Volete stabilità nei Balcani? Allora ridateci la Jugoslavia

Torna alta la tensione nei territori della ex Jugoslavia a seguito dell’assassinio di Oliver Ivanovic, esponente di punta della minoranza serba in Kosovo.

L’influente think-tank statunitense Council on Foreign Relations (CFR) ha messo i Balcani nella sua lista di prevenzione dei conflitti nella sua recente inchiesta del 2018.
Tuttavia l’idea, promossa dal CFR, che gli Stati Uniti siano il Paese che può aiutare a preservare “pace e stabilità” deve essere messa alla prova – così come gli stessi Stati Uniti e gli alleati NATO più vicini che sono in verità responsabili di molti dei problemi che affliggono attualmente la regione.
Questi problemi derivano tutti dalla violenta rottura della Jugoslavia multietnica degli anni ’90, un processo che le potenze occidentali hanno sostenuto e addirittura incoraggiato attivamente. Ma questo non è menzionato nel documento di riferimento del CFR “Lo scioglimento degli accordi di pace nei Balcani” (Contingency Planning Memorandum n. 32).
Invece sono i Russi, udite, udite, ad essere considerati i cattivi – con “la destabilizzazione russa del Montenegro o della Macedonia” elencato come uno dei possibili scenari del 2018. La verità è, tuttavia, che tutti i possibili “punti di fiamma” identificati dal CFR, che potrebbero portare a conflitti, possono essere direttamente collegati non a Mosca ma alle conseguenze di precedenti interventi e campagne di destabilizzazione statunitensi o guidate dall’Occidente. Continua a leggere

La Svezia si arrende a USA/NATO

maxresdefault

Sottomarini fantasma sono impiegati per spingere alla resa della pacifica neutralità

Nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel 2005, il drammaturgo Harold Pinter stronco l’impero USA e notò che esso “ora occupa 702 installazioni militari in 132 Paesi di tutto il mondo – con l’onorevole eccezione della Svezia, certamente”.
Da allora, la presenza militare globale degli Stati Uniti ha continuato a crescere; ma il premiato scrittore era disinformato circa l’onorevole eccezionalismo della Svezia. Circa nello stesso momento in cui il mortalmente malato Pinter stava registrando il suo discorso, un funzionario del Ministero della Difesa svedese osservava che il Paese era già così profondamente coinvolto nel dispositivo USA/NATO che avrebbe costituito una piccola trascurabile differenza se ne fosse diventato formalmente membro.
Ciò era vero nel 2005, e lo è ancora di più dieci anni dopo. Benché la Svezia non sia ancora ufficialmente un Paese membro, le sue forze armate sono ora quasi completamente incorporate nel sistema USA/NATO. Truppe svedesi hanno partecipato alle guerre di aggressione ed occupazione degli USA e dei suoi alleati in Afghanistan, Libia e nei Balcani. Un gruppo segreto dei reparti speciali ha combattuto a fianco delle truppe USA/NATO in luoghi lontani come il Ciad e il Congo, ed è rappresentato al quartier generale delle forze speciali statunitensi in Florida.
Esercitazioni militari congiunte sono svolte con crescente frequenza nei cieli, in terra e nelle acque territoriali della Svezia. A partire da aprile dell’anno scorso [2014 – ndt], ad USA/NATO è stato garantito libero accesso allo spazio aereo svedese al fine di spiare la Russia mediante i suoi velivoli di sorveglianza AWACS.
Lo scorso agosto, il governo ha firmato un accordo cosiddetto di nazione ospitante che aumenta grandemente l’accesso USA/NATO al territorio svedese in caso di guerra e, come al tempo attuale, per i preparativi bellici. L’accordo – che deve ancora essere ratificato dal parlamento svedese – sembra inoltre violare il rifiuto svedese di lunga data degli armamenti atomici e le politiche connesse. E proprio recentemente, USA/NATO ha condotto l’esercitazione aerea più grande al mondo sul terzo più settentrionale del territorio svedese. Parte della sempre più intensa lotta con la Russia per il controllo dell’Artico in via di scioglimento, “Arctic Challenge Exercise” ha coinvolto 100 velivoli militari da 10 Paesi, inclusi gli USA, Germania, Francia e Inghilterra. Continua a leggere

L’espansione NATO trascina l’Europa alla guerra

12079695_941616795884456_845561292443140820_n

Comunicato del Comitato No guerra No NATO

La decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare i colloqui di accesso per divenire il 29° membro dell’Alleanza, getta benzina su una situazione già incandescente. Tale decisione conferma che la strategia USA/NATO mira all’accerchiamento della Russia.
Il Montenegro, l’ultimo degli Stati nati dallo smantellamento della Federazione Jugoslava con la guerra NATO del 1999, ha, nonostante le sue piccole dimensioni, un importante ruolo geostrategico nel Balcani. Possiede porti utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo e grandi bunker sotterranei che, ammodernati, permettono alla NATO di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese armi nucleari.
Il Montenegro è anche candidato a entrare nell’Unione Europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla NATO sotto comando USA. Nonostante che perfino l’Europol (l’Ufficio di polizia della UE) abbia messo sotto inchiesta il governo di Milo Djukanovic, perché il Montenegro è divenuto il crocevia del traffico di droga dall’Afghanistan all’Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco.
Dopo aver inglobato dal 1999 al 2009 tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Unione Sovietica e due della ex Federazione Jugoslava, la NATO vuole ora impadronirsi del Montenegro per trasformarlo in base della sua strategia aggressiva. Si avvale a tal fine della complicità del governo Djukanovic, che all’interno reprime duramente la forte opposizione democratica all’entrata del Montenegro nella NATO.
La NATO mira oltre. Si prepara ad annettere Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina e altri Paesi, per espandersi, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, sempre più a ridosso della Russia.
In questa gravissima situazione, in cui l’Europa viene trascinata nella via senza uscita della guerra, il Comitato No Guerra No NATO

  • chiama alla più ampia mobilitazione per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per un’Italia neutrale e sovrana che si attenga all’Art. 11 della Costituzione;
  • chiama i movimenti europei anti-NATO a unire le forze in questa battaglia decisiva per il futuro dell’Europa;
  • esprime la sua solidarietà ai movimenti e alle persone (politici, giornalisti e altri) che, in Montenegro, si battono coraggiosamente contro la NATO per la sovranità nazionale.

Catania, 5 dicembre 2015

Davanti al bivio greco

Creare le condizioni per la caduta del governo di A. Tsipras è il modo indiretto con cui Stati Uniti e UE preferiscono influenzare le rotte energetiche del futuro attraverso i Balcani…

“Anche se la crisi del debito è un problema da ben prima che il Balkan Stream fosse concepito, ora è intimamente intrecciata al dramma della nuova Guerra Fredda energetica nei Balcani. La Troika vuole costringere Tsipras a capitolare sull’accordo del debito impopolare che sicuramente comporterebbe la rapida fine della sua premiership. In questo momento, il principale fattore che lega il Balkan Stream alla Grecia è il governo Tsipras, ed è interesse di Russia e mondo multipolare vederlo rimanere al potere fin quando il gasdotto sarà fisicamente costruito. Qualsiasi cambiamento improvviso o inatteso della leadership in Grecia potrebbe facilmente mettere in pericolo la sostenibilità politica del Balkan Stream e costringere la Russia a fare affidamento sull’Eastring, ed è per queste ragioni che la Troika vuole imporre a Tsipras un dilemma inestricabile. Se accetta le condizioni attuali del debito, allora perderà l’appoggio della base e probabilmente inaugurerà elezioni anticipate o cadrà vittima di una rivolta nel suo stesso partito. Dall’altra parte, se rifiuta la proposta e permette il default della Grecia, allora la catastrofe economica risultante potrebbe por termine al supporto della base e por fine prematuramente alla sua carriera politica. Perciò la decisione del referendum nazionale sull’accordo del debito è una mossa geniale, perché assicura a Tsipras la possibilità di sopravvivere all’imminente tempesta politica-economica con risultati democraticamente ottenuti (che sembrano predire il rifiuto del debito e imminente default). Con il popolo dalla sua parte (non importa quanto ristretto), Tsipras potrà continuare a presiedere la Grecia attraversando il prossimo preoccupante periodo d’incertezza. Inoltre, la continua gestione del Paese e i rapporti personali con i leader dei BRICS (soprattutto Vladimir Putin) potrebbe portare ad estendere una qualche forma di assistenza economica (probabilmente dalla Nuova Banca per lo Sviluppo dei BRICS da 100 miliardi di dollari o un’altrettanto grande riserva valutaria) alla Grecia dopo il prossimo vertice di Ufa ai primi di luglio, a condizione che possa continuare la leadership fino ad allora. Pertanto, il futuro della geopolitica energetica dei Balcani attualmente si riduce a ciò che accade in Grecia nel prossimo futuro. Mentre è possibile che un primo ministro greco diverso da Tsipras possa far progredire il Balkan Stream, la probabilità è significativamente inferiore a un Tsipras che rimane in carica. Creare le condizioni per la sua rimozione è il modo indiretto con cui Stati Uniti e UE preferiscono influenzare le rotte energetiche del futuro della Russia attraverso i Balcani, quindi ecco perché tale pressione su Tsipras in questo momento. La sua proposta di referendum chiaramente li ha colti di sorpresa, dato che la vera democrazia è praticamente sconosciuta nell’Europa di oggi, e nessuno si aspettava che si rivolgesse direttamente ai suoi elettori prima di prendere una delle decisioni più cruciali del Paese degli ultimi decenni. Attraverso questi mezzi, può sfuggire alla trappola da Comma-22 che la Troika gli ha teso e così salvare anche il futuro del Balkan Stream.
C’è di più nella proposta del gasdotto Eastring di quanto appaia, da qui la necessità di svelarne le motivazioni strategiche per comprenderne meglio l’impatto asimmetrico. E’ chiaro che Stati Uniti ed UE vogliono neutralizzare l’aspetto geopolitico che il Balkan Stream avrebbe ampliando la multipolarità nella regione, il che spiega il loro mutuo approccio nel tentativo di fermarlo. Gli Stati Uniti alimentano le fiamme della violenza nazionalista albanese in Macedonia ostacolando la prevista rotta del Balkan Stream, mentre l’UE comodamente propone una rotta alternativa attraverso i Balcani orientali unipolaristi quale predeterminata ‘via d’uscita’ alla Russia. Le forze euro-atlantiche cospirano nel tentativo di rovesciare indirettamente il governo greco attraverso un’elezione programmata o colpo di Stato per rimuovere Tsipras, sapendo che tale mossa infliggerebbe un colpo grave e immediato al Balkan Stream. Anche se non è chiaro cosa alla fine accadrà a Tsipras o ai piani dei gasdotti della Russia, in generale è inconfutabile che i Balcani siano diventati uno dei principali e reiterati focolai della nuova guerra fredda, e la concorrenza tra mondo unipolare e multipolare in questo teatro geostrategico è solo agli inizi.”

