L’Europa fino a Vladivostok – 3° parte

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La copertina della biografia di Jean Thiriart, recente pubblicazione in lingua francese

A seguire, la terza ed ultima parte dell’articolo di Jean Thiriart, la cui prima parte (corredata di nota biografica dell’autore) è qui e la seconda parte qui.

L’autarchia per 800 milioni
La complementarietà delle attuali economie dell’Europa dell’Ovest e dell’ex-URSS salta agli occhi.
Riserva inestinguibile di materie prime, il sottosuolo della Siberia è dieci volte più ricco di quello dell’Occidente americano (19).
Il generale De Gaulle – a cui nessuno contesta un carattere deciso – non ha mai brillato per la sua visione prospettica della Storia.
Era un dinosauro intellettuale del XIX secolo francese, cattolico, militare e maurrassiano.
E’ così che poté essere lanciata la frase antistorica del nostro generale di brigata: “L’Europa fino agli Urali”. Zero meno. Si ripresenti l’anno prossimo, direbbe l’esaminatore (20).
Niente di più idiota è stato pronunciato, da un uomo importante, da cento anni almeno. Chiunque abbia ricevuto una formazione economica da un lato e geopolitica dall’altro è accecato da questa evidenza, questa obbligatorietà, questo destino: l’Europa comincia in Groenlandia e finisce a Vladivostok.
Vladivostok costituisce per me un simbolo, un punto fermo sul quale non si dovrà né potrà mai esitare, mercanteggiare o transigere.
Sarebbe fatale per l’Impero europeo non avere i piedi ben piantati nell’Oceano Pacifico. La Siberia – il cui sfruttamento era stato sì pianificato dall’URSS, ma non mai pienamente compiuto a causa di una messa in atto astenica, asfittica, burocratica che l’ha in parte vanificato – deve domani, e non dopodomani, vedersi valorizzata appieno sul piano industriale e demografico; deve diventare la nostra California e il nostro Texas messi insieme.
I mezzi industriali, i mezzi finanziari esistono qui nell’Europa dell’Ovest. A Essen, a Liegi, a Torino, a Bilbao, a Birmingham centinaia d’industrie, migliaia di officine che girano attualmente a passo ridotto sono disponibili per l’espansione economica della Siberia.
Non è una Transiberiana che serve, ma cinque.
Non un Centro spaziale, ma parecchi.
Una Siberia dieci volte meglio sviluppata di adesso permetterà all’Impero europeo di praticare in caso di bisogno l’autarchia economica, industriale, militare, in gradi diversi a seconda delle circostanze.
Per il lettore russo di queste righe, e che non conosce i miei scritti precedenti, devo insistere una volta di più sul mio concetto di Nazione politica totalmente estraneo, totalmente opposto a quelli di nazione razziale, religiosa, linguistica. Ed etnica, per i vergognosi razzisti che usano ed abusano di questo eufemismo ipocrita.
Quando scrivo “Siberia”, semplificando, intendo proprio dire il Centro degli Imperi – per riprendere l’espressione di Cagnant e di Jan (21).
L’Impero Europeo è per postulato euroasiatico.
Pertanto, sempre per il lettore russo, insisto sul fatto che la nazione politica non tollera, nemmeno per un istante, una qualsivoglia discriminazione.
Lo scrivo senza mezzi termini: i Turchi, dovunque essi siano, sono sul territorio dell’Impero Europeo e nelle sue strutture politiche. Già nel 1987 avevo scritto con chiarezza e determinazione “Turchia provincia d’Europa”. A beneficio dei razzisti sentimentali dell’Europa occidentale, soprattutto tedeschi (22).
Ora che il capitolo dei Turchi dell’ex-URSS si è appena aggiunto alla storia, bisogna dirlo subito: non se ne parla nemmeno di escludere dall’Impero Europeo nemmeno uno solo dei 70 milioni di uomini appartenenti ai gruppi turco, afghano, mongolo.
La gente della CIA ha già pronta in mano tutta una serie di carte truccate da questo punto di vista.
12289695_576054219199866_6486232115058603906_nLa CIA non ha che da premere un bottone per scatenare domani un “turchismo” anti-russo, che preferisco definire anti-europeo.
