Fobie

La NATO celebra la “Giornata internazionale contro l’omofobia, bifobia e transfobia”. Qualunque cosa ciò significhi. Nel frattempo, essa promuove attivamente la russofobia e la sinofobia.
Laura Ruggeri

I falsi profeti


Regolarmente mi ritrovo a dover ripetere, con ironia se sono di buon umore, che i Paesi considerati avversari dalla dottrina statunitense sono soggetti ad un’incessante demonizzazione. A questo scopo esiste un intero apparato, con articolazioni regionali, che produce e distribuisce su scala industriale fake news, revisionismo storico e analisi pseudo accademiche per manipolare l’opinione pubblica. Questo apparato si avvale dell’aiuto e della cooperazione di tutte le piattaforme che controlla. E non si tratta solo di quelle ufficiali – agenzie di stampa, media tradizionali e social media, motori di ricerca, centri studi, ecc. – un numero sempre crescente di influencer e canali della cosiddetta controinformazione vengono arruolati per creare confusione e paura, ed impedire così l’esercizio delle più elementari facoltà’ di giudizio. Chiaramente usano il linguaggio del loro pubblico di riferimento e creano narrazioni compatibili con quelle già sedimentate nelle coscienze di chi legge o ascolta. All’alt-right e ai libertari viene spacciato come nemico soprattutto la Cina, ai liberal progressisti soprattutto la Russia, ma si assiste anche ad un crossover. L’ultima follia che ho sentito, i BRICS vorrebbero imporre una dittatura globalista e schiavizzare l’Occidente “democratico”. Narrazione di chiara matrice anglo-americana, costruita sulla falsa dicotomia “democrazia vs autoritarismo”. Il credito sociale, la dittatura politico-sanitaria-digitale, la transizione finto-ecologica di cui un italiano dovrebbe preoccuparsi vengono imposti da chi ha giurisdizione sull’Italia, non dalla Cina che non ha nessuna giurisdizione sul Paese. Prima di credere alle finzioni che circolano sulla Cina o sulla Russia, ci si dovrebbe preoccupare della realtà che tocca ognuno di noi direttamente. Lo sfruttamento, l’inflazione, l’impatto economico delle sanzioni, l’erosione di diritti un tempo dati per acquisiti, la censura, le follie distopiche e pseudo-progressiste di un’élite finanziaria che si spaccia per guida morale nonostante le sue pratiche criminali, l’ingerenza di organismi sovranazionali e non eletti nella politica del Paese, l’isteria bellicista che ci sta portando dritti nel baratro di una guerra mondiale che rischia di sterminare gran parte della popolazione del pianeta… “Se non state attenti, i media vi faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori”, ricordava Malcom X. Prima di cercare nemici fuori dall’Occidente, occupiamoci di quelli che hanno rubato le nostre chiavi di casa.
Laura Ruggeri

Minima moralia


Siccome l’idea di spiccare un mandato di cattura contro Putin è probabilmente l’idea più cretina della storia universale, unitamente all’idea di processarlo per crimini di guerra, cioè di processare per crimini di guerra il presidente in carica di uno Stato che ha diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU e 6000 testate nucleari, abbiamo il problema di rispondere alla domanda: perché? Com’è possibile che l’Unione Europea sia caduta così in basso al punto da farci vergognare tutti? Perché Ursula von der Leyen e Roberta Metsola si umiliano attraverso una produzione così copiosa di idee cretine? La risposta è semplice: per nascondere il fatto di non contare niente. Siccome non contano niente; siccome la Commissione europea è un gruppo di passacarte di Biden; siccome non è in grado di proteggere nemmeno i propri gasdotti bombardati da un Paese alleato, allora cercano di gettare fumo negli occhi con iniziative talmente cretine da far apparire intelligenti persino iniziative come la designazione della Russia come Stato sponsor del terrorismo (respinta pure dagli USA). Ci penseranno poi i propagandisti delle radio e delle televisioni italiane a far passare un’idiozia gigantesca per un’idea intelligente da applaudire. Ecco che cosa intendo dire quando dico che la classe dirigente europea è completamente corrotta in senso paretiano. Ursula von der Leyen appartiene semplicemente a una classe dirigente morta. Era morta ben prima del 24 febbraio 2022, altrimenti gli accordi di Minsk 2 non sarebbero naufragati e l’Ucraina non sarebbe una base della NATO da molti anni. L’invasione della Russia ha semplicemente reso evidente la decomposizione di un corpo che si è spento di nascosto. Quando pensate alla Commissione europea, pensate a un gruppo di falliti politici. Pensate alla Commissione europea come la più grande vergogna della civiltà europea. Pensate a un corpo morto che, essendo pesantissimo, ci porta tutti a fondo.
Forza, Commissione europea, proponi o sostieni un’altra idea cretina.
Facci ridere.
Alessandro Orsini

Modena, 18 marzo 2023

“Manifestazione di destra” con “nostalgie dell’URSS” e “bandiere rosse con falce e martello”, secondo la Gazzetta di Modena.
E’ del tutto evidente che qualcosa proprio non funziona nella libera stampa italiana…

Non guardate il dito


Non guardate ai fallimenti bancari, pensate al blocco produttivo occidentale a seguito delle sanzioni alla Russia, pensate agli Arabi, ai Russi, ai Cinesi che nella primavera del 2022 se ne andarono dalle banche inglesi. Pensate alla Truss, che si dimise per questo motivo, non essendoci più, come ai tempi della Thatcher, la City. Pensate alle banche svizzere, che perdevano capitalizzazioni. Pensate ai BRICS, che nel 2022 superavano di PIL il G7. Pensate ai porti cinesi, bloccati per lockdown, pensate ai lockdown occidentali, che hanno provocato un cortocircuito produttivo mondiale. Pensate al PNRR, tutto fondato su digitale e green, i pacchi del XXI secolo per i quali ci siamo indebitati. Pensate ai convegni di banchieri, politici, industriali, consulenti pagati profumatamente sulla transizione digitale ed ecologica, pensate a me, la cui moglie ha un auto di 20 anni fa e non sappiamo cosa sia Musk. Pensate ai colossi high tech americani, che negli ultimi mesi annunciavano migliaia di licenziamenti. Pensate alla confisca delle riserve valutarie russe, alla conseguente non fiducia mondiale, per il quale si aumentarono i tassi di interesse in USA, UK, UE, con la scusa dell’inflazione che era da offerta. Pensate al servizio del debito dei proletari occidentali a seguito di ciò, all’aumento stratosferico delle bollette a seguito di sanzioni. Insomma, pensate all’imbecillità umana e troverete il famoso Occidente.
Pasquale Cicalese

Fonte

Digitalizzazione, lotta al contante e un’umanità inaridita

“Fino a pochi anni fa i regimi sguinzagliavano le spie per registare e reprimere il malcontento dei sudditi. E il tiranno Dionigi di Siracusa, si dice, ascoltava i sussuri dei prigionieri facendoli rinchiudere nella grotta a forma di orecchio che porta il suo nome. Oggi queste smanie dispotiche e paranoiche sono rese ordinarie dalla digitalizzazione di ogni dettaglio della vita pubblica e privata – conversazioni, documenti, registrazioni audiovisive e, appunto, transazioni economiche – che può essere comodamente scandagliato con un PC in rete e la password giusta. Sicché la lotta al contante riflette anche la volontà di espugnare uno degli ultimi fortini rimasti immuni dallo scrutinio del panopticon elettronico: la libertà di vendere e di comprare senza lasciar traccia di sé.
L’onniscenza è l’anticamera dell’onnipotenza, la mappa per colpire chirurgicamente chiunque e dovunque. L’anno scorso il presidente del Canada Justin Trudeau ha fatto bloccare i conti correnti dei manifestanti che protestavano contro le misure sanitarie imposte nel Paese. La legge glielo consentiva? No, ma gli è bastato proclamare una «emergenza nazionale» (Emergency Act) per mandare legalmente sul lastrico i suoi oppositori e chiudere anche i wallet in criptovalute collegati ai manifestanti, dando (si spera) una sveglia a chi ancora credesse di trovarvi un porto sicuro. Il precedente ha poi ispirato la Corte Suprema brasiliana che nell’ultimo mese ha fatto chiudere i conti bancari di chi contestava l’esito delle elezioni presidenziali. E PayPal, la più importante piattaforma di pagamenti online che già in passato aveva sospeso i conti di alcune testate web e associazioni non allineate con le opinioni ufficiali, l’ottobre scorso ha pubblicato un aggiornamento delle sue condizioni d’uso in cui si arrogava il diritto di confiscare 2.500 dollari agli utenti che avessero diffuso «disinformazione». Travolta dalle polemiche, il giorno dopo ha corretto il tiro precisando che si sarebbe trattato di «un errore». Di un errore ragionato, scritto e approvato fino all’ultima revisione. Appoggiato lì, forse in attesa di tempi peggiori.
Chi si consola pensando che queste ritorsioni sarebbero «giustificate» dimentica che la tirannide è un metodo di governo, non un’idea o una bandiera. È un peso senza contrappesi, garanzie, mediazioni, opposizioni e processi, che una volta istituito può realizzare all’istante qualsiasi capriccio insindacabilmente «giusto» per chi comanda e solo incidentalmente tale per chi si spella le mani dal basso. Il controllo attivo e passivo sulle compravendite, già alluso nell’ultimo testo della Bibbia (Ap 13,16-17), sgombrerebbe ogni ostacolo sulla via infernale dei «crediti sociali» e il collegato automatismo di sorveglianza e sanzione.
A un livello ancora più radicale, la smania di tracciare ogni centesimo rispecchia l’ossessione di una civiltà che ha smesso da tempo di considerare il denaro e i suoi movimenti come uno strumento e ne ha fatto invece il metro universale dell’essere: spostamenti, stili di vita, relazioni, affetti, caratteri, fantasie, opinioni e quindi anche «virtù» singole o nazionali. Un mondo dove tutto si può comprare pone innanzitutto il problema ontologico di un’identificazione totale col soldo che, in quanto creduta, è anche voluta: tutto si deve comprare e ciò che non è in vendita non può essere.
(…) Chi controlla il denaro minaccia di controllare ogni cosa perché il denaro controlla già ogni cosa. E la controlla perché la informa, ne costituisce per sciagurato consenso l’unica rappresentazione plausibile. Perciò la guerra alle monetine non fa che perfezionare una profezia già avverata e tradurre in pratica una volontà di dominio che ha già trionfato nell’idea. È l’ultima saldatura di una visione che fa impallidire il pur squallido riduzionismo cartesiano e il pur tetro «regno della quantità» guénoniano, di una Flatlandia usuraia dove una sola dimensione surroga la realtà fisica e morale finendo per reclamare la nullità di tutto ciò che non può misurare. Di ciò che, non a caso, dà luce e senso alla vita: la gratuità, la dignità, la divinità, gli stessi beni materiali di cui mammona si scoprirebbe un’ombra rachitica, un Tauschwert parassitico e ancillare. Di questo deserto inumano la lotta al contante non è la causa ma il prodotto inevitabile e atteso, lo svelamento finale.”

Da Niente denaro, tutto denaro de Il Pedante.