Da Eastring vs Balkan Stream: la battaglia per la Grecia, di Andrew Korybko.

“Nelle operazioni di pace si mente per costituzione”

ospedali in difesa

Come motiva la tesi che i costi delle guerre moderne superano di gran lunga le capacità produttive di un’economia di guerra e i costi di una guerra totale devono essere sostenuti dagli Stati, mentre i profitti si orientano sempre più verso le tasche dei privati?
E’ una constatazione. La guerra è diventata permanente ed è strumentale al profitto, non più ai valori comuni. La guerra, combattuta o preparata, è la principale ragione del debito globale che ha raggiunto livelli insostenibili. Noi tutti paghiamo tasse non più rivolte a pagare servizi pubblici ma a pagare interessi. I beneficiari di questo sistema non sono gli Stati, ma quelli che vivono sulle forniture belliche e sul sistema economico-finanziario della guerra permanente.

La “guerra per bande”, come lei la definisce, è un tratto distintivo delle guerre moderne. In cosa consiste?
Finito lo scopo del bene pubblico è finito lo scopo dello Stato. E allora le istituzioni statali e lo Stato sono al servizio d’interessi particolari perseguiti da bande private e pubbliche più o meno agglomerate, in guerra o alleanza reciproca. Gli elementi costitutivi della forza dello Stato: il popolo, la gente che vota, il territorio, il governo, le leggi, chi le fa e chi le deve difendere come le forze armate e quelle di polizia, sono strumenti più o meno consapevoli delle bande.

Perché ritiene che “nelle operazioni di pace si mente per costituzione”?
Perché chi garantisce le truppe e i finanziamenti delle operazioni ha bisogno di sentirsi dire che le operazioni sono umanitarie, che portano la pace, che garantiscono il futuro. Tutte cose non vere. Nessuna operazione cosiddetta di pace ha raggiunto gli scopi dichiarati, a partire dalla Somalia, ai Balcani, a Timor Est, al Libano, all’Iraq, all’Afghanistan e così via. In compenso i “soldati di pace” hanno dovuto combattere e morire, esattamente come in guerra, coscienti delle menzogne.”

Da Armi e sangue nel nome del profitto, intervista al generale Fabio Mini in occasione della pubblicazione del libro “La guerra spiegata a…”, Einaudi, tratta da La Gazzetta di Parma del 4 Febbraio 2014, p. 5.

[Guerre sotto falso nome e spese folli]

SOS Yugoslavia onlus: conoscerla e sostenerla

sos yugo

L’associazione di volontariato SOS Yugoslavia si costituisce nella primavera del 1999, durante i bombardamenti della NATO sul territorio dell’allora Repubblica Federale Yugoslava.
A fronte di quella tragedia, l’associazione sceglie di portare aiuto là dove minimi risultano i soccorsi internazionali, e insieme a parte della comunità slava di Torino si impegna nella produzione di materiale informativo per divulgare la realtà della cultura e dell’attualità balcanica.
Terminata l’aggressione militare, le strategie della politica internazionale non consentono il ripristino delle condizioni di vita precedenti la guerra. Permangono e addirittura si aggravano i problemi economici e sanitari, determinando una situazione che si fa sempre più drammatica, soprattutto per il quasi milione di profughi -di tutte le etnie- residenti in Serbia.
Cosciente e consapevole delle condizioni di vita nella ex Repubblica Federale Yugoslava, l’associazione mantiene il proprio impegno a favore della popolazione civile più provata: bambini, profughi, orfani e vedove di guerra.
Oggi, a fronte della drammatica situazione socio-economica dei popoli residenti in Serbia, e a quella ancora più difficile del Kosovo dove permane lo stillicidio di violenze e l’assedio alle poche enclavi non albanesi, SOS Yugoslavia svolge un’attività di informazione e divulgazione che vuole superare i luoghi comuni.
Con l’intento di contribuire alla costruzione di una cultura di pace, essa fornisce occasioni di approfondimento sull’attualità dell’ex Yugoslavia, promuovendo l’avvicinamento a una realtà culturale su cui pesano le tragiche vicende del recente conflitto bellico. Tale attività si sostanzia in conferenze e dibattiti, percorsi didattici interculturali sulla letteratura dei Balcani, produzione di quaderni tematici, proiezione di videodocumentari, etc.
I materiali distribuiti fra i soci, oltre ad essere uno strumento indispensabile di divulgazione, sono finalizzati a stimolare le offerte economiche a sostegno dei progetti dell’associazione, ossia i programmi di solidarietà concreta delle adozioni a distanza e a favore delle comunità ancora residenti nelle enclavi serbe del Kosovo-Metohja.
L’adozione a distanza richiede un impegno annuale rinnovabile, che prevede un versamento di 310 euro, pari a € 26 mensili. L’importo costituisce un sostegno alla famiglia dell’adottato, che viene scelto e proposto dagli enti con cui l’associazione collabora, in base a un ordine di priorità.
Al donatore viene consegnata una scheda che riporta i dati relativi al destinatario del sostegno economico, con fotografia, dati anagrafici e scolastici, indicazioni circa la situazione familiare, indirizzo e numero di telefono. La famiglia beneficiaria riceve dati e recapiti del sostenitore italiano, in modo da poter corrispondere.
Possono aderire alla formula sia singoli che gruppi, amministrazioni pubbliche e associazioni. I contributi raccolti vengono consegnati da una delegazione di SOS Yugoslavia direttamente alle famiglie nel corso di assemblee pubbliche, alla presenza dei responsabili degli enti collaboranti, di stampa e televisioni.
Il programma è gestito in collaborazione con l’Ufficio adozioni della fabbrica di auto ex Zastava (ora FIAT) di Kragujevac che assiste le famiglie degli ex dipendenti ora disoccupati, con l’associazione profughi Zastava di Pec in Kosovo che assiste le famiglie degli ex dipendenti della filiale kosovara della fabbrica ora profughi residenti a Kragujevac e con l’associazione Decjia Istina di Belgrado che presta assistenza agli orfani e alle vedove di guerra.
Il programma di solidarietà a favore delle enclavi serbe nel Kosovo-Metohja è diviso in tre parti.
La prima a favore delle enclavi di Goradzevac e Orahovac, fornendo aiuto economico alle famiglie e alle strutture scolastiche locali, aiuti alimentari, vestiario e medicine.
La seconda, in collaborazione con l’associazione Srecna Porodica, è a sostegno dei minori la cui famiglia è stata vittima di sparizioni consumatesi nel quadro delle violenze interetniche avvenute nel Kosovo a partire dalla primavera del 1999.
La terza va in aiuto dell’Associazione malati di sclerosi multipla di Kosovska Mitrovica, con l’invio di medicinali e materiali sanitari per tutte le enclavi della regione.
Il carattere eccezionale del contesto, causa il permanere di violenze ai danni dei serbi e delle etnie non albanesi, riveste un significato speciale che va oltre il rendiconto economico degli aiuti.
In quelle zone sono davvero pochi coloro i quali vanno a fare solidarietà, basti pensare al fatto che le enclavi sono raggiungibili solo sotto scorta dei militari appartenenti alla missione di stabilizzazione KFOR a guida NATO, e a proprio rischio e pericolo, ma proprio perciò assume un valore speciale nella costruzione di una cultura di solidarietà fra i popoli, distinguendosi per lo sforzo che richiede e per l’umanità che se ne riceve in cambio.
Il progetto ha quindi un duplice obiettivo, da un lato la solidarietà concreta per sostenere economicamente le famiglie più bisognose e fornire alla comunità quanto richiesto in maniera urgente, dall’altro lato l’informazione e la testimonianza su quanto è accaduto e ancora accade in quella terra martoriata.
SOS Yugoslavia, oggi costituita nella forma di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (onlus), ha ricevuto il premio “Alta nobiltà umanitaria” 2012 di Novosti Serbia, per l’alto valore morale e materiale della solidarietà verso le popolazioni serbo-kosovare del Kosovo Metohja nell’arco degli ultimi dieci anni.
Per contribuire alle attività di SOS Yugoslavia è possibile fare un versamento sul conto corrente bancario presso Banca Intesa-San Paolo con IBAN IT56K0306909217100000160153 oppure sul conto corrente postale n. 78730587.
E’ anche possibile destinare il proprio 5 per mille in occasione dell’annuale dichiarazione dei redditi, inserendo nell’apposito spazio il codice fiscale 97587940012.
L’associazione, con sede a Torino in via Reggio 14, è contattabile al recapito telefonico 339/5982381 e all’indirizzo di posta elettronica sosyugoslavia@libero.it.
Federico Roberti

