Quando migliaia di persone scendono in strada e riempono le piazza di una città, ci possono essere due ragioni: o c’è una festa, o c’è un problema.
Quando migliaia di persone manifestano, si mobilitano, dedicano del tempo a una causa, non c’è mai in gioco una mera questione materiale, ma un sogno.
Nel nostro caso, quel sogno è vedere Vicenza libera dalle servitù militari. Ed è a coltivare questo sogno che, da sette anni, in tante e tanti ci dedichiamo.
Per questo, nella giornata in cui gli statunitensi inaugurano il Dal Molin, noi torneremo in piazza per aprire la campagna che, fino al Festival NoDalMolin, porterà ancora in piazza la nostra indignazione.
Vicenza libera dalle servitù militari ha significato, in questi anni, il Parco della Pace, strappato ai reticolati con i quali gli statunitensi avevano progettato di circondare quel grande fazzoletto verde. Ma, anche, il congelamento di un nuovo progetto di espansione statunitense a Site Pluto, dove sarebbe dovuto sorgere un nuovo complesso per l’addestramento alla guerra.
Vicenza libera dalle servitù militari significa, nel nostro domani, lavorare per il futuro dei propri figli e non per coloro che vanno in giro per il mondo a uccidere i figli altrui; conoscere i malanni della propria terra – e poterli prevenire – e non subire la sorpresa dell’ennesima alluvione; investire le nostre risorse comuni in scuola, sanità, servizi agli anziani, welfare, e non nella costruzione di infrastrutture necessarie agli eserciti stranieri.
Vicenza libera dalle servitù militari significa poter attraversare ogni angolo della propria terra, senza un filo spinato che lo possa impedire; significa decidere che fare e che costruire nel luogo che si vive; significa difendere e valorizzare i beni comuni per migliorare la qualità della nostra quotidianità. Il 2 luglio si svolge la cerimonia inaugurale della nuova base USA al Dal Molin. Gli statunitensi hanno scelto un profilo basso, una data infrasettimanale, un momento lavorativo dopo la magra figura rimediata lo scorso 4 maggio quando, di fronte alla mobilitazione cittadina, hanno preferito annullare l’annunciato open day.
Non ci interessa issare una bandiera, vogliamo continuare a mettere mattoncini per costruire il nostro sogno. Per questo, non inseguiremo le cerimonie statunitensi, ma torneremo nel centro della città, con una fiaccolata, come sempre abbiamo fatto nei momenti più forti della nostra mobilitazione. Per dire che, al Dal Molin ci torneremo ancora, in tante e tanti, durante il prossimo Festival NoDalMolin, con una giornata di mobilitazione collettiva che vogliamo costruire insieme in quella che sarà la nostra ottava “campagna d’estate”.
Una campagna caratterizzata da tre punti:
– la richiesta di riconversione immediata di Site Pluto, Fontega e Santa Tecla a usi civili, visto che si tratta di aree militarizzate che gli statunitensi sostengono di non utilizzare;
– la richiesta di desecretazione immediata degli accordi bilaterali del 1954 che regolano la presenza di basi militari USA in Italia e che, in barba alla democrazia e alla trasparenza, non possono essere letti da alcuno;
– la richiesta di costituire un osservatorio cittadino sulle conseguenze della militarizzazione in città che studi le ricadute sanitarie, oncologiche, epidiemoboliche, ambientali, sociali, urbanistiche ed economiche della presenza militare a Vicenza.
Tre mattoncini per un grande sogno che abbiamo appena abozzato, in questi sette anni: Vicenza libera dalle servitù militari. La rotta è chiara, gli strumenti possono cambiare: ma nessuno di noi tornerà a rinchiudersi nelle proprie case.
Martedì 2 luglio, 20.30 Piazza Castello FIACCOLATA. Passa parola.
Abbiamo fatto degli accurati controlli, uno studio. Le nostre nuove costruzioni al Dal Molin non hanno avuto alcun impatto ambientale e alcuna ricaduta sulla falda. Siamo perfetti. A dirlo, il colonnello David Buckingham, comandante delle basi USA a Vicenza che annuncia il 4 maggio l’apertura ai vicentini dei cancelli del Dal Molin.
Le sue parole sono un insulto alla città che, negli ultimi due anni, ha vissuto il dramma dell’alluvione permanente senza conoscerne le cause, ma con il dubbio che vi sia una strana coincidenza tra l’avvio del cantiere e le esondazioni del Bacchiglione. E pensare che gli statunitensi si sono sempre rifiutati di consegnare i dati sulla falda in loro possesso ai tecnici vicentini e hanno sempre impedito ispezioni e visite.
Insomma, secondo il colonnello David Buckingham l’alluvione e gli allagamenti sono un’invenzione dei vicentini. E le preoccupazioni di gran parte della comunità locale sono affermazioni da spazzar via con uno studio di parte, una verità autocostruita per autoassolversi. E’ partita la nuova operazione “presa per il culo”, già vista quando gli statunitensi raccontavano quante migliaia di posti di lavoro avrebbero creato (zero, alla fine) per i poveri vicentini sulla soglia della crisi economica.
E, in più, a dimostrazione dell’arroganza dei militari a stelle e strisce, David Buckingham invita i vicentini a visitare il Dal Molin il prossimo 4 maggio, quando i cancelli saranno aperti alla cittadinanza. Noi ci andremo, ma non per mangiare pop corn: entreremo con le nostre bandiere per vedere, capire, ispezionare, rivendicare verità: loro la base, noi l’alluvione; e adesso ci prendono anche per il naso! No, grazie.
Mercoledì 16 gennaio alle 20.30 dal Presidio NoDalMolin FIACCOLATA. Ci sono un’infinità di buone ragioni per tornare in piazza ancora una volta. Ne abbiamo elencate 10.
1. Il 16 gennaio di sei anni fa il Presidente del Consiglio Romano Prodi – dall’estero – aveva la faccia tosta di dare il proprio consenso al progetto statunitense al DalMolin, nonostante l’espressa contrarietà di gran parte della comunità locale. E noi non ce li vogliamo dimenticare coloro che hanno permesso la devastazione del territorio vicentino.
2. Il 16 gennaio di sei anni fa migliaia di persone, appena due ore dopo l’annuncio di Romano Prodi, scendevano in piazza riempendo le strade del centro storico e occupando i binari della stazione. Noi, sei anni dopo, non abbiamo cambiato idea e non vogliamo chiudere in casa la nostra dignità.
3. Nel 2013 è prevista l’inaugurazione della nuova base militare, ormai quasi ultimata. Averla costruita non significa aver risolto i nodi posti dai vicentini sei anni fa. Il primo: non vogliamo essere complici della guerra. Nemmeno oggi.
4. Nel 2010 l’alluvione ha sconvolto Vicenza. Da allora, a ogni pioggia intensa la città vive nel terrore di essere inondata, e le zone intorno al Dal Molin sono quelle più a rischio. Esiste quantomeno una correlazione temporale tra l’avvio del cantiere e l’inizio delle criticità idrauliche del nostro territorio. Vogliamo che siano verificati i danni prodotti dalla nuova base.
5. Il Comune, dopo il licenziamento di Paolo Costa, si è impegnato ad agire in autotutela per verificare la situazione della falda acquifera e dell’equilibrio idrogeologico. Vogliamo che dalle parole nascano azioni concrete. Lo vogliamo subito, perché Vicenza non può aspettare un’altra alluvione per sapere se l’installazione statunitense centra qualcosa con l’alluvione permanente. Il comitato tecnico deve avere, quanto prima, uno spazio di lavoro all’interno del Parco della Pace e gli strumenti necessari per agire.
6. Dopo il Dal Molin, gli statunitensi vogliono costruire nuove strutture a Longare, Site Pluto. La militarizzazione del territorio alimenta se stessa e devasta nuove aree. Vogliamo rompere questo circolo vizioso e guardare al futuro costruendo la riconversione civile.
7. In un periodo di crisi, spendiamo centinaia di milioni di euro per contribuire alla presenza militare statunitense nel nostro territorio. Quei soldi sono nostri: vogliamo che siano destinati al sociale, alla scuola, a chi è senza lavoro.
8. Vicenza è la nostra città. Qui ci abitiamo; qui abbiamo le nostre famiglie, i figli vanno a scuola, abbiamo i nostri amici, le nostre occupazioni; qui passiamo il nostro tempo libero. Noi non ci rassegniamo a vivere in una città militarizzata, con soldati che si allenano per strada e basi che mettono a rischio la salute e la sicurezza.
9. In questi anni abbiamo detto democrazia e ci hanno risposto imposizione. Il fatto che abbiano fatto la voce grossa non è un buon motivo per tacere.
10. Siamo NoDalMolin, vogliamo continuare a esserlo: la nostra terra, la nostra vita, il nostro futuro, sono tutti fatti nostri.
E’ in distribuzione gratuita la mappa turistica “Militare verso civile” realizzata dall’AltroComune di Vicenza e che riporta il tour completo delle basi militari USA vicentine. Sarà consegnata ai turisti che attraversano Vicenza, ma anche ai tanti vicentini curiosi di conoscere più da vicino il proprio territorio. La mappa, disponibile in versione cartacea oppure online, accompagna il visitatore tra reticolati e recinzioni, gallerie segrete e reperti nucleari, raccontando un volto poco noto – perché secretato – del vicentino. Strutture militari che si inseriscono in un territorio che l’Unesco considera patrimonio dell’umanità, grazie allo straordinario patrimonio lasciato in eredità da Andrea Palladio.
La mappa turistica “Militare verso civile” si inserisce nel quadro delle iniziative culturali volte a far conoscere e amare Vicenza. Per coloro che però non fossero soddisfatti del “Basi militari tour”, è a disposizione l’ufficio turistico dell’AltroComune, presso il Presidio Permanente di Ponte Marchese.
L’apertura della base Fontega per permettere ai militari statunitensi di fuggire dalle basi militari vicentine si inserisce nella campagna per rimpatriare i soldati lanciata giovedì scorso dal Presidio Permanente NoDalMolin. Un centinaio di attivisti ha aperto quest’oggi un varco di 40 metri nelle recinzioni di base Fontega dopo che, giovedì scorso, erano state distribuite agli statunitensi le valigie.
