Il premio degli USA per i governi che si disarmano

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L’America ama i nemici. Senza i nemici è un Paese privo di scopi e di direzione. Le diverse componenti della Sicurezza nazionale hanno bisogno di nemici per giustificare i loro bilanci gonfiati, per esagerare l’importanza del loro lavoro, per proteggere le proprie cariche, per assegnarsi una missione dopo il crollo dell’Unione Sovietica:
in una parola, per reinventare se stesse.
William Blum,
Con la scusa della libertà

Il 29 Gennaio 1991, in un celebre discorso davanti al Congresso riunito in seduta plenaria, George Bush senior proclamava un Nuovo Ordine Mondiale. L’Unione Sovietica era in dissoluzione e gli Stati Uniti d’America si avviavano ad estendere la loro supremazia sul mondo intero.
Era da poco iniziata la Guerra del Golfo e gli Stati Uniti, per la prima volta nella storia, erano riusciti a mettere insieme un’enorme coalizione internazionale dove le due superpotenze non erano schierate su fronti contrapposti.
Terminata la guerra, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nell’Aprile del 1991, approvava la risoluzione n. 687 che creava l’UNSCOM (United Nations Special Commission), l’organizzazione per le ispezioni militari. Lo scopo era quello di rendere illegali le armi di distruzione di massa per l’Irak. Secondo tale risoluzione, Baghdad avrebbe dovuto consegnare tutte le proprie armi alle Nazioni Unite. L’Irak sceglieva di distruggere unilateralmente le proprie apparecchiature belliche. In seguito l’ONU avrebbe verificato la demolizione attraverso una lunga serie di ispezioni.
Il disarmo non servirà a Saddam Hussein per difendersi da una nuova aggressione americana. Alla vigilia della seconda guerra all’Irak, W. Scott Ritter rilasciava un’eccezionale intervista pubblicata nel libro Guerra all’Iraq [1]. Scott Ritter era forse l’uomo più informato al mondo sui potenziali armamenti dell’Irak: era stato ispettore ONU per sette anni, con l’incarico di verificare che in Irak fossero state distrutte tutte le strutture e le attrezzature destinate alla produzione di armi chimiche, biologiche e nucleari. Una testimonianza, quella di Ritter, eccezionale, perché demoliva, senza ombra di dubbio, le tesi inconsistenti di chi voleva invadere il Paese mediorientale, dimostrando che la potenza bellica dell’Irak di Saddam Hussein era praticamente ridotta a zero. Quindi, tutto il mondo sapeva, e sapeva grazie anche alla straordinaria testimonianza di un ex ispettore dell’ONU che, incredibile a dirsi, aveva la tessera del partito repubblicano e aveva perfino votato per George W. Bush nelle elezioni del 2000.
Questa testimonianza non servì a nulla. Il Nuovo Ordine Mondiale aveva già previsto la nuova guerra all’Irak che, ironia della sorte, sarebbe stato attaccato proprio con le armi di distruzione di massa. La città di Falluja, in particolare, sarebbe diventata l’Hiroshima del XXI secolo, sotto gli occhi indifferenti dei paesi democratici occidentali che ancora oggi, ogni anno, continuano a celebrare ‘la giornata della memoria’.
Erano passati solo nove mesi dall’invasione dell’Irak quando, il 20 Dicembre 2003, il leader della Libia, colonnello Muammar Gheddafi, annunciava al mondo la sua volontà di eliminare le armi di distruzione di massa nel suo Paese e si dichiarava pronto a ricevere tutte le ispezioni internazionali. Tripoli sottolineava in quell’occasione che la corsa agli armamenti non serviva gli interessi del Paese, né della regione e dell’intera comunità mondiale.
Il disarmo era stato solo l’ultimo di una serie di atti distensivi attuati dalla Libia di Gheddafi. Già nell’Agosto del 1998 il Colonnello aveva deciso di consegnare i due uomini accusati dell’attentato aereo di Lockerbie e nel 1999 aveva anche espulso l’organizzazione di Abu Nidal, riconoscendo l’OLP come solo interlocutore per la causa palestinese. Il passo decisivo lo aveva però compiuto all’indomani dell’11 Settembre 2001, quando si era rivolto alla comunità internazionale, invitandola ad unirsi agli Stati Uniti nella lotta contro Al-Qaeda. “La capitale politica degli Stati Uniti, Washington – scrisse Gheddafi – e il centro nevralgico dell’economia, New York, sono stati entrambi attaccati in una premeditata manifestazione di spaventosa violenza. Il fenomeno del terrorismo non è un motivo di preoccupazione per i soli Stati Uniti. Esso mette in ansia il mondo intero. Gli Stati Uniti non possono combatterlo da soli. La lotta al terrorismo richiede la collaborazione internazionale e azioni congiunte a livello mondiale. Chi tra noi vuole il terrorismo? Chi tra noi vuole vivere, o vedere vivere i propri figli e il proprio Paese in un mondo dove regna il terrorismo? Il terrorismo è un’orribile piaga” [2]. Ma Bush, commentando la decisione libica di rinunciare alle armi di distruzione di massa, ignorando la storia, si era attribuito ogni merito e si era vantato in quell’occasione del fatto che proprio la guerra contro Saddam Hussein aveva spinto la Libia verso il dialogo. Quindi, ancora una volta, l’arroganza e la violenza venivano riconosciute come la sola arma diplomatica. Ma i gesti distensivi di leader come Gheddafi andavano pur incoraggiati di fronte alla comunità internazionale e Bush non mancò di farlo. Bush promise infatti che la buona fede di Gheddafi sarebbe stata premiata e si augurò che altri leader avrebbero seguito il suo esempio, sicuri di migliorare i loro rapporti con gli Stati Uniti.