L’oppio afghano invade la Russia

Secondo il rapporto dell’Ufficio sulle Droghe ed il Crimine dell’ONU, presentato lo scorso febbraio a Vienna durante i lavori della relativa Commissione, la Russia oggi è seconda solo all’Europa nell’uso di derivati dall’oppio di produzione afghana (eroina inclusa), e prima tra i singoli Stati.
Quando era ancora in Afghanistan, Osama bin Laden predisse che “essi moriranno per le nostre droghe”. Per “essi” egli intendeva la Russia, che all’epoca sosteneva attivamente il rivale storico Ahmad Shah Massud.
Bin Laden mantenne la parola: la sua dichiarazione risale al 1999, e nel successivo decennio il numero dei tossicodipendenti in Russia si è decuplicato. Ogni anno vengono consumate circa 80 tonnellate di eroina afghana, il 20% della produzione totale di tale sostanza nel Paese centro-asiatico ed il 90% di quella complessivamente consumata in Russia. Che conta per il 15% del consumo delle droga afghana, mentre ad esempio la Cina, con la sua enorme popolazione, “solo” per il 12%.
Nemmeno la riduzione significativa della superficie coltivata ad oppio, da 193.000 ettari nel 2007 a 123.000 nel 2009, modifica i termini della questione, in quanto è contemporaneamente incrementata la relativa produttività e lo scorso anno la produzione si è attestata attorno alle 7.000 tonnellate, per un valore di 65 miliardi di dollari.
Tutti questi dati di fonte ONU vengono confermati dalle autorità russe. Viktor Ivanov, responsabile del Servizio Federale per il Controllo della Droga, ha affermato che in Russia vi sono tra 2 e 2,5 milioni di tossicodipendenti, dei quali solo 500.000 ufficialmente censiti. Il numero di tossicodipendenti cresce di 80.000 all’anno, mentre vi sono fra i 30.000 e 40.000 decessi legati all’uso di droghe, annualmente.
Tre sono le rotte attraverso cui la droga esce dall’Afghanistan. La più importante, per il 35-40% del totale, passa per l’Iran e poi giunge in Europa occidentale dai Balcani. La seconda, che vale per un 25-30%, è quella che più di tutte convoglia la droga verso la Russia attraverso le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. La terza, per un restante 25-30%, passa per il Pakistan e poi arriva fino in Europa via mare.
E’ quindi comprensibile l’indignazione che la Russia va esprimendo ultimamente nei confronti del ruolo fallimentare della NATO nel contrastare la coltivazione di oppio in Afghanistan. Ad iniziare dall’ambasciatore russo presso l’Alleanza, Dmitry Rogozin, che ha definito “l’aggressione dell’eroina” come “la principale minaccia” al proprio Paese, dicendosi sicuro che la NATO non adotterà misure aggiuntive contro i narcotrafficanti afghani per evitare ulteriori perdite di truppe. Continuando con Alexander Kozlovsky, vice presidente del comitato affari esteri del Parlamento russo, che ha duramente criticato la NATO in quanto “praticamente si è messa a guardia dei campi dove le droghe vengono coltivate”.
Il già citato Ivanov ha riferito che il numero di arresti di narcotrafficanti in Afghanistan è diminuito di 13 volte e la chiusura di laboratori per la lavorazione della materia prima di 10 volte, negli ultimi tre anni. Si è inoltre registrato un sensibile declino nel volume di oppio sequestrato, nel 2009 solo 140 tonnellate, un misero 2% del prodotto totale.
Ivanov ha quindi espresso forte preoccupazione anche per l’allarmante aumento del transito di droga verso il Daghestan, l’instabile regione nel Caucaso russo, che favorisce la criminalità e le attività terroristiche. Ha infine fatto notare come negli ultimi anni l’ONU abbia sempre più eluso le proprie responsabilità nell’attuazione dei programmi di lotta alla droga, lasciando campo libero alla NATO la quale a sua volta ha delegato le autorità locali.
Quelle medesime autorità che, dopo aver assunto il controllo della città di Marjah e dell’intero distretto di Nadali al termine della recente operazione Moshtarak condotta dalle truppe dell’ISAF congiuntamente all’esercito afghano, hanno informalmente concesso ai contadini di continuare a produrre oppio. ”L’unico vero scopo dell’operazione Moshtarak – ha spiegato a Peacereporter Safatullah Zahidi, un giornalista locale – era mettere le mani sulle piantagioni di papavero da oppio. E quelle di Marjah e del suo distretto, Nadali, sono le più grandi e produttive di tutto l’Afghanistan. Grazie all’operazione Moshatarak sono tornate sotto controllo del governo e degli americani, giusto in tempo per il raccolto di marzo. E ora faranno lo stesso con le piantagioni della seconda principale zona di produzione di oppio, quella di Kandahar”.

Aggiornamento 3/4/2010
Sempre secondo il rapporto dell’ONU citato, non più del 3-4% del ricavato dell’oppio afghano finisce a finanziare il movimento talebano, per un ammontare comunque inferiore ai 300 milioni di dollari. Tolti altri 500 milioni ai contadini ed ai proprietari terrieri, a godere dei 65 miliardi di dollari sono sostanzialmente le reti “internazionali” del narcotraffico.
In merito alla crescente produttività, secondo esperti britannici nel 2009 ogni ettaro coltivato a papavero ha reso 56 chili di oppio, il 15% in più rispetto all’anno precedente.
Fonte RIA Novosti, come tutti i dati presenti nell’articolo.

L’Europa è in una posizione detestabile

S. V.: Cosa manca secondo lei all’Europa per rendersi autonoma dal controllo che gli Stati Uniti esercitano attraverso la NATO? Non sarebbe ora, approfittando della crisi economica statunitense e delle offerte russe di un nuovo assetto militare europeo, di sganciarsi definitivamente dalla tutela a stelle e strisce? Le difficoltà europee sono di tipo culturale o si può parlare di un vero e proprio tradimento delle sue classi dirigenti, come in occasione dell’aggressione della NATO alla Federazione Jugoslava?
A. de B.: Il realismo obbliga a riconoscere che non esiste attualmente alcuna volontà dell’Europa di rendersi autonoma. Se questa volontà esistesse, l’Europa probabilmente avrebbe i mezzi per raggiungerla. L’Europa potrebbe essere la prima potenza economica a livello mondiale, potrebbe rafforzare la complementarietà assolutamente naturale con la Russia, sia a livello industriale che tecnologico, con ovvie conseguenze sul piano geopolitico. Ma i dirigenti europei, visibilmente, non lo vogliono. Essi ripetono in continuazione che la questione della finalità della costruzione europea non è mai stata posta, perché non vi è accordo tra i vari governi nazionali dell’UE. La loro idea di Europa alternativa è molto semplice: un’Europa commerciale che costituisca un grande mercato transatlantico con gli Stati Uniti, con frontiere ed obiettivi geopolitici molto limitati a livello mondiale, mentre non vogliono un’Europa autonoma e potente che giochi un ruolo quale polo regolatore della globalizzazione. Si tratta di due finalità estremamente differenti e praticamente opposte. Un ruolo negativo nella mancanza di autonomia dell’Europa lo gioca l’ideologia dominante a livello mondiale, cioè la logica del profitto capitalista e sul piano civile l’ideologia dei “diritti umani”. La Francia, che pure manteneva qualche resistenza a queste influenze negative grazie all’eredità di De Gaulle, ha purtroppo cambiato registro in seguito all’ascesa di Nicholas Sarkozy, ed è divenuta grande alleata di Stati Uniti ed Israele, perciò la situazione è peggiore che mai. La Francia, con la Germania, ha giocato storicamente un ruolo motore nella costruzione dell’Europa, ma ora entrambe si trovano sotto l’influenza nordamericana. La Russia ha una posizione attendista, perché si trova in una situazione ambivalente, a causa della politica atlantista dei Paesi dell’Est, che sono un grande mercato per la Germania, mentre i Balcani si trovano sotto l’influenza francese. L’Europa, perciò, si trova oggi in una posizione detestabile.

Da Intervista a Alain de Benoist, a cura di Stefano Vernole.

