USAID aumenta i finanziamenti alle ONG e ai media dei Paesi della CSI per ridurre l’influenza russa

È improbabile che Washington riesca a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se falsamente descriverà alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo.

Di Ahmed Adel, ricercatore di geopolitica ed economia politica che fa base a Il Cairo, per South Front, 5 dicembre 2022

L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha finanziato nella seconda metà del 2022 il cosiddetto “sostegno alla democrazia” per un importo di 248 milioni di dollari nei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). In confronto, i “falchi umanitari”, come l’amministratore dell’USAID Samantha Power descrive l’agenzia, investirono solo 243 milioni di dollari nell’intero 2021.
La CSI, che comprende gli ex Stati sovietici quali Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakhistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan, è un blocco di Paesi per il quale gli Stati Uniti si sono a lungo sforzati per espandere al loro interno la propria influenza e il proprio soft power. Per questa ragione, l’USAID ha significativamente aumentato i suoi investimenti nella regione, con Armenia, Georgia e Moldavia, Stati periferici della CSI, che risultano essere i più grandi beneficiari delle nuove sovvenzioni, specialmente per quelle riguardanti le Ong e i media.
L’USAID ha stanziato 15 milioni di dollari a scopi educativi per la sola Georgia nella seconda metà di quest’anno, con un’enfasi particolare posta sulla necessità di abolire la presunta discriminazione di genere. Gli Americani intendono plasmare l’istruzione georgiana secondo il loro stampo, riqualificando gli insegnanti; per questo motivo fu assegnata una sovvenzione di 250.000 dollari a professori di giornalismo provenienti dalle università locali che soddisfano i loro criteri. Nel 2021, l’USAID lanciò un programma quinquennale in Georgia del costo di 330 milioni di dollari.
Nella seconda metà del 2022, l’USAID ha concesso due sostanziose sovvenzioni – rispettivamente del valore di 120 e 4 milioni di dollari – per lo “sviluppo della democrazia” e l'”indipendenza dei media” in Armenia. Questo aiuto è stato criticato perché non fornisce l’assistenza umanitaria necessaria per assistere 100.000 Armeni sfollati a causa della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020.
Il fatto stesso che nella seconda metà del 2022 siano stati concessi 124 milioni di dollari di aiuti, un importo considerevole per un Paese che nel 2021 aveva un PIL di 13,86 miliardi di dollari, per influenzare i media e la società civile invece di assistere gli sfollati armeni, dimostra la volontà di mantenere quella situazione, o in effetti che l’amplificazione del necessario grado di retorica antirussa nei mass media locali è uno degli obiettivi principali del lavoro dell’USAID nei Paesi post-sovietici.
Comunque, in Moldavia e nei Paesi dell’Asia centrale, l’agenzia americana pone particolare enfasi sul finanziamento dell’economia. Ovvero, stanno cercando di indebolire i legami economici che questi Paesi hanno con la Russia e di riorientare i flussi di merci e i flussi finanziari. Nell’ultimo semestre, l’USAID ha stanziato 50 milioni di dollari per la Moldavia, la maggior parte dei quali si presume saranno spesi per espandere il commercio con l’Unione Europea e creare un’adeguata infrastruttura di trasporti e logistica.
A ottobre USAID annunciò che intende investire 15,2 milioni di dollari nel commercio in Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, poiché Washington vuole “aiutare la regione ad abbandonare la dipendenza” da Mosca.
“Ridurre la dipendenza dell’Asia centrale dai mercati e dalle rotte di esportazione russe, fornendo alternative, era una priorità a lungo termine, ma ora è una necessità impellente e un’opportunità dato che cerchiamo di aiutare la regione ad allontanare la dipendenza dalla Russia”, diceva il documento di USAID
Secondo il documento dell’USAID, la guerra in Ucraina e le sanzioni anti-russe hanno un “enorme impatto” sull’economia dell’intera regione. Le sanzioni e il ritiro delle aziende occidentali dalla Russia “hanno portato a una contrazione dell’economia russa, che probabilmente continuerà a lungo termine”, ma da cui risulterà anche una diminuzione delle importazioni russe dall’Asia centrale.
“Le aziende della regione hanno urgentemente bisogno di trovare nuovi mercati per le loro esportazioni, sia di beni che di servizi”, aggiungeva il documento.
Il programma è pensato per “rispondere alle conseguenze economiche” causate dalla guerra in Ucraina, come il calo delle rimesse, il deflusso dei lavoratori immigrati dalla Russia, la svalutazione della moneta, l’inflazione e la perdita di rotte e mercati di esportazione. Si spera che ai Paesi della regione verrà fornito un “supporto tecnico” per incrementare il commercio sui mercati internazionali e per aiutare le imprese nelle questioni logistiche.
In precedenza, il vicedirettore dell’USAID, Anjali Kaur, affermava che l’obiettivo della politica statunitense dovesse essere la separazione delle economie dell’Asia centrale e della Russia. In questo modo, Washington non cerca nemmeno di nascondere le sue nefaste azioni anti-Russia in una regione che è forse una delle più lontane dal continente nordamericano, e non solo in termini geografici, ma anche per cultura, tradizioni e storia.
Incrementando i finanziamenti alle Ong e ai media in Moldavia, Georgia e Armenia, l’USAID cerca di trovare qualche successo. Tale successo sarebbe per la maggior parte da attribuire alla vicinanza di questi Paesi all’Europa occidentale e alla loro comune identità cristiana, rendendo così molto più facile la penetrazione dell’influenza liberale dell’Occidente.
Tuttavia, è estremamente improbabile che Washington riuscirà a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se rappresenterà falsamente alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo. Questo perché la Russia è una grande potenza economica e militare da cui l’Asia Centrale non ha alcun buon motivo per separarsi.