Base Fontega è situata nel cuore dei colli berici ed è un’installazione militare che gli statunitensi sostengono di utilizzare come deposito per vecchie munizioni. Se questo è vero, è giunto il momento di smilitarizzare boschi e prati per restituire l’area alle comunità locali; se questo non avviene, i militari devono spiegare ai vicentini quali segreti nascondono al di là delle recinzioni. Per esempio, devono spiegare perché hanno appena restaurato un bunker e decine di mezzi entrano ed escono quotidianamente dall’area, mentre proseguono i cantieri e l’installazione è sottoposta alla sorveglianza militare. O, forse, gli statunitensi spendono milioni di euro per ammirare piante e fiori dei colli berici senza il disturbo dei passeggiatori vicentini?
Abbiamo capito che i soldati statunitensi sono chiusi, a migliaia, nei recinti delle basi militari statunitensi; abbiamo intuito il loro desiderio di tornare dalle proprie famiglie, lasciando ai vicentini il territorio berico; per queste ragioni, gli abbiamo fornito le valigie e, quest’oggi, gli abbiamo aperto un varco.
La prossima iniziativa sarà il 21 ottobre a Site Pluto, con una passeggiata intorno alle recinzioni dell’installazione militare. Sarà una giornata per famiglie, una scampagnata sugli splendidi colli berici intorno alle recinzioni di un territorio nel quale vige il mistero e il segreto militare. Un’iniziativa alla vigilia della riunione del Comipar durante la quale quest’ultimo deve esprimersi sui nuovi progetti statunitensi che il Consiglio Regionale ha recentemente dichiarato irricevibili, impegnando il Presidente Zaia a sostenere la posizione di migliaia di vicentini contrari alle servitù militari statunitensi. L’iniziativa inizierà alle 12.00 con una polentata di fronte agli ingressi di Site Pluto.
“Intanto prosegue frenetico il processo di ipermilitarizzazione del territorio comunale. Il colonnello David Buckingham, comandante di US Army Garrison-Vicenza, ha formalizzato la conclusione della seconda fase dei lavori di realizzazione delle facilities destinate ai reparti statunitensi all’interno dell’ex aeroporto Dal Molin. La trasformazione dello scalo in megacaserma della 173^ brigata aviotrasportata è uno dei principali progetti di potenziamento infrastrutturale delle forze armate USA a livello mondiale. I lavori, per un importo di 245 milioni di euro, sono stati affidati nel marzo 2008 a due aziende leader di LegaCoop, la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna (CMC) e il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (CCC). “Questa seconda tranche è consistita nella costruzione degli uffici e delle infrastrutture di servizio del 173rd Airborne Brigade Combat Team e delle abitazioni per circa 1.200 soldati single”, ha spiegato il colonnello Buckingham. Lo scorso mese di gennaio, al Dal Molin sono stati trasferiti i primi reparti di US Army Africa, mentre il personale restante del comando raggiungerà la base entro il giugno del 2014. “Prevediamo invece che entro il giugno 2013 si completi il trasferimento al Dal Molin dei circa 2.000 militari e delle rispettive famiglie attualmente ospitati a Bamberg and Schweinfurt, in Germania. Il programma ha subìto solo qualche mese di ritardo a causa delle cattive condizioni meteorologiche, della bonifica delle munizioni non esplose ritrovate all’interno dell’aeroporto (49 bombe italiane e britanniche risalenti alla Seconda guerra mondiale) e degli scavi archeologici”. A conclusione dei lavori, il Dal Molin ospiterà quattro battaglioni e il quartier generale della 173^ brigata, mentre due battaglioni dell’esercito resteranno nella vicina Camp Ederle. “Vicenza sarà la città italiana con la più alta presenza di militari USA in termini di popolazione, con circa 5.000 uomini distribuiti tra il Dal Molin e l’Ederle”, ha concluso Buckingham.”
Vicenza, 20 Gennaio 2012 – Tassisti e soldati americani. Non è mai stato amore a prima vista. Ma dopo danneggiamenti, discussioni infinite, prepotenze, adesso alcuni autisti si rifiutano di farli salire a bordo. «Purtroppo la situazione non è delle migliori – spiega il presidente della Cooperativa tassisti vicentini, Stefano Faresin -, ma di soluzioni all’orizzonte non ne vediamo molte. Ne abbiamo parlato anche con l’assessore allo Sviluppo economico Tommaso Ruggeri, però non è servito a molto. Che esista un servizio satellite per loro – prosegue Faresin – gestito da immigrati non è corretto. È contro ogni regola e andrebbe disincentivato. Vedere auto in fila fuori dalla caserma di viale della Pace, soprattutto durante i fine settimana, non ci fa alcun piacere. Sappiamo come funziona: l’auto si avvicina, loro salgono, gli autisti lasciano un bigliettino con un numero da chiamare quando vogliono rientrare, ma il problema è più complesso, non si tratta solo di mancati guadagni».
Se da un lato i tassisti si lamentano, ci sono altre questioni sul tappeto. «Spesso i soldati sono ubriachi e lasciano lattine e bottiglie dentro l’auto. Ci dobbiamo sempre girare e controllare. Ma arriviamo in ritardo e dobbiamo sempre provvedere noi. Senza contare – aggiunge il presidente – che ad un collega è stato tagliato il sedile posteriore con un coltello. Non ha inoltrato denuncia, tanto a che cosa serve? È accaduto con un gruppo di giovani all’apparenza molto tranquilli, li ha portati a destinazione e poi si è accorto del “regalino”. Atteggiamenti del genere ci preoccupano e non ci predispongono nel migliore dei modi nei loro confronti. Ci sono colleghi, io stesso l’ho fatto, che rifiutano le chiamate». All’interno della Cooperativa esiste un regolamento, chi non accetta una corsa deve versare una penale. «Si tratta di alcuni euro – specifica Faresin – che anch’io ho depositato, ma a volte prende il sovravvento la paura. Soprattutto quando ci sono i proprietari dei locali notturni che ci chiamano a notte fonda chiedendoci espressamente di venire a prendere gli americani. Sono ubriachi, vomitano in macchina, e poi non sai mai che atteggiamenti possono avere, soprattutto se hanno bevuto tanto. Sappiamo tutti che cosa fanno, a che cosa sono addestrati e a volte abbiamo al sensazione che basti un attimo per farli esplodere».
L’assessore allo Sviluppo economico Tommaso Ruggeri è al corrente dei problemi relativi ai tassisti abusivi. «Abbiamo già affrontato la questione con la Cooperativa – spiega – e la polizia municipale è stata allertata per controllare se ci sono autisti senza alcuna licenza fuori dalla caserma Ederle. Per quanto riguarda il resto non posso dire nulla, mi rendo conto che sia difficile, ma i tassisti fanno un servizio pubblico…».
I soldati americani con l’apertura del “Dal Molin” saranno destinati ad aumentare per cui il problema assumerà anche proporzioni diverse. Infatti a lamentarsi ci sono anche i titolari di alcuni bar del centro. «Clienti difficili – sostengono – bevono molto e non accettano il fatto che ci rifiutiamo di riempire i bicchieri se li vediamo ubriachi. Alcuni se ne vanno in malo modo, altri battono i pugni. A volte chiamiamo la polizia, se ne accorgono e infilano la porta». Non mancano le risse, riportate anche dalla cronaca del nostro giornale.
«Perchè la polizia americana non si vede di più?», si chiede Stefano Faresin. «Un tempo le macchine con la scritta “MP” si notavano spesso, ora non accade più. Mi rendo conto che gli americani sono ottimi clienti per i locali di lap dance, ma durante il turno serale ci sono solo due auto e, ribadisco, alcuni di noi hanno paura». Chiara Roverotto
Il 16 gennaio è una data importante per Vicenza. Come dimenticare quelle migliaia di persone che, come un fiume in piena, inondavano le strade del centro nel 2007? L’indignazione si era mescolata ad una sacrosanta rivendicazione di dignità, portando donne e uomini di ogni età, estrazione sociale, pensiero politico, ad occupare i binari della stazione. Chi l’avrebbe mai detto?
Eccoci ancora qui, invece. I problemi, le criticità che abbiamo cercato di indagare e disvelare in questo lungo periodo di tempo, non sono magicamente sparite. Avevamo sempre detto che il nostro territorio, le sue risorse, assieme alla comunità di donne e uomini che avevano deciso di difenderli, erano un bene comune, e non abbiamo cambiato certamente idea.
In questi anni abbiamo misurato sul campo, e visto con i nostri occhi, la disparità delle forze in campo nella vicenda Dal Molin. Non serviva certo Wikileaks per scoprire le malefatte dei governanti. Lo abbiamo sempre denunciato, ora arrivano anche le conferme “ufficiali”. Da un lato la Superpotenza statunitense, l’Unione Europea, la NATO, il governo italiano, la regione, la provincia, il comune, i grandi interessi economici, dall’altra noi. Se dimentichiamo questo non sapremo dare la giusta importanza a tutto ciò che si è fatto in tutti questi anni.
(…)
Questa città, questo territorio ha visto sorgere e radicarsi un movimento che ha reclamato democrazia reale, che ha rielaborato il linguaggio della politica, che ha rivendicato trasparenza e protagonismo. Queste aspirazioni, che hanno finito addirittura con l’incidere sulle elezioni locali, contribuendo al cambio di governo cittadino, oggi non si sono sopite. Nulla sarà come prima, si diceva, ma sta ancora una volta a noi mantenere aperti gli spazi di democrazia, evitando un brusco ritorno ad un passato che abbiamo voluto collettivamente cancellare. Ci siamo sempre battuti contro la separatezza tra palazzo e società reale, e governare la città oggi significa misurarsi con questa nuova sensibilità e consapevolezza dei cittadini, sicuramente più attenti alla gestione della cosa pubblica. Per questo da Variati e da questa maggioranza, di cui uno dei punti qualificanti del proprio programma era la contrarietà al Dal Molin e la necessaria tutela degli interessi del territorio e della comunità, vogliamo avere trasparenza, verità e giustizia.
Per questo oggi proponiamo a tutte e tutti voi di dare vita assieme ad una grande fiaccolata, proprio il prossimo 16 gennaio, che riattraversi le vie del centro. Non una ricorrenza funebre, quelle vanno bene per chi non ha più niente da dire. Al contrario, un ritrovarsi dei vicentini pacifico e ricco di contenuti, pieno di quella stessa dignità e orgoglio che avevamo inaspettatamente incrociato quattro anni fa, capace di far sentire ancora forte la propria voce, tutt’altro che sconfitta. Siamo convinti che Vicenza darà una risposta forte, perché forti sono le motivazioni e le passioni che l’hanno fatta crescere e cambiare in questi anni duri ma sicuramente straordinari. Mescoliamoci tutti assieme, ancora una volta, per la nostra città e per il nostro futuro.