[Il mito dell”Europa]

Camorrista NATO, atto quarto

porto-di-napoli

NL/FP: “Avvocato Lauro, in questa chiave di liberazione dei luoghi “pagani” dalla camicia di forza che ne inibiscono il potente messaggio sensuale, lei fu, esattamente dieci anni fa nel 1999, quale Presidente del Porto (da poco diventato “Azienda” da “Ente Pubblico” che era), colui che seppe abbattere la frontiera che dal dopoguerra lo separava dall’ambiente urbano….Fu buttato giù il Muro, che ne impediva l’accesso….. Perché la sua politica di integrazione urbano-portuale fu abbandonata?
FSL: “Fu un evento storico. Venne abbattuta la Cancellata di Ferro che, dai tempi che i Savoia occuparono Napoli, e ancor pù gli Alleati, aveva sempre separato “la bocca” della città (cioè il Porto stesso), dalla sua popolazione. Si tornò alla libertà dei Re Borbone. Ma gli anglo-americano non gradirono: perciò il piano di “integrazione” urbano-portuale non è più andato avanti. Eppure, alla cerimonia di abbattimento del Muro di Ferro, era il ’99, decennale di Berlino “liberata”, convenne tutta la grande stampa internazionale, dal “Monde” (non ancora in Rotschild), al “Mundo”, dal “Figaro” alla “Welt” e alla “Frankfuerter”. Tranne i giornali inglesi, sul momento non capivo perché.
Poi fui defenestrato: entrò in carica il governo di Massimo D’Alema, nominato apposta, da Cossiga&c., per fare la guerra in Jugoslavia, ed il porto di Napoli da allora divenne una struttura di servizio per la illusoria “conquista dei Balcani”, tipo Mussolini 1940, fatto fesso da Churchill. Con postille servitorie aggiuntive rispetto a quelle precedenti, ed ancora più coattive.”

NL/FP: “Chi subentrò al suo posto, a gestire l’infrastruttura?”
FSL: “Roberto Nerli, un uomo-Montepaschi, pedina del Governo Balcanico di Massimo D’Alema. Fu sotto la sua Presidenza che le banchine commerciali si ridussero in percentuale quasi del 50%, per fare posto alle navi militari USA, a scopo di controllo del Mediterraneo. Da allora questa percentuale è enormemente cresciuta… il Porto di Napoli è ormai una base navale USA, fuori degli stessi patti-NATO, che impedisce i commerci con l’Oriente ed il Mediterraneo, come era scritto nella sua natura.”

NL/FP: “Che destino potrà avere una simile struttura?”
FSL: “Nessuna: invece che la tariffe portuali, per ciascun naviglio vi approdi, il Porto di Napoli dipende totalmente ed esclusivamente dal miserabile canone d’affitto che gli USA (neppure la cosiddetta NATO che ne è la maschera, n.d.r.), pagano per occuparlo interamente coi loro ordigni.”

NL/FP: “E’ questa una spiegazione della eterna crisi di Napoli? Economica, sociale, culturale, antropologica, spirituale perfino?”
FSL: “Lascio a voi il giudizio. Con una sola avvertenza: non crediate che i traffici militari impediscano del tutto gli arricchimenti di alcuni ceti. Per esempio: droga e armi, ne sono enormemente avvantaggiati, rispetto alle normali mercanzie. Ne circolano in enorme quantità, nelle stive delle fregate e degli incrociatori alleati. E raggiungono sempre la destinazione programmata… Lei crede si guadagni più con una tonnellata di prodotti tessili, o con un solo mitra “di contrabbando” diretto ai Casalesi di John Loran Perham, del resto finanziati da Sviluppo Italia, cioè dallo Stato a massimi livelli?
Finché al Porto di Napoli prevarrà l’economia di guerra, strettamente militare, e droga inclusa, il popolo-mercante di “normali” prodotti, troverà lì sempre strada-sbarrata…”

NL/FP-“ E la città verrà privata della sua naturale fonte di ricchezza….”
FSL: “Lo avete detto voi.”

Da Porto di Napoli e servitù militari. Ecco perché non produce ricchezza per la città, intervista di Franco Palese all’avvocato Francesco Saverio Lauro, ex Presidente dell’Azienda Autonoma “Porto di Napoli”.

L’eredità di Jaap

rasmuscheffer

Il Segretario Generale uscente della NATO, l’olandese Jaap De Hoop Scheffer, è in procinto di lasciare il posto ad Anders Fogh Rasmussen, che si è dimesso da Primo Ministro danese per subentrare nell’incarico il prossimo 1 agosto.
Durante le ultime settimane, De Hoop Scheffer ha tributato una serie di visite d’addio nei Paesi membri NATO di recente acquisizione (Bulgaria, Romania, Slovenia, Albania e Croazia) e presso altri che sono tuttora sulla soglia di ingresso (Macedonia e Finlandia). Durante il suo mandato quale rappresentante dell’unico blocco militare esistente nel mondo, la NATO ha ingrossato le proprie file con 9 nuovi Stati (oltre a quelli citati appena sopra, anche le tre repubbliche baltiche e la Slovacchia), pari a tre quarti dei Paesi fondatori sessant’anni fa.
Tutte le nuove acquisizioni sono in Europa orientale, tre confinano con la Russia e due terzi di esse erano precedentemente parte dei tre Paesi multietnici dell’Europa (e nei primi due casi, anche multiconfessionali) disgregatisi nel periodo 1991-1993: Unione Sovietica, Jugoslavia e Cecoslovacchia. I bocconi piccoli sono più facili da ingoiare.
In coerenza con ciò, lo scorso 9 maggio De Hoop Scheffer ha reso pubblica la propria soddisfazione circa il fatto delle nove adesioni realizzatesi durante il suo mandato, auspicando che la Macedonia diventi presto la decima, una volta che sia risolto il contenzioso in corso con la Grecia sul nome da assegnare costituzionalmente all’ex territorio jugoslavo.
Si tenga presente che il fattore determinante nella designazione di De Hoop Scheffer quale Segretario Generale della NATO fu il suo sostegno all’invasione dell’Iraq quando era Ministro degli Esteri dell’Olanda ed il suo impegno per il dispiegamento di truppe olandesi in quel Paese. Il suo successore, Rasmussen, ha svolto un ruolo simile come capo del governo in Danimarca a partire dal 2003.
Si noti, inoltre, che tutte le nove nazioni che De Hoop Scheffer ha contribuito a portare dentro la NATO hanno inviato i propri soldati sia in Iraq che in Afghanistan, in diversi casi prima del loro ingresso nell’Alleanza Atlantica e come precondizione per l’adesione alla stessa.
E’ stato sempre durante il suo mandato che la NATO ha lanciato l’Iniziativa per la Cooperazione di Istanbul, per aumentare la cooperazione e il dislocamento di militari con gli Stati partecipanti al Dialogo Mediterraneo (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia) ed alla Cooperazione del Golfo (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), rafforzando così la presa dell’alleanza dalla costa atlantica dell’Africa al Golfo Persico.
Il suo canto del cigno è rappresentato dal consolidamento dell’integrazione militare di quella zona dell’Europa sudorientale dove, al termine della Guerra Fredda, iniziò l’espansione della NATO: i Balcani. Quale sia il grado di sovranità dei nuovi membri dell’alleanza e degli attuali canditati ad entrarvi, è ben delineato dalla notizia di stampa dello scorso 7 maggio secondo cui il governo albanese sta svolgendo negoziati con la NATO affinché essa prenda pieno controllo dello spazio aereo dell’Albania.
Al che, viene in mente la favola di Esopo del lupo che si offre di liberare la pecora dalla rude guida del cane pastore.

“La sfida più grande si giocherà a Vicenza”

bombe-inesplose

Chissà se si riferiva alle proteste dei No base o alle questioni burocratiche made in Italy. Però lo ha detto chiaro: «La sfida più grande? Sarà la nuova base a Vicenza».
Lui è il generale Carter Ham, comandante dell’US Army Europe, che durante una conferenza stampa al Pentagono parlava della pesante ristrutturazione delle forze armate USA in Europa, del suo timore che in Germania restino troppo pochi soldati e delle varie dislocazioni dei battaglioni. E quando davanti ai giornalisti americani cita Vicenza e il Dal Molin il generale Carter Ham non nasconde come stanno le cose: «La sfida più grande («the biggest challenge») che ci resta per la trasformazione del comando è il consolidamento della 173esima Airborne Brigade Combat Team in Italia».
Insomma è proprio sul Dal Molin che si gioca, sostiene il generale, tutta la riorganizzazione dell’esercito statunitense in Europa.
«Quell’unità ha adesso alcune truppe in Germania, ma si riunificherà a Vicenza con la costruzione di nuovi edifici». Quindi il Pentagono, a sentire il comandante dell’US Army in Europa, sulla nuova base nell’ex aeroporto vicentino e sull’allargamento della Ederle ci conta eccome. «Per ospitare – si legge nell’articolo comparso sul sito web Armytimes.com – i 3.800 soldati della 173rd brigata oltre ai loro parenti e agli impiegati civili».
Dal Molin a parte, il generale Carter Ham era andato al Pentagono per chiedere di cambiare il progetto iniziale di ristrutturazione dell’esercito americano in Europa. «Meglio fermarci a quarantaduemila soldati e non, come previsto dal programma iniziale, di ridurli a trentaduemila entro il 2012-13». In altre parole mantenere tra Italia e Germania quattro combat team e non due come vorrebbe il Pentagono.
Carter Ham ha parlato anche del neonato US Africa Command che, sempre a Vicenza, ha sostituito la vecchia Setaf: «Così come è strutturato oggi non avrà a disposizione truppe ma dovrà servirsi di quelle sparse in Europa». E solo quando ci saranno le condizioni logistiche e di fondi l’esercito trasferirà il comando dalla Ederle all’Africa.