Licenziata Dilyana Gaytandzhieva, la giornalista bulgara che sollevò il vespaio sulle forniture di armi USA ad Al Qaeda e ISIS


Dilyana Gaytandzhieva, nel dicembre 2016, testimonia il ritrovamento di nove magazzini sotterranei contenenti numerose casse di armi provenienti dalla Bulgaria, nel settore orientale della città di Aleppo prima occupato dai cosiddetti “ribelli siriani”

Dilyana Gaytandzhieva, la giornalista bulgara che sollevò il vespaio sulle forniture di armi USA ad Al Qaeda e ISIS, è stata appena licenziata dal giornale presso cui lavorava, Trud, per paura di ulteriori ritorsioni dopo che la stessa è stata “interrogata” dai servizi segreti di questo Paese NATO, libero, democratico, europeo.
Ovviamente, il suo pezzo da noi ha avuto pochissima risonanza, coinvolgendo la crema dei neoatlantici, facendo nomi e cognomi di chi caricava cosa su quei voli Silkway (compagnia statale azera) resi “diplomatici” per azzerare i controlli IATA e doganali, eliminando così qualsiasi restrizione dovuta a convenzioni internazionali ed embarghi.
In questo caso mi chiedo davvero se sia il caso, per chi possa ancora farlo, non solo di diffondere la notizia e denunciare l’accaduto, oltre che a dare doverosa visibilità a questa inchiesta, sia pur con mesi di ritardo, ma anche di dibattere la questione e portarla a casa nostra, circa il silenzio-assenso del nostro governo a (eventuali?) traffici analoghi di armi nel nostro Paese e, più in generale, a rinnovare con ulteriori, freschi, argomenti, la campagna contro la permanenza dell’Italia nel cosiddetto “patto atlantico”.
Paolo Selmi

Il nuovo “ricco progetto di Blair”: promuovere il Gasdotto Trans-Adriatico nonostante le obiezioni degli Italiani

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Claudio Gallo per rt.com

Perché un olivicoltore della solare Italia meridionale dovrebbe ricordare Tony Blair, l’ex Primo Ministro britannico che guidò la Gran Bretagna nella guerra contro l’Irak per distruggere le immaginarie armi di distruzione di massa di Saddam?
Dimentichiamoci che servì brillantemente come “barboncino” di George W. Bush o che fra i ranghi del Partito Laburista era l’erede più coerente delle distruttive riforme neoliberiste della Thatcher. Davanti agli olivicoltori di San Foca, tra le migliori spiagge della Puglia in Italia, si trova ora un profeta della globalizzazione “inevitabile”, un PR cosmico che ha voce in capitolo sul processo di pace-truffa in Medio Oriente (di solito viene a salvare il più forte) e gentilmente spiega ad alcuni dittatori come affrontare quelle stupide democrazie occidentali. Sì, Blair – che cosa stai facendo questa volta? Egli sta promuovendo un enorme progetto globale in nome di alcuni pezzi grossi i quali si preoccupano meno di nulla che la gente del posto non lo voglia.
Lo schema è, come sempre, un caso di potenti élite contro la gente comune, e indovinate lui da che parte sta? Continua a leggere

