Mentre l’attenzione del mondo si concentra su ciò che accade in Medio Oriente, in Ucraina e sullo scontro USA-Russia, un’altra crisi si sta svolgendo nel Mare Cinese del Sud, dove l’ordine statunitense è contestato dalla Cina.
E’ una disputa territoriale che ci riporta indietro di secoli, ma che ha causato crescenti tensioni negli anni recenti.
Le sempre più profonde tensioni nel Mare Cinese del Sud riguardano una disputa territoriale sulle isole Paracel e Spratly – in realtà, porzioni sommerse di roccia – particolarmente delicata, visto che la disputa coinvolge diversi Paesi quali Cina, Vietnam, Singapore, Malesia, Taiwan e le Filippine.
Le acque che circondano queste isole sono famose per essere ricche di risorse naturali che costituirebbero una manna per l’economia dello Stato che ne potesse disporre.
In tutto ciò la Cina – con grande costernazione degli Stati Uniti – sta costruendo un’isola artificiale nell’area, con una pista di atterraggio adeguata agli aerei militari.
Questa disputa non può essere considerata fuori dal suo più largo contesto geopolitico. Con l’economia cinese che continua a crescere rispetto a quella degli Stati Uniti, Washington sta utilizzando questa disputa come una scusa per esercitare pressione militare, con l’obiettivo di intimidire Pechino e di ricordare quale sia il suo posto nello schema globale delle cose.
Si consideri quanto gli Stati Uniti abbiano armato il Giappone, la Corea del Sud e gli altri loro Stati satellite negli ultimi anni. La linea ufficiale è che gli alleati statunitensi prossimi alla Cina stanno aumentando la loro spesa militare in risposta diretta all’incremento di quella cinese, che dovrebbe aumentare quest’anno del 10%, arrivando appena sopra i 140 miliardi di dollari.
Ad ogni modo, la spesa militare cinese resta minuscola se paragonata a quella statunitense, che per scelta dell’amministrazione Obama dovrebbe arrivare alla gigantesca somma di 585 miliardi di dollari nel 2016.
Pechino sostiene che l’incremento della sua spesa militare è finalizzato in primo luogo a modernizzare il suo esercito, l’aviazione e la marina equipaggiandoli con le più recenti tecnologie ed armamenti, in vista della loro integrazione. Si tratta inoltre di avere a mente che al crescere del mercato economico cinese aumentano anche le sue esigenze di sicurezza per proteggere i suoi interessi.
Cosa più importante, dobbiamo considerare la profonda cicatrice sempre presente nella psiche nazionale cinese in seguito alle umiliazioni subite nel corso della sua storia – senza menzionare la brutalità e il barbarismo – come conseguenza dell’occupazione giapponese tra il 1931 e il 1945 e prima di essa la sua colonizzazione da parte delle potenze occidentali.
Tutti questi fattori giocano un proprio ruolo nelle dispute territoriali che sono in corso sia nel Mare Cinese del Sud che nel Mare Cinese Orientale (in questo caso con il Giappone), e che non mostrano segni di una prossima risoluzione. La determinazione della Cina nel reclamare il suo diritto riguardo i territori contesi è frutto della sua fermezza nello scoraggiare ogni possibile aggressore e nell’assicurarsi che la sua sovranità rimanga inviolata.
Senza alcun senso dell’ironia, gli Stati Uniti, agendo in nome delle altre nazioni coinvolte nella disputa, sostengono che le azioni della Cina sono una violazione del diritto internazionale e della libertà di navigazione.
Questa almeno è la giustificazione per la recente apparizione provocatoria della USS Lassen, un’unità antimissile della marina statunitense, che pattugliava le acque reclamate dalla Cina intorno alle isole Spratly.
In risposta, il ministro degli esteri cinese ha convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina, Max Baucus, per una spiegazione, in merito a quella che viene considerata una chiara violazione territoriale.
La Cina ha anche rilasciato la seguente dichiarazione attraverso il portavoce del ministero degli affari esteri, Lu Kang: “Se qualche Paese pensa, attraverso qualche stratagemma, di poter interferire o di poter impedire che la Cina compia delle attività ordinarie, legali e del tutto legittime nei propri territori, voglio suggerire a questi Paesi di abbandonare tali fantasie”.
Ha inoltre aggiunto che la Cina “è pronta a rispondere in maniera risoluta a qualsiasi Paese che mettesse in atto azioni deliberatamente provocatorie”.
Per troppo tempo Washington ha visto il mondo come una grande scacchiera e gli Stati nazionali come delle semplici pedine, da muovere in base agli interessi economici e strategici degli Stati Uniti. Quando i gruppi navali cinesi e russi opereranno con regolarità su e giù nelle acque territoriali statunitensi e quando la Cina controllerà l’economia globale attraverso l’egemonia valutaria, allora i più acuti tra noi cominceranno a criticare Pechino.
Fino ad allora possiamo solo continuare a evidenziare le spudorate ipocrisia e doppi standard con cui gli Stati Uniti gestiscono i loro rapporti con le altre nazioni e regioni. La Cina non è più una colonia dell’occidente e non può essere prevaricata; questo è chiaro. Altrettanto chiaro è il fatto che l’unico percorso verso la pace e la stabilità è un’alternativa multipolare all’unipolarità di cui hanno goduto gli Stati Uniti negli ultimi tre decenni.
E facciamo in modo che il veicolo di questo mondo multipolare non siano il caos o il conflitto, ma la diplomazia, il compromesso e il rispetto per i diritti e gli interessi di tutti gli Stati e le nazioni. Mettiamo fine al mondo basato su due piani, quello superiore occupato dagli Stati Uniti ed i suoi alleati, e tutti gli altri Paesi posizionati nel piano inferiore.
L’alternativa, dopo tutto, è davvero troppo terribile da contemplare.
John Wight
Fonte – traduzione di M. Janigro