Aspetta e spara

Quando le cose parevano volgere al meglio, ecco abbattersi sulla resistenza ucraina una catastrofe che potrebbe esserle fatale: Bernard Henri-Lévy, per gli amici BHL. Che non è un corriere espresso, ma lo stagionato nouveau philosophe (a proposito: la qualifica ha una data di scadenza, come gli yogurt, o è vitalizia?) dell’Armiamoci & Partite.
Decollato dalla tour Eiffel a bordo dei colletti all’insù tipo strega di Biancaneve, s’è paracadutato su Odessa rischiando di incontrare Giletti. E ora annuncia su Rep l’imminente “ritirata di Putin” perché “il suo esercito si sta afflosciando”, “l’ora del declino è scoccata” e manca un pelo alla “vittoria ucraina”: basta “un incremento minimo degli aiuti”.
I pappamolla vorrebbero trattare per evitare inutili stragi, ma “il momento non è ancora arrivato”. Ci farà sapere lui. Intanto lasciamoli sterminare ancora un po’ e sbavagliamo Biden, che trova sempre le parole giuste (“ha detto pane al pane”): purché “difenda ogni centimetro” di Ucraina che – sorpresa! – è un “santuario della NATO” (quindi ha ragione Putin). “L’America sta tornando” e ci sono ottime speranze per la terza guerra mondiale. Del resto Pupetto Montmartre di Champs-Élysées è un grande fan delle guerre col culo degli altri. Non se n’è persa una. Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria: allons enfants!
Purtroppo porta sempre malissimo a chi appoggia. Memorabile, nel 2011, la missione a Bengasi per reclutare ribelli anti-Gheddafi, promuovere a partigiani della libertà capitribù e tagliagole, proporsi come mediatore tra loro e la NATO, spingerla a bombardare tutto fino alla sodomizzazione e all’assassinio del rais. “La Libia entra nella democrazia, sono fiero”, esultò al rientro. Risultato: 11 anni di guerra civile. Nel 2020, ancora fiero, atterrò a Misurata per il meritato premio. E la popolazione glielo tributò volentieri, come raccontò lui stesso in uno straziante reportage su Rep (all’inizio s’era spacciato per inviato del WSJ, che però l’aveva smentito): “Libia, sputi e spari. Così mi hanno dato la caccia nel deserto”. Salvato dal linciaggio, fu rimpatriato con l’ordine di non mettere più piede in loco. L’anno scorso, lacrimante per l’indecorosa fuga americana da Kabul, si aviotrasportò in Panshir chez Massoud jr. per scongiurare la pace dopo appena 42 anni di guerra e annunciò su Rep che la disfatta talebana era vicina. Risultato: talebani al potere e Massoud jr. scappato in Tagikistan. Se aggiungete che, nelle sue molte vite, il délabré philosophe ha sposato Trotzky, Mao, Mitterrand, Cesare Battisti, Sarkozy e pure Renzi e Calenda, potete ben comprendere la nostra trepidazione per gli Ucraini. Nella vita ci si può salvare da tutto, persino dall’armata russa. Da BHL no.

Marco Travaglio

(Fonte)

Sorrido

Brevi note sull’Afghanistan

Vent’anni fa, quando l’Occidente a traino USA andò a bombardare, occupare e devastare l’Afghanistan sulle pagine di “Orion” spiegavamo perché là non si doveva andare. Il 99% degli editorialisti/analisti dei media mainstream di allora plaudivano a scena aperta. Oggi gli stessi dicono che non si doveva andare e che è stato un errore. Sorrido.

Gli USA hanno addestrato le truppe del governo filo-occidentale a fare la guerra all’americana. Gli hanno insegnato che prima si mandano avanti i bombardieri e si fa tabula rasa con i missili, poi si fa avanzare la fanteria. Li hanno lasciati senza aviazione e copertura missilistica e si stupiscono che l’esercito privo di copertura aerea non ha tenuto botta neppure per 24 ore. Sorrido.