Domenica 16 gennaio 2011, fiaccolata con partenza da Piazza Castello, Vicenza, alle ore 18.30
E’ evidente: la nuova base militare in costruzione al Dal Molin non rappresenta l’unico esempio dello scempio territoriale del nordest; strade e villette, capannoni industriali e tangenziali, aree commerciali e residenziali: la cementificazione e l’impermealizzazione del territorio passano anche per queste opere, spesso inutili, che hanno trasformato il Veneto da territorio agricolo a reticolo metropolitano.
Ma escludere – come alcuni vorrebbero fare – la cementificazione statunitense del Dal Molin dai fattori che hanno contribuito all’alluvione significa voler difendere a priori un’imposizione che gran parte della cittadinanza non voleva, consapevole dei danni che avrebbe prodotto.
Gli abitanti del quartiere Produttività, di fronte al Villaggio del Sole, non ricordano di essere stati inondati anche quando altrove l’acqua entrava nelle case. Non si era mai visto Viale Diaz trasformato in un torrente. Cosa è successo?
Un anno fa abbiamo segnalato che l’argine sinistro del Bacchiglione, lungo il percorso che costeggia la costruenda base, era stato rialzato a scapito di quello di destra. Nella mappa prodotta il 7 marzo 2007 dal Genio Civile di Vicenza, Distretto Idrografico Nazionale dei fiumi Brenta-Bacchiglione, a firma del Dirigente responsabile Dott. Ing. Nicola Giardinelli, si vede come l’area del Dal Molin è zona di esondazione in due specifici punti indicati da una vistosa freccia nera. Un punto è nel cono di volo nord dell’area, all’altezza della presa che va verso la zona del Maglio, ed un punto è a ovest in località ponte del Bo. Entrambi i punti sono interni all’area della costruenda base.
L’ing. Guglielmo Vernau spiega che «l’aver alzato gli argini ha impedito che l’acqua trovasse sfogo nell’area del Dal Molin; essa, quindi, ha proseguito la sua corsa devastante verso sud aggravando la situazione delle aree urbane di Viale Diaz, Viale Trento e Villaggio Produttività. In poche parole, la nuova base ha impedito che l’area del Dal Molin costituisse una sorta di camera di compensazione che ritardasse e attenuasse le conseguenze dell’alluvione nella parte abitata della città».
E così, Vicenza si è trovata con l’acqua alla gola, mentre gli statunitensi se ne sono restati all’asciutto, grazie all’innalzamento dell’argine costato più di un milione di euro e pagato dai contribuenti italiani. Tanto che, mentre le ruspe sgomberavano le strade dal fango a Caldogno e Vicenza, dentro al perimetro del cantiere statunitense si era già ricominciato a lavorare, per cementificare e impermealizzare ulteriormente il territorio.
Che ci sia una gran differenza tra il clima primaverile che si respirava il 17 febbraio 2007 – quando 150 mila persone sfilarono contro la nuova base militare statunitense – e la cappa grigia che sovrasta Vicenza in queste settimane è scontato e banale: basta gettare lo sguardo all’interno del Dal Molin, o osservare l’area dal piazzale di Monte Berico, per sentire, come fosse un pugno allo stomaco, la differenza tra allora e oggi.
Il cantiere, infatti, procede a gran velocità: una ventina di gru e decine di camion e betoniere spostano ogni giorno tonnellate di materiali, mentre a nord si alzano, come montagne, i cumuli di macerie e a sud si intravvedono gli scheletri delle prime costruzioni tra gli alberi abbattuti. In città, intanto, è calato il gelo, con le forze dell’ordine che controllano militarmente il territorio – è sufficiente passare in auto intorno al Dal Molin per rendersene conto – e sorvegliano, aiutate dalla tecnologia, i suoi abitanti mentre la mobilitazione, fino a oggi, non ha trovato strumenti efficaci per battersi concretamente contro l’imposizione in atto.
Insomma, più di qualcuno potrebbe chiedersi cosa ci stanno ancora a fare due tendoni piantati nei campi di Ponte Marchese e quale sia il sadico gusto che porta decine di persone, ogni settimana, a riunirsi sotto dei teloni bianchi. Perché, è evidente, se l’obiettivo era fermare la prima ruspa – come dicevano in coro 150 mila persone il 17 febbraio 2007 – questo non è avvenuto. E a poco valgono le discussioni sul perché ciò non si sia realizzato. Limiti del movimento? Tanti, come per ogni movimento. Paure per le conseguenze? Ovvie, come capita a ogni donna e uomo. Discontinuità? Scontata, visto che coloro che si sono mobilitati sono genitori e lavoratori, studenti e nonni con i proprii impegni. Ma, più di tutto, pesa lo scarpone di chi quest’opera la vuole imporre e che, per farlo, ha limitato di spazi di democrazia e calpestato la libertà – individuale e collettiva – su cui dovrebbe fondarsi la convivenza.
Ma, come sempre avviene nelle vicende umane, c’è, per l’appunto, un “ma”. E sta nell’impegno – anche questo individuale e collettivo – assunto in quell’ormai lontano 17 febbraio 2007; quando ci dicemmo, faccia a faccia, che avremmo «resistito un minuto in più di chi vuole la nuova base militare»; e quel minuto non scocca con l’accensione dei motori della prima ruspa, con il montaggio della prima gru, con la costruzione della prima palazzina: perché un’imposizione è inaccettabile prima che avvenga, ma lo è altrettanto – e di più – dopo. E non si tratta di una questione filosofica, si tratta di dignità.
(…)
Ecco perché il capodanno lo festeggeremo con una fiaccolata intorno all’area del cantiere; è un modo per denunciare quanto sta avvenendo al di là delle reti, ma soprattutto è un modo per presentare al mondo il nostro 2010: un altro anno di mobilitazione; perché, come si diceva il 17 febbraio 2007, noi «resisteremo un minuto in più di chi vuole la nuova base».
Il processo che la procura di Vicenza ha istruito contro i No Dal Molin per l’occupazione delle prefettura di Vicenza è stato anche questa volta colpito e affondato (almeno per un po’) dalle eccezioni sollevate dal collegio degli avvocati difensori.
Se la prima volta, tre mesi fa, l’eccezione sollevata era stata essenzialmente “tecnica” e addebitabile alla difettosa consegna delle notifiche agli imputati, questa volta l’errore dei giudici, e in particolare del Pubblico Ministero Pecori, è conseguenza della fretta che lor signori avevano di portare il movimento in tribunale e farlo condannare. Per affrettare i tempi infatti la Procura subito dopo l’occupazione simbolica della Prefettura aveva configurato la richiesta di reato in maniera tale da arrivare alla sentenza prima possibile, saltando cioè il dibattimento preliminare che è obbligatorio quando le pene richieste per reati di quel tipo sono superiori a quattro anni. Pene e reati che erano stati definiti dalla stessa Procura che per la fretta non si accorgeva che la via inforcata era troppo breve e sbagliata ovvero, come dice il classico proverbio: “La gatta frettolosa fa i gattini ciechi”!
Ma prima della conclusione, accolta comunque da una generale nostra soddisfazione, l’avvocato dello stato con un vero e proprio “coup de theatre” si è costituito parte civile contro il movimento perchè a suo dire con l’occupazione della Prefettura si sarebbe provocato un danno patrimoniale e perfino un danno all’immagine della pubblica amministrazione! Il danno patrimoniale sarebbe relativo alla questione della porta d’entrata della Prefettura che gli occupanti trovarono aperta e che invece loro dicono essere stata danneggiata per ben 960 euro – e pazienza –, ma il danno all’immagine dello Stato veramente non ce lo aspettavamo! Secondo l’avvocatura la nostra iniziativa ha “determinato, anche per effetto dell’allarme sociale suscitato ed in relazione alla risonanza provocata, un appannamento (sic) della P.A statale… con l’adozione di comportamenti …che hanno diffuso un senso di insicurezza e minaccia per l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza, andando a bloccare l’attività proprio dell’organo adibito a tale compito”. Un danno allora che, secondo l’ineffabile avvocato dello stato, può essere desunto dal “grado di diffusità” della notizia e da un quantum che bontà sua quantifica in euro 1 (uno), ma per abitante! Questa notizia dell’occupazione avrebbe raggiunto secondo lui almeno gli abitanti dell’intera provincia cioè 844.000 cittadini e quindi pari a euro 844.111, che dovrebbero risarcire il danno arrecato al povero Stato italiano.
In conclusione ai vicentini oltre al danno vero ed incalcolabile subito con la concessione della base agli americani anche la beffa del risarcimento all’immagine di uno Stato scalcagnato che gliela ha concessa gratis!
Questo l’annuncio che appare, da qualche giorno, su Il Giornale di Vicenza:
“Cercasi case singole, bifamiliari, case a schiera ed appartamenti di ampia metratura da affittare direttamente a personale americano. Non è richiesto il pagamento di provvigioni e di nessuna commissione per l’assistenza fornita durante il periodo contrattuale. Contattare direttamente l’Ufficio Alloggi della caserma Ederle, telefono 0444 716978”.
Ed ora ascoltiamo la battipali all’opera al Dal Molin:
Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli statunitensi svilupparono una strategia di controllo globale, con lo scopo di rimuovere i poteri dell’imperialismo europeo e andare molto oltre, ma attraverso nuove strade. Avevano imparato l’efficacia dell’aviazione, e intendevano coprire quanti più porzioni del mondo possibile con basi militari che potevano essere velocemente ampliate se necessario, e usate per garantire il controllo su risorse, sopprimere resistenze locali che potessero minacciare il dominio statunitense, e installare e proteggere regimi amici. Il massiccio intervento per sovvertire la democrazia italiana dalla fine degli anni quaranta è solo uno dei molti esempi, niente in confronto ad altri che rasentarono il genocidio. Ai giorni nostri, ci sono quasi 800 basi militari statunitensi nel mondo. Un più recente sviluppo è la costruzione di massive aree fortificate all’ interno delle città, chiamate “ambasciate” , sebbene non assomiglino affatto alle ambasciate che sono sempre esistite. La prima è stata la città-nella-città a Baghdad, e poi replicata a Islamabad e Kabul. La regione del Medio Oriente, con le sue immense risorse energetiche, è stata una preoccupazione di primaria importanza, e l’ obiettivo dell’ intervento statunitense basato nella zona periferica. Fin dalla Seconda Guerra Mondiale, l’ Italia è stata considerate una parte cruciale di questa zona periferica.