La nostra inadeguatezza nella lotta alla guerra e nel conflitto sociale


Tra pochi giorni il primo anniversario della guerra in Ucraina e nella occasione vogliamo aprire una discussione dentro le realtà che si oppongono al conflitto, all’invio di armi all’Ucraina e alle politiche della NATO.
La prima considerazione riguarda la debolezza del movimento contro la guerra che ha portato nelle piazze numeri ridotti di manifestanti relegando al solo sindacalismo di base il compito, arduo, di indire scioperi contro le politiche di guerra che impongono tagli allo Stato sociale e sacrifici crescenti alle classi sociali meno abbienti. Invocare l’unità del popolo contro la guerra è anche un sintomo di debolezza perché a forza di creare ponti con posizioni contraddittorie e dettate dalla equidistanza e dalla negazione del conflitto di classe abbiamo scavato una fossa nella quale noi stessi stiamo sprofondando.
Per troppi anni abbiamo scisso le politiche economiche e sociali da quelle di guerra, l’assenza di una lettura oggettiva delle ragioni del conflitto spinge molti, troppi, a irrigidirsi sulle posizioni ideologiche e di principio perdendo di vista invece l’obiettivo di unificare il conflitto contro il nemico esterno e quello interno.
Se pensiamo alla Bussola europea è difficile trovare qualche analisi critica sulle strategie neokeynesiane di guerra della UE, come è ormai raro individuare qualche piazza apertamente schierata contro la NATO. La Bussola europea spinge l’Italia e il vecchio continente alla guerra, prima ce ne rendiamo conto meglio è.
La debolezza del movimento contro la guerra nasce a nostro avviso dalla debolezza di contrapporsi alle politiche economiche e sociali che le guerre alimentano, dalla debacle dei movimenti operai e conflittuali soprattutto in Italia.
Se pensiamo a quanto accade in GB, Francia e Spagna con milioni di manifestanti in piazza contro i tagli alla previdenza al welfare e contro le riforme previdenziali non possiamo che constatare quanto sia arretrato il conflitto in Italia e da qui comprendere anche i consensi elettorali alle destre.
Possiamo irrigidirci sulle parole d’ordine, possiamo inserire questa o quella frase per noi discriminante nei manifesti e nelle piattaforme di qualche iniziativa ma resta ineludibile il fatto che in Italia non ci si mobiliti contro la guerra, contro l’aumento delle spese militari e nello stesso tempo si assista passivamente alla ulteriore precarizzazione del lavoro e ai tagli al sociale.
Forse, con il beneficio del dubbio e senza certezze precostituite, è arrivato il momento di fare i conti con la nostra inadeguatezza e per farlo non servono posizionamenti ideologici ma una lettura della realtà oggettiva e pratiche politico sociali e sindacali conseguenti.

(Fonte)

Perché Substack?

Il messaggio per voi, lettori, su di me e su “Substack”
Di Seymour M. Hersh, autore della recentissima inchiesta su quanto successo ai gasdotti North Stream 1 e 2

Sono stato un freelance per gran parte della mia carriera. Nel 1969 raccontai la storia di un’unità di soldati americani in Vietnam che aveva commesso un orribile crimine di guerra. Avevano ricevuto l’ordine di attaccare un normale villaggio di contadini dove, come sapevano alcuni ufficiali, non avrebbero trovato alcuna opposizione, e gli fu detto di uccidere a vista. I ragazzi uccisero, violentarono e mutilarono per ore, senza trovare alcun nemico. Il crimine fu insabbiato ai vertici della catena di comando militare per diciotto mesi, finché non lo scoprii.
Per quel lavoro vinsi un premio Pulitzer per il giornalismo internazionale, ma farlo conoscere al pubblico americano non fu un compito facile. Non ero un giornalista di lunga data che lavorava per un gruppo mediatico affermato. La mia prima storia, pubblicata da un’agenzia di stampa a malapena esistente gestita da un mio amico, fu inizialmente rifiutata dai direttori delle riviste Life e Look. Quando finalmente il Washington Post la pubblicò, la disseminò di smentite del Pentagono e dello scetticismo sconsiderato dell’addetto alla revisione.
Per quanto possa ricordare mi è stato detto che le mie storie erano sbagliate, inventate, oltraggiose, ma non mi sono mai fermato. Nel 2004, dopo aver pubblicato le prime storie sulla tortura dei prigionieri iracheni ad Abu Ghraib, un portavoce del Pentagono rispose definendo il mio giornalismo “un insieme di sciocchezze”. (Disse anche che ero uno che “tira fuori strambe teorie” e che “si aspetta che qualcuno rimuova ciò che è reale”. Per quel lavoro vinsi il mio quinto premio “George Polk”.)
Ho fatto il mio dovere presso le maggiori testate, ma lì non mi sono mai trovato a mio agio. In tempi più recenti, non sarei stato comunque il benvenuto. Il denaro, come sempre, era parte del problema. Il Washington Post e il mio vecchio giornale, il New York Times (per citarne solo alcuni), si sono ritrovati in un ciclo di diminuzione delle consegne a domicilio, delle vendite in edicola e di visualizzazioni pubblicitarie. La CNN e i suoi derivati, come MSNBC e Fox News, si battono per i titoli sensazionalistici piuttosto che per il giornalismo d’inchiesta. Ci sono ancora molti giornalisti brillanti al lavoro, ma gran parte del giornalismo deve rientrare in linee guida e in vincoli che non esistevano negli anni in cui scrivevo storie quotidiane per il Times.
È qui che entra in gioco Substack. Qui ho il tipo di libertà per cui ho sempre lottato. Su questa piattaforma ho visto come tanti scrittori si sono liberati dagli interessi economici dei loro editori, hanno approfondito le storie senza temere il numero di parole o i millimetri della colonna e, cosa più importante, hanno parlato direttamente ai loro lettori. E quest’ultimo punto, per me, è il fattore decisivo. Non sono mai stato interessato a socializzare con i politici o ingraziarmi i tipi danarosi ai boriosi cocktail – le fottute feste delle star, come mi è sempre piaciuto chiamarle. Do il meglio di me quando sorseggio bourbon a buon mercato con i militari, lavoro con i novellini degli studi legali per ottenere informazioni o scambio storie con il neoministro di un Paese che la maggior parte delle persone non sa nominare. Questo è sempre stato il mio stile. E a quanto pare, è anche l’ethos di questa comunità telematica.
Quello che troverete qui è, spero, un riflesso di questa libertà. La storia che leggerete oggi è la verità per trovare la quale ho lavorato tre mesi, senza alcuna pressione da parte di editori, direttori o colleghi per renderla conforme a certe linee di pensiero o ridimensionarla per alleviare le loro paure. Substack significa semplicemente che l’inchiesta giornalistica è tornata… senza filtri e programmi – proprio come piace a me.

[Fonte – i collegamenti inseriti sono a cura della redazione]


Questa canzone è dedicata a tutte le persone amanti della pace che stanno assumendo una coraggiosa posizione contro l’imperialismo USA e l’espansione della NATO, alleanza militare aggressiva e bellicista.

“In Russia siamo abituati a giudicare in base ai fatti”

Lettera aperta dell’Ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Sergey Razov, al Ministro della Difesa della Repubblica Italiana, Guido Crosetto
Ambasciata della Federazione Russa in Italia, 31 gennaio 2023

Egregio signor Ministro,
Il 30 gennaio di quest’anno Lei ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui, tra l’altro, ha affermato che l’Europa non deve chiudere le porte ai russi e percepire il popolo russo come un nemico. “Non ho mai condiviso chiusure verso gli artisti, gli sportivi, la popolazione civile. Dobbiamo lasciare dei canali di dialogo aperti” – ha detto. E ha aggiunto: “Perché negare i visti ai cittadini russi? Sarebbe meglio che le persone venissero in Europa anche per ascoltare una voce diversa”.
Concordiamo di rado con le Sue dichiarazioni e azioni soprattutto per quanto riguarda la fornitura di armi italiane all’Ucraina, ma credo che quasi tutti i cittadini russi sottoscriverebbero senza esitazione queste parole. E lo stesso farebbero, suppongo, anche in Italia. Ma in che misura tali parole corrispondono alla realtà? Esaminiamo i fatti concreti. Chi è che sta riducendo le opportunità di contatto e di dialogo tra i popoli dei nostri paesi?
La Russia, fondamentalmente per iniziativa del precedente governo italiano, è stata privata dell’accesso a 300 miliardi di dollari delle proprie riserve valutarie. Ora si discute della possibilità di uno scippo definitivo. E stiamo parlando dei soldi dei contribuenti russi.
L’Italia continua a sequestrare immobili, proprietà e altri beni di uomini d’affari russi dichiarati “oligarchi”. Su questa base, giuridicamente traballante, viene discriminata un’intera categoria di cittadini del nostro Paese che ha investito i propri capitali nello sviluppo dell’Italia.
Con pretesti inverosimili e con la scusa della “solidarietà”, sono stati ingiustificatamente espulsi dall’Italia 30 dipendenti dell’ambasciata russa a Roma (con i familiari: 72 in totale), persone che tanto si erano adoperate per sviluppare e rafforzare le relazioni bilaterali. Tra questi, anche coloro che, nel periodo più difficile della pandemia di coronavirus, hanno contribuito a organizzare l’operazione militare-umanitaria russa svoltasi in Italia nel marzo-maggio 2020 per aiutare le popolazioni colpite del Paese amico. In segno di “gratitudine”, l’Italia ha riconosciuto ai nostri diplomatici lo status di “persona non grata”.
Su impulso degli allora vertici del Ministero degli Esteri italiano, membri di spicco della società civile russa sono stati privati dei riconoscimenti statali italiani. Molti di loro erano stati premiati, tra l’altro, per la loro assistenza disinteressata nella ricostruzione della città dell’Aquila, colpita da un devastante terremoto nel 2009.
Su iniziativa della parte italiana, sono stati interrotti i collegamenti aerei diretti tra i nostri Paesi, riducendo così al minimo il turismo russo in Italia. I nostri connazionali che riescono a raggiungere il Belpaese devono affrontare complicate procedure di rilascio dei visti, il cui costo è più che raddoppiato, e una volta in Italia si scontrano con il rifiuto, da parte di alcune aziende, di vendere loro merci per un valore superiore ai 300 euro.
Il reale atteggiamento nei confronti degli esponenti del mondo culturale russo risulta evidente dai casi di annullamento delle esibizioni in Italia del direttore d’orchestra di fama mondiale V.Gergiev, della pianista V.Lisitza o del ballerino S.Polunin, annullamento determinato unicamente dalla loro posizione politica.
L’atteggiamento nei confronti dei contatti nel campo dello sport è illustrato in modo eloquente dal rifiuto delle autorità italiane, nel marzo 2022, di consentire l’organizzazione di un volo umanitario per trasportare una squadra di atleti paralimpici russi con disabilità, bloccati dalla chiusura dello spazio aereo.
Servizi bancari rifiutati senza motivo, chiusure forzate di conti correnti e altre restrizioni discriminatorie legate al possesso di passaporto russo o semplicemente all’indicazione sui documenti della Russia come luogo di nascita, sono diventati un fenomeno comune nella vita dei nostri connazionali presenti in Italia.
E questo non è assolutamente un elenco esaustivo dei passi compiuti dall’anno scorso da parte italiana per impedire unilateralmente i contatti, distruggere i canali di dialogo bilaterale attivi in precedenza. E qui, signor Ministro, sono sicuro che troverebbe molto difficile citare una qualsiasi iniziativa adottata nella stessa direzione da parte russa.
In Russia siamo abituati a giudicare in base ai fatti piuttosto che alle parole. E i fatti sono molto lontani dalle Sue parole, alla cui sincerità, pur volendolo, è difficile credere.
Rispettosamente,
S. Razov

(Fonte)

P2023

PROPAGANDA: azione che tende a influire sull’opinione pubblica e i mezzi con cui viene svolta. È un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto. La propaganda moderna tende a rivolgersi in modo particolare non alla ragione, bensì all’inconscio ed all’irrazionale; i mezzi cui ricorre sono tutti quelli atti a provocare emozioni intense, anche se non immediatamente apparenti, ma durature. Essa è strumento di tutti i governi in occasione di quelle crisi, internazionali e interne, che rendano necessario convogliare in un’unica direzione la volontà del popolo, in special modo nelle guerre.

