La campagna militare USA in Siria: quale agenda Washington sta perseguendo questa volta?

Catherine Shakdam per rt.com

Gli Stati Uniti e la Turchia sono giunti a un accordo in Siria, con Ankara che aprirà i suoi territori alle truppe statunitensi nel tentativo di sconfiggere il terrore. Oppure quel terrore necessita di un appoggio militare per deporre il Presidente siriano Bashar Assad? E’ difficile dirlo in questo momento.
I neocons americani semplicemente non vogliono tollerare che la pace guidi la storia globale! Appena l’inchiostro è stato lasciato seccare sul tanto atteso accordo sul nucleare iraniano – sicuramente il fatto più significativo del decennio, se non del secolo – Washington ha dichiarato di voler attivamente impegnare il suo esercito in Siria. Sembra come se gli Stati Uniti debbano avere almeno una guerra in corso questa estate per rasserenare i falchi.
L’obiettivo designato? I militanti e le posizioni dello Stato Islamico (IS, precedentemente ISIS/ISIL) naturalmente, o almeno così dichiarano gli ufficiali statunitensi. Come molti già sanno, a Washington dire qualcosa ed intendere esattamente ciò che si dice sono due cose davvero differenti. Se la storia moderna degli Stati Uniti ha insegnato qualcosa al mondo è che se si tratta di razionalizzare l’espansionismo a guida militare in Medio Oriente, i politici statunitensi sono dei re.
Una Nazione in un perpetuo stato di guerra, gli Stati Uniti sentivano chiaramente che una pace doveva essere scambiata ancora con un’altra guerra, ancora un’altra incursione pesantemente militarizzata nel Medio Oriente, ancora un altro tentativo di re-ingegnerizzare le dinamiche geopolitiche ed etno-sociali della regione, tutto sotto il conveniente pretesto della guerra al terrore.
Grazie a Dio per questo, altrimenti gli Stati Uniti sarebbero semplicemente il più grande oppressore del mondo!
Così, alla fine di luglio, la Turchia ha graziosamente acconsentito ad aprire i suoi cieli e i suoi confini all’esercito statunitense, agendo da piattaforma di lancio per incursioni aeree contro gli obiettivi “nemici” in Siria. Un funzionario militare statunitense ha commentato la mossa al Wall Street Journal come un “grande affare”. E mentre in effetti potrebbe essere una grande mossa, ciò non significa che lo Stato Islamico ne soffrirà le conseguenze.
Nonostante tutte le sue posizioni politiche e le censure di facciata contro il radicalismo di ispirazione wahhabita, è difficile ignorare che la Turchia sia stata a lungo collegata e accusata di sostenere e addestrare i militanti dello Stato Islamico, con la prospettiva del manifestarsi di un cambio di regime in Siria. Nel luglio 2014, Breitbart ha lanciato un articolo nel cui titolo si leggeva: “I combattenti dell’ISIS affermano che la Turchia finanzi il gruppo jihadista”. In esso, un militante dello Stato Islamico ha descritto il contributo della Turchia al “movimento”.
Nel novembre 2014, Barney Guiton ha scritto un resoconto per Newsweek che smascherava molto bene la doppia agenda di Ankara in Turchia. Egli scrisse: “Un ex membro dell’ISIS ha rivelato fino a che punto la cooperazione dell’esercito turco permetta al gruppo terroristico, che ora controlla gran parte dell’Irak e della Siria, di viaggiare attraverso il territorio turco per sostenere i guerriglieri che combattono le forze curde”.
Non si è mai trattato solo di liberarsi del presidente siriano Bashar Assad, ma per il presidente turco Erdogan è anche una attività volta a sedare e sabotare le aspirazioni nazionali del Kurdistan.
L’analista politico Yerevan Saeed ha riassunto la situazione correttamente quando ha sostenuto: “L’obiettivo della Turchia è quello di far abortire la nascita di un’altra entità autonoma curda, simile alla regione autonoma del Kurdistan iracheno”.