Da Il Giornale di Vicenza del 4 marzo 2009, p. 19, di Al. Mo.

Le dichiarazioni del generale Prosciutto sono riportate più estesamente da Antonio Mazzeo, il quale sottolinea come il programma di ridimensionamento delle forze statunitensi in Europa – in corso da alcuni anni – sembri destinato ad interrompersi.
Da Potenziate le basi dell’esercito USA in Europa:

Uno stop al piano di riduzione delle forze terrestri USA in Europa. Lo ha chiesto il comandante dell’US Army nel vecchio continente, generale Carter F. Ham, in occasione della sua recente visita a Washington dove ha incontrato gli alti comandi dell’esercito e del Dipartimento della difesa. Ham ha raccomandato che il numero dei militari in forza al comando USAREUR, venga congelato al suo livello odierno di 42,000 unità, bloccando il programma che prevede il ridimensionamento ad un massimo di 32,000 soldati entro il 2012-13. Nello specifico, il Pentagono ha programmato la riduzione della presenza in Europa da quattro a due brigate pesanti (la 2^ Stryker Brigade a Vilseck, Germania e la 173^ Brigata Aviotrasportata a Vicenza, Italia).
Il generale Ham ha spiegato che il commando USAREUR ha bisogno di una forza maggiore per “rispondere efficacemente alle richieste operative in Iraq, Afghanistan, nei Balcani e dove sarà necessario”, e per condurre simultaneamente “l’ambizioso programma di addestramento con gli alleati, particolarmente con le nuove nazioni appartenenti alla NATO e con quelle che hanno fatto richiesta di entrare nell’organizzazione”.
Negli ultimi anni, il Pentagono ha chiuso in Europa 43 tra basi e piccole installazioni dell’US Army, richiamando negli Stati Uniti 11.000 militari. Il piano di riduzione prevede adesso il ritiro della 172^ Brigata di fanteria (oggi di stanza nelle città tedesche di Schweinfurt e Grafenwöhr) e della 1^ Divisione Corazzata di Baumholder (ancora in Germania), destinata a Fort Bliss, Texas. La richiesta formalizzata dal generale Carter F. Ham potrebbe tuttavia condurre a una modificazione di questo scenario.
’US Army punta intanto a centralizzare i suoi reparti di guerra in cinque grandi centri “hub”, quattro in Germania (Ansbach, Grafenwöhr, Kaiserslautern e Wiesbaden), ed uno in Italia, per l’appunto Vicenza. Nel budget previsto per il 2009 dall’amministrazione USA per il potenziamento delle basi militari all’estero, è prevista una spesa di 349 milioni di dollari per le infrastrutture e le postazioni ospitate in questi “hub” europei dell’esercito.
(…)

Nella foto: il ritrovamento di alcune bombe inesplose della Seconda Guerra Mondiale durante i lavori in corso all’aeroporto Dal Molin di Vicenza.

TARGET – incontro internazionale

target

Nel X° Anniversario dei bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia

Il 24 marzo 1999 la NATO scatenava, ininterrottamente per 78 giorni, la sua potenza di fuoco contro il territorio della allora R.F. di Jugoslavia – un Paese già amputato con le secessioni iniziate nel 1991, e oggi ulteriormente smembrato tra Serbia, Montenegro e Kosovo. Per i suoi bombardamenti la NATO utilizzava armi vietate dalle convenzioni internazionali (es. bombe a frammentazione), armi di grave nocumento alle generazioni presenti e future (es. all’uranio impoverito), e mirava contro industrie chimiche, infrastrutture civili, mezzi di trasporto in servizio, ambasciate di Paesi terzi…
Quei bombardamenti rappresentarono l’apice in un processo di attacco a quel Paese, multinazionale e sovrano, per il quale era stata programmata la disgregazione e la svendita al capitalismo straniero. Negli anni successivi, tutti i settori-chiave dell’economia e del sistema finanziario jugoslavo venivano ceduti. Mentre le storiche strutture militari jugoslave venivano in larga parte dismesse, le piccole repubbliche sorte dalla disgregazione erano gradualmente assorbite nelle alleanze militari euro-atlantiche, e piegate agli obiettivi di queste.
A sua volta, l’intera vicenda della crisi jugoslava, che dal 1991 non può dirsi conclusa ancora oggi, è paradigmatica della fase apertasi con l’abbattimento del Muro di Berlino: una fase che, lungi dal garantire pace e libertà, è stata caratterizzata da guerre e devastazioni, “vendute” alle opinioni pubbliche attraverso pelose retoriche dei “diritti” e disoneste campagne di disinformazione. Cosicché ad esempio l’Italia, dopo avere reiteratamente violato la propria Costituzione fungendo da base di lancio per i bombardamenti e partecipando a numerose missioni di guerra in Paesi vicini e lontani, si ritrova ancora ad impiegare fette crescenti del proprio bilancio statale per finanziare la macchina militare, nonostante la crisi economica e sociale che incalza… e deve ospitare ulteriori basi militari straniere sul proprio territorio!
E’ in una città nevralgica nell’ambito di questi processi come Vicenza che, in occasione del X° Anniversario dell’inizio di quei bombardamenti, promuoviamo una grande iniziativa nazionale ed internazionale per raccontare che cosa hanno essi rappresentato, al di là della cortina fumogena creata dai media, e per discutere con gli occhi rivolti al futuro di attività e prospettive nel campo della solidarietà internazionalista tra i lavoratori e per il movimento che in tutta Europa si batte contro la guerra e contro le basi militari.

Promuovono:
Rete Disarmiamoli! – RdB CUB – Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS – Beogradski Forum / Forum di Belgrado per un mondo di eguali – Rete Semprecontrolaguerra

Programma:
Vicenza – sabato 21 e domenica 22 marzo 2009

sabato 21 marzo, pomeriggio
PROPAGANDA DI GUERRA: tra disinformazione strategica e deriva politico-culturale
LE NUOVE CROCIATE: crisi macroeconomica e politiche militari
ECOCIDIO: gli effetti della guerra
A seguire: documentazione video

sabato 21 marzo, sera
Iniziativa di autofinanziamento (cena e concerto)

domenica 22 marzo, mattina
ROVESCIARE IL TARGET – E’ POSSIBILE?
La condizione dei lavoratori nei Balcani, in Italia, in Europa
Dai bombardamenti sulla Zastava al grande movimento di solidarietà
Tavola rotonda e dibattito: Il movimento contro la guerra, le basi militari e la NATO

Per adesioni ed informazioni: disarmiamoli oppure jugocoord

Aggiornamenti al sito cni.it

Alfabeto kosovaro

clinton-boulevard

“Quando una potenza straniera fa un’occupazione, e pochi mesi dopo installa in quella terra la sua più grande base militare, che cosa vuol dire questo? Perché mi chiedi a chi è servita l’indipendenza del Kosovo?”. Ha il carisma di una storia misteriosa alle spalle, le certezze incrollabili della fede e nessun pelo sulla lingua Dobrila Bozovic, ex docente di storia dell’arte a Parigi e oggi portavoce laica del Patriarcato di Pec, culla della cultura serbo ortodossa nel cuore del Kosovo, protetto giorno e notte dai soldati del contingente italiano Kfor. Dobrila decifra per noi gli affreschi bizantini raccontando la storia del Patriarcato, ci autorizza a scattare foto incurante delle proteste delle monache, liquida con freddezza due soldati sloveni arrivati per una visita guidata. “Siete in ritardo e piove. Se arrivavate all’ora giusta, non c’era pioggia e non c’erano sloveni”, ci bacchetta ironica all’inizio della visita. Poi ci trattiene per quasi due ore davanti a caffè e dolcetti turchi, ricorda la casa della sua infanzia accanto a una moschea, la colonna sonora del canto del muezzin. “Se islam e cristianesimo non possono vivere insieme nei Balcani, allora non può esserci pace in nessun luogo. Noi siamo stati manipolati, tutti e due i popoli, sia i serbi che gli albanesi”, dice. Manipolati da chi aveva interesse a sbriciolare il multiculturalismo jugoslavo in uno spezzatino di stati cuscinetto etnici, senza risorse e senza storia. “Vogliono che la Serbia accetti l’indipendenza del Kosovo per entrare in Europa”, dice, “ma il Kosovo è la culla della nostra cultura e religione, o entriamo in Europa con Cristo o rinneghiamo la nostra anima. Dovete capire che l’economia e la demografia non sono tutto. Il 90% di popolazione albanese, per i serbi non è che un numero”. Due milioni di abitanti, un territorio grande come l’Abruzzo, separato dalla nostra penisola solo da un pezzo di Montenegro e un braccio di mar Adriatico, coperto di montagne e punteggiato di preziosissimi monasteri ortodossi, in parte danneggiati durante gli atti vandalici antiserbi del 2004. In Kosovo, anche i monasteri parlano delle tante culture dei Balcani. Il Monastero di Decani, a pochi chilometri da Pec, è una visione: militari all’ingresso, un pesante portone di legno. E oltre il muro, su un prato verde, un perfetto edificio romanico, candido come la cattedrale di Trani, scolpito dagli stessi artigiani negli stessi anni. All’interno del Monastero, la magia, il salto a oriente, negli azzurri della pittura bizantina, odore di incenso e Cristi Pantocratori. “Adesso non si può dire cosa sia successo sulla nostra terra, è passato troppo poco tempo”, sospira Dobrila, “forse saranno i nostri nipoti a poterlo raccontare”.