Sovranismi strabici

“All’interno di quello che “The Economist” definisce il nascente ‘ordine mondiale alternativo’ è utile interrogarsi a quali degli attori della sfida globale giovi maggiormente il sovranismo o meglio i diversi sovranismi nazionalisti, quello anti-UE e filo-NATO e quello anti-UE e anti-NATO. Il primo, il sovranismo di destra ed estrema destra che esercita una richiesta di riappropriazione di sovranità nei confronti dell’UE ed evidenzia un posizionamento geopolitico atlantista, risulta funzionale al completo assoggettamento dell’Europa agli Stati Uniti ed è, pertanto, un fattore di mantenimento dell’ordine mondiale unipolare a guida americana. Il sovranismo nazionale anti-UE e anti-NATO si colloca in una prospettiva che mira a distaccare la nazione dai legami istituzionali con l’UE e dalla sudditanza geopolitica agli Stati Uniti. Anche questo ramo del sovranismo resta meramente nazionalista e non si attiva in senso europeista, in quanto identifica l’Europa con l’UE che considera lo strumento istituzionale e burocratico del globalismo.
Non è questa la sede per approfondire le diverse anime interne alle istituzioni europee, specie in materia di difesa comune, e il dibattito tra una minoranza che richiede autonomia strategica ed una maggioranza che concepisce l’Europa come parte dell’universo euro-americano; ciò che è rilevante in questa sede è che il sovranismo anti-UE e anti-NATO percepisce l’UE come irriformabile. Se nell’attuale scenario di guerra la presa di distanza e la critica serrata alla NATO, accusata, secondo una prospettiva mearsheimeriana, di aver accerchiato la Russia con una vera e propria minaccia militare, si traduce in una richiesta di rottura della sudditanza nazionale verso Stati Uniti, la mancanza di una proposta aggregativa europeista rischia di lasciare tale approccio in una situazione di fragilità e irrealizzabilità rispetto alla forza cultural-mediatica euro-atlantista e alla vasta presenza dell’atlantismo a livello parlamentare.
A parte la Germania che, col suo piano di riarmo da decifrare in termini geopolitici (riarmo autonomo, europeo collaborato o legato all’industria bellica americana?), preoccupa gli Stati Uniti, molte nazioni, anche qualora la prospettiva sovranista anti-UE e anti-NATO riscuotesse un elevato, ma ad oggi alquanto improbabile, successo elettorale, finirebbero per trovarsi in una condizione di fragilità rispetto al dominus americano. Se, dunque il sovranismo anti-UE e filo-NATO è direttamente funzionale all’unipolarismo americano, il sovranismo anti-UE e anti-NATO non sembra potersi attivare in proposte geopolitiche alternative all’unipolarismo e potrebbe condurre piuttosto all’isolamento tipico dei sovranismi nazionali.
Per i sostenitori dell’unipolarismo a guida americana il sovranismo nazionalista di matrice atlantista è ovviamente un alleato e/o uno strumento al tempo stesso, mentre il sovranismo anti-UE e anti-NATO, qualora non riscuotesse maggiori consensi elettorali, potrebbe anche essere lasciato prosperare come accettabile avversario incapace di proporre una strategia geopolitica alternativa.
Ciò che minerebbe o rappresenterebbe una minaccia per l’unipolarismo americano e le sue certezze di controllo geopolitico del continente europeo sarebbe, invece, un sovranismo europeista che reclami un’autonomia geopolitica, di difesa e di relazioni internazionali e proponga una riforma dell’UE su basi europeiste e un distacco dalla dominante prospettiva euro-americana. Le leve cardine a disposizione degli Stati Uniti per procrastinare l’unipolarismo a guida americana e impedire l’autonomia strategica europea sono fondamentalmente due. Il congelamento delle istituzioni europee all’attuale condizione di euro-americanismo e lo stimolo dei sovranismi nazionali che reiterino le divisioni del continente e le conflittualità nazionalistiche. Si può, pertanto, asserire che nell’attuale quadro geopolitico, caratterizzato dal passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo e dal riemergere di una guerra fredda Ovest-Est, il sovranismo nazionalista può rappresentare uno degli strumenti della geopolitica statunitense, anche accettando un comodo avversario come il sovranismo anti-UE e anti-NATO che, pur criticando gli Stati Uniti e il loro imperialismo, mantiene una prospettiva dividente per il quadrante europeo e quindi a suo modo funzionale a frammentazione e depotenziamento dell’Europa.”

Da I sovranismi alla prova della guerra in Ucraina, di Nicola Guerra, in “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, n. 1/2023, pp. 42-44.

Le contraddizioni dell’immigrazione


“I fenomeni agitati hanno ovviamente sempre una base reale: le migrazioni, causate dall’impoverimento di vaste aree del mondo a causa dello sfruttamento delle economie capitaliste dominanti, è in grado di generare grossissime contraddizioni negli Stati in cui i migranti fanno ingresso. Basti pensare al fenomeno delle Banlieues francesi o dei quartieri svedesi pieni di immigrati, divenuti ormai scenari di film e note serie televisive. Il contatto ed il confronto con le fasce disagiate autoctone genera fenomeni esplosivi. Le zone più povere della Germania sono un proficuo bacino elettorale per partiti che agitano la tematica dell’immigrazione in modo securitario.
Tuttavia, le contraddizioni generate dall’immigrazione, se ben comprese, dovrebbero spingere chi le subisce a mobilitarsi contro la causa principale – la barbarie dell’economia capitalista – la quale è responsabile del disagio degli autoctoni come delle sofferenze dei migranti.
Perché ciò non avviene? La risposta sta nelle osservazioni contenute nel citato passo dell’Ideologia tedesca: “la classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale”. La tematica dell’immigrazione è spesso agitata in prima battuta dai media, anche – e forse soprattutto – generalisti. Spesso i partiti populisti si accodano vedendo un’opportunità di egemonia. Ogni giorno il migrante viene presentato come pericolo sociale, evento criminale, fenomeno da combattere con “la forza” dello Stato. Per contro, le visioni opposte che i media mainstream consentono di vedere si polarizzano in un pauperismo pseudoreligioso, che si dedica a descrivere il fenomeno delle migrazioni come sola sofferenza, dimenticando che spesso la sofferenza non crea angeli, ma spine che incidono nella carne viva di altri sofferenti. Dal momento che le contraddizioni sono invece esistenti, gli strati sofferenti autoctoni percepiscono come bugiarda e altoborghese la visione umanitaria, mentre convalidano come aderente alla realtà la propaganda securitaria dei “falchi” dell’immigrazione.
Lo strumento populista consente così di deviare abilmente le conseguenze delle contraddizioni sociali verso un nemico costruito, e di fatto innocente quanto i sofferenti autoctoni. Il colpevole principale viene nascosto con soddisfazione, e con altri benefici che di seguito andiamo a descrivere:
– la marginalizzazione sociale dei migranti consente un proficuo sfruttamento da parte di tutti i settori del capitale, da quello illegale del lavoro in nero, a quello del lavoro povero, agendo da ulteriore spinta alla deflazione salariale.
– la fede degli strati disagiati della popolazione nella narrativa securitaria anti immigrazione rafforza il ruolo e la legittimazione dello Stato ad usare la repressione, scoraggiando anche la mobilitazione di lotte antagoniste.
Le domande insoddisfatte vengono così abilmente sviate dalla classe dirigente verso un bersaglio innocuo, evitando le responsabilità politiche e sociali. Il dissenso viene così “costruito” ed organizzato a favore del mantenimento del potere dominante.”

Da Quando il populismo è strumento di egemonia del potere dominante, di Enzo Pellegrin.

“Il neocolonialismo è morto”

“Pubblichiamo la traduzione di questa lunga intervista a Mohamed Hassan – curata da Grégoire Lalieu del collettivo Investig’Action e co-autore di La Strategie du chaos e Jihad made in USA – pubblicata il 26 ottobre sul sito del collettivo.
Paesi che si rifiutano di tagliare i ponti con la Russia. I dirigenti turchi che sfidano le minacce di Washington. L’Arabia Saudita che disobbedisce a Biden. L’America Latina che vira “a sinistra”. Una parte dell’Africa che volta le spalle ai suoi vecchi e nuovi “padrini” neo-coloniali. È chiaro che il mondo sta cambiando. E Mohamed Hassan ci aiuta a vederlo più chiaramente, anche per le prospettive “rivoluzionarie” che si aprono per le classi subalterne europee, oltre che per i popoli del Tricontinente.
Questo in una situazione in cui anche gli Stati Uniti non solo stanno perdendo la propria egemonia all’esterno, ma soffrono una crisi sociale che avrà dei precisi riflessi anche nelle vicine elezioni 
Mid-term dell’8 novembre.
Afferma giustamente Hassan: “O
ggi ci sono 500.000 senzatetto per le strade degli Stati Uniti e il loro tasso di mortalità è salito alle stelle. Ci sono anche due milioni di prigionieri su un totale di undici milioni in tutto il mondo. Il tasso di povertà infantile è del 17%, uno dei più alti del mondo sviluppato secondo il Columbia University Center on Poverty and Social Policy. L’imperialismo sta distruggendo gli Stati Uniti dall’interno e non ha impedito ai due grandi rivali, Russia e Cina, di conquistare potere. Questo aumento di potere indebolisce le posizioni dell’imperialismo statunitense nel mondo”.
Un mondo è al crepuscolo, un altro sta sorgendo sullo sfondo di uno scontro sempre acuito tra un blocco euro-atlantico ed i suoi satelliti ed uno euro-asiatico in formazione.
Ai comunisti che lavorano dentro lo sviluppo delle contraddizioni in Occidente, “per linee interne” al movimento di classe – a volte tutto da ricostruire – si apre nuovamente la possibilità di giocare un ruolo nella Storia, con la S maiuscola e lasciarsi dietro le spalle le proprie sconfitte..
Si pone nuovamente l’attualità della Rivoluzione in Occidente e dello sviluppo del Socialismo nel XXI Secolo, se non si viene schiacciati dalle chiacchiere dei ciarlatani al soldo degli apparati ideologici dominanti.
L’ex diplomatico etiope, specialista di geopolitica, analizza le ripercussioni della guerra in Ucraina, che segna una svolta storica. In che modo gli Stati Uniti hanno perso influenza? Perch
é l’Africa si oppone alle potenze occidentali? Quale futuro per l’Europa? Che ruolo possono avere i lavoratori?
In La strategia del caos Mohamed Hassan aveva parlato della transizione verso un mondo multipolare. Undici anni dopo, quella che ai tempi era solo la prefigurazione di una tendenza, ora è una realtà in atto, ed in questa intervista ne fa un bilancio.”

Il testo integrale dell’intervista è qui.

Il gruppo musicale sloveno Laibach rende omaggio al cantautore Leonard Cohen (1934-2016), reinterpretando una sua canzone pre-apocalittica denominata The Future, risalente al 1992. Questa versione rende chiaro che il futuro previsto da Cohen assomiglia moltissimo al nostro presente.