La CIA tiene sempre di riserva, nel doppiofondo dei suoi cassetti, mucchi di soluzioni ciniche ed efficaci. Efficaci per gli Stati Uniti.
L’Afghanistan fa parte del nostro spazio geopolitico.
L’URSS ha dovuto abbandonarlo a causa della propria disgregazione.
Noi, gli Europei dell’Impero, ci torneremo.
Nell’Oceano Indiano, anche là, dobbiamo tenere i piedi ben saldi nell’acqua salata.
A questo riguardo non possiamo assolutamente tollerare nel nostro fianco iraniano un ascesso afghano o un cavallo di troia afghano.
L’Impero Europeo rivendica la totalità del retaggio sovietico. Dell’impero sovietico di un tempo e della sua maggiore estensione.
Durante la guerra ho sentito – e proprio di prima mano, visto che capitavo spesso a Berlino – la propaganda imbecille (dal punto di vista storico) di Goebbels, a beneficio del popolino, sul tema “Mongoli e Tartari come bolscevichi”.
Ai maniaci del razzismo, che ignorano tutto della storia dei Mongoli, ricordo che essi un tempo hanno perfino realizzato una vasta costruzione politica di tutto rispetto dal Dnepr all’Oceano Pacifico.
Duby e Mantran, nel loro notevole saggio su L’Eurasia dall’XI al XIII secolo (23) insistono sul fatto che l’Impero di Gengis Khan era assolutamente non razziale. E mettono in evidenza una nozione estremamente importante ai miei occhi. Vale a dire l’obbligazione di matrimoni esogamici per rafforzare il tessuto politico. I capi erano obbligati a sposare donne appartenenti ad altri clan, altre tribù, altre confederazioni (Duby-Mantran, op. cit., p. 504).
Se Goebbels batteva sul tasto “l’Europa senza Mongoli” (sic!), dunque, io faccio esattamente il contrario.
Henri Maspéro nota anche, nel suo ormai classico saggio Storia della Cina antica, che la regola fondamentale del matrimonio patrizio era l’obbligatorietà esogamica (24).
I miei lettori russi conoscono la storia delle steppe per averla vissuta. Per contro i miei lettori dell’Europa occidentale sanno generalmente poco e male di questa pagina affascinante della Storia. E’ per loro che ricordo il grande classico di René Grousset L’Empire des Steppes. Attila, Gengis Khan, Tamerlan (25).
Quasi un mezzo secolo più tardi, riapro il libro di Grousset, accuratamente annotato fra il 1946 e il 1947 – avevo il tempo di leggere – quando ero prigioniero politico, cella 417 della Caserma Penitenziaria del Petit-Château, istituzione celebre a Bruxelles.
Karl Haushofer, come ogni lettore istruito sa, è il padre del concetto geopolitico di un asse Berlino-Mosca-Tokyo (26). Rudolf Hess era intimamente legato ad Haushofer. Haushofer fu testimone alle nozze di Rudolf Hess.
Rudolf Hess faceva da tramite tra Haushofer e Hitler; il che non impedì al Cancelliere di attaccare in modo suicida l’URSS nel 1941.
Ci sono grandi debolezze concettuali in Haushofer. Disprezzo dei latini, nozione di “popoli ausiliari” (è chiaro quello che l’espressione significa), cecità nei confronti del concetto europeo, ignoranza totale del Mediterraneo e del suo concetto di Mare internum. Haushofer, assai erudito, aveva messo in evidenza il possibile ruolo della Russia, quello di unire l’Europa e l’Asia. Ed è ancora Haushofer che ricorda come degli uomini politici americani avessero già elaborato nel 1855 la formula cosiddetta della “politica dell’anaconda”.
Washington ha cominciato il lavoro dell’anaconda con Gorbaciov e lo porta ora a compimento con Eltsin.
Per vanificare la politica dell’anaconda (di mare…) Haushofer scrive: “(…) potrebbe essere creata una grande unità germanico-russa-asiatica orientale, la sola unità contro la quale qualunque tentativo di blocco britannico e di blocco americano, perfino congiunti, sarebbe impotente (…)”.