“D come Dobrila, la pasionaria serba” tratto da Alfabeto kosovaro. 25 storie dal Paese più giovane d’Europa, di Giulia Bondi e Anna Maria Selini.

Ecco come le autrici presentano il loro reportage:
“Sandali sportivi calpestano le strade polverose di Pristina. Poche donne kosovare sarebbero a proprio agio indossandoli. Gli altri piedi scavalcano voragini, evitano cartacce, zigzagano tra le lastre di pietra di via Madre Teresa comodamente calzati in tacchi a spillo vertiginosi. I nostri hanno scarpe sportive e rasoterra.
Straniere e riconoscibili, ma accolte quasi ovunque come figlie o sorelle, in tre settimane di viaggio su e giù per il Kosovo abbiamo ascoltato decine di voci, soprattutto giovani e donne, del paese più giovane d’Europa, l’ultimo nato dalla dissoluzione dei Balcani dopo i sanguinosi conflitti degli anni Novanta, ancora occupato dalla Missione ad interim delle Nazioni Unite, Unmik.
Un mosaico pieno di contraddizioni e memorie divise, che abbiamo cercato di raccontare in un piccolo vademecum: 25 frammenti per il Kosovo dalla A alla Z.”

Qui il video realizzato dalle due giovani giornaliste, in occasione del loro viaggio in Kosovo la scorsa primavera.

Accordo segreto fra l’ONU e la NATO

NATO/

Pochissimi media hanno riferito, in maniera estremamente sintetica, di un accordo segreto stretto tra le Nazioni Unite e la NATO alla fine di settembre, firmato dai Segretari Generali delle due organizzazioni Ban Ki Moon (ONU) e Jaap de Hoop Scheffer (NATO).
Secondo l’edizione del 26 settembre del quotidiano Financial Times Deutschland, le due parti avevano concordato di mantenere uno stretto riserbo sull’accordo, teso a “semplificare la cooperazione in situazioni critiche come quelle in Afghanistan od in Kosovo”. L’articolo afferma che l’accordo era stato molto discusso all’interno delle Nazioni Unite fino al termine, anche e soprattutto per l’atteggiamento della NATO nei confronti della guerra in Georgia. Alla fine Ban Ki Moon era stato spinto a firmare l’accordo da Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
In seguito, il 9 ottobre, l’agenzia di stampa RIA Novosti riportava la notizia che il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov si diceva scandalizzato dall’accordo, che era stato negoziato e firmato tacitamente, senza consultare tutti gli Stati membri. Quando è circolata la voce che si stava preparando un simile accordo tra Nazioni Unite e NATO, Lavrov ha interpellato formalmente il Segretario Generale, ma è riuscito ad ottenere solo risposte vaghe.
Molto duro (e pungente) anche il commento dell’inviato russo presso la NATO, Dmitrij Rogozin. “Forse i nostri funzionari di Bruxelles (cioè della NATO) e di New York (cioè delle Nazioni Unite) nel sonno si trasformano in combattenti contro il male globale e, come Don Chisciotte, lottano con i mulini a venti del terrorismo mondiale”, ha detto il diplomatico. “Di fatto il documento è stato firmato sotto dettatura della NATO, ed usa il linguaggio NATO”, ha aggiunto Rogozin, spiegando che i russi non possono “riconoscere la legittimità di un simile documento e lo considereranno espressione del pensiero personale del signor Ban Ki Moon”.
“Il significato di questo documento è collegato all’Afghanistan” è stata la sua conclusione: la NATO starebbe cercando di presentare la situazione in modo tale da spartire la responsabilità con l’ONU in caso di fallimento in Afghanistan, utilizzando l’Organizzazione delle Nazioni Unite come un “ombrello”.

A seguire il testo dell’accordo, rintracciato da ambienti diplomatici tedeschi, ed un commento in merito del professor Alfred de Zayas, funzionario delle Nazioni Unite a riposo, già Segretario della Commissione dell’ONU per i Diritti Umani.

Dichiarazione congiunta sulla cooperazione tra i segretariati delle Nazioni Unite e della NATO

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite e il Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, rallegrandosi della cooperazione più che decennale tra le Nazioni Unite e la NATO a sostegno del lavoro delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, e desiderando, nello spirito delle conclusioni del Summit Mondiale del 2005, fornire un quadro di riferimento per la consultazione e la cooperazione allargata tra i loro rispettivi Segretariati, hanno concordato quanto segue:

1. Noi, Segretario Generale delle Nazioni Unite e Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, riaffermiamo il nostro impegno per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.
2. Le nostre esperienze condivise hanno dimostrato il valore del coordinamento efficace ed efficiente tra le nostre Organizzazioni. Abbiamo sviluppato la cooperazione operativa, per esempio, in operazioni di mantenimento della pace nei Balcani e in Afghanistan, dove operazioni autorizzate dalle Nazioni Unite e condotte dalla NATO si affiancano a operazioni di pace delle Nazioni Unite. Abbiamo anche lavorato insieme e collettivamente con altri partner a sostegno di organizzazioni regionali e sub-regionali. Inoltre la NATO ha fornito risorse e personale al Pakistan a sostegno delle operazioni di soccorso umanitario delle Nazioni Unite nel 2005. La nostra cooperazione è guidata dalla Carta dell’ONU, da linee guida e principi umanitari internazionalmente riconosciuti e dalla consultazione con le autorità nazionali.
3. Un’ulteriore cooperazione contribuirà in misura significativa ad affrontare le minacce e le sfide cui la comunità internazionale è chiamata a rispondere. Sottolineiamo pertanto l’importanza di creare un quadro di riferimento per la consultazione, il dialogo e la cooperazione, anche – se ritenuto opportuno – attraverso scambi regolari ed un dialogo a livello dirigenziale ed operativo su questioni politiche ed operative. Riaffermiamo inoltre la nostra disponibilità a fornire, compatibilmente con i nostri rispettivi mandati e facoltà, assistenza ad organizzazioni regionali e sub-regionali, se richiesto ed opportuno.
4. Sottolineando che questo quadro di riferimento dev’essere flessibile ed in evoluzione, concordiamo di sviluppare ulteriormente la cooperazione tra le nostre organizzazioni su questioni di interesse comune: comunicazione e condivisione di informazioni, ma non solo; questioni concernenti la protezione di popolazioni civili; capacity-building, addestramento ed esercitazioni; lezioni apprese, pianificazione e supporto nelle emergenze; e coordinamento e supporto operativo.
5. La nostra cooperazione continuerà a svilupparsi praticamente, tenendo conto dei mandati, delle competenze, delle procedure e delle capacità di ciascuna Organizzazione, così da contribuire ad un miglioramento del coordinamento internazionale in risposta alle sfide globali.

New York, 23 settembre 2008

Jaap de Hoop Scheffer
Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico

Ban Ki Moon
Segretario Generale delle Nazioni Unite

Violazione della Carta delle Nazioni Unite

di Alfred de Zayas

Se il testo della dichiarazione comune sulla cooperazione tra Nazioni Unite e NATO dovesse essere esatto sarebbe un vero scandalo, poiché andrebbe contro lo spirito e la lettera della Carta delle Nazioni Unite e scavalcherebbe l’autorità del Segretario Generale delle Nazioni Unite. L’ONU deve rimanere indipendente e non schierarsi mai con un’alleanza militare. È ovvio che questo accordo è un affronto alla Cina ed alla Russia, nonché a tutti i Paesi non-allineati (118 Stati).
Quando il mio ex superiore Sergio Viera de Mello ed altri colleghi delle Nazioni Unite furono uccisi in un attentato nell’agosto del 2003 a Baghdad, spiegai in un’intervista che ciò era parzialmente dovuto al fatto che gli iracheni avevano considerato le Nazioni Unite come un braccio imperialista della NATO e probabilmente continuavano a farlo. Ecco perché i miei bravi colleghi furono colpiti.
Non dobbiamo dimenticare che la NATO ha partecipato a guerre illegali, come quella del 2003 in Irak (violando l’articolo 2.4 della Carta ONU, come l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan non mancò di affermare più volte). Inoltre la NATO è colpevole di crimini di guerra nei Balcani, in Irak ed in Afghanistan. Anche l’uso di munizioni all’uranio impoverito va considerato un crimine contro l’umanità. L’Assemblea Generale deve assolutamente occuparsi di questo accordo ONU-NATO e dichiarare la sua illegittimità.