Fiumi di denaro per imbonire i “signori della guerra” e non un dollaro al popolo. Impoverito il Paese e regalatogli le immagini dell’opulenza occidentale, gli afghani hanno iniziato ad immigrare: i numeri erano significativi già da anni. Ma arrivati i Talebani i volponi occidentali hanno propagandato la notizia che collaboratori e quanti avevano paura del bau-bau talebano sarebbero stati trasvolati in Occidente. Una gara di numeri: “Ne prendo 20.000, dice il Canada; ne prendiamo 30.000 dicono gli USA; tutti quelli che vogliono venire, dicono dall’Europa, Sassoli e Gentiloni in testa (quando mai su questo terreno i “buonisti” italiani non devono primeggiare?)”. E si stupiscono che a migliaia si sono presentati in aeroporto per il volo gratis invece di continuare a pellegrinare per monti e deserti. Salvo dire che il macello all’aeroporto è colpa dei Talebani. Sorrido.

“Non riconosciamo il governo dei Talebani” urlacchiano gli Occidentali, Inglesi in testa. Qui prima di me a sorridere sono i Talebani che del riconoscimento occidentale se ne fregano altamente in considerazione del fatto, tra l’altro, che sono riconosciuti da Cina, Russia, Pakistan etc. Cioè da Stati orientali che sono gli Stati che stanno esattamente là dove sta l’Afghanistan e che saranno in grado di investire senza portare eserciti colonizzatori e massacratori. E comunque, con i Talebani, sorrido anch’io.

“Facciamo il G20, il G21, il Gtrallallero-trallalà” per veder come rassettare l’Afghanistan. Magari sponsorizziamo e inzighiamo con l’ISISI, quel che resta di Al Qaeda e già che ci siamo con il figlio di Massoud il “leone del Panjshir”. Del resto se il padre era un leone, il figlio è un gattino che si è fatto le unghiette nelle università inglesi e che non poteva trovar maggior sponsor che nell’idiota (in senso etimologico) di Parigi, l’ineffabile BHL. Sorrido.

Possiamo dire che la narrazione mainstream occidentale è quanto meno oscena? Possiamo dirlo. Come possiamo tranquillamente dire che questo malefico Occidente è ormai in via di disfacimento destinato ad affogare nel guano che ha prodotto. Non mi soffermo sui deliri dei nostri politici, cominciando da Salvini che vorrebbe bombardare l’Afghanistan con le copie del libro della Fallaci, o di Letta (sì, quella sorta di ectoplasma che ha fatto della banalità verbale la propria cifra espressiva) che blatera di democrazia e diritti umani, civili e quant’altro da “imporre” ai Talebani… altrimenti… altrimenti cosa? Una sua concione a reti televisive unificate in Afghanistan?

Sorrido… e vi mando tutti a quel paese a passo di carica. Imbecilli al cubo che non siete altro.

Maurizio Murelli

Fonte

Come UE & NATO hanno sfruttato l’Ucraina per raggiungere i propri scopi geopolitici

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“L’Ucraina non sarà certamente in grado di diventare un membro dell’UE nei prossimi 20-25 anni, e neanche della NATO.” Indovinello. Chi ha fatto questa dichiarazione la scorsa settimana?
Era:
(a) Vladimir Putin
(b) Sergei Lavrov
(c) Viktor Yanukovich
(d) Jean-Claude Juncker
Se la risposta corretta era (a) o (b), i giornalisti occidentali e gli attivisti regime filo-Kiev – che sono spesso indistinguibili – farebbero la fila per respingere la citazione quale “propaganda russa”. O “guerra ibrida”. O qualunque sia lo slogan/Twitter hashtag concordato del mese.
Come spesso accade, la Russia è stata costante su un punto particolare dalla ‘rivoluzione arancione’ di Kiev, nel 2004 – che l’obiettivo primario degli Stati Uniti è quello di sfruttare le divisioni fratricide dell’Ucraina per conseguire i propri obiettivi geopolitici. Che Mosca ritiene essere di spingere le forze americane più vicino possibile ai confini della Russia, nel nome del ‘contenimento’.
Due cose hanno impedito la completa riuscita di questo piano. In primo luogo i conflitti interni dell’Ucraina. I manifestanti della Capitale, aiutati da alleati della Galizia, hanno ora rimosso i due governi dominati dagli orientali. Il secondo dei quali era stato correttamente eletto. Poiché il sentimento a Kiev e Lviv non riflette l’intero Paese, i regimi creati da queste dimostrazioni non sono stati in grado di consolidare un sostegno popolare, a livello nazionale. Ad esempio, l’attuale presidente Petro Poroshenko, ora gode di indici di gradimento più bassi di quelli che il suo predecessore spodestato, Viktor Yanukovich, ha avuto prima di Maidan. L’altro ostacolo è stata la riluttanza di molti membri della NATO e dell’UE a permettere una piena adesione ucraina alle loro istituzioni.
Così, l’Ucraina è alimentata con aiuti a goccia, e calorose parole di lode, mentre non si avvicina ad entrare in entrambi i club. E’ ‘istruttivo il fatto che la NATO è più che disposta a fornire assistenza militare e finanziamenti per l’Ucraina ma, nonostante pressioni pesanti del calibro di un Bernard-Henri Lévy, una strategia economica del tipo piano Marshall rimane insondabile ai leader occidentali. Continua a leggere