Guerra climatica


Di Peter Koenig*, per globalresearch

“Chi controlla il tempo controlla il mondo” – Lyndon B. Johnson, 1962

Quello che stiamo vedendo in questi giorni con l’uragano “Ian” che devasta i Caraibi, le coste della Florida e l’entroterra, poi fino alla Carolina del Sud, causando la massiccia distruzione di infrastrutture, di terreni coltivati, la morte di animali e persone, così come la cancellazione di tutti voli da New York alla Florida, questo è uno stato di guerra.
È chiamato anche geoingegneria.
Negli ultimi due anni è diventato un luogo comune.
“Scie chimiche”, il termine ormai comune con cui si indica l’attività di spruzzare letteralmente nell’alta atmosfera tonnellate di decine di migliaia di particelle chimiche differenti da parte degli aeroplani, è diventato una tecnologia coperta da centinaia se non migliaia di brevetti. Non solo brevetti statunitensi. Brevetti da Paesi di tutto il mondo.
Lo sapevate che la Spagna insieme a oltre 50 Paesi stanno attualmente svolgendo “attività per cambiare artificialmente il clima”? Lo ha detto di recente l’agenzia meteorologica spagnola AEMET e parla di “scie chimiche di condensazione” o “scie chimiche”. Vedetevi questo.
Per avere un quadro completo su cosa si basa la geoingegneria, la sua storia – risalente almeno al 1947, probabilmente anche più indietro – il suo background scientifico, la segretezza – e la potenza – potenza bellica, letteralmente da usare per la guerra meteorologica, dovreste guardare The Dimming.
La geoingegneria potrebbe essere simile al Progetto Manhattan (Progetto Manhattan era il nome in codice dello sforzo guidato dagli Americani per sviluppare un’arma atomica funzionale durante la seconda guerra mondiale).
Secondo le stazioni meteorologiche della Florida, Ian è il peggior uragano che ha colpito la Florida da decenni, probabilmente da sempre.
La devastazione di Ian – la cui portata non può ancora essere misurata – sta lasciando dietro di sé danni, che potrebbero richiedere anni di lavoro per la pulizia e la ricostruzione.
Guardatevi questo video rivelatorio di 3 minuti.
Come l’estate calda e secca – in Europa e Nord America quasi due mesi senza una goccia di pioggia e temperature record – uccide i raccolti, gli animali, le scorte di cibo, persino le persone, le persone vulnerabili al caldo e i poveri. I poveri sono sempre in prima linea ad essere colpiti e feriti dalla miseria.
Naturalmente, lo scenario si inquadra perfettamente negli obiettivi del Great Reset e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Si adatta al quadro generale, che non dovremmo mai dimenticare, quando guardiamo ai singoli eventi catastrofici. Tutto quello che dobbiamo fare è unire i puntini.
In una conferenza a Davos, in Svizzera, alla fine di agosto 2022, un professore di meteorologia di una delle più importanti università tecniche d’Europa, si è rivolto al pubblico dicendo: “Non c’è bisogno di dirvi che il nostro clima è progettato a tavolino. È ovvio. Ma vi spiegherò come si fa”.
Quindi proseguì spiegando i diversi processi, le migliaia di differenti sostanze chimiche che vengono rilasciate nell’atmosfera, cosa fanno – e come vengono brevettate – e come queste particelle velenose, molte contenenti metalli pesanti e sostanze chimiche tossiche, finiscono nei corsi d’acqua, laghi e falde acquifere. Si sta utilizzando il clima per scopi militari. La sua devastazione potrebbe essere distruttiva quasi quanto una bomba nucleare. Forti tempeste, siccità, alluvioni, freddo – bufere glaciali – e altro ancora possono essere applicati in qualsiasi parte del mondo.
Con la propaganda massiccia e implacabile dei “Verdi” sarà semplicemente attribuito al “cambiamento climatico”. La gente spaventata e indottrinata – ancora una vasta maggioranza – non metterà in dubbio il motto del cambiamento climatico. Annuisce e accetta, e spera di poter sopravvivere e ricostruire. Coloro che perdono i propri cari, daranno la colpa al “cambiamento climatico” provocato dall’uomo.
Sì, è provocato dall’uomo. Ma non ha nulla a che fare con il “rilascio eccessivo di anidride carbonica”, o CO2. È la geoingegneria climatica trasformata in un’arma da guerra mortale. Vedetevi questo.
In molti luoghi, o in interi Paesi, in quest’estate del 2022 l’acqua è stata razionata.
Ingiustamente, perché ci sono stati anni nella storia recente, in cui le falde acquifere erano più basse in tutta Europa e Nord America, e nessun razionamento di acqua era capitato.
Il razionamento dell’acqua è una tattica intimidatoria. Tutti sanno che l’acqua è essenziale per la vita. Il razionamento diffonde paura e incita sottomissione alle autorità che decidono sul vostro accesso all’acqua. Fa parte dell’allarmismo, assoggettare le menti della gente in una dipendenza dall’autorità.
Le autorità vi permetteranno di utilizzare o meno acqua e/o energia e/o cibo. Vi è stato detto che ci sono scarsità. Queste scarsità saranno accompagnate da altre scarsità. Stanno provocando panico e carestia, in particolare nei segmenti vulnerabili della popolazione.
Nessuno vi dice che tutte queste scarsità – per lo più incolpando la Russia al posto loro, in modo falso ovviamente – sono create artificialmente – tutte con lo scopo di controllare l’umanità – il programma del Great Reset del Forum Economico Mondiale, alias Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
La combinazione di tutto questo, comprese le precedenti dosi multiple dei velenosi vaccini a mRNA, indebolendo il sistema immunitario umano, può anche causare enormi morti per carestia, una moltitudine di malattie e cause legate alla miseria, inclusi suicidi in aumento massiccio, ma non riportati.
Ancora una volta, nessuno ve lo dice – queste sono scarsità artificiali, scarsità arbitrarie create dall’uomo con lo scopo di creare danni, gravi danni – e fare avanzare l’agenda eugenista del Reset.
Il punto è che la geoingegneria è avanzata a un livello in cui Washington può facilmente dire “entro il 2025 possiederemo il clima”. Vedetevi questo e questo.
Possedere il clima, per il Pentagono significa utilizzarlo per scopi bellici.
Possibilmente usandolo al posto di – o in parallelo con – armi nucleari; esplosioni nucleari mirate a piccolo raggio.

*

Solo quando una massa critica di gente sarà consapevole di ciò che sta accadendo – e di cosa ciò potrebbe significare per il futuro dell’umanità, noi, il popolo, potremo contrastare questi diabolici meccanismi di controllo di un oscuro culto e il suo obiettivo di un Ordine Mondiale – digitalizzazione totale, robotizzazione e globalizzazione della popolazione mondiale sopravvissuta.
Non lo raggiungeranno.
Perché noi umani risvegliati non lo permetteremo. Il nostro spirito, la fisica dinamica e quantistica, alla ricerca della luce, la nostra vibrazione con la luce, impediranno al culto oscuro di avere successo.

*Peter Koenig è un analista geopolitico ed ex Senior Economist presso la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dove ha lavorato per oltre trenta anni in tutto il mondo. Insegna in università negli Stati Uniti, in Europa e in Sud America. Scrive regolarmente per riviste online ed è l’autore di Implosion – An Economic Thriller about War, Environmental Destruction and Corporate Greed, e coautore del libro di Cynthia McKinney When China Sneezes: From the Coronavirus Lockdown to the Global Politico-Economic Crisis.
Egli è ricercatore associato presso il Centro di Ricerche sulla Globalizzazione. È anche ricercatore senior non residente dell’Istituto Chongyang della Renmin University di Pechino.

(Traduzione a cura della redazione)

Formazione di massa, ideologia e complottismo

Pensieri provinciali

Pubblico una citazione tratta da un recente testo, a parer mio fondamentale da molti punti di vista per comprendere questi ultimi due anni e per elaborare azioni e strategie di contrasto che possono risultare efficaci. Il testo è Psicologia del totalitarismo di Mattias Desmet. Nella citazione da me riportata, è messa in luce una delle possibili risposte sbagliate alla deriva totalitaria, vale a dire quella che si affida a spiegazioni e semplificazioni organizzate attorno all’idea dell’esistenza di un “complotto” ordito da una ristretta cerchia che agisce nascostamente: l’élite.

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Chi non viene toccato dalla formazione di massa si ritrova in una situazione che non riesce a capire (la formazione di massa appare sempre sorprendente e assurda a chi non vi è coinvolto), in cui si sente messo in pericolo dalla mania di controllo che vi regna e dalla tipica intolleranza verso gli esterni. In questo spettatore confuso…

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Resistenza e resilienza

“L’aspetto più inquietante dell’egemonia culturale della nostra epoca riguarda la capacità di far accettare soprusi sempre maggiori. Viene diffusa una nuova parola di moda: resilienza. Resilienza è saper accettare e superare una situazione negativa facendo appello alle proprie forze. Ancora l’individuo! E’ così che un vocabolo forbito nel allontana un altro più usuale ma pericoloso: resistenza. Resistenza è opporsi alle situazioni negative comprendendone la causa, combattendole per eliminarle, con mezzi efficaci.
La resistenza implica però lo sforzo di analisi critica e l’agire collettivo: un uomo solo può sopportare, difficilmente può efficacemente resistere. Ma tanti esseri umani possono resistere anziché piegarsi. Resilienza è la virtù del buon suddito, è il rifiuto a comprendere, è la fiducia in chi dirige, Resistenza è il fiero agire di un collettivo consapevole.
La resilienza consente all’individuo di superare ed accettare un evento negativo. La resistenza mira ad eliminare le cause dell’evento negativo.
(…)
La Resistenza con la R maiuscola è dunque cosa seria: non bastano indignazione, slogan, contraddizioni materiali dolorose, furba acquisizione del consenso. Occorre che una buona moltitudine di persone prenda coscienza e conoscenza, si prepari e si organizzi per dare battaglia con la tattica e la strategia adeguata. Un’impresa che appare impossibile oggi, ma che qualche volta è riuscito nella Storia, combinando sforzo collettivo, conoscenza, buona organizzazione e capacità, anche militare, di combattere.
Praticare resilienza è sempre stato invece evento comune: come la storia ancora ricorda, l’uomo ha accettato su di se anche la schiavitù e la morte, rassegnandosi o non accorgendosene. Dovremmo dunque aspirare all’eccezionalità, ma l’eccezionalità non nasce né dall’isolamento né dalla perfezione individuale. La storia siamo noi cantava Francesco De Gregori, ma pochi intendono il completo significato di questa frase.”

Da Impressioni di settembre, di Enzo Pellegrin.

