Requiem per una democrazia

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Non fa piacere vedere gli Stati Uniti, a lungo considerati il tempio della democrazia, assoggettarsi sempre più ai voleri imposti da potenti lobbies, o gruppi di pressione, che dominano ogni aspetto della vita del Paese. Per decenni la lobby degli espatriati cubani della Florida ha ricattato il governo di Washington, mettendolo di fronte all’alternativa di perdere un notevole numero di voti nel caso avesse riconosciuto il regime di Fidel Castro e, conseguentemente, eliminato l’embargo economico. Tali espatriati, tutti ferventi sostenitori del dittatore Fulgencio Batista, erano motivati dall’assurda speranza di ritornare un giorno nell’isola e di rientrare in possesso dei loro beni. Non sembrava neppure sfiorargli la mente il fatto che loro stessi erano stati la causa dell’avvento della rivoluzione cubana, avendo mantenuto gran parte della popolazione dell’isola in stato di semi schiavitù.
La rottura delle relazioni con l’isola e la relativa imposizione dell’embargo economico era stato decretato nel 1960 dall’allora presidente Eisenhower a seguito dell’atteggiamento castrista di fomentare la rivoluzione socialista nel mondo e di accordare protezione ai terroristi. Nonostante che tutte le nazioni avessero mantenuto normali relazioni con l’isola, gli Americani -sotto l’impulso della lobby degli espatriati della Florida- si erano rifiutati di mutare la loro posizione, malgrado che il regime castrista avesse abbandonato la sua politica rivoluzionaria. Spettava recentemente al presidente Obama di ignorare le pressioni della lobby dei fuoriusciti cubani e di dare l’avvio a un nuovo capitolo nella storia delle relazioni tra i due popoli.
Di gran lunga più potente doveva dimostrarsi la lobby destinata a opporsi a quello che viene giustamente considerato il fiore all’occhiello della politica estera di Obama, vale a dire l’accordo con l’Iran per convincere quel Paese a rinunciare alla costruzione di ordigni nucleari. In base a tale trattato, sostenuto da tutti i Paesi europei, l’Iran si impegnava a usare i suoi impianti nucleari per scopi esclusivamente pacifici, in cambio dell’eliminazione dell’embargo economico al quale era sottoposto da anni. Il più strenuo oppositore del trattato appariva il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che insisteva sulla tesi che l’Iran avrebbe dovuto rinunciare a tutte le sue installazioni nucleari, in quanto a lungo andare avrebbero potuto essere convertite per la produzione di armi atomiche. Anche se Netanyahu giustificava la sua richiesta con il fatto che l’Iran non accennava ad abbandonare la sua politica di inimicizia verso Israele, non si poteva negare che l’Iran, in qualità di Paese sovrano, avesse il diritto di usare l’energia nucleare per scopi non militari come tanti altri. A detta di molti osservatori, peraltro, ogni tentativo di imporre condizioni più stringenti sarebbe servito ad esacerbare ancor più le relazioni con quel Paese. La pretesa di Netanyahu di avere un Medio Oriente privo di armi nucleari, peraltro, non mostrava molta coerenza, dal momento che Israele disponeva di un grosso arsenale atomico, anche se si guardava bene dal confermarlo.
Il presidente Obama, da parte sua, pur rassicurando Israele che il trattato conteneva sufficienti disposizioni da garantire l’adempienza da parte dell’Iran, aveva ammonito che l’eventuale fallimento delle trattative avrebbe potuto sollevare lo spettro di un nuovo conflitto. A questo riguardo aveva accusato coloro che si opponevano al trattato di essere gli stessi che a suo tempo si erano schierati in favore della guerra in Irak, malgrado l’assenza di valide prove sull’esistenza di armi di distruzione di massa. Il trattato è ora all’esame del Congresso americano, dove si prevede incontrerà una forte opposizione data la profonda ostilità esistente tra l’organo legislativo, dominato dai Repubblicani, e quello esecutivo. In effetti, ogni iniziativa del presidente Obama, dal programma per assicurare una copertura medica a tutti gli Americani a quello per affrontare l’immigrazione illegale nel Paese, e ora al trattato nucleare con l’Iran, ha incontrato una indiscriminata e talvolta assurda opposizione.
Nel caso che il Congresso americano esprimesse parere sfavorevole sul trattato, al presidente non rimarrebbe che apporre il suo veto alla risoluzione parlamentare, ricorrendo al suo potere esecutivo. Ma non è finita qui. Il Congresso, a sua volta avrebbe ancora una possibilità di sbarazzarsi del trattato mettendo insieme due terzi di voti sfavorevoli in ciascuna camera per annullare il veto presidenziale. Le possibilità che il veto potesse essere superato, tuttavia, risultavano assai remote, dal momento che i Repubblicani da soli non avrebbero avuto i voti necessari.
In questo scenario era inevitabile che l’iniziativa fosse passata alla varie lobbies che avevano l’obiettivo di imporre le vedute di Netanyahu negli Stati Uniti, sovvenzionate in gran parte da miliardari americani favorevoli a Israele. L’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), la potente lobby creata all’indomani della nascita di Israele, in particolare, ha stanziato decine di milioni di dollari per allestire una imponente campagna sui vari media del Paese diretta a screditare l’operato di Obama e, principalmente, a fare affluire a Washington migliaia di simpatizzanti con lo scopo di fare pressione sui rappresentanti democratici dei vari Stati. Una importante vittoria di questa tattica è stata la recente defezione di Chuck Schumer, un influente senatore democratico di New York particolarmente legato a Israele, che ha deciso di opporsi a Obama e di unirsi ai Repubblicani per respingere il trattato.
Il presidente Obama si è affrettato ad accusare l’AIPAC di spargere voci tendenziose sul trattato al fine di falsarne il contenuto e di interferire in maniera inaccettabile sulla politica americana, accentuando ancor più la divergenza di opinioni con il primo ministro Netanyahu. Nel frattempo, in Israele non sono mancati coloro che hanno criticato la posizione intransigente del primo ministro, che avrebbe finito per mettere a dura prova le relazioni tra il loro Paese e gli Stati Uniti, sicuramente i più fedeli dei loro alleati.
Gian Carlo Treggi