Durante la Guerra Fredda, il pretesto era la “difesa contro i Russi.” Dopo il crollo dell’ Unione Sovietica , tale pretesto è stato abbandonato. La prima amministrazione Bush aveva annunciato che le politiche sarebbero rimaste invariate, o addirittura ampliate, sebbene essi ammisero tacitamente che “le minacce ai nostri interessi” che richiedevano un intervento militare nel Medio Oriente “non potevano essere lasciate alle porte del Cremlino” , al contrario di decenni di inganni. Nella maggior parte del mondo, movimenti popolari hanno protestato contro l’ utilizzo del proprio territorio per la dominazione globale statunitense. Proprio in questo periodo l’Ecuador sta espellendo la più importante base americana in Sud America. Decenni di proteste a Okinawa stanno obbligando parziale ritiro su Guam. Altrove molti altri stanno seguendo la stessa strada.
Le coraggiose proteste di Vicenza sono state un’ ispirazione per molti altri. Hanno fornito un slancio agli sforzi globali di coloro che ricercano un mondo basato sulla cooperazione e aiuto reciproco piuttosto che liti e violenza. Sono lieto di unirmi a molti altri nell’augurare a voi il massimo successo nei vostri attuali sforzi. Noam Chomsky
Nella giornata dell’indipendenza, Vicenza si trova sotto occupazione militare; migliaia di agenti in assetto antisommossa, con i manganelli in pugno e le maschere antigas al volto, si sono schierati fin dalla mattina nell’area limitrofa al Dal Molin, smentendo le parole del questore Sarlo che nei giorni passati aveva dichiarato che il corteo sarebbe stato libero di percorrere le strade della città.
Una prova – l’ennesima – dell’arroganza di chi vuol imporre la nuova base statunitense; un messaggio chiaro, a sfidare coloro a Vicenza come altrove si ostinano a “osare la speranza”. Nella città del Palladio, diceva quell’ingente quanto minaccioso schieramento di militari accompagnati da decine di mezzi blindati, la democrazia non esiste. Accettare e aver paura è quel che il governo chiede ai vicentini. Una situazione, quella che si sono trovati di fronte i manifestanti quest’oggi, sulla quale Obama ha da dare più d’una spiegazione. Perché se questo è il cambiamento promesso dal presidente statunitense, qualcosa non torna. Non solo ai vicentini è stato vietato esprimersi con una consultazione popolare; non solo è stato impedito ai cittadini di conoscere le conseguenze che avrebbe la realizzazione del progetto, attraverso una Valutazione d’Impatto Ambientale. Quest’oggi, con lo schieramento provocatorio di migliaia di carabinieri ai margini del percorso della manifestazione, si è anche tentato di impedire l’espressione del dissenso.
Come scriveva il commissario Paolo Costa, per chi vuol imporre la nuova base è necessario “sradicare alla radice il dissenso locale”; e, visto che di argomentazioni convincenti a sostegno del progetto non ce ne sono, da alcuni mesi la questura ha deciso di mostrare il muso duro. Botte lo scorso 6 settembre sui vicentini seduti per terra; minacce il 10 febbraio contro chiunque osava avvicinarsi a Via Ferrarin. E, oggi, un’occupazione militare che ha fatto sembrare Vicenza una zona di guerra più che una città in cui è riconosciuto il diritto democratico di manifestare.
È servito il coraggio di esserci di migliaia di persone – almeno 20 mila – per difendere il diritto di percorrere strada S. Antonino senza la minacciosa presenza di manganelli e maschere antigas; è servita la determinazione di una mobilitazione che per il suo non volersi arrendere all’imposizione viene messa all’indice come violenta ed estremista.
Ma a chiunque percorreva oggi l’area intorno al Dal Molin era evidente chi difende l’illegalità e chi la democrazia: da una parte migliaia di agenti armati di tutto punto, a intimidire una città che vuol costruire il proprio futuro; dall’altra un corteo composito, trasversale, che ha capito che i reticolati e la militarizzazione del territorio sono la metafora dell’imposizione. Chi oggi difendeva militarmente il Dal Molin ha difeso un’illegalità imposta con l’autoritarismo; e accettare questa situazione senza rivendicare con determinazione il proprio diritto a manifestare liberamente equivaleva ad alzare le mani di fronte a coloro che vogliono calpestare, con i propri scarponi chiodati, la città berica.
(…)
Un corteo colorato, ma anche un corteo determinato; gli obiettivi della vigilia erano chiari ed espliciti: entrare nel cantiere statunitense per piantare migliaia di bandiere NoDalMolin e dimostrare, così, la determinazione di tanti cittadini nell’opporsi alla base militare.
Ed era chiaro, sin dalla vigilia, che la Questura avrebbe usato tutti gli strumenti a propria disposizione per impedire alla democrazia di esprimersi e difendere, in questo modo, l’imposizione del governo a cui risponde.
E, del resto, accettare il diktat della Prefettura – “nessuno entrerà al Dal Molin” – avrebbe significato abbassare la testa di fronte all’arroganza con la quale si vuole garantire quest’imposizione; per questo, nei giorni precedenti al corteo, erano stati preparati degli strumenti di autodifesa e autotutela collettivi e individuali: perché alzare la testa di fronte all’imposizione significa anche non abbassarla di fronte a coloro che sono disposti a usare la violenza per garantirla.
Nulla di offensivo, naturalmente: e la lunga storia di mobilitazione – ormai tre anni – della comunità vicentina è lì a garantire quanto sia pacifica l’opposizione alla base. Strumenti, invece, di difesa, come barriere e scolapasta pieni di stracci, da mettere sulla testa. L’occupazione militare che ha subito la città berica e la volontà della questura di impedire il corteo hanno dimostrato che per “sradicare alla radice il dissenso locale”, come richiesto dal commissario Costa, il Governo è disposto a schierare davanti ai vicentini i carabinieri di ritorno dall’Afghanistan: vogliono proprio fare di Vicenza un territorio di guerra; ma noi resisteremo un minuto in più.
(Difendersi non è violento)
Contrariamente a quanto afferma la “libera stampa”, di black block non c’era l’ombra. La manifestazione si è svolta sotto il cortese ma rigoroso controllo delle donne e degli uomini del Presidio Permanente, che hanno dimostrato una capacità organizzativa ed una saldezza di nervi a mio parere eccezionale.
Dopo che il tentativo, fatto dai giovani vicentini, di avanzare nonostante il blocco imprevisto creato all’altezza di Ponte Marchese – a poche decine di metri da dove sorge il tendone dei NoDalMolin – dai Carabinieri del Tuscania non è andato in porto, il Presidio ha iniziato una trattativa con le forze dell’”ordine” fino ad ottenere che tutto il percorso precedentemente concordato venisse “liberato” dalla presenza delle stesse.
Solo in quel momento il corteo si è ricostituito, con in testa come al solito le donne vicentine (encomiabili anche nell’accompagnarci sui bus navetta, nel rifornirci di acqua e nel rispondere a qualsiasi richiesta di informazione venisse loro posta), e si è inoltrato in maniera abbastanza spedita fin dentro il centro abitato della città senza ulteriori problemi.
Uno che ieri c’era, e che è rimasto impressionato dal dispiegamento di centinaia e centinaia di italiani in uniforme mandati dallo Stato a presidiare un territorio, quello della futura base, sul quale lo stesso Stato non ha e non avrà mai alcun diritto di sovranità. Federico
“Mamma non ho fatto niente! digli di andar via!!!”
Queste le parole che mio figlio di 3 anni continuava a ripertermi alla vista dell’enorme dispiego di forze dell’ordine a Vicenza.
Mi son chiesta anch’io come mai, perchè così tanti in tenuta antisommossa… perchè poi contro di noi?
Cosa stavamo facendo di male? Cosa temessero?
Sì, strano a dirsi ma in un’Italia all’incontrario la Polizia, i Carabinieri, le forze dell’ordine non fanno più “servizio pubblico”, non difendono più i civili… li caricano!!
Così il 4 Luglio 2009 i Vicentini, come quelli della Val di Susa, gli Abruzzesi e quanti (tanti da tutta Italia e non) si fossero dati appuntamento, insieme per manifestare democraticamente, contro le imposizioni, l’arroganza, oramai ordinaria, delle amministrazioni locali per conto di “padroni autoritari”, erano sotto stretto controllo militare.
Eravamo in tanti: donne e uomini, giovani e meno giovani, piccoli in passeggino, tutti armati di bandiere colorate, di pignatte, musica, slogan, megafoni e biciclette trillanti e procedavamo pacificamente.
Di contro a pochi passi dal Presidio e da via S. Antonino i Carabinieri spiegati davanti al corteo con manganelli, caschi, maschere antigas, lacrimogeni e blindati a difesa dell’area Dal Molin!
Difendevano chi senza dar conto o ragione impone l’arroganza, chi si permette di calpestare la volontà del popolo sovrano sbarrando un corteo autorizzato…
Così che a testa alta, come chi è senza macchia e sente di agire in nome della ragione, la schiera avanti del corteo non si lascia intimidire e va avanti e così, lo stesso, caricato con manganelli e lacrimogeni.
Nessun ferito ma tanta perplessità, sgomento: i caposaldi della nostra Costituzione il 4 Luglio 2009 in Italia vengono a mancare, in America si festeggia l’Indipendenza!
I diritti del popolo sul proprio territorio fatti a pezzi, il popolo trattato da estremista, da sovversivo, da traditore (contro chi poi?) e tenuto sin dall’inizio sottotiro da elicotteri della Polizia.
A gonfiare poi la vicenda anche le prime reti nazionali che limitandosi alla citazione mettono in risalto solo che questa baruffa creata ad hoc (mi viene in mente Cossiga e le sue dichiarazioni-dritte sulle manifestazioni studentesche) affinché l’opinione pubblica punti il dito (informazione strumentalizzata).