Tutti sappiamo oggi quale premio abbia ricevuto la Libia di Gheddafi per il suo disarmo e quanto meglio sia andata a chi non ha seguito il suo esempio.
La Corea del Nord, uno dei Paesi a cui sicuramente era rivolto il pensiero di Bush, lungi dal fidarsi di false promesse, all’indomani della fine dell’Unione Sovietica, invece di disarmarsi, aumentò le sue capacità difensive. A sud del trentottesimo parallelo, gli Stati Uniti mantengono ancor oggi la più alta concentrazione di armi nucleari di tutto il mondo: un’arma nucleare ogni 100 km quadrati, un arsenale costantemente aggiornato per mantenere alta la tensione lungo il confine con la Corea del Sud. Ciò non viene mai detto, mentre un’infinità di volte abbiamo sentito parlare dell’aggressività della Corea del Nord, che avrebbe la pretesa di dotarsi dell’arma nucleare. La verità è che gli statunitensi e i loro vassalli vorrebbero che questo Paese restasse indifeso ed aprisse le frontiere, pronto ad accogliere Ong ed agenzie varie portatrici di democrazia e rivoluzioni colorate.
255610_526972977348842_299584119_nAlla luce della storia, abbiamo oggi un nuovo scenario. Ѐ il Giugno 2013, due anni dall’inizio di un nuovo conflitto in Siria, quando gli Stati Uniti accusano il governo di Bashar al-Assad di aver usato armi chimiche contro la popolazione civile. Ѐ stata infranta la ‘linea rossa’ posta da Obama per un intervento militare internazionale e i ‘gendarmi del mondo’ si preparano a scatenare una nuova ‘guerra di liberazione’ contro il dittatore di turno, colpevole di ogni male possibile. Il mondo tiene il fiato sospeso e dopo febbrili trattative il Presidente russo Putin riesce ad ottenere un accordo: la Siria dovrà consegnare tutto il suo arsenale chimico in cambio della rinuncia all’intervento armato a guida statunitense. Così, Bashar al-Assad ha accettato di smantellare il suo arsenale chimico, quell’arma fondamentale, nel contesto mediorientale, per difendersi da un eventuale attacco di Israele, unica potenza atomica della regione. Ora Assad non è più una minaccia temibile per Israele, e questo è stato un particolare un po’ trascurato da molti. L’offerta di Putin, non a caso, è stata colta al volo da Obama che, come Bush con Gheddafi, ha potuto mostrare davanti al mondo che la potenza delle sue minacce è servita a disarmare un temibile dittatore.
Intanto la guerra continua, più disastrosa che mai. L’Occidente arma da tempo l’opposizione al governo siriano, costituita in larga maggioranza proprio dalle forze islamiste, col risultato di mantenere il conflitto in una situazione di stallo. Nel frattempo, in Irak, dopo tanti anni di resistenza, fatta di duri combattimenti, attentati e stragi, avviene un accordo fra le forze baatiste e quelle islamiche, in parte provenienti proprio dalla Siria: una strategia vincente, che mira alla liberazione dall’occupazione coloniale della Terra dei due Fiumi. L’avanzata delle forze islamiche è travolgente e alla fine di giugno viene proclamato lo Stato Islamico. La situazione si fa critica: il governo fantoccio instaurato in Irak rischia di essere spazzato via. Che ne sarà degli interessi americani in Medio Oriente? Ѐ arrivata l’ora di intervenire. Ma serve preparare il terreno fertile per convincere i burattini degli Stati vassalli e le masse addormentate dell’Occidente. Inizia così una propaganda martellante sugli orrori di uno Stato Islamico che muove alla conquista di tutto il mondo. Il 19 Agosto compare il primo video della decapitazione di un giornalista statunitense. Il boia è un cittadino britannico. Immediatamente, il Regno Unito, tempo qualche giorno, invia in Siria e in Irak forze speciali della SAS (Special Air Service) e della SRR (Special Reconnaissance Regiment). Il pretesto è quello di catturare il presunto assassino di James Foley, il vero scopo potrebbe essere quello di acquisire informazioni preziose per organizzare l’attacco volto alla conquista della Siria e alla rioccupazione dell’Irak.
La storia insegna. I risultati del disarmo dell’Irak e della Libia sono sotto gli occhi di tutti: la distruzione di due Stati moderni, laici e socialisti, organizzata attraverso il loro previo indebolimento ottenuto con il disarmo. Gli Stati Uniti non sono mai stati riconoscenti nei confronti di chi ha compiuto gesti di distensione, ma ogni loro mossa è sempre stata dettata dalla volontà egemonica, soprattutto su quelle aree del Pianeta, come quella mediorientale, di importanza vitale per il futuro controllo geopolitico del mondo. Inoltre, la superpotenza americana non ha mai ammesso rapporti alla pari con nessuno Stato. Si illude chi pensa che ci possa essere un coordinamento con qualunque Stato per la ‘lotta al terrorismo’, come si illude chi pensa che gli Stati Uniti possano mai sostenere un processo di pace in qualunque parte del mondo. Come l’Irak e la Libia ci hanno insegnato, dal parziale disarmo siriano e dalla penetrazione anglo-americana in Siria e in Irak ottenuta col pretesto della ‘lotta al terrorismo’ non ci si può aspettare nulla di buono.
Marcella Guidoni