(Fonte: Gazzetta di Parma dell’8/9/2015, p. 38)

Dello stesso autore: Gli sceriffi della domenica

Washington sta addestrando un esercito ribelle per “Occupare” la Siria?

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Mahdi Darius Nazemroaya per rt.com

Gli Stati Uniti stanno pianificando l’occupazione della Siria attraverso la formazione di una forza insorgente non convenzionale di invasione?
Pensate che un cambio di regime in Siria sia fuori programma? Pensate ancora. Il bombardamento di ISIL o ISIS in Siria è parte di una campagna politica di rischio calcolato che porta a una potenziale invasione non convenzionale, parallela al ritorno delle forze armate statunitensi in Irak.
L’ISIL e le altre forze anti-governative in Irak e Siria non sono gli unici ad ignorare il confine iracheno-siriano disegnato dagli inglesi e francesi Sykes-Picot nel 1916. Gli Stati Uniti altresì hanno violato il confine e il diritto internazionale quando hanno cominciato a bombardare illegalmente la Siria.
La campagna di bombardamenti non era sufficiente per alcuni nel Congresso degli Stati Uniti. In una dichiarazione congiunta del 23 settembre, gli arci-falchi senatori John McCain e Lindsey Graham hanno chiesto che anche truppe USA siano inviate in Siria. Entrambi hanno elogiato gli attacchi aerei illegali del Pentagono in Siria e poi suggerito truppe di terra statunitensi.
Anche se McCain e Graham hanno fatto del loro per dire che questa non sarebbe una occupazione di Siria o Irak, ciò è quasi esattamente quello che chiedevano quando hanno detto che la campagna militare doveva essere diretta anche contro il governo siriano.
Poiché, e prima ancora delle richieste da parte di McCain e Graham diversi suggerimenti erano circolati su un’invasione della Siria.
Il dilemma è che Washington non vuole che il Pentagono invada direttamente la stessa Siria. Vuole tirare le fila mentre un’altra forza fa il lavoro sul campo. I candidati per un’invasione esternalizzata della Siria includono l’esercito turco o altri alleati regionali degli Stati Uniti. C’è però anche un impasse qui in quanto gli alleati di Washington sono pure timorosi delle conseguenze di un’invasione della Siria. Questo è dove un terzo attore entra in scena: la costruzione di un esercito ribelle multinazionale da parte degli Stati Uniti. Continua a leggere