I regimi alleati degli Stati Uniti si stanno preparando per la guerra

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Caleb Maupin* per rt.com (traduzione di M. Janigro)

Ogni anno lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) rende pubblico uno studio sulle spese militari nel mondo. Quest’anno il rapporto contiene molti dettagli interessanti.
Alcune cose all’interno del rapporto, presentato alla Commissione per il disarmo delle Nazioni Unite il 14 Aprile, non sono cambiate per nulla. Come accade da decenni, gli Stati Uniti rimangono il Paese che più spende nel mondo, nonostante i tanto pubblicizzati “tagli alla spesa”. Gli USA, la NATO e gli alleati non appartenenti alla NATO, ricoprono il 64% della spesa militare mondiale. Continua a leggere

La Libia non è in (s)vendita

Con due diversi comunicati, l’ultimo delle 21.17 del 26 Ottobre, l’Ansa fornirà la notizia che il Qatar (!) si appresta a sostituire la NATO al fine missione di Unified Protector previsto per il 31 Ottobre, in attesa di un nuovo vertice dei Ministri degli Esteri e della Difesa dell’Alleanza Atlantica per stabilire un piano di gestione condivisa della “nuova“ Libia, dichiarata “liberata“ dalla feccia tribale che si riconosce nel ex ministro della giustizia della Jamahiriya Adbel Jalil. Dichiarazione arrivata Domenica 23 durante una manifestazione pubblica a Bengasi. Il perché lo si sia fatto nella città della Cirenaica invece che a Tripoli la dice lunga sulle condizioni dell’ordine pubblico attualmente esistenti nei quartieri della capitale e sul “consenso“ espresso da 2 milioni di residenti (1/3 dell’intera popolazione dell’ex colonia italiana) alle formazioni armate dei mercenari-tagliagole comandati da Abdelhakim Belhadj, che pattugliano le strade e le vie della capitale ricorrendo a una sistematica brutalità contro le famiglie dei “lealisti“ e alla caccia ai militanti dei Comitati Popolari che si conclude sempre più spesso in scontri a fuoco o in esecuzioni sommarie. Nel frattempo, cresce la scollatura tra gli stessi clan che assediano una città ormai ridotta alla fame, sempre più carente di assistenza sanitaria, di scorte di benzina e gasolio e di servizi pubblici. Da segnalare la mancanza di qualsiasi contatto tra la popolazione locale e gli “stranieri“ calati come un orda selvaggia su Tripoli, preceduta dai bombardamenti aerei della NATO che hanno portato morte e distruzione, messo in ginocchio le infrastrutture della capitale e sconvolto alla radice la qualità della vita e l’abituale serenità della gente.
Un già visto a Baghdad con i miliziani curdi di Erbil e Kirkuk di Jalal Talabani, attuale presidente dell’Iraq e a Kabul con i tagiki-uzbechi dell’Alleanza del Nord di Ahmad Massud, i cui successori sono stabilmente rappresentati nel governo Karzai sostenuto da USA e NATO. Continua a leggere