Un errore strategico che mette a repentaglio i fondamenti del potere


“I principali detentori di titoli di debito USA all’estero sono Cinesi, Giapponesi, Arabi e Belgi. Il presupposto di tali acquisti è ovviamente la fiducia nelle istituzioni finanziarie americane: ed è proprio qui il punto nodale e l’errore tattico di fondo che incrina irrimediabilmente questa fiducia. E’ l’errore tattico che si traduce in disastro strategico. Immaginate che la vostra banca decida di congelare e sequestrare i vostri soldi, regolarmente depositati presso un conto corrente, perché avete preso a schiaffi il vostro vicino di casa e questi potrebbe reclamare un risarcimento danni. Certamente arriverà la Polizia per farvi smettere, e ci sarà un giudice che vi giudicherà per le vostre azioni e magari vi condannerà a un risarcimento dei danni. Dopodiché potrete fare appello contro la sentenza di condanna, e comunque per portarvi via i soldi si devono seguire certe regole stabilite dalla legge (esecutorietà dei titoli, pignoramenti, vendite forzate, eccetera). Insomma, che c’entra la vostra banca con la lite con il vostro vicino? Niente, anzi in genere le banche erano vicine ai loro clienti e cercavano di tutelarne gli interessi a tutti i costi, magari anche con comportamenti al limite o fuori dalla legge, per esempio nascondendo dietro scatole fumose i vostri soldi per sottrarli alle pretese dei terzi creditori. E invece qui, la vostra banca agisce per prima contro di voi sequestrandovi i soldi perché siete stato cattivo e perché domani potrà risarcire il vostro avversario. Se questa cosa capitasse a un vostro amico o conoscente, pensereste che non ci si può fidare di una banca così fatta e che è prudente togliergli i soldi dalle mani al più presto pere evitare che capiti anche a voi. Ora, immaginate che cosa hanno pensato i governanti di Cina, Arabia Saudita, Emirati, India e altri simili Paesi che sono gonfi di titoli del debito pubblico USA. Gli americani, ad esempio, potrebbero pensare domani che la guerra in Yemen è un crimine contro l’umanità (lo è, ma dato che finora è conforme ai loro interessi, si guardano bene dal dirlo), e sequestrare i fondi dell’Arabia Saudita depositati presso di loro. O imporre sanzioni ai Paesi dell’OPEC perché non buttano fuori la Russia dall’organizzazione o perché riducono la produzione per tenere alto il prezzo del petrolio. Il sequestro dei trecento miliardi di dollari che Elvira Nabiullina, Governatore delle Banca centrale Russa aveva (ingenuamente) depositato nelle istituzioni finanziarie occidentali fidando sul rispetto delle regole generali di fiducia tra le banche, ha scatenato il panico in tutto il resto del mondo. Ciascun Paese ha il suo “buco nero” per il quale può domani essere accusato dagli Americani e sottoposto a sanzioni ritrovandosi dalla sera alla mattina senza soldi per fare fronte alle proprie obbligazioni. Ed è cominciata non solo una lenta ma costante fuga dal dollaro, ma anche un’affannosa ricerca di un’alternativa ad esso come moneta di riferimento. Il dollaro è tuttora la moneta di riferimento per le transazioni internazionali, e non solo per le merci che provengono dagli USA, ma anche per le transazioni tra altri Paesi del mondo. Questo fatto, ovviamente, sostiene la domanda globale di dollari, ma sta venendo rapidamente meno: i paesi del BRICS stanno elaborando un sistema di pagamenti alternativi e nel frattempo un numero crescente di transazioni tra di loro viene effettuata in monete locali o in monete di Paesi amici, come il Yuan cinese, ad esempio. La facilità con cui le banche russe sono state estromesse dal sistema di pagamenti SWIFT, ha mostrato che gli Occidentali non si fanno scrupoli di utilizzare un meccanismo studiato per facilitare gli scambi mondiali come un’arma politica. Ma in fondo, lo SWIFT non è altro che un programma che può ben essere sostituito da un altro programma che sia sottratto all’uso politico di un Paese con pretese di dominazione globale. E se si riduce la domanda di dollari, c’è la conseguenza certa di un’implosione del debito pubblico americano e soprattutto del debito estero, con una forte inflazione interna e una svalutazione del dollaro e delle monete sue alleate, euro e Sterlina, soprattutto.
Aver rotto il patto di fiducia tra depositanti e banche comporta il rischio di un tracollo del sistema finanziario occidentale che si fonda proprio su questo patto di fiducia. Certamente, per comprare merci USA ed europee è necessario acquistare dollari e euro, ma anche per comprare merci cinesi o indiane è necessario acquistare Yuan e Rupie. E se le economie occidentali, sul piano finanziario valgono poco meno del 50% del PIL mondiale, esse contano per il 24% circa del PPA, ovvero del PIL per Potere di Acquisto, e il 13% circa della popolazione mondiale. E se le economie occidentali sono stagnanti o in recessione, le economie dei Paesi terzi sono invece in rapida crescita e alla fine le loro logiche finiranno per prevalere. A meno che non si faccia una guerra talmente devastante da inibire quella crescita e fondare il potere sulle cannoniere piuttosto che sulle monete. Già, appunto, la guerra.”

Da L’errore fatale del potere, di Domenico De Simone.

Un rabbino israeliano ricorda chi sono i moderni eroi dell’Ucraina

Il rabbino Mikhail Finkel è stato invitato in televisione per esprimere la propria opinione sull’attuale situazione in Ucraina. Le sue affermazioni hanno sorpreso gli intervistatori i quali supponevano che egli avrebbe coperto il regime di Kiev. Il rabbino e scienziato politico Mikhail Finkel ha deciso di ricordare ai presenti in studio che solo sotto la presidenza Zelensky, l’Ucraina ha votato contro Israele alle Nazioni Unite e firmato risoluzioni anti-israeliane in 36 occasioni. Egli ha ricordato agli spettatori che sono i moderni eroi dell’Ucraina:
“In 36 occasioni solo sotto Zelensky, l’Ucraina ha votato contro Israele alle Nazioni Unite
I loro eroi sono Petlyura, che uccise 200.000 Ebrei. Questo è Shukhevych – un uomo delle SS, questo è Bandera! Questo è Stetsko, il quale disse che tutti gli Ebrei dovrebbero essere distrutti, Yaroslav Stetsko. Questo è Khmelnitsky, che assassinò 300.000 Ebrei.
Ogni anno a Kiev, si tiene una parata della divisione SS “Galizia” e il nostro Ministro degli Esteri protesta contro di essa. Questa è gentaglia, c’è un regime neo-nazista, de jure.
Dico così, metà della mia famiglia fu uccisa da Banderisti e Petliuravisti nei progrom di Petliura!
Questi sono gli eroi dell’Ucraina, a loro sono eretti monumenti e nominate strade.
Questa non è propaganda russa, ma parole del Ministro degli Esteri israeliano. Lo abbiamo detto molte volte, il nostro ambasciatore a Kiev lo ha detto: Bandera non è un eroe, ma un criminale!
Allo Yad Vashem, ognuno può vederlo, sta scritto: collaborazionista e criminale nazista. Cercate su YouTube: Bandera è un fascista.
Non sto giustificando la guerra direttamente. Io sono contro la guerra, contro la sofferenza di civili pacifici. Ma non rappresentate quali eroi gli assassini della mia gente e della mia famiglia.
E non c’è necessità di essere in disaccordo con un grande Paese le cui basi militari sono collocate in Siria e che può rivolgere Hezbollah, la Siria, la Giordania e molti altri Arabi contro di noi in un istante e con lo schiocco delle dita”.

(Fonte – traduzione a cura della redazione)

Colonizzatori e colonizzati


“Noi, come Italiani, o Mediterranei, dopo essere stati colonizzati dagli Angloamericani, ne abbiamo adottato lo sguardo fino ad immaginare che “noi” fossimo come loro, che fossimo noi ad avere sulla coscienza secoli di tratta degli schiavi e di sfruttamento coloniale imperialistico con cui fare i conti (innalzando un paio di patetici e fallimentari episodi in Libia e nel corno d’Africa come se giocassero nella stessa lega con i professionisti).
Nell’ultimo mezzo secolo, abbiamo adottato pienamente e senza remore tutte le dinamiche dei popoli assoggettati, fantasticando che la “vita vera” fosse quella che ci arrivava come immaginario d’oltre oceano, dimenticando tutto ciò che avevamo ed eravamo, per proiettarci nell’esistenza superiore dei colonialisti, pronti ad assumerne i peccati nella speranza che ciò ci assimilasse, almeno da quel punto di vista, al modello irraggiungibile.
Questa condizione di esistenza a metà, tremebonda e felice di essere assoggettata, ma frustrata dal nostro essere ancor sempre distanti dal modello, ha creato ondate di autorazzismo inestinguibile e ha bruciato tutte le possibilità di rinascita.
In sempre maggior misura tutta la nostra cultura, da quella popolare a quella accademica ha iniziato questo processo di mimesi, immaginando che se farfugliavamo qualche neologismo in Inglese o se ne infarcivamo i documenti ufficiali (dai programmi scolastici alle direttive ministeriali) avremmo magicamente acquisito la potenza del nostro santo oppressore.
Come Paese sotto occupazione ci siamo inventati di essere “alleati” degli occupanti, e mentre eravamo orgogliosi del nostro acume nel denunciare “governi fantoccio” in giro per il mondo non vedevamo quelli che si succedevano (e succedono) in casa nostra.
In tutta questa storia di falsa coscienza conclamata, di cui si dovrebbero narrare le vicende in un libro apposito, siamo sempre rimasti un passo al di sotto della consapevolezza di ciò che siamo e possiamo.
Oggi che gli interessi della potenza occupante danno segni di progressivo disinteresse per noi – salvo che come ponte di volo per cacciabombardieri – oggi forse si presenta per la prima volta dopo tre quarti di secolo la possibilità di uscire da questa condizione di falsa coscienza.
Tra non molto saremo forse in grado di applicare lo sguardo dell’emancipazione coloniale anche a noi stessi. Sarà una presa di coscienza dolorosa e vi si opporranno forze enormi, ma il processo è avviato e con il fatale deterioramento della situazione interna esso emergerà sempre di più.”

Da La falsa coscienza di un Paese colonizzato, di Andrea Zhok.

Gli Stati Uniti rivelano le forniture di armi all’Ucraina e creano un’agenzia speciale

Il conflitto in Ucraina è in corso e i contribuenti americani, contro la loro volontà, continuano a finanziare l’invio di armi in Ucraina.

Gli USA si sono già impegnati approssimativamente per 6,8 miliardi di dollari per assistenza alla sicurezza in Ucraina dall’inizio dell’amministrazione Biden, compresi circa 6,1 miliardi di dollari dal 24 febbraio, dice il rapporto del Dipartimento statunitense della Difesa.
Durante il recente vertice della NATO tenutosi a Madrid, il Presidente degli USA Biden ha annunciato nuovi imminenti pacchetti di aiuti.
La Casa Bianca conferma il suo impegno per non fermare la fornitura di armi al Paese devastato dalla guerra. Il contenuto dei pacchetti di aiuti statunitensi dovrebbe estendersi, l’attenzione sarà posta sull’artiglieria, sui sistemi di lancio multiplo dei razzi e su quelli di difesa aerea a medio e corto raggio.
L’ultimo e tredicesimo prelievo di attrezzature militari per l’Ucraina proveniente dagli inventari del Dipartimento della Difesa a partire da agosto 2021 è stato dichiarato il 23 giugno di quest’anno. Finora, in totale, l’aiuto militare all’Ucraina include:
• Più di 1.400 sistemi Stinger anti aerei;
• Più di 6.500 sistemi Javelin anticarro;
• Più di 20.000 altri sistemi anticarro;
• Più di 700 sistemi aerei tattici senza equipaggio Switchblade;
• 126 obici da 155mm e 260mila proiettili di artiglieria da 155mm;
• 36mila proiettili di artiglieria da 105mm;
• 126 veicoli tattici per rimorchiare obici da 155mm;
• 19 veicoli tattici per il recupero di attrezzature;
• 8 sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità (Himars) e relative munizioni;
• 20 elicotteri Mi-17;
• Centinaia di veicoli blindati multiuso a ruote ad alta mobilità;
• 200 veicoli M113 per trasporto truppe;
• Più di 10mila lanciagranate e armi di piccolo taglio;
• Più di 59milioni di munizioni per armi leggere;
• 75mila kit di giubbotti antiproiettile ed elmetti;
• 121 sistemi aerei tattici invisibili senza equipaggio Phoenix;
• Sistemi missilistici a guida laser;
• Sistemi aerei senza pilota Puma;
• Navi senza equipaggio per la difesa costiera;
• 22 radar di contro artiglieria;
• 4 radar contro mortaio;
• 4 radar di sorveglianza aerea;
• 2 sistemi di difesa costiera Harpoon;
• 18 imbarcazioni per pattugliamento costiero e fluviale;
• Mine antiuomo Claymore M18A1;
• Esplosivi C-4 e attrezzature di demolizione per liberarsi dagli ostacoli;
• Sistemi tattici di comunicazione sicura;
• Migliaia di dispositivi di visione notturna, di sistemi a immagine termica, sistemi d’ottica avanzata e telemetri laser;
• Servizi di immagine satellitare per scopo commerciale;
• Dispositivi di protezione per lo smaltimento di ordigni esplosivi;
• Attrezzature protettive da ambienti contaminati per via nucleare, radiologica, biologica e chimica;
• Forniture mediche che includono kit di pronto soccorso;
• Attrezzature di interferenza elettronica;
• Attrezzature da campo e parti di ricambio;
• Finanziamenti della formazione, della manutenzione e operatività.
Lo scorso 20 maggio, è stato riferito che il Pentagono ha creato una nuova agenzia destinata ad accelerare le forniture di armi all’Ucraina, aggirando i ritardi burocratici. Essa è stata denominata Gruppo di Integrazione Senior-Ucraina. I compiti dell’organizzazione includono il trasferimento di attrezzature militari dalle riserve del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America alle Forze Armate [ucraine], il coordinamento delle forniture con la NATO, e la soluzione di questioni umanitarie. Precedentemente, il Pentagono usava una struttura simile per accelerare le forniture militari destinate all’Afghanistan, all’Iraq e alla Siria.
Le consegne di armi all’Ucraina prolungheranno certamente le ostilità. Gli USA stanno anche incoraggiando i propri Paesi satelliti a livello informale a supportare l’Ucraina nella guerra e sono loro stessi un brillante esempio di sostegno per l’Ucraina.