Lo spirito del tempo o l’islamofobia radicale

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Il presente articolo è apparso in rete il 12 Settembre 2012.

La grande questione del XXIesimo secolo è e sarà quella dell’islamofobia. L’islamofobia è il vero male del nostro secolo, a immagine di quello che fu l’antisemitismo nel secolo passato. Se l’odio ha cambiato bersaglio, esso non ha però cambiato il suo metodo. La ‘bestia infame’ è sempre là e si aggira attorno alla sua preda con lo stesso appetito predatorio. I lupi sono entrati a Parigi, a Washington, a Londra e a Gerusalemme. Oggi sono i Musulmani i principali capri espiatori dell’odio ordinario dei popoli occidentali e delle loro élites, e rischiano di pagare un prezzo molto alto per la scarsa importanza che noi, cittadini dei Lumi e bambini viziati della democrazia, diamo ai loro poco invidiabili destini.
L’Occidente, una volta gettato il cadavere del comunismo nei bassifondi della storia, ha saputo fare dell’Islam il male assoluto, il nemico da combattere, il nuovo totalitarismo che minaccerebbe le nostre libertà, le nostre terre, le nostre identità. Mezzo astuto per deviare la rabbia legittima dei popoli occidentali contro le predazioni ripetute delle loro élites che, per arricchirsi oltre misura, non hanno trovato migliore soluzione che quella di spostare i posti di lavoro dei loro concittadini in lontane contrade, dopo aver aperto le porte dell’immigrazione economica per far pressione sui salari dei loro lavoratori. Di fronte al fallimento di un sistema liberale dominato dalla finanza e dal profitto, bisognava brandire una minaccia che potesse canalizzare tutti i vecchi risentimenti del popolo, frutto di successivi fallimenti delle nostre società capitaliste.
L’islamofobia ha i suoi teorici rispettati e riconosciuti all’interno della ristretta cerchia delle nostre élites atlantiste: un esempio è Samuel Huntington con il suo “scontro delle civiltà” che è, in qualche modo, un invito alla guerra eterna, un breviario dell’odio dell’altro in nome degli interessi geostrategici di un pugno di Occidentali; oppure una Bat Ye’or con il suo concetto di “Eurabia” (“Eurabia : l’asse euro-arabo), che vorrebbe estendere all’Europa il modello di apartheid e di discriminazione già in opera in Israele al fine di resistere all’invasione dei nuovi ‘barbari’.
Le nostre élites islamofobe non hanno solo i loro teorici, esse hanno anche i loro guerrieri, che sono andati a portare la guerra in terre musulmane per mettere in pratica le loro ripugnanti teorie. Occorreva dare sostanza alla loro paranoia, dar prestigio alla loro volontà di nuocere e praticare la fisica del crimine dopo aver esaurito tutte le risorse della metafisica della paura. I loro signori della guerra sono ritornati dalla loro crociata afghana, irachena, libica, gonfi d’eroismo sanguinario, dopo aver massacrato innocenti, torturato bambini che difendevano i loro villaggi con una pietra o con un pezzo di legno, dopo aver devastato le campagne e le città con armi proibite dalle convenzioni internazionali, dopo essersi impadroniti delle ricchezze dei Paesi aggrediti; sono tornati, dunque, proclamando senza vergogna: “Essi ci detestano”, “essi ci odiano”, “essi ci maledicono”. Continua a leggere