No alla guerra – No alla NATO

Appello di Stoccarda del 5 ottobre 2008
Fonte: csotan.org
 

In occasione del 60° anniversario della NATO vi invitiamo a venire a Strasburgo ed a Kehl nell’aprile del 2009 per manifestare contro le aggressive politiche militari e nucleari della NATO e per affermare che un mondo giusto e senza la guerra è possibile.
La NATO è un ostacolo sempre più grande alla realizzazione nella pace mondiale. Dalla fine della guerra fredda, la NATO ha tentato di ridefinirsi come strumento militare nelle mani della “comunità internazionale”, promuovendo la cosiddetta guerra contro il terrorismo. In realtà è uno strumento militare diretto dagli Stati Uniti che dispone di basi militari in tutti i continenti, scavalca le Nazioni Unite e le norme del Diritto Internazionale, incoraggia la militarizzazione e l’aumento delle spese militari: i Paesi della NATO sono responsabili del 75% delle spese militari mondiali. Perseguendo dal 1991 il suo progetto di espansione al servizio dei propri interessi strategici e del controllo delle risorse, la NATO ha intrapreso una guerra nei Balcani con l’ingannevole definizione di “guerra umanitaria” e conduce da più di sette anni una guerra brutale in Afghanistan, dove la situazione sta peggiorando tragicamente estendendosi ormai al Pakistan.
In Europa la NATO acuisce le tensioni, alimenta la corsa agli armamenti con il cosiddetto “scudo” antimissile, un arsenale militare gigantesco e la dottrina del primo colpo nucleare. La politica dell’Unione Europea è sempre più legata alla NATO. L’espansione attuale e potenziale della NATO nell’Europa dell’Est e oltre, come le sue operazioni “fuori zona”, mettono a rischio la pace mondiale. Il conflitto del Caucaso ne è un chiaro esempio. La progressione degli insediamenti NATO aumenta i rischi di guerra, compreso il ricorso alle armi nucleari.
Per realizzare il nostro progetto di mondo pacifico ci opponiamo a tutte le risposte militari alle crisi mondiali e regionali, in quanto costituiscono parte del problema e in nessun caso una soluzione. Ci rifiutiamo di vivere nella paura dell’utilizzo delle armi nucleari e rifiutiamo la nuova corsa agli armamenti. Dobbiamo diminuire le spese militari e impiegare queste risorse per affrontare le necessità vitali dell’umanità. Tutte le basi militari straniere al Paese in cui sono installate devono essere chiuse. Ci opponiamo a tutte le strutture militari utilizzate a scopo di guerra. Vogliamo democratizzare e smilitarizzare le relazioni tra i popoli e instaurare nuove forme di cooperazione pacifica per costruire un mondo più sicuro e più giusto.
Vi chiediamo di diffondere questo messaggio e di invitare tutti a venire a Strasburgo ed a Kehl per trasformare questa visione in realtà. Noi pensiamo che un mondo di pace sia possibile!

Attività proposte durante il Contro-vertice della NATO:
– Sabato 4 aprile: manifestazione
– Da giovedì 2 a domenica 5 aprile: conferenza internazionale
– Azioni di disobbedienza civile non violente
– Campo internazionale di resistenza da mercoledì 1 a domenica 5
[Qui la versione .pdf dell’appello]

Per ulteriori informazioni: notonato

Qui aggiornamenti sul programma delle attività.

Noble Midas 2007 e 2008

Dal 27 settembre al 12 ottobre 2007, con un congruo anticipo sullo svolgimento dei fatti, la NATO ha condotto manovre militari basate sullo scenario di un conflitto in un regione dei Balcani sull’orlo della guerra civile. Chiaro riferimento alla neoindipendente provincia del Kosovo, autodichiaratasi tale unilateralmente lo scorso 17 febbraio 2008. L’esercitazione, denominata Noble Midas 2007, si è svolta nel mare Adriatico ed in Croazia, con la partecipazione di 2.000 militari su 30 fra navi e sommergibili e 20 aerei.
Il contrammiraglio Alain Hinden, comandante francese delle manovre, ha dichiarato che le manovre erano state impostate già da anni per apportare un intervento di “assistenza umanitaria” targato ONU (e NATO) nei Balcani od anche in una qualsiasi altra area del mondo. Il comandante Cunningham, ufficiale a bordo della Illustrious di Sua Maestà Britannica, ha invece sottolineato che “un’integrazione delle forze NATO a questo livello semplicemente mai era avvenuta in precedenza”.
E quest’anno si replica: quindici paesi della NATO parteciperanno dal 26 settembre al 10 ottobre all’esercitazione navale Noble Midas 2008 nel Mediterraneo centrale. Pianificata dal Comando Alleato JFC di Napoli, l’esercitazione sarà condotta dal quartier generale della Componente Marittima Alleata (CC-MAR Napoli). L’obiettivo è l’addestramento delle forze navali che saranno assegnate nel 2009 alla Forza di Risposta NATO (NRF).
Noble Midas 2008 coinvolgera’ circa 3.800 militari, più di 30 navi e quattro sottomarini, supportati da aerei ed elicotteri. Parteciperanno forze di 10 Paesi NATO (Bulgaria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Romania, Spagna, Turchia, Stati Uniti d’America). Belgio, Estonia, Norvegia, Olanda e Polonia saranno rappresentati o forniranno personale all’esercitazione. Tre paesi del Partenariato per la Pace – Albania, Croazia ed Ucraina – saranno presenti con osservatori.

“La Guerra Infinita” su Raitre

Un anno di lavoro tra preparazione, sopralluoghi, riprese e montaggio, cinque Paesi attraversati – Kosovo, Macedonia, Serbia, Turchia ed Afghanistan – e tre ore di reportage trasmesse in due puntate il 19 ed il 26 settembre alle 21.05 su Raitre.

In “Kosovo nove anni dopo”, in onda venerdì 19 settembre, Riccardo Iacona ricostruisce minuziosamente la pulizia etnica di cui sono stati vittime i Serbi del Kosovo. Dal 1999 – da quando la NATO ha vinto la guerra contro la ex Jugoslavia ed insieme alle Nazioni Unite ha preso il controllo del Kosovo – 250.000 Serbi sono stati cacciati dal Kosovo. Le loro case sono state bruciate, le loro terre devastate, le loro chiese distrutte, anche le più antiche e preziose, i loro cimiteri profanati a colpi di pala e di piccone, interi quartieri messi a ferro e fuoco per impedire ai Serbi che vivevano lì da centinaia di anni di poterci ritornare. Nonostante la presenza della NATO, gruppi armati di Albanesi hanno messo in atto una delle più sistematiche e feroci pulizie etniche che l’Europa ha vissuto dopo la seconda guerra mondiale, distruggendo così l’idea stessa di un paese multietnico che pure dicevano fosse all’origine della campagna militare della NATO.
Ma c’è di più: in questi nove anni il Kosovo è diventato la principale porta di ingresso della droga nel nostro Paese ed in tutta Europa; e, sempre nonostante la presenza della NATO e delle Nazioni Unite, si è trasformato in una piccola Colombia, un narcostato nel cuore dell’Europa. I numeri sono impressionanti: l’80 per cento di tutta la droga prodotta in Afghanistan passa dalle valli e dalle montagne del Kosovo “liberato”. Le enormi ricchezze accumulate con il traffico della droga hanno reso potenti all’estero ed in patria i clan mafiosi albanesi del nuovo Stato nato il 17 febbraio di quest’anno con un atto unilaterale.

Nella seconda puntata dal titolo “Afghanistan”, in onda venerdì 26 settembre sempre in prima serata, Iacona riprende il viaggio proprio dalle strade della droga e delle armi, le stesse utilizzate dai gruppi armati kosovaro albanesi che stanno cercando di destabilizzare la Macedonia con azioni militari di grande respiro. Intervisterà in esclusiva i nuovi terroristi dell’UCK ancora in armi sul territorio macedone e racconterà la capillare infiltrazione nei Balcani dei movimenti islamici più radicali, con il sostegno attivo delle organizzazioni caritatevoli dei Paesi del Golfo Arabico. E poi, risalendo le strade della droga che dal Kosovo passano per la Turchia e per l’Iran, ci conduce in Afghanistan.
La guerra, i bombardamenti, sette anni di presenza militare della NATO non sono riusciti ad impedire che l’Afghanistan diventasse il più grande produttore mondiale di oppio ed eroina.

AGGIORNAMENTO (2/10/2008):
A questo indirizzo è possibile leggere una lunga intervista a Riccardo Iacona e rivedere la prima puntata de “La Guerra Infinita”, divisa in otto parti.
Se qualcuno conosce un collegamento riguardante la seconda puntata, è pregato di comunicarcelo.