Dieudonné contro la Lobby

“Nel 2014 è in corso la più grande offensiva contro il comico francese. Manuel Valls, ministro degli Interni e membro del Partito Socialista (in una vecchia intervista disse “sono eternamente vicino ad Israele”), è l’artefice di questa crociata volta a censurare una volta per tutte Dieudonné.
In questi giorni è stata inviata a tutti i prefetti di Francia una lettera affinché gli spettacoli vengano cancellati. Una procedura che oltre ad andare contro la libertà di espressione è anche illegale. In Francia è vietato ridere, soprattutto se a ridere sono folle immense. “Dieudonné non fa più ridere nessuno” è il requiem di giornalisti e politici. Falso. Dieudonné è riuscito grazie ad internet e al suo teatro “mobile” a diventare il comico che ha venduto più biglietti in Francia. Nel suo recente tour, i video mostrano grandi teatri zeppi e ruggenti di risate. Non solo perché i suoi spettacoli fanno ridere, ma anche perché fanno riflettere. Riflettere e ammettere che ci sono dei dogmi da abbattere, che c’è una polizia del pensiero reale, che ci sono degli oppressori e degli oppressi, ma soprattutto, che c’è un sistema e i suoi nemici.
Quello stesso sistema che ora ha paura e usa la strategia del “reductio ad hitlerum”. La “quenelle” – gesto rappresentativo del “dieudo-pensiero” -, da gesto volgare che significa grosso modo “fìccatelo su per il…” , con una mano posta nella parte superiore del braccio verso il basso per indicare “quanto in su” devi ficcartelo, le principali organizzazioni ebraiche – il CRIF (Consiglio Rappresentativo degli ebrei di Francia) , l’AIPAC francese (lobby politica) e la Licra (Lega Internazionale contro il Razzismo e l’Antisemitismo, che gode di particolari privilegi nel diritto francese) – sono riuscite a trasformarla in un “un saluto nazista al contrario” (la stampa di regime continua a definirlo un gesto “nazista e antisemita”). Purtroppo però per l’establishment, la “quenelle”, la fanno tutti: uomini, donne, giovani, anziani, militari, sportivi, francesi di origine straniera, francesi-francesi, politici e opinionisti anti-sistema, ebrei, musulmani, cattolici. Troppo facile giocare con la semantica, è ora di ridefinire il “nazismo” e contestualizzarlo nel mondo moderno.”

Da L’infame guerra dell’Establishment al Dieudo-pensiero, di Sebastiano Caputo.

Otto motivi per odiare la Siria

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Perché USA, Gran Bretagna, Unione Europea e Israele odiano la Siria
di Adrian Salbuchi, analista politico e commentatore a radio e televisione in Argentina, per rt.com

Una ragazza giovane e dai toni delicati che sta vivendo la tragedia siriana e ne parla con maggiore buon senso e rispetto della verità di quanto non facciano i potenti governi occidentali ed i pupazzi dei mass media controllati con i loro soldi.
Presentandosi solo come una “siriana, patriottica, anti–Neocon, anti–Nuovo Ordine Mondiale, anti-sionista, l’anno scorso ha creato il suo canale su Youtube (YouTube/User/SyrianGirlpartisan).
In un breve video (di nove minuti) lei spiega “gli otto motivi per cui il Nuovo Ordine Mondiale odia la Siria”. Faremmo tutti molto bene ad ascoltare…
Il suo “Le principali otto ragioni per cui ci odiano” è un eccellente riepilogo applicabile a qualsiasi nazione che abbia il rispetto di se stessa: Banca centrale non controllata dai Rotschild, nessun debito con il Fondo Monetario Internazionale, cibo non geneticamente modificato, anti-sionismo, secolarismo e nazionalismo.
Il suo breve messaggio si presenta come una sorta di manuale del buon senso che spiega perché gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito, l’Unione Europea (specialmente la Francia) e Israele sono così portati a distruggere la Siria, una nazione la cui leadership semplicemente non vuole inchinarsi alle elites del Nuovo Ordine Mondiale, ben inserite all’interno del potere pubblico occidentale e nelle strutture di potere private (multinazionali/banche).
Lei descrive queste otto ragioni in maniera succinta e convincente, dando al mondo più alimento per il pensiero e si spera anche ispirando la messa in discussione di molte opinioni. Specialmente tra le popolazioni di USA, Gran Bretagna, UE e Israele che sono le uniche a poter esercitare una pressione diretta verso i propri politici eletti a Washington, Londra, Parigi, Tel Aviv e in altre capitali occidentali, per far sì che la finiscano di comportarsi come folli criminali e comincino a dar retta alla parola Noi il Popolo, in una maniera democratica e responsabile. Continua a leggere