Però vi dico ,il 4 Luglio a Vicenza io c’ero e ho potuto constatare che non c’era il ben che minimo accenno di violenza da parte del corteo, nessuna testa calda (anche se di caldo ne faceva parecchio) ma solo la forza delle donne e degli uomini del Presidio, coraggiosamente, a mani nude, rivestiti solo del loro orgoglio, senza elmetti o giubbotti antiproiettili, nudi e crudi come la realtà di quei momenti, trattare con le forze armate affinché arretrassero dietro i reticolati e tenere a bada quasi 20.000 persone.
Gente che non ha abbassato la guardia alle provocazioni perché consapevoli che lì era in gioco il futuro dei loro figli e della loro terra.
Gente giusta, comune, con tanta voglia di vivere e solidale che giorno per giorno viene ricoperta da ingiurie, accusata e ciò nonostante va avanti.
Le maledicenze che li vogliono violenti non li demoralizzano, al contrario ne traggono maggior forza per andare avanti con più convinzione.
Li ho conosciuti, gente disposta al confronto, che si mette in discussione.
Sono contagiosi, come il raffreddore, ma fanno bene all’animo.
Sono amici di quell’Italia che ha voglia di riscattarsi, di non subire più soprusi e di vedersi sottrarre la salute, il territorio e la dignità di popolo a favore di strumenti di guerra.
Come la macchia d’olio pronti ad allargarsi, perchè la forza è nell’unità.
Il loro scopo è quello di tanti, e quello per cui la Costituzione, ancora oggi violata da chi dovrebbe portarne alta l’asta e dare l’esempio, afferma all’art. 11:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…” Maria Grazia
Nella giornata dell’indipendenza Vicenza ha subito l’occupazione militare; di seguito una breve ricostruzione dei fatti che, partendo dalla vigilia della manifestazione, evidenzia la volontà di intimidire la città per tapparle la bocca…
1-2 luglio. Il Dal Molin è ogni giorno più militarizzato; il cantiere è presidiato dai carabinieri, mentre l’intera area è sorvegliata da pattuglie della polizia e agenti in borghese. Il Presidio Permanente dichiara le proprie intenzioni: entrare nell’area che gli statunitensi vorrebbero trasformare in base di guerra per piantare migliaia di bandiere NoDalMolin. I residenti, nel frattempo, lamentano la crescente militarizzazione del quartiere e gli estenuanti controlli a cui sono sottoposti. 3 luglio. Il Giornale di Vicenza pubblica il suo scoop, una “notizia bomba”; secondo il quotidiano berico un carico di bombe a mano rubate una settimana prima in Slovenia sarebbe destinato al corteo del giorno successivo. Il giornalista non indica la fonte della notizia e sulla stampa italiana e slovena non c’è traccia di questo furto. La notizia, ovviamente, verrà smentita dai fatti, ma questo il quotidiano non lo riferirà ai suoi lettori.
Nel pomeriggio dello stesso giorno l’intera area nord della città si riempie di forze dell’ordine; i camion che trasportano in Presidio migliaia di bottiglie d’acqua e il palco che sarà montato nel prato verde vengono ripetutamente fermati per infiniti controlli che non portano a nulla. Un giornalista che entra in Via Ferrarin per girare un reportage viene fermato, identificato e multato. 4 luglio. Ore 10.00. I primi contingenti di forze dell’ordine si dispongono, diversamente dalle manifestazioni precedenti e da quanto annunciato dal questore, all’esterno del Dal Molin, lungo la strada che dovrebbe percorrere il corteo. Ore 11.00. I vigili del fuoco calano una barca nel fiume che costeggia il lato nord del cantiere statunitense. I pullman in partenza da molte città vengono fermati per infiniti controlli; alcuni non giungeranno mai a Vicenza. Ore 12.00. A 50 metri dal Presidio Permanente, lungo l’argine che costeggia il Dal Molin e su Ponte Marchese si schiera il Tuscania, unità dei carabinieri che ha combattuto in Afghanistan. Proprio all’imbocco del ponte viene piazzato un blindato con il rosto sul paraurti anteriore e i lancilacrimogeni. Ore 12.30. Via S. Antonino viene chiusa al traffico. Lungo la strada si schierano un migliaio di uomini con manganelli e maschere antigas accompagnati da decine di blindati. Tutte le strade laterali vengono chiuse e presidiate da ingenti forze. del Dal Molin, i blindati si parcheggiano sopra gli alberelli piantati due anni fa dai vicentini, calpestandoli. Ore 13.00. Non viene permesso ai pullman turistici di percorrere via S. Antonino; il tragitto era stato definito in accordo con l’amministrazione comunale e la questura, ma le forze dell’ordine sbarrano la strada ai pullman dei manifestanti. Ore 13.15. Viale dal Verme viene chiusa. La strada, su cui dovrebbe transitare il corteo, viene interrotta da due blindati che si schierano di traverso e da decine di agenti. È ormai evidente che il corteo non può transitare in strada S.Antonino e proseguire lungo il percorso autorizzato. Sull’argine, i carabinieri del Tuscania indossano i caschi nonostante manchino due ore alla partenza del corteo. Ore 13.30. Il Presidio Permanente denuncia l’impossibilità di manifestare pacificamente in via S.Antonino dove le forze dell’ordine sono schierate in un modo che rende evidente la volontà di creare una trappola in cui far infilare il corteo e intimidire la città. Due elicotteri sorvolano costantemente a bassa quota l’area. Ore 14.00. Il Presidio Permanente chiede che le forze dell’ordine siano ritirate dal percorso del corteo perché esso possa sfilare liberamente e pacificamente. Colonne dei carabinieri passano costantemente davanti al tendone di ponte Marchese ad alta velocità, nonostante in strada ci siano i primi manifestanti che si preparano a spostarsi verso Ponte Marchese. Ore 14.30. Strada S. Antonino ha un aspetto surreale. La circolazione è chiusa e ovunque ci sono forze dell’ordine in assetto antisommossa e mezzi blindati. Molti di essi si schierano all’interno del parcheggio di un distributore, ad “attendere” il corteo. Ore 15.00. Inizia a formarsi il corteo in Via M.T. Di Calcutta. Migliaia di persone raggiungono il luogo di partenza della manifestazione nonostante i tanti limiti imposti alla mobilità dei cittadini. A ponte Marchese ai carabinieri si aggiungono alcuni rinforzi della celere che si schierano di traverso sulla strada che dovrebbe percorrere il corteo, bloccandola. Ore 15.45. Il corteo parte. Si rinnova la richiesta affinché sia garantita la possibilità di percorrere il percorso autorizzato pacificamente e senza la presenza minacciosa di centinaia di uomini in assetto antisommossa a circondare il corteo.
Ore 16.15. Il corteo raggiunge il Presidio Permanente e si ferma. Il Questore rifiuta di far transitare il corteo sul suo percorso autorizzato e smentisce di aver dichiarato, alla vigilia, che la manifestazione avrebbe potuto svolgersi liberamente. Il corteo rifiuta di entrare nella trappola costruita da Sarlo, volta a intimidire e impaurire chi vuol difendere la propria terra. Ore 16.45. Di fronte al rifiuto della Questura di lasciar svolgere la manifestazione, una testa di alcune centinaia di persone autoprotetta da barriere che riportano la caricatura di Obama e caschi prova ad avanzare per permettere al corteo di proseguire senza minacce. Appena le barriere vengono poste di fronte ai carabinieri, quest’ultimi caricano con molte manganellate e alcuni lacrimogeni urticanti. Le barriere e i caschi fanno si che, al termine della giornata, non ci saranno feriti.
Al Presidio, intanto, si raggruppano migliaia di persone determinate a proseguire il corteo e in attesa che il diritto a sfilare sia garantito. Ore 17.30. Le forze dell’ordine si ritirano dalle strade laterali al percorso autorizzato e la celere libera Ponte Marchese. Il corteo può ripartire. Decine di donne fanno cordone davanti ai carabinieri del Tuscania che, maschera antigas al volto e manganello in mano, vedono sfilare il corteo alle spalle delle donne. Ore 19.00. Il corteo si conclude sotto un forte temporale. Il Questore ha mostrato ancora una volta il suo volto violento, schierando un apparato militare gigantesco per impaurire le famiglie che si ostinano a osare la speranza. L’apparato repressivo ha impedito alle donne e agli uomini di piantare le proprie bandiere al Dal Molin, ma ha anche mostrato il modo in cui si vuol realizzare la base statunitense: con l’imposizione e l’uso della forza. Il corteo, d’altra parte, ha dimostrato la propria determinazione a non lasciarsi sbarrare la strada da chi avrebbe voluto vietare lo svolgimento della manifestazione. [Fonte: nodalmolin.it]
Aveva tutti i presupposti per essere una manifestazione memorabile quella di sabato scorso a Vicenza. Per certi versi lo è stata, ma non nel senso che ci si aspettava. Al nostro arrivo nella città berica ci colpiscono soprattutto due cose: l’efficienza della macchina organizzativa messa in piedi dagli organizzatori e l’eterogeneità della moltitudine dei partecipanti. Giovani e meno giovani, famiglie con bambini, vicentini e non, tutti lì per gridare un unico gigantesco “No Dal Molin”. Migliaia e migliaia le persone che compongono un corteo pacifico e assolutamente trasversale.
Partiti e sindacati per opportunismo si tengono alla larga da Vicenza, come ormai sono lontani anni luce dalle istanze dei cittadini che dovrebbero rappresentare. Insomma, i presupposti sono ottimi. Un’altra cosa che ci colpisce, tuttavia, è l’imponenza delle “forze dell’ordine” mobilitate per un tale evento, numeroso sì ma del tutto pacifico. Cominciamo a capire che qualcosa potrebbe andare storto. Infatti, tutto sembrava andare per il meglio, quando, giunti a Ponte Marchese troviamo qualcosa che lì non avrebbe proprio dovuto esserci. A sbarrare il corteo infatti decine e decine di uomini in assetto antisommossa. E’ chiaro, è una trappola. Pochi minuti infatti e cominciano a volare le manganellate. Il resto è cronaca. Sui mezzi di disinformazione di massa è tutta una gara da destra a sinistra, dai sindacati agli “intellettuali” a chi condanna di più “i facinorosi e i violenti”. Non un accenno al fatto che i Carabinieri, in quel posto, non avrebbe dovuto esserci. Si è cercato il pretesto per affondare le giuste istanze di migliaia e migliaia di Vicentini contrari alla svendita del loro territorio. Sono fiducioso che comunque essi continueranno nella loro più che legittima battaglia di libertà. Augusto
In questa stupida e ignorante Italia, la maggior parte di ingenui e pecoroni italiani ha bevuto che… i no global hanno generato scontri con le forze dell’ordine… questa manifestazione contro il G8… questa manifestazione anti-americana… giovani dei centri sociali hanno!!! E’ una vergogna assoluta, quali no global? Quali centri sociali? Cosa c’entra antiamericanismo o G8?