E infatti sembra che i guerriglieri curdi abbiano preso l’abitudine di occupare ciò che la Turchia identifica come basi dello Stato Islamico, portando quindi Ankara a colpire le basi dello YPG e non quelle dello Stato Islamico. In una dichiarazione di fine luglio, lo YPG ha sostenuto che i carri armati turchi hanno colpito le proprie postazioni e quelle dei ribelli arabi loro alleati nel villaggio di Zur Maghar nella provincia di Aleppo, in Siria. Ankara ha naturalmente negato velocemente qualsiasi responsabilità.
La Turchia cerca solo di “neutralizzare le minacce alla propria sicurezza nazionale”. Interessante scelta di parole per gli ufficiali turchi, dal momento in cui sicuramente ricordano le grida di guerra di George W. Bush nel 2001 prima dell’invasione dell’Afghanistan. Ma questa è una storia da raccontare in un’altra occasione!
Fin tanto che Washington è coinvolta e nonostante le affinità politiche degli ufficiali statunitensi con Erbil, il Kurdistan è il prezzo da pagare per le ambizioni statunitensi in Siria. I “coraggiosi difensori [Peshmerga e YPG]” come li ha definiti il portavoce del Dipartimento di Stato Jen Psaki, sono adesso considerati solo come pedine obsolete.
Ma la vera domanda qui è: cosa vuole Washington dalla Siria?
Senza sorprendere nessuno, Washington vuole ciò che ha sempre voluto: la caduta del Presidente Assad a qualsiasi costo, anche se questo significa scatenare un’Idra di terrore per raggiungere l’obiettivo. E mentre gli Stati Uniti potrebbero essere stati forzati a cambiare qualche posizione politica e variare l’approccio nella regione, lo scopo sotteso, l’ambizione principale, è rimasta costante – dividere, fratturare socialmente, invadere in maniera incrementale e alla fine sovrastare completamente ed assolutamente.
In un memorandum, l’istituto Brookings offre un’interessante lettura della politica statunitense in Siria. Nel tentativo di capire come meglio liberare il mondo dal Presidente Assad, esso afferma: “Un’alternativa è fare in modo che gli sforzi diplomatici si concentrino prima su come porre fine alle violenze ed ottenere un accesso umanitario, come veniva fatto sotto la leadership di Annan. Ciò potrebbe portare alla creazione di rifugi e corridoi umanitari che dovrebbero essere sostenuti da un limitato potere militare. Ciò, ovviamente, sarebbe insufficiente per gli obiettivi USA in Siria e manterrebbe Assad al potere. Da quel punto in poi, comunque, è possibile che una grande coalizione con l’adeguato mandato internazionale possa aggiungere ulteriori azioni coercitive a questi sforzi.” Questo veniva scritto nel 2012!
Naturalmente, è probabile che gli Stati Uniti continuino a presentare il proprio interventismo come necessario di fronte all’avanzata dell’ISIS in Siria. Ma anche qui, non è vero – per certi versi, almeno – che gli Stati Uniti abbiano sfruttato i cosiddetti “islamisti moderati” contro Damasco, de facto posizionando Washington come un complice del terrore?
In questo contesto come possiamo noi, il pubblico, credere a ciò che gli ufficiali statunitensi dicono rispetto alla guerra al terrore, senza considerare che cosa il loro esercito sta realmente colpendo in Siria?

[Traduzione di M. Janigro]

4 thoughts on “La campagna militare USA in Siria: quale agenda Washington sta perseguendo questa volta?

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  2. il regime sionista d’oltre oceano, erroneamente indicato come america, ha già cominciato a diffondere una serie di galattiche menzogne tramite msm (main stream media) sul conto della Russia, in Siria. Questo per obbligare i goy europoidi ad attaccarsi al carro sionista…pardon a stelle e strisce.

    Morale? Non serve. E’ tutto chiaro, purtroppo.

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  3. E’ da vedere se gli americani abbiano oggi ancora tutta questa voglia di farsi coinvolgere in avventure mediorientali di dubbia riuscita. Senza voler poi dimenticare gli enormi problemi che nel mentre si stanno manifestando nella penisola arabica; la casa madre della “guerra al terrorismo” traballa. Assad tra poco potrebbe divenire un problema secondario.

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