Bernard-Henri Lévy

Il “filosofo” che ha aiutato la NATO a distruggere la Libia e ha trasportato armi per i ribelli.
Da CounterPsyOps

In un articolo comparso sulla rivista francese Paris Match (numero 17-23 Novembre 2011), controllata dal maggiore gruppo editoriale francese, Lagardère (il signor Lagardère è uno stretto amico di Nicholas Sarkozy), possiamo leggere/apprendere fatti incredibili riguardo l’infame coinvolgimento di Bernard-Henri Lévy nell’illegale e ingiustificata guerra alla Libia (vedasi qualcosa in più riguardo costui qui, qui, qui e qui).
Innanzitutto, la rivista spiega che BHL (Bernard-Henri Lévy) è stato promotore della “responsabilità di proteggere” – in altre parole: il diritto per i Paesi occidentali di bombardare indiscriminatamente nazioni sovrane considerate “non allineate” ovvero troppo indipendenti – per oltre 30 anni. E sostiene che la caduta di Muammar Gheddafi sia il brillante risultato di questa “lotta”. Questa semplice affermazione dimostra come la stampa francese stia disperatamente tentando di fare apparire l’intervento diretto dell’esercito più potente e criminale al mondo, la NATO, come qualcosa di moralmente corretto e necessario per mantenere il mondo pacifico e salvare civili innocenti.
Nel seguito dell’articolo, e come l’immagine sopra dimostra, la rivista giunge a dire che BHL ha fornito alla NATO le coordinate per i bombardamenti finalizzati a uccidere i combattenti della Resistenza Verde libica. Possiamo pure apprendere che BHL ha trasportato armi (in totale violazione delle risoluzioni dell’ONU che imponevano un “embargo sulle armi” alla Libia). Superfluo chiedersi a chi abbia consegnato tali armi, né per conto di chi abbia agito in questo modo…
Questo è oltre l’immaginazione. Quest’uomo sta ammettendo chiaramente di aver partecipato ATTIVAMENTE a un cambio illegale di regime che i libici non volevano, al massacro di civili innocenti e alla distruzione del Paese più ricco dell’Africa, e nessun’azione legale che sia una è stata intrapresa nei suoi confronti. Egli continua a essere invitato a spettacoli televisivi, riceve il supporto dei media mainstream nella promozione dei propri libri, tutte le emittenti televisive lo chiamano per avere le sue opinioni geopolitiche… Io non riesco davvero a credere che ciò stia avvenendo. Come può essere che il popolo francese non si renda conto di ciò che si sta svolgendo proprio sotto i suoi occhi. Sono tutti quanti ciechi, ignoranti, o sono semplicemente menefreghisti? Nessuna di queste risposte mi soddisferebbe ugualmente. La gente ha davvero bisogno di svegliarsi!!!
Chiunque rubi del cibo per sopravvivere e nutrire i propri figli può finire in galera, mentre quest’uomo, complice di omicidi di massa, è libero come un uccello… Dovrebbe essere immediatamente arrestato e processato in quanto complice attivo di crimini contro l’umanità e Genocidio! In che razza di mondo viviamo?
Non esitate a prendere contatto con BHL per fargli sapere cosa pensate di lui e delle sue “imprese”:
Twitter: @BernardHL // Facebook: Bernard-Henri Lévy

[Traduzione di L. Salimbeni]

Eco di guerra

Parigi, 22 giugno – Sette scrittori di tutto il mondo hanno lanciato oggi da Parigi un appello al Consiglio di sicurezza dell’ONU affinchè venga adottato un progetto di risoluzione contro la repressione in Siria che ”metta fine ai massacri”.
I sette firmatari sono Umberto Eco, David Grossman, Bernard-Henri Levy, Amos Oz, Orhan Pamuk, Salman Rushdie e Wole Soyinka. La lettera firmata dai sette intellettuali è stata pubblicata sul sito di ”La regle du jeu”, la rivista online del filosofo francese Levy, e si rivolge ai 15 Paesi membri del Consiglio di sicurezza.
(Ansa)