(Fonte – traduzione a cura della redazione)

Una carrellata sugli armamenti abbandonati dalle forze armate ucraine durante la ritirata dall’area metropolitana di Severodonetsk-Lisichansk (fonte).

Articolo aggiornato il 9 luglio 2022

La grande menzogna sul grano ucraino

Kiev non è il granaio del mondo e neppure d’Europa

“La Russia vuole affamare il mondo, bloccando l’esportazione del grano ucraino per via mare”. È questa la nuova bufala dei media italiani di regime. D’altronde sul terreno l’esercito russo avanza e non si può continuare a raccontare di ripiegamenti delle armate putiniane pronte ormai alla resa. Dunque occorre cambiare la menzogna quotidiana. E cosa c’è di meglio di provocare una nuova ondata di indignazione e di terrore nel gregge italico? Il Covid non funziona più, il vaiolo delle scimmie non funziona ancora. Ma la carestia è sempre un tema di successo.
Tanto chi, nel gregge, andrà mai a controllare i dati reali? Basta raccontare che l’Ucraina è il “granaio del mondo” e le pecore si spaventano. Un tempo era considerata solo il granaio d’Europa, ma i tempi sono cambiati. Anche le produzioni ed i produttori, però. Così la produzione mondiale si aggira intorno ai 760 milioni di tonnellate e, grazie ai disinformatori di regime, viene da pensare che Kiev sia il primo produttore. Se no che “granaio del mondo” sarebbe?
Invece no. Per la delusione della squadra di Mimun al primo posto c’è la Cina, con (dati FAO 2020) con 134 milioni di tonnellate. Seguita dall’Ucraina, ovviamente. Macché, seguita dall’India con oltre 107 milioni. Va beh, Paesi lontani, con una produzione destinata a sfamare i propri abitanti. Falso anche questo, la Cina esporta e l’India esportava, prima che bloccasse le vendite subito dopo aver visto le sanzioni contro la Russia. Quella Russia che è al terzo posto con 86 milioni di tonnellate, 36 milioni in più degli Stati Uniti. E poi c’è il Canada, con 35 milioni. Insomma, i due Paesi patria della democrazia e delle libertà potrebbero impegnarsi a vendere il proprio grano a prezzi ridotti ai Paesi poveri, ma si guardano bene dal farlo.
E l’Ucraina? Non è neppure il granaio d’Europa perché è preceduta dalla Francia che produce 30 milioni mentre Kiev si ferma a 25, poco meno del Pakistan. Con la Germania a più di 22milioni, la Turchia a 20 e l’Argentina a poco meno di 19 milioni. L’Italia, che si è scordata la politicamente scorretta “battaglia del grano”, è molto più in basso nella classifica, con meno di 7 milioni.
Diventa difficile credere che la fame nel mondo dipenda dalle esportazioni della sola Ucraina. Ancor più difficile credere che il prezzo in forte rialzo sia una conseguenza del blocco del porto di Odessa. Soprattutto se ci si degna di leggere l’ottimo libro di Fabio Ciconte, “Chi possiede i frutti della terra”. Per scoprire, ad esempio, che due terzi di tutte le sementi commerciali del mondo fanno capo a soli 4 gruppi. E nessuno di loro è controllato dai Russi. O per addentrarsi nei meccanismi dei famigerati Club dei diversi prodotti rigorosamente registrati. Con il Club che sceglie gli agricoltori che possono coltivare i rispettivi prodotti, in che modo, con quali fitofarmaci, con quali attrezzature. Agricoltori trasformati in operai che devono vendere la produzione al Club ad un prezzo concordato.
Ed in questo meccanismo globale perverso, con eserciti di avvocati pronti ad intervenire in ogni parte del mondo contro il singolo contadino che sogna un margine di libertà, davvero il problema è rappresentato dal blocco russo di Odessa? Dove, peraltro, il mare è stato minato dagli Ucraini per impedire lo sbarco dei Russi. La realtà è che la speculazione ha bisogno di creare panico per far aumentare i prezzi. Dando la colpa a Putin anche se piove troppo o troppo poco.
Augusto Grandi

(Fonte)

Massimo Giletti preso a sberle dalla maestra

Ieri sera [domenica 5 giugno – n.d.c.] ho assistito ad uno spettacolo indecoroso e potente insieme. Massimo Giletti è stato strapazzato come un bambino delle elementari dalla sua maestra, che gli ha impartito una poderosa lezione di storia in diretta televisiva. Il grande scoop di Giletti doveva essere un’intervista in diretta con Maria Zakharova, la portavoce del ministro degli esteri [russo – n.d.c.] Lavrov. Per fare questa intervista Giletti è andato addirittura personalmente a Mosca, nonostante l’intervista si sia svolta via skype, con la Zakharova comodamente seduta a casa sua (avrei potuto farla io, identica, seduto a casa mia). Ma a parte la messinscena inutile, è nei contenuti che Giletti ci ha fatto la figura del merlo. Prima di intervistare la Zakharova, infatti, Giletti era in collegamento con Massimo Cacciari, e durante lo scambio Giletti ha accennato alle polemiche che hanno preceduto questa sua intervista, dicendo che però secondo lui “il giornalista ha tutto il diritto di intervistare chi vuole, purché ponga all’intervistato delle domande scomode, e non gli offra una semplice passerella per fare propaganda.” Ma dal dire al fare… Giletti non conosce il mare.
Non appena iniziata l’intervista, infatti, si è capito che tipo di interlocutrice avesse davanti. Una donna con le idee chiare, ferma e impassibile, che rimandava seccamente al mittente ogni singola accusa, con tanto di interessi. All’accusa di “aver illegittimamente invaso un Paese sovrano”, Zakharova ha risposto che “anche voi della NATO avete fatto la stessa cosa con l’Iraq”. All’accusa di “essersi allargati troppo intervenendo in Siria”, Zakharova ha risposto che loro erano intervenuti su legittima richiesta del capo di Stato, Assad. E ha inoltre aggiunto che “quando la Russia ha proposto alle Nazioni Unite di combattere tutti insieme le bande dell’ISIS, è stata l’Unione Europea a dire di no e mettersi di traverso”. All’accusa di aver operato una sanguinosa repressione in Cecenia, Zakharova ha risposto che è stato l’Occidente a sobillare quelle rivolte. Insomma, non se ne usciva: ad ogni servizio tagliato del dilettante Giletti, il master Djokovic rispondeva con un dritto vincente.
A quel punto Giletti ha cambiato strategia. Ha fatto un passo indietro, e ha tentato la carta dell’emozione: “Va bene, ok, tutti abbiamo fatto errori nel passato – ha ammesso – però adesso mettiamoci una pietra sopra, trattiamo e poniamo fine a questa guerra, perché la gente sta morendo”. E qui è arrivata la valanga di sberle sulla testa del nostro importuno scolaretto: “Così parlano i bambini – ha detto la Zakharova – Nel mondo degli adulti, la prima cosa che bisogna fare per capire le cose è guardare alla storia. Dove eravate voi Italiani, quando otto anni fa gli Americani hanno messo in atto un colpo di Stato a Kiev, installando al potere il governo fascista di Poroshenko? Dove eravate, quando per otto anni il governo di Kiev ha bombardato incessantemente i suoi concittadini del Donbass?”. “Ma soprattutto – ha ricordato la Zakharova – lei viene adesso a parlarmi di trattare e di metterci d’accordo. Ma sono otto anni che Putin chiede all’Occidente di mettersi d’accordo sulla questione della NATO e degli equilibri internazionali. Ma voi in Occidente avete fatto tutti finta di niente, e adesso cercate di dare la colpa a noi per quello che succede?”. “Infine – è stata la sberla finale della Zakharova – voi occidentali dovete smetterla una volta tutte con questa vostra aria di superiorità intellettuale, come se foste voi quelli che hanno il diritto di impartire lezioni morali a tutti gli altri”. Ci mancava soltanto un “vergogna Giletti, fila dietro alla lavagna” e la lezione sarebbe stata completata.
Povera Italia, rappresentata all’estero da personaggi inconsistenti e impreparati come Giletti. Povera Italia, incapace di crescere, incapace di diventare adulta, incapace di uscire dalla sua ottica provinciale, incapace di assumersi una volta per tutte le proprie responsabilità con il resto del mondo. Lasciando così mano libera a chi ci comanda, a chi ci controlla, a chi ci tratta serenamente come schiavi da oltre settant’anni.
Massimo Mazzucco