L’insegnamento di Haushofer deve essere riattualizzato, decantato degli stati d’animo tedeschi, del disprezzo razziale nei confronti dei latini. E allargato con la nozione di Mediterraneo come Mare internum.
Proprio su questo argomento tornerò prossimamente con un altro scritto.
us-encircles-russiaL’autarchia di 800 milioni di persone deve essere la nostra risposta alla politica dell’anaconda avanzata da Washington (27).
Roma non ha messo in ginocchio Cartagine al primo colpo. Ma poi ci è riuscita.
Roma ha avuto sul suo territorio Annibale, proprio come noi abbiamo oggi la NATO e i suoi senegalesi.
Nell’autunno 1940 un uomo geniale, Ribbentrop, aveva vagheggiato e concepito il progetto grandioso della spartizione dell’Impero Britannico. La responsabilità di Molotov nel fallimento di questo piano è pesante. E quella di Hitler lo è ancora di più (28).
La preda era immensa, a portata di mano.
La storia non si conclude mai. Il corpo sociale americano è patogeno e morboso (vedi le recenti sommosse di Los Angeles, primavera 1992). Niente è ancora perduto per noi.
All’imperialismo di sfruttamento americano bisogna opporre l’imperialismo di integrazione europeo. Opporre il nostro Impero continentale al loro impero talassocratico (29).

L’equilibrio dei blocchi continentali, la pace e gli ostaggi
Lascio ai letterati adolescenti di Parigi, avessero anche 50 anni, di scrivere delle stupidaggini irresponsabili sul guerriero… e il valore virile delle guerre.
Non esistono guerre pulite.
Ogni guerra prepara la seguente per il solo fatto che il vincitore è privo di nobiltà d’animo. E privo di senso politico. La generosità può essere anch’essa una politica.
Per noi Europei, divisi in grandi tribù cullate da giocondi ricordi – la francese, la tedesca, la russa, l’inglese – e in sottotribù agitate da fantasmi primitivi – croata, moldava, slovacca, basca, è giunto il momento di cambiar pelle.
Proprio come quando ci si arruola, bisognerà presentarsi all’Europa tutti nudi, lasciando in guardaroba coltelli e piume di pavone. Accettare di essere una sola immensa nazione, una Repubblica imperiale unita dal senso politico.
Accettare di parlare una sola lingua, l’inglese, e di portare sui nostri berretti (militari) una sola stella – non certo gialla, ma rossa.
A partire dall’atomica la guerra è divenuta una mossa totalmente suicida. La pace mondiale potrebbe essere concepibile nel rapporto di blocchi geopoliticamente uguali in potenza – blocco europeo, cinese (30), americano dall’Alaska alla Patagonia, indiano dal Pakistan a Ceylon.
La gravità e l’eventualità di una guerra atomica nel secolo a venire mi portano a rispolverare una vecchia ma efficace formula dell’Antichità, quello dello scambio degli ostaggi.
Ogni potenza detentrice di armi atomiche dovrebbe inviare alle altre potenze in possesso di analoghe armi totali decine di migliaia di studenti universitari scelti fra le classi dirigenti.
Si potrebbero così aprire delle università europee a fianco delle rampe di lancio americane e viceversa.
Ritengo che 4, 5 o 6 grandi insiemi continentali autosufficienti (almeno per superare i periodi di crisi) potrebbero ristabilire una sorta di equilibrio mondiale per domani, come noi abbiamo conosciuto un equilibrio europeo, certo imperfetto, ancora ieri, fra il 1650 e il 1913.
nation-europeenne-us-go-homeLa potenza talassocratica americana divenendo una potenza continentale estesa dall’Alaska alla Patagonia, i rischi di conflitto diminuirebbero considerevolmente.
Le flotte americane al largo di Formosa e nel nostro Mediterraneo costituiscono delle provocazioni intollerabili e pericolose. Pericolose per tutti, anche per gli stessi provocatori.
In altri articoli continuerò a descrivere la mia geometria planetaria ad uso e consumo del secolo a venire (31).
Occorre gestire il pianeta con intelligenza fredda e non più attraverso le passioni, i rancori, i fantasmi.