Compassione a Paesi alterni

Aggiungo soltanto che anche la storia delle lapidazioni in Iran è una bufala. Per quanto la lapidazione sia formalmente prevista dai codici, l’Iran ha posto fin dal 2002 una moratoria su questo tipo di pena capitale, tant’è vero che – come perfino i nostri media ogni tanto sono costretti ad ammettere, tra una lacrimevole sbrodolata e l’altra sui “diritti delle donne in Iran” – la pena cui Sakineh sarebbe condannata in caso di verdetto di colpevolezza per concorso in omicidio (non per semplice adulterio, come favoleggiato dai nostri giornali) sarebbe l’impiccagione, non la lapidazione. Tutte le notizie di lapidazioni in Iran dopo il 2002 vengono da fonti occidentali e non sono mai state confermate (e anzi sono state ripetutamente smentite) dalle autorità iraniane. Inoltre, nel 2008 è stato presentato al Parlamento iraniano un progetto di legge che chiede di eliminare anche formalmente la menzione della lapidazione dai codici penali. La revisione del sistema penale iraniano, in corso dal giugno 2009, mira, tra le molte altre cose, anche a questo obiettivo.
Paesi in cui la lapidazione è effettivamente praticata sono l’Afghanistan e l’Arabia Saudita (che prevede per le adultere anche la pubblica decapitazione), ma raramente vengono citati dalle cronache, trattandosi di “protettorati” o di alleati degli Stati Uniti.
(…)
En passant, ricordo anche che negli Stati Uniti, in Virginia, sta per essere giustiziata Teresa Lewis, per crimini non troppo dissimili da quelli di Sakineh (anche lei aveva organizzato l’omicidio del marito, insieme a quello del figliastro). Curiosamente, i giornali occidentali non hanno dedicato alla sua vicenda neppure un millesimo dello spazio dedicato a Sakineh, niente petizioni pubbliche, niente accorate rimostranze contro la disumanità del sistema penale americano. I riflettori della propaganda, evidentemente, non sono programmati per accendersi sulla barbarie dei dominanti.

Da Santa Sakineh, martire delle corna, di Gianluca Freda.

Novembre 2010, si ricomincia…
Non è stata impiccata, no. Sakineh – processata per l’omicidio del marito – è ancora viva e vegeta in prigione. Eppure gli allarmi rilanciati fino a ieri erano fortissimi: la stanno per uccidere, sì, lei, quella che rischiava la lapidazione perché donna in un regime che odia le donne. Ma non era vero niente. Così, milioni di piazze pavesate con il bel volto della donna iraniana, hanno composto gratis e in buonissima fede lo sfondo per l’instancabile propaganda che vuole la guerra contro Teheran.
Il corpo di Teresa Lewis, una “Sakineh” statunitense, giace da oltre un mese in qualche dimenticato cimitero, senza che «l’Unità» si sia presa la briga di mettere una sola volta la sua foto a fianco della testata, come invece fa ossessivamente da mesi per l’imputata iraniana. Come nascono queste distorsioni della percezione, il diverso peso di una vita rispetto a un’altra? Come mai un sistema penale è improvvisamente sotto gli occhi di tutti (l’Iran) e altri sono dimenticati (gli USA, l’Arabia Saudita?).
Le notizie che rimbalzano sul caso Sakineh, secondo gli organi informativi nostrani, provengono da varie Ong e organizzazioni umanitarie internazionali. Il lettore viene frastornato da una serie di sigle, che accumulandosi mettono in scena un movimento ampio. In particolare si fa riferimento al «Comitato internazionale contro le esecuzioni», al «Comitato internazionale contro la lapidazione», al «Consiglio centrale degli ex-musulmani», a «Iran Human Rights».
La particolarità è che le prime tre di queste organizzazioni fanno capo alla stessa persona: si tratta di Mina Ahadi, dissidente iraniana in Germania.
Le recenti notizie sull’imminente esecuzione di Sakineh Mohammadi Ashtiani comparse sulla nostra stampa sembrano avere tutte, dunque, la stessa fonte: ad esempio il «Sole24Ore» del 3 novembre cita il Comitato contro le esecuzioni (il cui portavoce è Mina Ahadi); il «Corriere della Sera» dello stesso giorno cita come fonte il Comitato contro la lapidazione (sempre Mina Ahadi), ma a rafforzare il discorso viene citato anche il portavoce di Iran Human Rights, il quale parla in una Adnkronos di “segnali inquietanti”, “preoccupanti”, che giungono da Teheran, ma poi specifica che mancano conferme. Dunque le sue dichiarazioni sembrano essere commenti rispetto a quanto già annunciato da Mina Ahadi, non altre fonti.
Le affermazioni di Mina Ahadi fanno sponda con Parigi e vengono riprese dal filosofo militante filoisraeliano Bernard-Henry Lévy che le amplifica attraverso il suo sito La règle du jeu. È da sottolineare che la campagna su Sakineh è partita e si è diffusa dalla Francia in tutta Europa soprattutto ad opera di Lévy, ma costui non cita mai fonti diverse da quelle provenienti da Mina Ahadi.
La Ahadi è anche la fonte principale (se non unica), in quanto testimone uditiva, circa l’arresto del figlio e dell’avvocato di Sakineh, avvenuto mentre i due stavano rilasciando una intervista a dei giornalisti tedeschi con la Ahadi che svolgeva il ruolo di interprete via telefono.
Mina Ahadi è un’esponente del Partito Comunista dei Lavoratori iraniano in esilio. Suo marito, impegnato nella stessa organizzazione, venne ucciso in Iran dopo la rivoluzione khomeinista. Ha lavorato dieci anni per la radio del partito quando faceva base nel Kurdistan iracheno. Riparata in Germania, nel 2007 ha fondato il Consiglio centrale degli «ex-musulmani» che ha come scopo la difesa dei musulmani, soprattutto all’estero, dall’ingerenza delle organizzazioni islamiche locali. Questa organizzazione propone addirittura l’abiura dell’Islam ritenendo che esso non sia riformabile, ma poi specifica che lotta contro l’Islam politico, non contro la religione.
(…)