Nell’era del menticidio

Scoperto un nuovo menticidio del Cdc sui vaccini e le varianti

Se non vivessimo nell’era del menticidio la notizia che arriva dal Cdc americano dovrebbe portare all’ immediata sospensione di tutte le pseudo vaccinazioni e la messa sotto accusa del Cdc americano (la stessa vale per le burocrazie sanitarie europee che hanno accettato tutto a scatola chiusa) per aver mentito al pubblico negando che i vaccini possono causare le varianti del covid e che dunque non soltanto sono inefficaci, ma che “collaborano” col virus alla nascita di nuove mutazioni. Questa possibilità che peraltro veniva contemplata nella scienza precovid è sempre stata fermamente e assolutamente negata, dal Centers for Disease Control tanto che il sito web di questa organizzazione recita in maniera tranchant: “FATTO: i vaccini COVID-19 non creano né causano varianti del virus che causa COVID-19. Invece, i vaccini COVID-19 possono aiutare a prevenire l’emergere di nuove varianti ” E di seguito aggiunge con la sicumera di chi vuole educare il pubblico: “Nuove varianti di un virus si verificano perché il virus che causa il Covid 19 cambia costantemente attraverso un processo naturale di mutazione (cambiamento). Man mano che il virus si diffonde, ha più opportunità di cambiare. Un’elevata copertura vaccinale in una popolazione riduce la diffusione del virus e aiuta a prevenire l’emergere di nuove varianti” Poi si scopre che tutto questo non è vero, che sono state solo chiacchiere per pompare la vendita degli pseudo vaccini e l’operazione politica che vi aggancia, senza introdurre alcun argomento che potesse insinuare qualche dubbio sulle dosi infinite e così mandare all’aria il grande business e il grande reset mischiati assieme. Infatti l‘Informed Consent Action Network (ICAN), un’organizzazione senza scopo di lucro, ha chiesto al CDC sulla base del Freedom of Information Act tutta la documentazione a sostegno della tesi che i vaccini non creano varianti. I toni perentori con cui si escludeva una simile ipotesi potevano far pensare che il Cdc avesse tonnellate di documenti e di ricerche atte sostenere la sua tesi. Ma sorprendentemente il Cdc ha risposto in due successive fasi, una volta a gennaio e successivamente il 4 maggio scorso affermando di “non aver trovato alcun record rispondente” ad esse. Se ne dovrebbe dedurre che il Cdc non fa affermazioni o prende decisioni sulla base degli studi, della scienza e dei dati. Invece i consigli del Cdc e la sua “ideologia ” sanitaria si sono basati sul fatto che i vaccini riuscissero a fermare l’infezione, nel qual caso il virus sarebbe stato circoscritto in brevissimo tempo e quindi non si sarebbero sviluppate varianti, ma siccome questo non è avvenuto e sappiamo benissimo dalla ultima infornata di documenti giunti dalla Fda che Pfizer ha barato nei suoi studi clinici affermando una efficacia del 95% quando al massimo era del 12% e per giunta in una stretta finestra di tempo, la vaccinazione di massa ha “costretto ” il virus a mutare rapidamente togliendo ulteriore efficacia ai vaccini. Questo tuttavia era evidente già alla metà dell’anno scorso, ma nulla è cambiato nell’approccio del Cdc, segno che veniva portata aventi una tesi “politica” al di fuori di qualsiasi controllo scientifico. Naturalmente siccome Pfizer e le altre casi produttrici hanno barato anche sulle reazioni avverse a breve termine – quelle poi a medio termine le stiamo conoscendo solo ora – ecco che l’efficacia del vaccino non scende a zero, ma addirittura ha un’efficacia negativa. La cosa clamorosa di questa vicenda è che le grandi burocrazie sanitarie come il Cdc non hanno alcun elemento per negare questa evidenza per cui ogni obbligo vaccinale è un crimine contro la salute e al limite un tentato assassinio. La mancanza di documento del Cdc sul fatto che i sieri genici aumentino e anzi producano le varianti dovrebbe essere una delle armi in mano a chi tentata di demolire le campagne vaccinale passando per le magistrature, anche se la capacità di autonomia di giudizio di queste ultime rispetto agli esecutivi e di comprensione del reale è ornai sotto il livello delle suole, lontanissimo dal prefigurare l’esistenza in vita di uno stato di diritto.

[Fonte]

La lezione francese

Conoscere è distinguere.
(H. von Foerster)

L’opposizione fittizia e il nuovo soggetto politico in Italia

La recente rielezione politica di Emmanuel Macron a presidente della Francia (con un 28% circa di astenuti tra gli aventi diritto al voto), se da un lato ci dimostra l’enorme e incontrastato (finora) potere dei media, nel manipolare l’opinione pubblica a favore dell’élite al governo (cosa resa possibile dal loro monopolio dell’informazione e della disinformazione, quest’ultima particolarmente grave in Italia), dall’altro porta nuovamente alla ribalta anche un fenomeno relativamente recente, che conviene prendere in considerazione.
Mai come oggi, infatti, l’opposizione fittizia (d’ora in poi: OFI) ha fatto così tanti danni come la, e anzi più della, grandine. Milioni di persone per mesi e mesi nelle strade e nelle piazze di Francia e nessuna formazione, spontanea o organizzata, di un nuovo soggetto politico: un partito, un movimento di massa, una coalizione, un fronte unito ecc. Come è stato possibile? Un recente articolo di Claude Janvier ci aiuta a capire meglio la realtà .
A dispetto del fatto che la politica economico-sociale di Macron sia stata, nei passati 5 anni della sua presidenza, dice Janvier, «una catastrofe» per i suoi effetti sulla popolazione civile (aumento della disoccupazione, diminuzione del PIL, aumento dell’inflazione, crisi degli alloggi ecc.), una parte consistente dell’elettorato ha votato per lui. Come si spiega questo fatto? Continua a leggere

Un problema di logica


Tempo fa un amico mi ha proposto il seguente quesito: si mangia perché si vive o si vive perché si mangia? Si tratta di un problema di logica. Ebbene la stessa domanda riproposta in diversi contesti è in grado di generare le più accese discussioni. Provate e divertitevi.
Il fatto serio è che il popolo italiano non sembra in media essere dotato di grandi capacità logiche, almeno a giudicare dalla docilità con cui la maggioranza si è sorbita le panzane con cui il regime ha giustificato le più feroci restrizioni alla sua libertà.
Un articolo di Antonio Amorosi apparso il 16 aprile u.s. su Affari Italiani analizzava il mistero italiano per cui il nostro paese, pur essendo il sesto al mondo e il secondo in Europa nella classifica dei più vaccinati, è contemporaneamente ai primi posti in Europa per il più alto numero di morti legati al covid. I dati sulla percentuale dei vaccinati sono ripresi direttamente da Our World in Data, uno dei portali di ricerca più importanti al mondo.
E’ come se i lockdown durissimi imposti alla popolazione negli ultimi mesi, le restrizioni gravissime ai diritti fondamentali della Costituzione, gli obblighi vaccinali introdotti, pena la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, avessero prodotto effetti contrari a quelli sperati.
Tuttavia, il fenomeno potrebbe avere una lettura diversa a quella apparente, se solo invertissimo l’ordine degli addendi del ragionamento sotteso a questa paradossale conclusione.
Noi diamo per scontato che, nell’analisi della correlazione esistente tra restrizioni antipandemiche e dilagare dei contagi, la variabile indipendente sia la prima: all’inasprimento o allentamento delle misure antipandemiche dovrebbero conseguire altrettanti rallentamenti o riprese delle infezioni. Seguendo questo schema, come abbiamo visto, i conti non tornano.
Se, però, supponiamo che sia la stessa lettura dei dati relativi all’epidemia che, a seconda di come è orientata, ci restituisca l’andamento dei contagi ne emerge un quadro senz’altro sinistro ma molto più coerente.
Supponiamo che gli ospedali cataloghino i morti e i ricoverati non in base alle reali cause dei decessi e dei ricoveri, ma come tutti indistintamente legati al covid, non appena il virus sia riscontrato accidentalmente nei pazienti. E poniamo che, attraverso protocolli di sicurezza, in alcuni momenti sia incrementato il numero dei tamponi effettuati, con il conseguente aumento dei casi di positività riscontrati. Il virologo di turno suonerà le sirene dell’allarme ed il governo zelante provvederà ad inasprire le misure di contenimento attraverso tutti i mezzi che abbiamo ben sperimentato nell’ultimo periodo.
Ebbene, ne conseguirà un’apparentemente inspiegabile correlazione diretta tra aumento delle restrizioni e numero di contagi e di morti da covid.
A dimostrare che quella appena adombrata è molto di più che una bizzarra ipotesi, c’è uno studio del FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) effettuato a gennaio 2022 e citato dallo stesso Amorosi, secondo il quale il 34% dei pazienti ricoverati richiede l’assistenza ospedaliera per tutt’altre ragioni, non è ammalato di covid, ma viene accidentalmente riscontrato positivo in occasione del tampone effettuato al momento dell’accesso.
Non solo; negli ultimi mesi 2021 le misure del governo hanno imposto un tampone obbligatorio ogni 48 ore a molti lavoratori italiani, determinando così un aumento esponenziale del numero dei casi censiti.
I dati rilevati hanno giustificato l’allarmismo che ha portato all’inasprimento delle misure liberticide sul territorio italiano, proprio mentre altri paesi europei, come Spagna, Regno Unito, Danimarca e Olanda, si lasciavano definitivamente alle spalle il clima emergenziale.
Se così stanno le cose, il governo ha scoperto il segreto di Pulcinella: inutile sperare che i vaccini e gli altri provvedimenti sperimentati in questi mesi portino al definitivo superamento della pandemia; sono le stesse misure, abilmente suffragate da una serie di dati prodotti ad arte, che inducono l’escalation della pandemia, autolegittimandosi.
Il potere farà ricorso a questa metodologia ormai rodata ogni qualvolta si renda necessaria una stretta sulle libertà democratiche. Resta solo un’incognita: per quanto ancora la logica degli italiani dovrà essere messa alla prova, prima di riuscire a fare due più due e capire che questo governo assolutista e dispotico deve essere mandato a casa?
Luca Dinelli

(Fonte)

Anime belle

Una risposta data sui social a un pacifista dell’ultim’ora.

Peccato che tutte queste belle anime non l’abbia mai viste quando andavamo a protestare a Camp Darby contro le ingerenze USA e contro le atomiche stivate nella loro base, sotto i nostri piedi; peccato non aver visto queste anime belle strapparsi i capelli quando siamo andati ad Aviano a protestare contro i bombardamenti sui civili indifesi in Jugoslavia; peccato non abbia visto nessuna di queste anime pure in Iraq, quando, nel 2003, ci siamo offerti come scudi umani per difendere un Paese aggredito con false accuse (Colin Power docet) e una popolazione decimata da 15 anni di embargo.

Peccato che non abbia incontrato nessuno di queste belle anime quando, nel 2007, abbiamo cercato di entrare a Gaza da Eretz, per forzare il criminale assedio imposto ai Palestinesi. Peccato che non ho sentito nemmeno una di queste belle anime quando i francesi hanno bombardato la Libia e ucciso Gheddafi perché voleva una moneta africana, che portasse i giusti guadagni agli Africani nella vendita dei loro prodotti e che avrebbe distrutto quella francese. Peccato che non abbia sentito un gemito, provenire da tutte queste belle anime a sostegno della Siria, aggredita dai tagliagole al soldo USA.

Peccato non aver udito lo sdegno, di queste anime candide, contro i bombardamenti dello Yemen, da parte degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita. Peccato che in otto anni, non abbia mai sentito dire, da queste anime innocenti, una parola sui civili del Donbass, aggrediti da nazifascisti, torturati, bruciati e vessati.

E non ho mai sentito nessuna, di queste anime belle, dire una parola a favore di Assange, imprigionato come un criminale per aver fatto seriamente il suo lavoro di giornalista ed aver scoperto le bugie statunitensi dietro alle loro aggressioni. Le sento tutte ora, questa miriade di belle anime, che si straccia le vesti, i capelli, che compete su chi è più pacifista, naturalmente facendo collette e avallando un governo che invia armi in territorio di guerra. Ma vi rendete conto, anime belle, di quanto fate vomitare con la vostra infame retorica?

Maria Grazia Da Costa

(Fonte)

Donetsk, 14 marzo 2022

Ucraina e Libia: due facce della stessa guerra e la profezia di Gheddafi

C’è un sottile filo rosso che collega la crisi in Ucraina con il caos libico. Ucraina e Libia sono due scenari apparentemente distanti dal punto di vista geopolitico e strategico. Ma il destino delle due nazioni si interseca a causa degli interessi contrastanti delle grandi potenze regionali e mondiali in ciascuno dei due scenari. Proviamo a capire perché.

In Europa orientale, la crisi è stata innescata dalla costante pressione dell’Alleanza Atlantica verso i confini della Russia. Dal 1990 ad oggi, dopo lo scioglimento dell’URSS, la NATO ha rosicchiato territori su territori e l’Ucraina, di cui Mosca ha sempre rivendicato uno status “neutrale”, è a un passo dall’abbracciare il Patto Atlantico. Dal 2014, la crisi del Donbass è stata aggravata dalla politica russofoba attuata da Kiev.