La fondamentale partita geopolitica sotto i nostri occhi

In caso di attacco, infatti, gli aerei diretti verso l’Iran non potrebbero fare a meno di entrare, in un modo o nell’altro, nel raggio d’intercettazione degli S-300 dislocati in Abkhazia, il che rappresenta un ulteriore deterrente all’avventurismo israeliano che già gli Stati Uniti non erano più tanto entusiasti di avallare.
Da bravi giocatori di scacchi, i russi sono riusciti ancora una volta a prendere due o tre piccioni con una fava: rendere assai più difficile un’aggressione contro l’Iran – aggressione che avrebbe avuto tra i principali obiettivi quello di aprire il territorio iraniano al gasdotto americano Nabucco, pregiudicando le sorti dei gasdotti russi North e South Stream – senza peraltro fornire all’avito rivale iraniano sistemi militari di cui avrebbe potuto avvantaggiarsi per consolidare la propria posizione nella regione; e senza fornire all’Occidente ulteriori pretesti di demonizzazione ostentando in modo troppo diretto una distensione dei rapporti con il “satanico” governo di Ahmadinejad. Del resto, lo stesso generale Zelin, nelle sue dichiarazioni, ha lasciato comprendere, in modo implicito ma piuttosto lampante, che gli S-300 in Abkhazia non servono soltanto per la difesa locale: “Il loro ruolo sarà quello di fungere da difesa per i territori di Abkhazia e Ossezia del Sud, in cooperazione con i sistemi di difesa aerea dell’esercito”, ha detto. Ma ha subito aggiunto: “Il compito di questi sistemi di difesa antiaerea non sarà soltanto quello di difendere i territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia, ma anche quello di impedire violazioni dei confini aerei di questi stati. […] Il loro scopo è distruggere qualsiasi oggetto volante che penetri in questi territori, quale che sia il suo obiettivo di volo”.
Non è un caso che il governo di Tbilisi abbia subito capito l’antifona, dichiarando che lo schieramento degli S-300 russi dovrebbe preoccupare non tanto la Georgia, quanto la NATO.
(…)
Il sito Debkafile, notoriamente vicino ai servizi segreti israeliani, ha compreso anch’esso benissimo le implicazioni delle manovre russe. Spiega che le sofisticate batterie antiaeree russe sarebbero state disposte come contrappeso alle navi da guerra della Sesta Flotta che incrociano nel Mediterraneo e nel Mar Nero e alle grandi basi americane presenti sulle rive dello stesso Mar Nero: la base aerea Mikhail Kogalniceanu, vicino a Costanza, in Romania, e la base di Bezmer , utilizzata dalla USAF e situata vicino Yambol, in Bulgaria. La decisione dei russi sarebbe stata presa dopo l’incidente avvenuto lo scorso 26 luglio ad un elicottero israeliano CH-53, schiantatosi sui Carpazi con sette persone a bordo. Il silenzio imbarazzato mantenuto da Israele sull’episodio aveva reso evidente che l’elicottero era impegnato in esercitazioni miranti ad individuare ed attaccare i siti nucleari che gli iraniani hanno costruito in luoghi inaccessibili, sui fianchi di montagne scoscese. I russi hanno così capito che la data dell’attacco stava avvicinandosi e hanno preso le opportune contromisure (tra parentesi, per capirlo gli sarebbe bastato dare un’occhiata all’incarognirsi della propaganda anti-iraniana sui media occidentali, a suon di Nede e Sakineh). Ora i missili antiaerei russi saranno in grado di intercettare i voli americani in partenza dalle basi bulgare e rumene che osassero sorvolare la Georgia o l’Azerbaijan per dirigersi verso l’Iran. E’ grazie a questa rassicurante presa di posizione dei russi che Teheran ha potuto rompere ogni indugio e annunciare in pompa magna, lo scorso 21 agosto, l’apertura del suo primo impianto nucleare a Busher. Per quanto ambigue possano essere le relazioni tra Mosca e Teheran (i russi temono, essi per primi, l’eventualità che l’Iran possa dotarsi di armi nucleari), le nuove strategie geopolitiche hanno imposto ancora una volta la necessità di premunirsi contro i progetti di riposizionamento israelo-americano in oriente e fare quadrato contro la permanenza dei vecchi rapporti di forza che l’emergere del multipolarismo sta rapidamente spazzando via. Tanto Mosca quanto Teheran si stanno rivelando due attori di primissimo piano nella fondamentale partita geopolitica che si sta giocando sotto i nostri occhi e della quale noi europei, salvo improbabili reviviscenze di senso dell’orgoglio nazionale, rischiamo di essere solo distratti ed inutili spettatori.

Da Paura di volare, di Gianluca Freda.

