle sue strategie di politica estera. E già che c’è non disdegna di mungere altra grana da chi sente come un dovere morale inviare un “obolo” alla causa umanitaria di turno, il che psicologicamente serve a far sentire il “donatore” come un “protagonista” dalla parte del “Bene”. Non si crederà infatti che tutto questo baraccone di gente che si agita da una parte all’altra del pianeta per plagiare, sobillare e sovvertire – ma anche la “campagna elettorale di Obama” – costi la bazzecola che può essere raccolta dalle tasche di privati cittadini…
Ci sarebbe da scrivere non poco sull’arte moderna, sviluppata a livelli che oltrepassano la normale immaginazione, di montare dei “casi” strappalacrime per motivi che hanno a che fare con strategie di dominio ed asservimento planetario piuttosto che con la “bontà”. Ormai i film anticipano la realtà, e la realtà sembra sempre più un film. Ma basti chiedersi chissà perché queste “star” del cinema o della canzonetta non abbiano mai posato accanto ai corpi straziati delle vittime del loro datore di lavoro: non sanno dove si trovano le “Repubbliche delle Banane” del Centro America? Qualcuno spiega loro dove stanno l’Iraq e l’Afghanistan? Ma come, vanno in Sudan e si perdono la Costa D’Avorio? E la Palestina, non sarebbe perfetta come ‘set cinematografico’?
In tutta questa vomitevole storia di manipolazione spinta all’estremo, c’è poi un aspetto davvero inquietante: come essi stessi ammettono, lo stesso “arresto” del divo di turno è stata una sceneggiata. Che pensare dunque degli agenti di una Polizia di Stato che, inviati evidentemente da un superiore, si sono prestati a recitare questa parte? D’altra parte che simili pantomime avvengano in America non deve sorprendere: lì la finzione è istituzionalizzata, e tutti i politici prima di ogni altra cosa sono dei consumati attori. Infatti nel ‘filmetto’ a tema sudanese è rientrata anche la scenetta dell’incontro dello stesso divo appena “liberato” (!) con lo “staff della Casa Bianca”
Purtroppo, avanzando la nostra alienazione e il nostro sfaldamento esistenziale, non solo l’America, ma anche l’Europa, l’Italia, esprimono sempre più, direi quasi esclusivamente, non degli statisti – uomini col senso dello Stato – bensì dei teatranti degni di un cabaret, sempre pronti a scattare al “ciak si gira” del regista a stelle e strisce.
Da Ciak, si bombarda!”: divi di Stato contro il Sudan,
di Enrico Galoppini
http://europeanphoenix.net/it/component/content/article/3-societa/261-qciak-si-bombardaq-divi-di-stato-contro-il-sudan
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