[1] W. Rivers Pitt, Guerra all’Iraq, 2002, Fazi Editore
[2] Documento citato in Cricco, La recente trasformazione della politica estera di Gheddafi, in “Rivista di studi politici”, aprile/giugno 2008, pagg. 135-136

6 thoughts on “Il premio degli USA per i governi che si disarmano

  1. Ottima analisi della situazione attuale mondiale,sono completamente d’accordo,infatti da almeno 10 anni ho capito quello che l’autrice dell’articolo ha evidenziato molto bene.
    un saluto
    Alexfaro

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  2. Io sto arrivando a sperare che Putin invada tutte le ex repubblichette sovietiche. Questi staterelli fantoccio gestiti da delinquenti pagati dagli askenaziti usa. E poi che invada anche tutta l’europa fino a Lisbona e la liberi dall’occupazione usa.
    Meglio Putin difensore della famiglia tradizionale che questi malati di mente deviati a favore della droga libera dell’eutanasia dell’aborto dell’immigrazione di massa e di tutte le cose più abbiette che ci sono al mondo.

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  3. non lo farà mai, perché è consapevole che agli occhi degli europei sarebbe un invasore…

    “Ma cerchiamo di stringere sulla natura del filoamericanismo. Ritengo si tratti in ultima istanza della manifestazione di una sindrome di impotenza storica interiorizzata, per cui si delega ad un potere esterno salvifico un insieme di compiti economici, politici e culturali che non si ritiene di poter più svolgere autonomamente. Il 1945 è ormai lontano, ma si continua a ripetere salmodiando che se non fossero arrivati gli americani noi europei saremmo ancora qui a gemere sotto la dittatura. L’apporto sovietico alla sconfitta di Hitler è ovviamente censurato, e curiosamente viene di fatto anche censurato il fenomeno storico della resistenza europea 1941-45. Ma si tratta solo di dettagli. In realtà si è di fronte alla ricostruzione della intera storia europea del Novecento in base ai due fondamenti metafisici della Malvagità e dell’Impotenza. In questo modo l’Europa avrebbe commesso una sorta di Colpa Assoluta integralmente Irriscattabile, e per questa ragione l’occupazione militare americana diventa non solo un fatto geopolitico, ma la si erge a fatto metafisico totale. In caso contrario ci si potrebbe laicamente chiedere che cosa ci fanno basi militari americane potentemente armate ad Aviano in Italia, a Ramstein in Germania, a Suda in Grecia, eccetera, dal momento che è venuta meno da tempo la cosiddetta minaccia sovietica. Ma è appunto questa domanda laica e pacata che il filoamericanismo non può neppure sopportare.
    Il filoamericanismo è allora prima di tutto una ideologia di deresponsabilizzazione europea. Quando lo studioso americano Kagan parla degli USA come di Marte e dell’Europa come di Venere egli è purtroppo ancora al di qua della comprensione minima del problema. In realtà l’Europa ha deciso di essere come Tersite, l’oggetto dello scherno degli Achei e della umiliante punizione inflittagli da Odisseo.”

    Costanzo Preve, in https://byebyeunclesam.wordpress.com/2010/03/30/filoamericanismo-ideologia-di-deresponsabilizzazione/

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  4. D’accordo con mda con qualche ammorbidimento.
    Le notizie sulla Rai, il mantra: Obama combatte Is con altri paesi arabi (l’alibi). Hanno impedito un attacco all’america (bugia, nessuno può controllare, ma fa comodo) L’italia è sotto attacco ma Il governo italiano è solo preoccupato ecc. Al Assad combatte il terrorismo. Quando è stata l’ultima intervista ad Assad per sapere la sua verità? I giornalisti attendono il via da Obama.

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