Si trattava solo ed esclusivamente di una manifestazione contro la costruzione della nuova base militare USA all’aeroporto Dal Molin. Quasi nessuno ha detto che le forze dell’ordine hanno violato gli accordi e hanno provocato gli scontri bloccando la strada concordata per il corteo. Chi ci governa ha voluto dare una prova di forza, due messaggio chiari: uno, chi vuole manifestare sappia che rischia la propria incolumità! In questo modo sicuramente tante persone avranno paura e non parteciperanno alle prossime manifestazioni. Due, vi abbiamo avvertiti, non vi conviene manifestare a L’Aquila al prossimo G8. Enrico
Si terrà domani il corteo contro la nuova base militare statunitense a Vicenza; una manifestazione che, non a caso, si svolgerà alla vigilia dell’arrivo in Italia del presidente Obama, al quale i No Dal Molin vogliono far notare le enormi contraddizioni tra le sue parole e l’atteggiamento arrogante che l’amministrazione a stelle e strisce tiene a Vicenza.
Obama, infatti, ha più volte parlato di partecipazione popolare e democrazia; ma a Vicenza gli statunitensi hanno preteso che il proprio progetto andasse avanti senza il consenso dell’amministrazione comunale e della cittadinanza, a cui è stato impedito di esprimersi. Obama parla di green economy e rispetto dei beni naturali, ma a Vicenza i suoi collaboratori impongono una struttura che devasterà la più grande falda acquifera del nord Italia e l’ultimo territorio verde della città.
Obama permetterebbe tutto ciò in una città statunitense? A Vicenza l’amministrazione che lui presiede si gioca la propria credibilità: perché, se gli statunitensi continueranno a voler imporre l’installazione militare, i cittadini europei avranno chiaro che la linea politica di Obama non è affatto diversa, nei fatti concreti, da quella di chi l’ha preceduta.
“No dal Molin? Yes we can”: sarà, questo, lo slogan provocatoriamente stampato su migliaia di magliette bianche che riportano la caricatura di Obama con una cesoia in spalla, pronto a tagliare le recinzioni del cantiere statunitense che impediscono ai cittadini di vivere il proprio territorio.
Caro presidente, Se non vi disturbo e se il mio messaggio non vi trova mal disposto, vogliate accettare l’umile appello di un giovane che è molto lontano dall’America e vi chiede aiuto per la realizzazione di un sogno che fino ad oggi non è riuscito ad avverare. Permettete che mi presenti. Il mio nome è Salvatore (….). Sono stato annessionista fin dalla fanciullezza (…) [ma] non ho potuto mostrare palesemente i miei sentimenti (…) seguivo da vicino la libertà politica portata dagli americani, (….) Ci occorre la cosa più essenziale; il vostro appoggio morale. Voi potreste, ed a ragione, chiedere: “Qual’è il fattore più importante che vi spinge a questa lotta per la separazione dall’Italia?” (…) Perché in anni di unità nazionale, o, per essere esatti, in anni di schiavitù all’Italia, siamo stati depredati e trattati come una misera colonia. Per queste ragioni noi vogliamo unirci agli Stati Uniti d’America (…). Signore, vi preghiamo di ricordare che centinaia di migliaia di uomini aspettano d’essere liberati.
È una lettera all’allora presidente Harry Truman di Salvatore Giuliano (1922-1950), notissimo bandito e indipendentista palermitano negli anni dopo la seconda guerra mondiale. All’epoca la Sicilia aveva un suo partitino che sognava la pura e semplice annessione dell’isola a Washington. E Giuliano, bandito per lo Stato, era addirittura “colonnello” nei ranghi dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana): un misterioso crogiuolo di umori secessionistici locali, connessioni con i servizi segreti americani, contiguità ad ambienti fascisti ma anche socialisti. Ma che c’entra il bandito Giuliano con noi? Beh, le analogie con la situazione vicentina non mancano. Con lo Stato italiano, e Roma capitale, il Veneto ha ormai – si sa – un rapporto conflittuale. Ci sentiamo guardati con sufficienza e disprezzo. La locomotiva economica del paese tira, s’ingegna, lavora, dà moltissimo al paese, mentre Roma – come la cicala della favola – sperpera. Dai oggi, dai domani, viene da pensare, prima o poi qualcosa ci restituiranno. Macchè. Chiedi la TAV, e non ci sono i soldi (ma per il ponte sullo Stretto di Messina, che avrebbe fatto inorridire il bandito Giuliano, sì). Chiedi di tenere un po’ di tasse prodotte sul territorio, e ti guardano come fossi matto. E quando Roma si ricorda di noi, è ancora per chiedere: ci serve fare un’altra base militare, ci date il vostro aeroporto?
A questo punto, guardiamo ai fatti. Vicenza è già oggi la città più americana d’Italia. Con la nuova base lo sarà ancora di più. Per popolazione, numero di installazioni militari (abbiamo perso il conto), presenza abitativa sul territorio. Abbiamo dato i natali ad Amy Adams (diva hollywodiana in irresistibile ascesa, guardatela sculettare bellissima in “La guerra di Charlie Wilson”). Abbiamo stregato il Comandante Petraeus (astro degli alti comandi militari a stelle e strisce), diplomato Sharon Tate, ospitato valanghe di soldati in partenza per la guerra. Abbiamo perfino un vino (il clinto) che si chiama quasi come uno degli ultimi presidenti americani. E se guardate bene la copertina un po’ provocatoria di questo mese, vedrete come si sposano l’architettura vicentina a quella d’oltreoceano: non a caso, si sa, il disegno della Casa Bianca deriva dall’influenza palladiana. E allora, cosa aspettiamo? Fatto 30, facciamo 31: torniamo alla vera madrepatria, assimilata fin da bambini a suon di film e telefilm. Si, chiediamo l’anschluss allo Zio Sam anche noi. Sai i vantaggi poi! Per il popolo delle partite IVA il sistema delle tasse americano sarebbe una manna. Gli hamburger ai vicentini già piacciono e molto. E non sarebbe bellissimo avere al liceo la squadra di football con le majorette e il ballo di fine anno? Attendiamo solo il nostro Salvatore che prenda carta e penna, e scriva: Caro presidente Obama…
Vicenza, 29 giugno – Gli attivisti del comitato No Dal Molin, che a Vicenza hanno indetto per il 4 luglio una protesta contro l’ampliamento della base militare statunitense, temono ‘interventi’ militari americani in occasione della manifestazione.
I No base, riprendendo l’indicazione di un giornale locale, si dicono preoccupati che ”mille paracadutisti dell’esercito statunitense” possano essere schierati sabato nell’ex aeroporto Dal Molin. ”Se così fosse – rilevano in una nota i contestatori – saremmo di fronte a un’occupazione militare del territorio italiano”.
Secondo il comitato, gli Usa starebbe preparando una difesa in grande del Dal Molin, ”dove l’esercito di Obama vuol costruire una nuova base militare; e, nel farlo, avrebbe programmato di schierare all’interno del recinto mille paracadutisti vietando alle forze dell’ordine italiane l’ingresso nell’area”. ”Se sabato prossimo – concludono – i soldati statunitensi si contrapporranno ai manifestanti sarà la conferma che l’Italia è una colonia del gigante d’oltreoceano”.
(ANSA)
L’aria di Vicenza è tra le più inquinate d’Italia, ma nessuno ha informato i vicentini che è necessario uscire indossando una maschera antigas; anche perché, come ci ricordano frequentemente gli ipocriti dirigenti della Lega Nord prendendosela con le donne che indossano il velo, la legge italiana fa divieto di circolare a viso coperto.
Un divieto che, ancora una volta, non vale per i soldati statunitensi che corrono per le strade della città indossando la maschera antigas, come testimonia la foto allegata. Che si stiano esercitando alla fuga in caso di incidente a uno dei loro depositi NBC (Nucleare, Biologico, Chimico) previsti al Dal Molin? Il colonnello Maggian potrà testimoniare che l’errore è del Parlamento italiano che, nel disporre la normativa, ha dimenticato di redigere una traduzione in inglese. Come si suol dire: fatta la legge, trovato l’inganno.
Fuori da ogni ironia, sono ormai all’ordine del giorno gli affronti dell’esercito statunitense alla comunità vicentina. Questa città non è un campo d’addestramento e il sindaco deve pretendere che la quotidianità dei vicentini sia rispettata. Presidio Permanente, Vicenza, 27 giugno 2009
Di tutta la vicenda relativa alla intrusione di soldati statunitensi nel parco di villa Guiccioli mi sembrano meritevoli di attenzione tre cose. L’originale giustificazione data dal colonnello Maggian, le giustissime considerazioni riportate nell’editoriale di Gian Marco Mancassola su chi realmente comandi nella caserma Ederle e la conferma che le istituzioni italiane riconoscono, oramai, extracomunitari di serie A, cittadini Italiani di serie B ed extracomunitari di serie C.
Non so quale momento particolare attraversasse il colonnello Maggian quando ha scusato le violazioni di proprietà altrui con la mancanza di cartelli in lingua inglese. Di sicuro un brutto momento che per un po’ gli deve avere obnubilato le capacità di pensare. E già perché sarebbe bastato considerare che con le stesse motivazioni gli stranieri in Italia possono stazionare in divieto di sosta o in orari proibiti, andare contro mano nei sensi unici, imboccare direzioni vietate, non rispettare le deviazioni, fumare dove è proibito, entrare nei musei fuori orario, ecc. ecc. giacché tutte queste prescrizioni sono espresse soltanto in lingua italiana. Non si è posto, poi, il problema del perché il cartello avrebbe dovuto essere tradotto in inglese e non anche in tedesco, francese, spagnolo, cinese ecc.