Chiuderò questo scritto con la descrizione esaustiva della differenza fra volontà di potenza e volontà di superiorità. Per l’Europa io scelgo la superiorità. Superiorità intellettuale.

Esotismo e politica: le anticaglie vanno di moda
E’ da diversi anni che subiamo la moda letteraria che porta ancora una volta l’esotismo alla ribalta.
Alla ribalta politica, dove non ha niente a che farci.
Si tenta di farci piangere sul “buon armeno” (non appena libera questa gente mette su famiglia e si riproduce bestialmente), il “buon curdo” (esistono due varietà di Curdi: il buon curdo e il cattivo curdo. Il buon curdo, nel 1992, è il curdo dell’Irak. E al tempo stesso il cattivo curdo è il curdo di Turchia. Il primo è un patriota, e il secondo un terrorista), il “buon basco”, il “buon moldavo”, il “buon croato”.
Già Montaigne, in questo caso mal ispirato, contrapponeva il “povero cannibale innocente e virtuoso al cattivo guerriero imbevuto di dottrine e proveniente dalla perniciosa Europa”.
Bernardin di Saint-Pierre e Chateaubriand collocano i loro eroi nell’Oceano Indiano (attualmente i voli charter vi riversano scapoli in cerca di femmine socialmente disponibili).
Montesquieu ci distrae col suo Persiano, Voltaire ci diverte col suo Urone.
Oggi i piccoli pedanti della “Nuova (sic!) Destra” coltivano il “buon croato” o il “buon slovacco” (32).
Questi monelli parigini, incontinenti del calamaio, ci avevano già sommerso di noia con le loro anticaglie neo-paganiste, Dioniso, l’Atlantide a Heligoland. Le anticaglie han preso piede, il mercato delle pulci intellettuale cerca di allargare la sua clientela di abbonati.
Dopo averci rifilato qualche filosofo tedesco senza troppa importanza storica, eccoli gettare sul mercato delle “idee e degli abbonamenti” le povere etnie oppresse. La faccenda si vende bene: proprio come gli oroscopi.
Si arriva a parlare della “croatità”.
Ci si ritroverà presto in qualche ospedale psichiatrico.
Mi corre l’obbligo di denunciare qui, vigorosamente e implacabilmente, queste mode esotiche che distolgono dall’azione politica e distraggono dalla realtà storica.
L’unità europea in formazione deve denunciare questi slittamenti letterari, queste derive pseudo-storiche. Il vero problema politico, oggettivo, storico si traduce nella domanda “siete vittime di una discriminazione?”. Se sì, parlate e giustizia vi sarà resa.
Sono vittima di una discriminazione i Palestinesi e gli Irlandesi – discriminazione e occupazione da parte di un esercito straniero. Se no, se non siete cioè vittime di una discriminazione, tacete e levatevi dalla scena politica, dove i vostri discorsi sono malaccetti e sconvenienti, se non addirittura bislacchi.
La Francia non ha mai impedito a nessuno che fosse nato in Corsica di diventare ministro, ammiraglio, perfino imperatore.
La Spagna non ha mai impedito a un catalano o a un basco di diventare generale, deputato, senatore, ministro.
Dove non c’è discriminazione non possono esservi rivendicazioni oggettive.
Lo Stato politico giacobino di cui mi dichiaro erede non conosce del resto alcuna di queste classificazioni zoologiche. Esso vuol riconoscere soltanto degli uomini, dei cittadini.
L’esotismo nella politica di basso profilo, politica elettorale, politica-spettacolo per la plebe, incontra un lusinghiero successo clientelare.
Un agitatore galileo, Gesù, aveva già preteso di moltiplicare i pani (sic!). Oggi si moltiplicano i formaggi, si moltiplicano le sinecure politiche come in altri tempi i benefici religiosi.
La scissione imbecille e criminale della Jugoslavia permette di moltiplicare per dieci il numero di deputati chiacchieroni, il numero di diplomatici, il numero di funzionari all’ONU.
Che manna! Miracolo. Meglio di Gesù.
La Vallonia si permette degli ambasciatori… Grottesco.