L’agente Sion

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Riceviamo il seguente comunicato del Comité comprendre et agir contre la guerre di Marsiglia e volentieri pubblichiamo.

Nel confermare a Gaza, nella maniera più bieca, di aver sempre perseguito una politica volta all’eliminazione totale della presenza palestinese nella terra di Palestina, lo Stato sionista rivela al mondo intero la sua natura di stato guerresco, razzista e reazionario. Le sofferenze che esso infligge al popolo palestinese mostrano l’orribile realtà di questa Stato che, fondato dall’ONU, continuamente insulta l’ONU.

Stato guerrafondaio
In guerra permanente, Israele – 6 milioni di abitanti, pari cioè ad un millesimo della popolazione mondiale – è un attore importante del mercato mondiale delle armi: 6° importatore e 12° esportatore. Queste cifre sono da prendere con cautela, perché inficiate dalla profonda interconnessione tra il complesso militar-industriale statunitense ed il suo fratello minore israeliano (interconnessione voluta ed organizzata dal potere statunitense).
Per esempio: General Dynamics, uno dei grandi produttori di armi degli USA, è proprietario al 25% di Elbit, che è il secondo produttore di armi israeliane. Bisogna dunque imputare il 25% delle vendite di armi del primo allo Stato del secondo?
Armi di distruzione di massa: Israele possiede tante armi nucleari quanto quelle dell’India e del Pakistan messe insieme. Dispone, inoltre, di armi chimiche e batteriologiche. Israele consacra il 9% del suo prodotto interno lordo alla guerra: una delle cifre più elevate in tutto il mondo.

Stato reazionario su scala mondiale
Da più di 60 anni in guerra con i Palestinesi e gli Stati vicini, che di volta in volta hanno tentano di sostenerli, Israele ha sviluppato tecnologie ed industrie di guerra che vende al mondo intero. Questa attività permanente e costitutiva dello Stato sionista assume forme diverse:
– vendita di materiali di guerra o di sorveglianza poliziesca o di spionaggio;
– addestramento di personale alla lotta antiguerriglia;
– inquadramento di milizie paramilitari nei Paesi dove il regime al potere è minacciato da rivolte popolari.

Ecco qualche esempio tra i numerosi :
– Colombia: le competenze sioniste sono state messe al servizio del narco-presidente Uribe per aiutarlo a distruggere la guerriglia delle FARC;
– Georgia: i consiglieri militari israeliani hanno addestrato l’esercito georgiano per l’attacco dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia ed hanno installato sul suolo georgiano basi missilistiche che possono attentare la sicurezza dell’Iran;
– Azerbaigian: addestramento di ufficiali in Israele;
– India: Israele è il secondo fornitore di armi dell’India ed i gruppi induisti «fondamentalisti» sono addestrati da agenti israeliani per organizzare azioni di terrorismo contro la popolazione musulmana;
– Pakistan: nell’attuale operazione di destabilizzazione del Paese che ha come obiettivo la distruzione dell’armamento nucleare pakistano, battezzato dai sionisti come «la bomba atomica musulmana», i servizi segreti sionisti giocano un ruolo molto attivo;
– Sri Lanka: consiglieri israeliani aiutano il governo di Colombo nella lotta di sterminio dei ribelli Tamil;
– Sudan: consiglieri israeliani hanno formato i ribelli del Sud del paese per aiutarli a far cadere il regime di Khartum che ha sempre sostenuto i Palestinesi;
– Stati Uniti: la sorveglianza del muro di 3.500 km che separa gli USA dal Messico è assicurata da materiale israeliano.

Spesso accade che Israele, dietro le quinte, faccia il lavoro sporco di vendere le armi a contro-rivoluzionari quando gli USA vogliono «mantenersi le mani pulite». Ci ricordiamo, ad esempio, che nell’operazione segreta «Irangate» alcuni intermediari israeliani fornirono armi statunitensi all’Iran per evitare che l’Irak vincesse la guerra e che con il ricavato della vendita questi intermediari, su richiesta degli USA, consegnarono armi alla controguerriglia nicaraguense.