Questo atteggiamento ci porta dritto alle considerazioni circa chi realmente comandi nelle basi Statunitensi in Italia. Come in quasi tutte le cose italiane l’incapacità di essere coerenti con certe scelte viene risolta con la separazione tra forma e sostanza. Formalmente il comando è italiano ma di fatto è statunitense. Vorrei vedere quanto durerebbe un comandante italiano, di spessore, che volesse far valer il proprio ruolo. Ma anche qui le nostre autorità si cautelano scegliendo con cura lo spessore del comandante nostrano. Spessore che, per esempio, non deve suggerirgli di fare un richiamo scritto al suo subordinato statunitense rimproverandogli la malefatta ed ordinandogli di mai più ripeterla. Ora se un algerino, extracomunitario di serie C, si ferma a mangiare un panino e bere una bibita su una panchina di Campo Marzio viene immediatamente sanzionato dai solerti tutori dell’ordine. Se un gruppo di signore, cittadine di serie B, per effettuare una legittima quanto simbolica protesta, entrano nella prefettura, dove tra l’altro non esistono cartelli di divieto di ingresso nemmeno in veneto, vengono denunciate e processate. Ma se rubicondi rambo statunitensi, extracomunitari di serie A, violano ripetutamente le proprietà altrui malgrado gli allarmi che suonano e le legittime quanto inascoltate proteste dei responsabili di quelle aree, tutto finisce a tarallucci e vino con ipocrite e tardive scuse offerte non immediatamente ma solo quando il caso diventa di pubblico dominio e non dal comandante italiano, di diritto, ma da quello statunitense, di fatto, quando questi non sa più dove nascondere la faccia. Guglielmo Vernau
Alcuni lettori del blog, siciliani in parte emigrati al nord, si ritrovano d’accordo nel partecipare alla grande manifestazione NoDalMolin che si svolgerà a Vicenza il prossimo 4 luglio.
L’idea è quella di portare all’attenzione dell’opinione pubblica il progetto MUOS in corso d’opera nei pressi di Niscemi, sotto lo slogan ”L’aria del nord non ci ha offuscato la memoria, i Siciliani insieme ai Vicentini del NoDalMolin il 4 Luglio 2009 per ribadire il nostro no al MUOS”.
Chiunque sia interessato a dare il proprio sostegno all’iniziativa, è pregato di contattare Maria Grazia al seguente indirizzo: niscemesidoc@gmail.com
Dicono che, a bonifiche avviate, non c’è più spazio per coloro che a questo progetto si oppongono; quasi che un’imposizione divenga democratica quando si avvia a essere compiuta. Scrivono – come fa il direttore de Il Giornale di Vicenza, ormai ogni domenica – che la nuova base statunitense è ormai nella sua fase esecutiva e hanno perso coloro che la vogliono impedire; come se a perdere fossero dei singoli e non un intero territorio che quell’opera la subisce.
Sono degli irresponsabili coloro che dicono e scrivono; come sono degli affaristi coloro che, sulle spalle della comunità locale, si arricchiscono con le commesse di questo progetto; e complici coloro che girano lo sguardo dall’altra parte, servili coloro che hanno favorito gli interessi militari statunitensi, “luamari” – come era scritto sulle nostre magliette a proposito del governo – quanti si sono resi responsabili di permettere lo scempio del territorio vicentino e della sua falda acquifera.
Ma non è il nostro rancore quello che vogliamo manifestare. Noi a una città diversa, non più asservita alle installazioni militari e complice della guerra, ci crediamo; e la nostra terra, con l’acqua che conserva nel sottosuolo e il verde di alberi e prati, continuiamo a volerla difendere anche se loro si ostinano a volerla devastare.
Ed è per queste ragioni che il 4 luglio vogliamo osare la speranza: testardamente, vogliamo liberare il Dal Molin dalla base militare; ci hanno tolto la possibilità di esprimerci – impedendoci il referendum – e di conoscere – rifiutando la Valutazione d’Impatto Ambientale; ci hanno tolto la voce, lasciando inascoltate le nostre sacrosante parole, ci hanno criminalizzato e denunciato per la nostra determinazione e, il prossimo 17 giugno, ci processeranno per la nostra opposizione; ci hanno tolto, spesso, il tempo libero, così come ci hanno tolto, per iniziare le bonifiche, un pezzetto della nostra città. Ma la nostra dignità, no, non ce la possono togliere: e chi ha la dignità quando viene calpestato, insultato, criminalizzato, si ribella; e osa. Il 4 luglio? Osare la speranza.
Breve video che documenta la contestazione dei vertici militari statunitensi impegnati in un’audizione presso il Congresso a Washington, da parte di una delegazione del Presidio Permanente No Dal Molin di Vicenza, lo scorso 25 marzo.
Un’altra testimonianza è visibile qui.
Chissà se si riferiva alle proteste dei No base o alle questioni burocratiche made in Italy. Però lo ha detto chiaro: «La sfida più grande? Sarà la nuova base a Vicenza».
Lui è il generale Carter Ham, comandante dell’US Army Europe, che durante una conferenza stampa al Pentagono parlava della pesante ristrutturazione delle forze armate USA in Europa, del suo timore che in Germania restino troppo pochi soldati e delle varie dislocazioni dei battaglioni. E quando davanti ai giornalisti americani cita Vicenza e il Dal Molin il generale Carter Ham non nasconde come stanno le cose: «La sfida più grande («the biggest challenge») che ci resta per la trasformazione del comando è il consolidamento della 173esima Airborne Brigade Combat Team in Italia».
Insomma è proprio sul Dal Molin che si gioca, sostiene il generale, tutta la riorganizzazione dell’esercito statunitense in Europa.
«Quell’unità ha adesso alcune truppe in Germania, ma si riunificherà a Vicenza con la costruzione di nuovi edifici». Quindi il Pentagono, a sentire il comandante dell’US Army in Europa, sulla nuova base nell’ex aeroporto vicentino e sull’allargamento della Ederle ci conta eccome. «Per ospitare – si legge nell’articolo comparso sul sito web Armytimes.com – i 3.800 soldati della 173rd brigata oltre ai loro parenti e agli impiegati civili».
Dal Molin a parte, il generale Carter Ham era andato al Pentagono per chiedere di cambiare il progetto iniziale di ristrutturazione dell’esercito americano in Europa. «Meglio fermarci a quarantaduemila soldati e non, come previsto dal programma iniziale, di ridurli a trentaduemila entro il 2012-13». In altre parole mantenere tra Italia e Germania quattro combat team e non due come vorrebbe il Pentagono.
Carter Ham ha parlato anche del neonato US Africa Command che, sempre a Vicenza, ha sostituito la vecchia Setaf: «Così come è strutturato oggi non avrà a disposizione truppe ma dovrà servirsi di quelle sparse in Europa». E solo quando ci saranno le condizioni logistiche e di fondi l’esercito trasferirà il comando dalla Ederle all’Africa.
Da Il Giornale di Vicenza del 4 marzo 2009, p. 19, di Al. Mo.
Le dichiarazioni del generale Prosciutto sono riportate più estesamente da Antonio Mazzeo, il quale sottolinea come il programma di ridimensionamento delle forze statunitensi in Europa – in corso da alcuni anni – sembri destinato ad interrompersi.
Da Potenziate le basi dell’esercito USA in Europa:
Uno stop al piano di riduzione delle forze terrestri USA in Europa. Lo ha chiesto il comandante dell’US Army nel vecchio continente, generale Carter F. Ham, in occasione della sua recente visita a Washington dove ha incontrato gli alti comandi dell’esercito e del Dipartimento della difesa. Ham ha raccomandato che il numero dei militari in forza al comando USAREUR, venga congelato al suo livello odierno di 42,000 unità, bloccando il programma che prevede il ridimensionamento ad un massimo di 32,000 soldati entro il 2012-13. Nello specifico, il Pentagono ha programmato la riduzione della presenza in Europa da quattro a due brigate pesanti (la 2^ Stryker Brigade a Vilseck, Germania e la 173^ Brigata Aviotrasportata a Vicenza, Italia).
Il generale Ham ha spiegato che il commando USAREUR ha bisogno di una forza maggiore per “rispondere efficacemente alle richieste operative in Iraq, Afghanistan, nei Balcani e dove sarà necessario”, e per condurre simultaneamente “l’ambizioso programma di addestramento con gli alleati, particolarmente con le nuove nazioni appartenenti alla NATO e con quelle che hanno fatto richiesta di entrare nell’organizzazione”.
Negli ultimi anni, il Pentagono ha chiuso in Europa 43 tra basi e piccole installazioni dell’US Army, richiamando negli Stati Uniti 11.000 militari. Il piano di riduzione prevede adesso il ritiro della 172^ Brigata di fanteria (oggi di stanza nelle città tedesche di Schweinfurt e Grafenwöhr) e della 1^ Divisione Corazzata di Baumholder (ancora in Germania), destinata a Fort Bliss, Texas. La richiesta formalizzata dal generale Carter F. Ham potrebbe tuttavia condurre a una modificazione di questo scenario.
’US Army punta intanto a centralizzare i suoi reparti di guerra in cinque grandi centri “hub”, quattro in Germania (Ansbach, Grafenwöhr, Kaiserslautern e Wiesbaden), ed uno in Italia, per l’appunto Vicenza. Nel budget previsto per il 2009 dall’amministrazione USA per il potenziamento delle basi militari all’estero, è prevista una spesa di 349 milioni di dollari per le infrastrutture e le postazioni ospitate in questi “hub” europei dell’esercito.
(…)
Nella foto: il ritrovamento di alcune bombe inesplose della Seconda Guerra Mondiale durante i lavori in corso all’aeroporto Dal Molin di Vicenza.
Vicenza, 20 febbraio – Può aprire ufficialmente il cantiere della nuova base americana al Dal Molin di Vicenza. Lo ha annunciato oggi il commissario Paolo Costa. Il progetto è stato approvato dalla commissione mista costruzioni Italia-USA e ieri, ha reso noto Costa, il generale Ivan Resce, capo del genio difesa, ha potuto firmare la delibera che autorizza ad aprire ufficialmente il cantiere ed a costruire.
L’annuncio è stato dato da Costa nel corso di una conferenza stampa cui ha partecipato anche il console americano in Italia Daniel Weygandt. ”Malgrado non sia stata eseguita la Valutazione di Impatto Ambientale – ha detto Costa – il progetto che abbiamo ottenuto è il migliore possibile in base alla più stringente delle normative fra quelle previste in Italia e negli Stati Uniti”.