L’esotismo, nei fatti, ha anche il suo lato sordido, bestiale, primitivo.
Il terrorismo basco ha accumulato capitali considerevoli in Francia e in Svizzera (in seguito alle tasse obbligatorie e occulte imposte ai commercianti). Il terrorismo corso sogna una Corsica libera, centro della droga e della prostituzione.
Qualunque tassista, affiancato da venti compagni armati di fucili d’assalto, si crede un Lenin locale; qualunque padrone di bistrot circondato da venti clienti e provvisto di qualche panetto di plastico crede di essere Robin Hood.
Quello che vedevamo in Croazia, in Armenia, in Moldavia, in Libano ieri, e vedremo domani alla frontiera ungaro-slovacca, è l’irruzione di delinquenti comuni nella politica.
La cosa va denunciata a chiare lettere.
Nel 1943-44 la mafia siciliana, manovrata dai Servizi americani, sognava anch’essa una Sicilia indipendente… di già.
Ho detto e ripetuto molte volte che la lotta armata dev’essere per un rivoluzionario niente più che un’ipotesi virtualmente praticabile.
Non si può pretendere di essere un pensatore storico o un rivoluzionario storico se si scarta a priori l’ipotesi del terrorismo in un dato momento, in un dato luogo, contro un dato bersaglio ben definito.
Non si devono confondere i rivoluzionari con i gangsters mafiosi.
Soprattutto non li si deve mischiare.
In altri e prossimi articoli denuncerò anche quelle entità metafisiche – per dirla con Pareto – che sono i “popoli” virtuosi, coscienti, intelligenti, spontanei, i popoli escatologici.
Dopo la stupidità del proletariato escatologico venuto di moda con Proudhon e Marx, ci troviamo oggi a dover subire un’altra parodia, un’altra mistificazione – quella dei popoli escatologici ritenuti martiri, intelligenti, virtuosi.
Ci sarebbe cioè un popolo di volta in volta croato, basco, moldavo, fiammingo schiacciato dai cattivi Stati-nazione centralizzati.
In realtà questi popoli sognano birra, salsicce, calcio, sottane, corride, telenovelas.
Branchi di animali da macello strumentalizzati.

Conclusioni per il lettore russo
Il presente articolo essendo destinato soprattutto al lettore russo, devo di necessità concludere per quest’ultimo in modo più puntuale (33).
La vitalità del pensiero politico, in Russia, attualmente, è infinitamente più intensa di quella osservata nelle masse ingozzate dell’Europa estremo-occidentale.
La pancia vuota sembra essere più stimolante della pancia piena.
Nella stampa russa attuale si trovano il meglio e il peggio, certo. Ma c’è movimento, c’è curiosità – ciò che non esiste più, appunto, qui nella parte più occidentale dell’Europa.
14232551_1127103477335786_5925088972613407652_nQui in Francia, in Germania, la sazietà materiale corrisponde a un abbruttimento intellettuale terribile, totale, assoluto.
La pancia piena, il carrello del supermercato debordante di detersivo e salame, il plebeo accetta supinamente l’occupazione americana senza recalcitrare.
Dice: “Sono uno stupido e sono fiero di esserlo”.
George Orwell, nel suo ormai classico romanzo di anticipazione 1984 aveva descritto il totalitarismo crudele in un universo di miseria. Visione molto gauchiste. Orwell, il cui vero nome è Eric Blair, fu poliziotto in Birmania (l’impiccagione vi era molto in voga) e le sue ossessioni erano imperniate soprattutto sulla povertà e la miseria. Per comprendere le ossessioni e i fantasmi di Orwell bisogna conoscere la sua vita personale, grigia, scalcinata, recentemente descritta da Bernard Crick (34).
Al contrario Aldous Huxley ha descritto un mondo totalitario nell’abbondanza, nella sazietà, prima ne Il Mondo Nuovo (1931) e poi in Ritorno al Mondo Nuovo (1956).
Huxley, intellettuale, figlio della borghesia illuminata e scettica, aveva preannunciato il “Mondo Americano” che noi subiamo ora.