Da Le distorsioni del caso Sakineh, di Sabrina Scanti.
[grassetto nostro]

Baku, 18 novembre – L’inchiesta su Sakineh Mohammadi-Ashtiani è ancora in corso: lo ha precisato Mahmoud Ahmadinejad in persona. “Stiamo ancora indagando sul caso. Gli investigatori iraniani sono molto competenti e arriveranno alle giuste conclusioni”, ha detto il presidente iraniano durante una visita a Baku, in Azerbagian.
Sulle pressioni della comunità internazionale affinché la sentenza sia rivista, Ahmadinejad ha risposto con una frecciata. “Voglio fare un mio appello: negli USA ci sono 53 donne condannate a morte. Perche’ il mondo non chiede a Washington perdono per queste donne?”, ha detto.
(AGI)

[Continua]

Guantanamo non chiude

guantanamo

Tutti ricordano le foto delle torture che circolano su Internet. Esse sono state presentate come trofei di guerra da qualche GI. Tuttavia, i media mainstream in grado di verificarne l’autenticità, non osavano riprodurle. Nel 2004 la CBS vi ha consacrato un reportage. Questo è stato il segnale del movimento generale per esporre il maltrattamento degli iracheni. La prigione di Abu Ghraib dimostrava che la presunta guerra contro la dittatura di Saddam Hussein era in realtà una guerra di occupazione come le altre, con lo stesso corteo di crimini. Non sorprende che Washington abbia assicurato che gli abusi furono perpetrati all’insaputa dei comandi, da pochi individui insignificanti descritti come “mele marce”.
Alcuni soldati sono stati arrestati e processati per esempio. Il caso è stato chiuso fino alla rivelazione successiva.
(…)
Tranne che, a un anno dall’elezione di Barack Obama, se centinaia di singoli casi sono stati risolti, non è cambiato nulla nel merito. Guantanamo è lì e non sarà chiusa immediatamente. Le associazioni di difesa dei diritti umani sono chiare: la violenza contro i detenuti sono peggiorate. Interrogato al riguardo, il vice-presidente Joe Biden ha detto che più si avanzava in questo dossier, più capiva che finora non era a conoscenza di molti aspetti. Poi, enigmatico, ha avvertito la stampa, assicurando che non si dovrebbe aprire il vaso di Pandora. Da parte sua, Greg Craig, consulente della Casa Bianca ha voluto dare le dimissioni, non perché crede di aver fallito nella sua missione di chiudere il centro, ma perché ora crede che gli sia stato affidato un compito impossibile.
Perché il Presidente degli Stati Uniti non riesce a farsi obbedire? Se uno ha già detto tutto ciò che riguarda gli abusi dell’era Bush, perché parlare di un vaso di Pandora e che se ne ha paura?
In realtà, il sistema è più vasto. Non si limita solo a pochi rapimenti e a una prigione. Soprattutto, il suo scopo è radicalmente diverso da quello che la CIA e il Pentagono fanno credere. Prima di iniziare la discesa agli inferi, si dovrebbe far piazza pulita della confusione.
(…)
La US Navy ha istituito un gruppo medico d’assalto. Che fece venire a Guantanamo il professor Seligman. Questo professionista è una star, noto per il suo lavoro sulla depressione. I suoi libri sull’ottimismo e la fiducia sono dei best seller in tutto il mondo. E lui che ha supervisionato gli esperimenti su cavie umane.