Questo commercio della morte è tanto più fiorente, quanto questi strumenti e queste tecnologie vengono sperimentate su bersagli palestinesi vivi.
Solo la disfatta dello Stato sionista può mettere fine a questo mercato insanguinato.
Lo Stato sionista non è soltanto il boia del popolo palestinese, esso è anche un ingranaggio importante della contro-rivoluzione mondiale orchestrata dagli USA.
La lotta accanita del popolo palestinese con lo Stato sionista, che essa inizia a far vacillare, è un punto chiave della lotta mondiale contro la catastrofe capitalista in corso.

Mai a mani vuote

Washington, 3 settembre – L’amministrazione Bush annuncerà oggi un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari alla Georgia per aiutarla nella ricostruzione dopo il conflitto con la Russia. Lo ha detto un funzionario del governo USA.
L’annuncio sarà fatto stamani dal vicepresidente USA Dick Cheney, che è diretto nelle repubbliche ex sovietiche di Georgia, Azerbaigian e Ucraina, in un viaggio studiato per mostrare l’appoggio di Washington ai suoi alleati nella regione dopo l’intervento di Mosca a favore di due regioni separatiste della Georgia.
Gli aiuti USA saranno spalmati su diversi anni, ha detto il funzionario USA a Reuters.
Cheney inizierà il suo viaggio dall’Azerbaigian, il paese ricco di petrolio sul Mar Caspio, poi andrà in Georgia, quindi a Kiev per incontri con il governo filo-occidentale, che come Tbilisi sta sfidando Mosca chiedendo di aderire alla NATO.
(REUTERS)

Infatti…
Washington, 3 settembre – Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha annunciato un pacchetto finanziario di aiuti per la Georgia per un valore di un miliardo di dollari (690 milioni di euro), 570 milioni dei quali saranno consegnati entro la fine dell’anno. Il denaro servirà ad aiutare Tbilisi in opere di ricostruzione a seguito del suo conflitto con la Russia. Washington ha già fornito all’ex repubblica sovietica quasi 30 milioni di dollari in aiuti umanitari.
(ASCA-AFP)

Tutto il mondo libero, liberale e liberista
Tbilisi, 4 settembre – Il vicepresidente statunitense Dick Cheney ha detto oggi che “l’illegittimo” tentativo della Russia di modificare i confini della Georgia ha creato dei dubbi sull’affidabilità di Mosca come partner internazionale.
“Dopo che la vostra nazione si è guadagnata la libertà con la rivoluzione delle Rose, l’America è venuta in aiuto di questa coraggiosa e giovane democrazia”, ha detto Cheney ai giornalisti in una conferenza stampa congiunta tenuta a Tbilisi con il presidente georgiano Mikheil Saakashvili. “Stiamo facendo la stessa cosa ora che state lavorando per respingere un’invasione del vostro territorio e un tentativo unilaterale di cambiare i vostri confini con la forza, che è stato universalmente condannato da tutto il mondo libero”, ha aggiunto Cheney.
“Le azioni della Russia hanno creato dei gravi dubbi sulle intenzioni della Russia e sulla sua affidabilità come partner internazionale, non solo in Georgia ma in tutta la regione e anche nel sistema internazionale”, ha detto Cheney.
(REUTERS)
Intanto Tsotne Gamsakhurdia, figlio del primo presidente della Georgia indipendente, Sviad, è stato arrestato ieri sera a Tbilisi con l’accusa di aver tentato un golpe nel novembre scorso e di aver avuto contatti con i servizi segreti russi…