Questo mondo futuro, descritto da Huxley, è oggi impiantato da Londra a Francoforte e da Copenhagen a Roma. Ci si abboffa, si fa sesso liberamente, ci si istupidisce di finzioni televisive (perfino la storia è riscritta come finzione biblica), ci si annega nel calcio.
Io consiglio, io invito caldamente il mio lettore russo istruito a leggere e paragonare i mondi futuri di Orwell e di Huxley (35).
Vi si trova in abbondanza materia di riflessione per tutti coloro che vogliono esaminare, comprendere, padroneggiare la politica storica dei tempi che verranno.
Lo stomaco troppo vuoto impedisce di pensare bene. Anche lo stomaco troppo pieno. Allora, che fare?
Jean Thiriart

NOTE
(19) Alfred Max, Sibérie: ruée vers l’Est, Editions Gallimard, 1976.
(20) Jean Thiriart, L’Europe jusqu’à l’Oural: un suicide, “La Nation Européenne”, n. 14, mars 1967.
(21) René Cagnat e Michel Jan, Le milieu des empires: entre Chine, URSS et Islam le destine de l’Asie centrale, Robert Lafont, Paris 1981.
(22) Rivista “Conscience Européenne”, juillet 1987: Jean Thiriart, La Turquie, la Méditerranée et l’Europe; Luc Michel, La Turquie, province d’Europe.
(23) Georges Duby e Robert Mantran, L’Eurasie XIèem-XIIIème siécles, Presses Universitaires de France, 1982.
(24) Henri Maspéro, La Chine antique, Presses Universitaires de France, III edizione, 1985. Un eccellente passaggio sui legisti dell’Antichità Cinese si trova alle pp. 426-470. Curiose similitudini col pessimismo di Thomas Hobbes.
(25) René Grousset, L’Empire des Steppes, Payot, Paris 1939.
(26) Karl Haushofer, De la Géopolitique, Fayard, 1986.
Andreas Dorpalen, The World of general Haushofer, Kennikat Press, Port Washington N.Y., 1942.
Hans Adolf Jacobsen, Karl Haushofer: Leben und Werk, Schriften des Bundes Archiv Koblenz, Boppard am Rhein 1979.
(27) M.A. Heilperin, Le nationalism économique, Payot, 1963.
(28) The Department of State (Washington), La vérité sur les rapports germane-soviétiques del 1939 à 1941, pp. 255, edizione francesce 1948.
Valentin Beriejkov, J’étais l’interprête de Staline (Histoire diplomatique 1939-1945). Editions du Sorbier, Paris 1985; edizione russa Mejdounarddnye otnochenia-URSS, 1983.
Gabriel Louis Jaray, Tableau de la Russie jusqu’à la mort de Staline, Editions Plon, Paris 1954; cfr. Ch. XIII “La Russie et le Reich”, pp. 345-394.
Anthony Read e David Fischer, The Deadly Embrace. Hitler, Staline and the nazi-soviet Pact 1939-1941, W.W. Norton Cy, New York-London 1988.
(29) Nicholas John Spykman, Yale University, America’s Strategy in world politics, Ed. Harcourt, Brace Cy, New York 1942.
Albert K. Weinberg, Johns Hopkins University, Manifest Destiny. A study of nationalist expansionism in american history, The Johns Hopkins Press, Baltimore 1935.
Robert Strausz-Hupe, Geopolitics: the struggle for Space and Power, G.P. Putnam’s Sons, New York 1942.
Pierre Naville, Mahan et la maîtrise des Mers, Editions Berger-Levrault 1981.
T.D. Allman, Un destin ambigu. Les illusions et les ravages de la politique étrangère américaine de Monroe à Reagan, Flammarion 1986; traduzione Americana Unmanifest Destiny, Doubleday & Cy, New York 1986. Libro d’importanza capitale, assolutamente obbligatorio.
(30) La quasi totalità delle persone vive nella temporalità dell’immediato, dell’attualità. Ben pochi pensano in termini di secoli. Anche oggi soltanto il Giappone meraviglia, affascina, inquieta. Nell’attualità il Giappone è l’Asia. Niente è più precario, nella dimensione prospettica, della temporalità. Demograficamente la Cina è cinque volte il Giappone, e territorialmente 20 volte. Nel XXI secolo la Cina potrebbe divenire lei sola e a buon diritto l’Asia. Il centro, la capitale geopolitica della Cina è Canton/Hong Kong, e non certo Pechino, capitale decentrata – se mai può esserlo una capitale.