I problemi e gli impatti relativi alla falda acquifera, al traffico ed al paesaggio, ha spiegato Costa, sono stati risolti ”con soluzioni che rispettano l’ambiente e prevedono addirittura una centrale di cogenerazione in grado di cedere energia, in alcuni momenti della giornata, alla città”.
In una superficie di quasi sei ettari troveranno posto edifici nuovi per 75mila metri quadrati e saranno conservate la vecchia caserma degli avieri e il circolo sottufficiali. La maggior parte delle costruzioni sarà di due piani, tranne i due silos per auto in grado di ospitare, ognuno, 860 autovetture ed i due dormitori, ciascuno per 604 persone. Nell’edificio del comando generale spariranno le facciate neoclassiche a favore di una concezione più moderna e meno vagamente palladiana.
Sul fronte delle compensazioni per la città, il commissario Costa ha ammesso che ”un’area preziosa è stata sottratta alla città. Per questo è all’approvazione del CIPE una delibera che, da una parte, mette a disposizione 11,5 mln di euro per ricostruire la pista di volo dell’aeroporto civile su progetto regalato dall’aeronautica militare, dall’altra impegna 5 mln di euro per la progettazione della tangenziale nord di Vicenza”.
(ANSA)
E siccome non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia è una colonia yankee, concludiamo questa densa giornata con la visione delle puttanelle conigliovestite che si intascano i denari del nostro canone. W il Kirghizistan!
VICENZA, 10 febbraio – Le forze dell’ordine hanno disperso il centinaio di dimostranti che questa mattina hanno dato vita a una manifestazione non autorizzata davanti all’ingresso militare dell’aeroporto Dal Molin.
Ci sono stati forti momenti di tensione fra i No Dal Molin che si oppongono alla costruzione della nuova base Usa e i reparti di carabinieri e polizia schierati in tenuta antisommossa, decisi a far rispettare il divieto di manifestare in quella strada. Tensione e qualche scaramuccia quando gli agenti sono entrati in contatto con i dimostranti per dividerli in due tronconi e spingerli indietro. Secondo una prima ricostruzione, in questo clima un automobilista esasperato avrebbe urtato una donna che è caduta su un muretto procurandosi una ferita al sopracciglio che l’ha trasformata in una ‘maschera’ di sangue, contribuendo a far salire la tensione. La donna è stata trasportata in ambulanza al Pronto Soccorso dove i medici le avrebbero suturato la ferita con alcuni punti.
Dopo che la manifestazione è stata dispersa, i no-base hanno tenuto un’assemblea improvvisata in un parcheggio e hanno deciso di raggiungere in auto il vicino comune di Montecchio Precalcino dove ha sede l’azienda edile che sta facendo i lavori al Dal Molin. Qui hanno bloccato i cancelli e due camion, chiedendo di parlare con il titolare. Nel frattempo sono intervenute le forze dell’ordine che hanno allontanato con modi decisi i dimostranti.
(ANSA)
E’ iniziata presto la giornata dei No Dal Molin: dalle sei del mattino un gruppo di cittadini ha cercato di raggiungere la rotatoria di viale Ferrarin. Un cordone delle forze dell’ordine ha bloccato i manifestanti e – senza alcuna giustificazione – li ha caricati, costringendoli a indietreggiare.
I manifestanti si sono allora spostati davanti alla sede della ditta subappaltatrice che sta lavorando in questi giorni all’interno del Dal Molin [Carta Isnardo – ndr]. Per circa un’ora sono stati bloccati due camion, con un sit-in pacifico davanti all’ingresso della cava, mentre i manifestanti chiedevano di poter incontrare il titolare, sono intervenute le forze dell’ordine, minacciando di arrestare tutti i presenti.
I No Dal Molin hanno ora raggiunto il corteo degli studenti nei pressi di viale Ferrarin.
La giornata di mobilitazione continua, nonostante l’atteggiamento irresponsabile delle forze dell’ordine che da questa mattina hanno sospeso ogni agibilità democratica in città. Fermi e violenze a senso unico; la Questura vicentina ha deciso di chiudere ogni canale di dialogo con i manifestanti, minacciando costantemente di arresto i cittadini che, pacificamente, tentano di difendere la propria terra. Presidio Permanente, 10/2/2009
Successivamente, intorno alle ore 13, alcuni automezzi della Carta Isnardo sono stati bloccati in prossimità della sede della stessa ditta. Le forze dell’ordine sono intervenute fermando 18 attivisti del Presidio Permanente, portati in Questura con l’accusa di blocco del traffico.
Questa sera, alle ore 18, la mobilitazione continua con una manifestazione nella centralissima Piazza dei Signori.
Quando le forze dell’ordine si sono ritirate dall’aeroporto, tra i 400 No Dal Molin è partito, spontaneo, l’applauso; una prima, precaria vittoria per la città che, con il cuore prima ancora che con le unghie e con i denti sta difendendo il proprio territorio da quanti vogliono imporle una nuova base militare.
Era iniziato tutto alle 10 di questa mattina; una lunga colonna di auto in Via S. Antonino, donne e uomini che scendono dagli autoveicoli, tagliano le reti e prendono possesso di un’area dell’aeroporto; alcuni vanno sui tetti, altri appendono striscioni e cartelloni. La polizia, in pochi minuti si schiera e intima lo sgombero. Ma non ne hanno il diritto: l’Enac, per bocca della società incaricata della liquidazione, non lo ritiene utile. Le forze dell’ordine si ritirano, mentre i vicentini restano dentro al Dal Molin.
L’area che gli statunitensi vorrebbero occupare e militarizzare, dunque, è stata liberata e da oggi, per la prima volta, è accessibile a tutti i cittadini. Nei giorni scorsi, del resto, i No Dal Molin erano stati chiari: se partiranno i lavori non staremo a guardare. E così è stato: qualche giorno fa Cmc e Ccc, le ditte che hanno vinto l’appalto per il cantiere, avevano iniziato a demolire le strutture esistenti per far posto alle nuove caserme statunitensi; un avvio del cantiere illegale, innanzitutto perché la maggioranza della comunità locale è contraria a questo insediamento, poi perché nessuna Valutazione d’Impatto Ambientale è stata ancora realizzata nonostante la particolarità geologica e idrica dell’area.
Da oggi si apre una nuova fase della mobilitazione contro la nuova base militare statunitense; è quella della determinazione dei vicentini che, ingannati e trattati come sudditi dal commissario Costa e dal Governo, si riprendono la propria terra per difendere il proprio diritto alla parola e, soprattutto, il proprio diritto a costruirsi il futuro della città.
Questa sera all’interno del Dal Molin – ore 18.00 – si terrà la prima assemblea pubblica dei cittadini; domani verrà aperto il parco della pace e realizzato l’ufficio dell’Altrocomune per la Valutazione d’impatto ambientale. Abbiamo messo i piedi all’interno del Dal Molin, simbolo di coloro che vogliono difendere la democrazia e la terra per impedire la costruzione di una nuova base di guerra. Abbiamo riaperto la vicenda dopo che in tanti l’avevano frettolosamente dichiarata chiusa. Difendere Vicenza? Si può fare; perché il futuro è nelle nostre mani: ci hanno impedito di decidere attraverso la consultazione popolare, non potranno impedirci di difendere la nostra città.
[Fonte: nodalmolin]
Le perle di Giancarlo Galan
Ecco le parole del presidente della Regione Veneto circa il sindaco di Vicenza:
“Achille Variati è il teorico, il mandante e l’esecutore degli estremisti antiamericani del “No Dal Molin”. È lui il vero irresponsabile di ciò che
avviene a Vicenza sul piano del più assurdo estremismo politico. Basta guardare i tempi: ieri il sindaco mannaro incontra il commissario governativo, oggi gli estremisti antiamericani hanno occupato i cantieri del Dal Molin. Più chiaro di così”.
Dalla cronaca della giornata di ieri fatta da Il Giornale di Vicenza.
“Non ce ne andiamo”
La notizia, diffusa da alcuni media, secondo cui domani lasceremo il Dal Molin è infondata. Ieri abbiamo liberato un’area dell’aeroporto perché abbiamo un obiettivo: difendere la nostra terra.
L’assemblea che si svolgerà questa sera all’interno del Dal Molin esprimerà le prossime richieste delle donne e degli uomini che difendono Vicenza dalla militarizzazione; qualcuno vorrebbe restare sordo alle richieste della comunità vicentina per imporre un progetto che essa non vuole. Ma noi continueremo a far sentire la nostra voce. Presidio Permanente, Vicenza, 1 febbraio 2009
“Occupazione sospesa”
L’occupazione dell’area civile del Dal Molin, da parte degli attivisti del Presidio Permanente, ha avuto il merito di riportare alla ribalta, locale e nazionale, l’opposizione alla costruzione della nuova base militare statunitense a Vicenza.
Non solo, questa iniziativa ha anche permesso di mettere al centro della discussione il possibile utilizzo della stessa area civile (oggi di fatto inesistente) a favore della cittadinanza vicentina. Il fatto che oggi, attraverso un comunicato, l’amministrazione comunale per voce del sindaco, affermi di voler concretamente lavorare in questo senso, è sicuramente una vittoria da ascrivere all’impegno e alla generosità di quei tanti vicentini che, consci dei rischi che si assumevano, hanno dato vita a questa importante iniziativa di lotta. Riteniamo essenziale che su quell’area si esca finalmente da ambiguità e silenzi, e non possiamo che essere soddisfatti che, oggi, la discussione verta su di un suo utilizzo a favore della collettività, così come sempre richiesto da parte del Presidio Permanente. Queste cose sono state ribadite anche allo stesso Achille Variati nell’incontro svoltosi in data odierna.
Allo stesso tempo è stata presentata formalmente la richiesta alla Società Aeroporti, di poter usufruire di alcuni spazi all’interno della struttura per poter avviare uno studio tecnico di analisi sull’effettivo impatto sull’ambiente della nuova base.
A fronte di queste significative novità stasera il Presidio valuterà tempi e modi per la sospensione, entro la giornata di domani, dell’occupazione. Ora, per il Presidio Permanente No Dal Molin, è tempo di pianificare e predisporre il blocco concreto dei lavori di costruzione della nuova base. Vicenza, 2 febbraio 2009
[grassetto nostro]