A loro quanto?
Kiev, 5 settembre – Il vicepresidente Usa, Dick Cheney, discute oggi della crisi in Georgia con i leader dell’Ucraina, un paese profondamente diviso sull’ingresso nella Nato e alle prese con una crisi di governo. Cheney è atterrato a Kiev al termine di un tour negli stati del Caucaso del sud e del Mar Nero, per portare il sostegno di Washington agli alleati americani dopo la guerra di cinque giorni tra Russia e Georgia.
(…)
Il presidente ucraino, Viktor Yushchenko, ha lanciato un appello per far aderire rapidamente il suo paese alla Nato dopo il conflitto in Ossezia del Sud, una regione separatista della Georgia, ma i suoi rivali politici si sono mostrati freddi, se non contrari, all’ingresso nell’alleanza, visto come un atto ostile verso il grande vicino russo.
(…)
La crisi della Georgia ha allarmato i vicini della Russia e Yushchenko sostiene che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sia un passo necessario per proteggere l’integrità territoriale del suo paese. I paesi dell’alleanza hanno rifiutato lo scorso aprile di riconoscere ad Ucraina e Georgia un Map (Membership action plan) – il primo passo per l’adesione a pieno titolo – ma hanno detto che un giorno entrambi entreranno nella Nato. Ma è probabile che la reticenza di Francia e Germania ad avviare una roadmap per l’ingresso dell’Ucraina si sia rafforzata dopo la crisi georgiana.
Secondo gli analisti, la Crimea – la penisola del sud dell’Ucraina – potrebbe essere usata dalla Russia per destabilizzare il paese. Il porto di Sebastopoli sul Mar Nero ospita la flotta russa e la maggior parte degli abitanti è di etnia russa.
La tensione tra Russia e Georgia è tornata alta lo scorso mese, quando Yushchenko, sostenitore della Georgia, ha imposto rigide regole per i movimenti delle navi da guerra russe dal porto che l’Ucraina ha affittato a Mosca. Yushchenko si è risentito per il fatto che le navi in partenza da Sebastopoli siano state impiegate nel conflitto con la Georgia, dicendo che l’Ucraina è stata coinvolta “passivamente” nella guerra. E ha ricordato che il contratto d’affitto della base, che scadrà nel 2017, non sarà rinnovato.
Malgrado la sua voce grossa, l’ingresso nella Nato rimane molto impopolare in Ucraina e la guerra in Georgia non ha cambiato le cose. I partiti riformisti filo-occidentali sono divisi sulla questione e il leader dell’opposizione Viktor Yanukovich, che raccoglie consensi nelle regione russofone del paese, è apertamente ostile. La visita di Cheney giunge poi nel mezzo di una crisi politica. Yushchenko ha annunciato ieri che il governo di coalizione è morto e ha minacciato di indire elezioni legislative anticipate.
Yushchenko ha preso il potere durante la “rivoluzione arancione” del 2004, promettendo una maggiore integrazione con l’Occidente.
(REUTERS)

Carta igienica, spazzolini e dentifricio… ad alta tecnologia
Tbilisi, 5 settembre – La nave ammiraglia della Sesta Flotta della Marina statunitense, con un carico di aiuti umanitari a bordo, sta per attraccare nel porto georgiano di Poti. A riferirlo è la portavoce del Consiglio di Sicurezza di Tbilisi, Tata Khundadze. ”La USS Mount Whitney arriverà a Poti alle 16 (ora locale) e attraccherà alle 17 per consegnare il carico di aiuti umanitari”, ha detto Khundadze.
Nella foto, le proteste contro l’arrivo a Sebastopoli di un’altra unità della Marina statunitense.
Qui dettagli.

Mosca, 5 settembre – Da parte di Mosca “non ci sarà alcuna reazione militare” all’arrivo della nave da guerra americana “Mount Whitney” nel porto georgiano di Poti, sul mar Nero. Lo ha assicurato il portavoce del ministero degli Esteri russo, Andrei Nesterenko, che è tuttavia tornato a mettere in discussione l’utlizzo di navi da guerra da parte degli Stati Uniti per consegnare aiuti umanitari. “E’ improbabile – ha affermato nel corso di una conferenza stampa – che navi da guerra di questo tipo possano consegnare aiuti umanitari in grandi quantità. Certamente su queste navi ci sono stive, ma nornalmente contengono attrezzatura per l’equipaggio, a parte i beni essenziali che possono essere necessari durante il viaggio. Come è possibile che grandi quantità di aiuti umanitari possano essere consegnati da queste navi?”.
(ADNKRONOS)

Qualcosa da dichiarare?
Sevastopol, September 5 – The Black Sea Fleet source also said the flagship of the U.S. Sixth Fleet was big enough to carry heavy weapons, which – the Russian military believes – is probably the main part of the delivery.
An intelligence source said Russia was scrutinizing the vessel. “Very soon it will be clear, what the ship has really brought to Georgia,” the source said.
(RIA Novosti)