In geopolitica dunque è alla Cina che appartiene la missione di prendere l’iniziativa di un blocco asiatico autoequilibrato, autosufficiente. Malesia, Thailandia, Borneo, Filippine sono le zone d’espansione indicate dalla geografia.
Abbiamo un problema in comune con la Cina. Essa non può tollerare a breve termine nei suoi mari l’arroganza e le provocazioni della flotta americana, proprio come noi non possiamo tollerare a medio, se non addirittura a breve termine, la lordura e la provocazione della Sesta Flotta americana nel Mediterraneo. Sotto la dinastia Ming e in particolare fra il 1405 e il 1433 l’espansione marittima cinese verso il sud è stata stupefacente.
(31) Gérard Chaliand e Jean-Pierre Rageau, Atlas Stratégique. Géopolitique des rapports de forces dans le Monde, Editions Fayard, 1983. Cartine eccellenti. Cenni laconici su Mackinder, Mahan, Ratzel, Haushofer. Gli autori riportano la celebre frase di Napoleone: “La politica di uno Stato è nella sua geografia”.
Cfr. ugualmente (cartine molto buone): General Jordis von Lohausen, Mut zur Macht. Denken in Kontinenten, Kurt Vowinckel Verlag, 1979. Il generale von Lohausen è autore di una lunga analisi dei miei concetti, pubblicata dalla rivista tedesca “Nation Europa”, Coburg 1981.
Cfr. pure (cartine e statistiche): Michael Kidron e Ronald Segal, Atlas Encyclopédique du Monde, Calmann-Levy 1981 (stampato a Hong-Kong).
Claude Nicolet, L’Inventaire du Monde. Géographie et politique aux origines de l’Empire romain, Editions Fayard, 1988. Nicolet ci ricorda che il padre della geografia scientifica fu Eratostene di Cirene (273-192 prima della nostra èra). Nicolet ritiene che Strabone (-58/+21) fu il primo geografo politico; su di lui scrive (pp. 93-94): “(…) Ma questa geografia è propriamente politica: essa si indirizza in primo luogo ai governanti per permettere loro di governare meglio; ma – sia detto en passant – è ancora lei a determinare, almeno nella sua epoca, le forme di governo ed è sempre lei a spiegare la nascita dell’Impero”. Nicolet ricorda anche come le carte geografiche romane collocassero l’Est in alto e l’Ovest in basso, mentre nelle carte greche in alto figurava il Nord, e in basso il Sud. Ai nostri giorni abbiamo ripreso il sistema greco.
(32) Jean Thiriart, La balkanisation de l’Europe, “La Nation Européenne”, n. 26, avril 1968 (“La manipulation des particularismes”).
(33) José Cuadrado Costa, L’Union soviétique dans la pensée de Jean Thiriart (1960-1969), opuscolo di 25 pagine, 1983.
(34) Bernard Crick, George Orwell, a life, ed. Secker e Warburg, Londra 1980. Ne esiste una traduzione francese in edizione tascabile presso Balland-Seuil. Studente a Eaton, Orwell – il cui vero nome è Blair – ebbe per professore di francese Aldous Huxley.
(35) Aldous Huxley, Il Mondo Nuovo; Ritorno al Mondo Nuovo. Huxley mostra la sua intima percezione dei valori ellenici antichi nel suo libro L’Angelo e la Bestia [ed. franc. La Jeune Parque, Paris 1951 – n.d.t.]. Nella sua opera L’animale più sciocco Huxley afferma che Vilfredo Pareto è l’autore al quale egli deve di più. Condivido. Huxley è lo scetticismo colto e raffinato. Il che ci compensa della pseudo-cultura attuale con i suoi filosofi a un tanto la dozzina e il suo bric-à-brac neo-paganista.

Fonte: Orion, n. 96, settembre 1992, pp. 11-23

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