Albania e Croazia nella NATO

Bruxelles, 9 luglio – Albania e Croazia hanno firmato i protocolli di adesione alla NATO in una cerimonia al quartier generale di Bruxelles. La firma, alla presenza del segretario generale, Jaap de Hoop Scheffer, e dei ministri degli Esteri di Tirana e Zagabria, Lulzim Basha e Gordan Jandrokovic, porta i due Paesi balcanici a un passo dal diventare ufficialmente Paesi membri della NATO.
“E’ un risultato storico per questi due Paesi e per l’intera Comunità di nazioni atlantiche”, ha dichiarato Scheffer durante la cerimonia, secondo un comunicato dell’Alleanza. Il segretario generale ha sottolineato la grande trasformazione compiuta dai due Paesi, ricordando che “non molto tempo fà” la regione a cui appartengono, i Balcani occidentali, era stata teatro “del primo intervento operativo” della NATO in quello che è stato “il primo grande conflitto sul territorio europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale”.
L’Alleanza atlantica si appresta così ad espandersi a 28 Paesi, ma la Macedonia – che doveva entrare insieme ad Albania e Croazia – continua ad essere esclusa a causa della disputa sul suo nome ufficiale con la Grecia. Per diventare pienamente operativa, l’adesione dovrà essere ratificata dai parlamenti degli attuali 26 Paesi della NATO, e poi da quelli albanese e croato. L’ultimo passo sarà il deposito degli atti di ratifica presso il Dipartimento di Stato USA, dove è conservato il Trattato di Washington che ha istituito la NATO.
Croazia e Albania erano state invitate ad entrare nell’Alleanza atlantica all’ultimo summit della NATO, svoltosi a Bucarest dal 2 al 4 aprile.
(APCOM)

“Kosovo rubato”

La Televisione di Stato della Repubblica Ceca, che in un primo momento aveva partecipato al finanziamento del documentario realizzato da Vaclav Dvorak ed intitolato “Kosovo rubato”, relativo alle sofferenze inflitte ai Serbi abitanti la provincia di Kosovo e Metohija, ora, dopo il riconoscimento del Ministro degli Esteri della proclamazione unilaterale di indipendenza da parte albanese, si rifiuta di trasmetterlo.
I rappresentanti della Televisione di Stato giustificano il loro rifiuto sostenendo che il documentario è “sbilanciato” e caratterizzato da un “orientamento filoserbo”, tale che “il suo tono potrebbe causare emozioni negative”. Gli autori del documentario, non nascondendo il proprio disappunto di fronte alla plateale censura, replicano che effettivamente – nella produzione dell’opera – sono stati utilizzati alcuni spezzoni provenienti dagli archivi della Televisione serba, ma nessun tipo di sostegno economico è stato ricevuto dalla Serbia o dai Serbi in generale. Allo stesso tempo, hanno sfidato i censori ad indicare una singola affermazione, immagine o passaggio del documentario che sia falso o scorretto. Un invito che a tutt’oggi rimane senza risposta.
La trasmissione del documentario, programmata per la data del 17 marzo u.s., in coincidenza con l’anniversario dell’ultimo pogrom contro i Serbi del Kosovo e Metohija nel 2004, è stata dapprima posticipata ad aprile, successivamente – dopo il riconoscimento dell’indipendenza da parte del governo ceco lo scorso 21 maggio – è stata eliminata dal palinsesto in maniera definitiva.
Presa coscienza della censura subita, gli autori hanno deciso di far circolare il documentario – in lingua ceca – attraverso Internet. Ora la Televisione di Stato sta usando questo fatto come pretesto ulteriore per la messa al bando del documentario ed afferma che gli autori hanno violato il diritto di esclusiva.

Qui ne proponiamo una versione con sottotitoli in inglese, divisa in dieci parti per una durata complessiva di circa un’ora.
Buona visione.

 

 

2ª parte,                                          3ª parte,                                     4ª parte,

5ª parte,                                          6ª parte,                                     7ª parte,

8ª parte,                                          9ª parte,                                     10ª parte.

Nuovo ordine mondiale e Balcani

fabio mini

“Da quasi vent’anni è in atto un tentativo di stabilire un Nuovo Ordine Internazionale. Il modello della globalizzazione economica avrebbe dovuto guidare quello di un nuovo quadro istituzionale. Alla fine della Guerra Fredda ci si è resi subito conto che le Nazioni Unite dovevano essere riformate per adeguare la sicurezza e i rapporti internazionali ai nuovi rapporti di forze. Il modello che sembrava ineluttabile era quello unipolare con gli Stati Uniti alla guida ed a guardia del mondo in maniera diretta e indiretta attraverso degli organi delegati: i cosiddetti vice sceriffi. L’Australia si è assunta questo ruolo in Asia, Israele in Medio Oriente e la NATO in Europa. In particolare, la NATO ha ricevuto anche il compito di impedire la nascita di una forza di sicurezza europea e di guidare l’espansione occidentale ad est approfittando della debolezza russa. Gli Stati Uniti si sono riservati il ruolo dominante in tutto il mondo ed hanno assunto come priorità strategiche il contenimento economico e militare della Cina e l’abbattimento di tutti i regimi islamici autocratici detentori delle enormi risorse petrolifere.
In questo progetto i Balcani dovevano essere assimilati e questo poteva essere fatto essenzialmente smembrando la Jugoslavia. Laddove l’assimilazione non fosse stata possibile, i Balcani dovevano essere ribalcanizzati frazionandone i territori, limitandone la sovranità, la libertà e il progresso economico e lasciando chi si opponeva nel limbo o nel caos. Per quanto possa sembrare assurdo questo progetto all’inizio non aveva una connotazione imperialistica, ma rispondeva al genuino desiderio degli Stati Uniti di imporre, dopo la Guerra Fredda, un assetto più governabile e gestibile. Quando però si parla di interessi statunitensi, si parla essenzialmente di una politica di potenza e non di semplice solidarietà. Una politica in minima parte guidata dal governo e quasi totalmente asservita a logiche e lobby economico-industriali. I risultati sono stati evidenti proprio con i Balcani e il Kosovo in particolare. Non è stato fatto nulla per impedirne lo sfaldamento e per evitare il ritorno dei nazionalismi più disumani. Le stesse persone che hanno condotto le varie guerre balcaniche sono le stesse che hanno addestrato e alimentato le bande paramilitari, che hanno dato vita a dei mostri giuridici, che hanno imposto trattati ineguali e che hanno alimentato il caos plaudendo alle cosiddette indipendenze su base etnica.”

Da un’intervista al generale Fabio Mini, apparsa sul quotidiano “Rinascita” il 29 marzo ultimo scorso.
La versione integrale è anche qui.

È tutto scritto, nero su bianco

ripensare nato

“La realizzazione di un efficace partenariato strategico tra la Nato e l’Unione europea appare indispensabile per affrontare, con un approccio globale, la complessità dei problemi di stabilizzazione e ricostruzione.
Oltre ai Balcani e all’Afghanistan, una regione in cui la sinergia Nato-Ue potrebbe esplicare agevolmente tutte le sue potenzialità è quella del Mediterraneo e del Medio Oriente, dove entrambe le organizzazioni conducono distinti programmi di cooperazione che riceverebbero valore aggiunto da un loro coordinamento.
L’attuale agenda Nato-Ue appare, in definitiva, troppo limitata e fondata spesso su logiche di preminenza o competizione. Nato ed Unione Europea, inoltre, dovranno entrambe completare i rispettivi processi di integrazione dei Balcani occidentali nella comunità euro-atlantica.
La Nato dovrebbe ricercare una relazione più strutturata a livello strategico anche con le Nazioni Unite. Questa sarebbe foriera di nuove opportunità fra le quali è possibile scorgere un ruolo della Nato nell’addestramento dei peacekeepers delle Nazioni Unite o nella pianificazione operativa delle loro missioni.
I piani operativi della Nato dovranno essere sempre più in grado di supportare l’azione di sviluppo e ricostruzione civile condotta anche da altre organizzazioni quali l’Osce, la Banca Mondiale o le Organizzazioni non governative.”

Legittimo che vi corra qualche brivido lungo la schiena.
La versione integrale dell’articolo di Fabrizio W. Luciolli, segretario generale del Comitato Atlantico Italiano, è qui.

A Vilnius cattive notizie per l’Alleanza

vilnius.jpg

I ministri della Difesa dei 26 Paesi membri della NATO si sono incontrati gli scorsi 7 ed 8 febbraio nella capitale lituana per discutere della missione in Afghanistan. Tutto era pronto per un grande spettacolo mediatico, con trasmissioni televisive per il nord Europa, la Russia e gli ex Paesi sovietici appositamente preparate per mostrare un’Alleanza Atlantica forte e decisa. E’ successo, invece, il contrario.
Gli alleati si sono scambiati accuse pesanti come macigni: “scarso impegno”, “mancanza di preparazione”, “errori di strategia”, “sconfitte in arrivo” e così via. Si sono denunciate assenze importanti scoprendo che non si riescono a trovare altri 7.500 soldati da impiegare nel sud del Afghanistan: italiani, tedeschi, francesi e spagnoli – interpellati al riguardo da statunitensi, canadesi e britannici – hanno risposto che le questioni della ricostruzione non sono meno importanti delle azioni belliche contro i Talebani. Ad appesantire ulteriormente l’atmosfera è arrivata la reprimenda di Robert Gates, ministro della Difesa statunitense, il quale ha parlato di “un’alleanza a due velocità”, divisa cioè tra chi è pronto “a combattere e morire in difesa della sicurezza” e chi non lo è.
Gli ha risposto subito il tedesco Jung, dicendo che la Germania invierà altri 200 militari che però non dovranno combattere. L’Olanda ha prolungato il suo impegno fino al 2009 ma ha ridotto il contingente di un quarto circa. Dall’altra parte, i britannici che avvicenderanno le proprie truppe inviando nuovi aerei ed elicotteri, la Polonia che invierà ulteriori 400 soldati e soprattutto – ci mancherebbe – gli Stati Uniti, in procinto di mandare 3.200 marines di rinforzo. Mancano però all’appello ancora almeno altre 3.500 unità.
Il tutto dovrebbe definirsi in occasione del vertice NATO in programma a Bucarest dal 2 al 4 aprile prossimi, “il più grande mai realizzato” sempre secondo Gates: i temi principali saranno l’espansione della NATO nei Balcani, le questioni della sicurezza degli approvvigionamenti energetici e soprattutto la situazione in Afghanistan. Già è stata annunciata la richiesta statunitense agli “alleati” che tergiversano di rimuovere i caveat, cioè i vincoli che limitano la partecipazione dei rispettivi contingenti alle operazione belliche.