La Libia, invece, è preda di interessi internazionali dal 2011. Dopo il rovesciamento del regime di Gheddafi, la storia della Libia è segnata da guerre civili e guerre per procura. La Libia era essenzialmente divisa in tre regioni (Tripolitania, Fezzan e Cirenaica) e una serie di enclavi (Misurata e Sirte) controllate da formazioni paramilitari.

L’anno scorso, con il Forum di Ginevra, è stata tracciata una road map per portare la Libia a libere elezioni. Il governo di transizione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stato affidato a Dbeibah, imprenditore originario di Misurata, legato alla famiglia Gheddafi e per lungo tempo a capo del fondo libico che gestiva il tesoro libico all’estero.

Il tentativo di convincere la Libia a votare alla fine dell’anno scorso si è rivelato un totale fallimento. Solo la mediazione tra Ankara (le cui forze militari controllano la capitale libica) e la Russia (che ha sempre sostenuto il generale Haftar, vero deus ex machina della Cirenaica e parte del Fezzan) sembrava capace di riportare la Libia alla normalità. Nacque così il governo guidato da Fathi Bashaga (ex ministro dell’Interno di orientamento filo-turco), con l’appoggio dell’Esercito nazionale libico di Haftar e del parlamento di Tobruk. Bashaga è stato proclamato premier con la sessione di ieri sera [3 Marzo 2022 – n.d.c.]. Ma da Tripoli, Dbeibah contesta la legittimità di quel governo e afferma di essere ancora il capo dell’esecutivo ad interim.

Dbeibah ha chiuso lo spazio aereo libico per impedire la proclamazione del governo Bashaga. E ieri mattina le forze paramilitari di Misurata, legate al premier designato dalle Nazioni Unite, hanno rapito a Tobruk due ministri esecutivi appena eletti. È impensabile, anzi è impossibile, che Dbeibah abbia deciso tutto da solo. Dbeibah è responsabile delle sue azioni alla missione delle Nazioni Unite in Libia, guidata dalla diplomatica statunitense Stephanie Williams. La Libia è ancora una volta di fronte al rischio di una guerra civile, con due governi in lizza per il potere.

Da che parte stanno le potenze mondiali? Dbeibah è l’uomo piazzato a Tripoli dalle Nazioni Unite. Espressione del consenso di Washington, per intenderci. Il governo Bashaga, invece, è sostenuto da Turchia e Russia.

Alla vigilia del voto di Tobruk, il ministero degli Esteri russo ha rilasciato una dichiarazione di sostegno a Bashaga: “La Russia ha accolto con favore il voto di fiducia del parlamento libico al nuovo governo guidato da Fathi Bashagha. Ha sottolineato di essere pronto a cooperare, e ad andare avanti con una soluzione politica globale in Libia”. “Vediamo la decisione del parlamento libico come un passo importante per superare la lunga crisi in Libia” al fine di raggiungere un “accordo nazionale attraverso un ampio inter-dialogo”, ha affermato il ministero degli Esteri russo.

Consegnare la Libia all’influenza russa sarebbe un’incredibile battuta d’arresto dal punto di vista geopolitico per Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che hanno sempre cercato di guidare le sorti del Paese nordafricano.

Pertanto, non è certo un caso che la nuova crisi libica sia esplosa in concomitanza con il conflitto in Ucraina. Nel 2009, l’allora leader libico Gheddafi lanciò una profezia su ciò che potrebbe accadere nell’Europa orientale. Intervistato dalla TV russa il 14 agosto 2009, Muammar Gheddafi prestò particolare attenzione alla crisi tra Russia e Ucraina. Egli avvertì che i piani di espansione della NATO a est rappresenterebbero una minaccia diretta per gli interessi e la sicurezza della Russia. “Oggi la NATO sta cercando di trascinare le ex repubbliche sovietiche sotto il suo controllo, questo può essere descritto solo come una vera minaccia per la Russia”, affermò. Gheddafi espresse anche la sua preoccupazione per le relazioni tese tra Russia e Ucraina, dicendo: “durante la mia visita in Ucraina, ero convinto che ci fossero seri problemi tra i due Paesi. Uno di questi problemi sono i tentativi della leadership ucraina di aderire alla NATO”.

Gheddafi aggiunse che l’espansione della NATO, e il suo tentativo di accogliere i Paesi dell’Europa orientale come membri, è una “pericolosa provocazione e un tentativo di accerchiare e soggiogare la Russia. Questo è un Paese che non può essere facilmente assediato e sconfitto, come è stato dimostrato nel corso della storia”. Dodici anni dopo, la storia ha dato ragione al leader libico estromesso.

Piero Messina

[Fontetraduzione con alcune modifiche a cura della redazione]

Il vero terreno di scontro è il futuro

Ogni tanto mi si accusa di riportare le opinioni di personaggi che non hanno la visione generale della situazione e che pertanto dicono una cosa buona in un senso e cento sbagliate nell’altro.
Partite da un presupposto: non esiste e non esisterà mai un opinion leader che frequenti i palinsesti TV e che quindi influisca sulle masse, che possa permettersi una visione d’insieme, altrimenti non sarebbe lì. Freccero ci ha provato ed è stato subito screditato ed “evaporato”.

La visibilità, e quindi la possibilità di influire sulle coscienze, viene concessa soltanto a personaggi limitati, divisivi, per fare in modo che i seguaci si scannino sulle questioni secondarie e non ci sia accordo sull’esistenza di un progetto a lungo termine.
Da quando è iniziata l’escalation in Ucraina, ci ritroviamo d’accordo con soggetti che hanno sposato in toto la narrazione pandemica, ma che stanno rifiutando quella del Putin impazzito. Non vedono il nesso tra le due cose, per questo stanno in televisione. Non generano unione, scoraggiano la convergenza.
Il problema sorge quando qualcuno comincia ad unire i puntini e a mettere insieme, in una narrazione coerente, fatti apparentemente sconnessi.
Se il pubblico capisce il disegno finale, in un attimo crolla tutto il vantaggio che le élite hanno accumulato nei nostri confronti in decenni. Se si capisce dove vogliono arrivare tutto si incastra improvvisamente in un quadro coerente e risulta più difficile scatenare guerre civili a bassa intensità tra fazioni artatamente contrapposte.

Il nostro obiettivo pertanto deve essere quello di porci al di sopra, soprattutto rispetto ai suddetti personaggi, e di utilizzarli come fa il sistema, alla bisogna, per parlare alle masse, quelle che non hanno la più pallida idea del quadro generale.
Dobbiamo convincere le masse, anche quelle che non credono alla visione d’insieme, a combattere le singole battaglie al nostro fianco.
Se Vauro sostiene le ragioni della Russia io lo sostengo.
Se Vauro sposa la causa pandemica io lo attacco.
Noi siamo al di sopra della sua visione limitata e sfruttiamo la sua credibilità per parlare al suo potenziale pubblico di quello che ci interessa.
Strategia, utilitarismo, pragmaticità.
Se Vauro, per suoi limiti ideologici e strutturali, non riesce ad andare oltre il contingente, non è un nostro problema. Noi facciamo bricolage, non siamo dei designer, dobbiamo cavarcela con i materiali che abbiamo disposizione, a volte anche quelli di scarto possono tornare utili.

Noi portiamo avanti la nostra la nostra “guerra”, coltiviamo e approfondiamo la nostra visione generale, che è perfettamente chiara, e di volta in volta utilizziamo questi personaggetti per quello che ci occorre, salvo poi scaricarli quando si impantanano di nuovo nei loro limiti strutturali e nella necessità di essere accettati dal loro ambito di riferimento.
In questo noi agiremmo esattamente come fa l’over state: si muove con i suoi apparati e i suoi capitali dall’alto e di volta in volta sostiene una parte contro l’altra, in modo tale che ciascuna delle due fazioni porti avanti un pezzo del progetto compatibile con la propria base ideologica.

Il Sistema ha la sua visione, i suoi obiettivi, e se ne frega delle bagatelle locali.
Mi serve, lo uso; non mi serve più, lo scarico.
L’importante è evitare di dare visibilità e quindi far crescere, i soggetti che hanno una visione di insieme, gli strateghi, i deideologizzati, i pragmatici.
Quelli creano problemi seri, perché rompono lo schema binario e conducono alla formazione del polo che potrebbe opporsi allo schema generale.

Oggi serve un nucleo culturale che accetti come elemento costitutivo una visione generale di azione del potere, che la faccia comprendere e che la combatta in ogni suo aspetto, alla radice.
I soggetti inferiori, le menti deboli, i personaggi ancorati alle ideologie e alle categorie ingegnerizzate dal potere, sono parte del problema, ma possono essere utilizzate a nostro vantaggio, anche se con ogni probabilità non potranno fare parte del nucleo che porta avanti una visione generale.
Noi dobbiamo puntare agli obiettivi finali del potere e trovare soluzioni per contrastarli.
Il primo passo è convincere le masse del fatto che le élite stanno demolendo la vecchia architettura socio economica, sempre disegnata e edificata da loro, perché hanno bisogno di sostituirla con una nuova, più funzionale al mantenimento della piramide del potere nelle condizioni che nel frattempo si sono venute a creare.

Faccio un esempio concreto.
Oggi vado a vedere una scuola materna per mio figlio.
Una scuola privata di élite: struttura formidabile, insegnanti all’avanguardia, livello sociale degli utenti medio-alto.
La prima cosa che mi sorprende è che non ci sia il liceo classico.
Da un certo punto del corso di studi subentrano i tablet.
La manualità è presente così come le arti.
Ma non l’artigianato, non la calligrafia.
L’arte è la sublimazione dell’artigianato.
Una società senza artigiani è una società che rinuncia all’arte.
Si insegnano tante discipline, ma non l’artigianato, non la manualità pratica.
Mentre la guida parla mi guardo intorno, osservo i ragazzi.
Le mascherine sono onnipresenti, sia tra gli alunni che tra gli insegnati. I più piccoli non le portano, ma ci sono delle eccezioni.
Intravedo il figlio di un mio amico. Ha sette anni. Siamo all’aperto. Lo chiamo. Lui si gira. Gli chiedo di abbassarsi la FFP2. La abbassa un secondo e poi mi rimprovera per la richiesta.

Qual è il succo del discorso?
Il sistema vuole delle masse irreggimentate, obbedienti, non autosufficienti, deboli dal punto di vista del pensiero e dello spirito, inclini alla tecnologia e alle discipline scientifiche.
Devono osservare le regole, introiettare l’autoritarismo. Possedere nozioni e non saperi, intelligenza emotiva ridotta ai minimi termini, scarsa manualità, che poi è alla base del rapporto genitore figli (fare le cose assieme).

Gli adulti di domani, frutto di questo modello di scuola, non potranno vivere senza società, non metteranno in discussione le regole, non capiranno che esiste un albero dialettico alla base della gabbia mentale che gli hanno costruito attorno.
Saranno ingranaggi di una macchina, non individui che contribuiscono con la loro specificità ad una società plurale, impermeabile ai processi di omologazione.

Ecco, se non si capisce che bisogna combattere questo, che tecnologia, condizionamento, manipolazione, irreggimentazione, mancanza di alternative, finalizzazione della cultura sono parte di un progetto più ampio che mira al controllo del presente ma alla preventiva conquista del futuro, allora lasciamo perdere, perché abbiamo perso in partenza.

Giorgio Bianchi

(Fonte)