Alcuni prigionieri, sottoposti a terribili torture, finivano spontaneamente per mettersi da soli in questo stato psicologico, permettendogli di sopportare il dolore, ma privandoli di ogni resistenza. Manipolandoli così, si arriva rapidamente alla fase 3 del processo Biderman. Sempre basandosi sul lavoro di Biderman, i torturatori americani, guidati dal professor Seligman, hanno fatto esperimenti ed hanno migliorato tutte le tecniche coercitive.
Per fare questo, è stato sviluppato un protocollo scientifico che si basa sulla misurazione delle fluttuazioni ormonali. Un laboratorio medico è stato installato a Guantanamo. Campioni di saliva e del sangue vengono prelevati a intervalli regolari dalle cavie per valutarne le reazioni.
I torturatori hanno reso più sofisticati i loro crimini. Ad esempio, nel programma SERE, hanno monopolizzato con la musica stressante la percezione sensoriale, per impedire al prigioniero di dormire. Hanno ottenuto risultati migliori trasmettendo grida di bambini inconsolabili per giorni e giorni. Oppure, hanno mostrato tutta la potenza dei rapitori con i pestaggi.
A Guantanamo, hanno creato la Forza di reazione immediata. Questo è un gruppo di punizione dei prigionieri. Quando questa unità entra in azione, i suoi membri sono rivestiti di un’armatura di protezione, tipo Robocop. Estraggono il prigioniero della sua gabbia e lo mettono in una stanza le cui pareti sono imbottite e rivestite in compensato. Gettano la cavia contro il muro, per fratturarli, ma il legno compensato smorza parzialmente lo shock, così da inebetirli, ma le sue ossa non vengono rotte.
I principali progressi sono stati compiuti con la punizione della vasca. Una volta, anche la Santa Inquisizione immergeva la testa del prigioniero in una vasca da bagno e lo ritiravano poco prima della sua morte per annegamento. La sensazione di morte imminente causa la massima ansia. Ma il processo era primitivo e frequenti erano gli incidenti. Ora, il prigioniero non è più immerso in una vasca da bagno piena, ma viene fatto giacere in una vasca vuota. Lo si annega versandogli acqua sulla testa, con la possibilità di fermarsi istantaneamente.
Ogni sessione è stata codificata per determinare i limiti della sopportazione. Degli assistenti misurano la quantità di acqua utilizzata, i tempi e la durata del soffocamento. Quando ciò accade, recuperano il vomito, lo pesano e l’analizzano per valutare l’energia e la stanchezza prodotte.
(…)
Il caso più noto è quello del pseudo-Khalil Sheikh Mohammed. Questi è un individuo arrestato in Pakistan e accusato di essere un islamista del Kuwait, anche se non è chiaramente la stessa persona. Dopo essere stato torturato a lungo e, in particolare, esser stato sottoposto 183 volte al bagno mortale durante il solo mese di marzo del 2003, l’individuo ha riconosciuto di essere Mohammed Sheikh Khalil, e si è autoaccusato di 31 diversi attentati in tutto il mondo, dal WTC di New York nel 1993, alla distruzione di una discoteca di Bali e alla decapitazione del giornalista Daniel Pearl, fino a gli attentati dell’11 settembre 2001. Lo pseudo-Sheikh Mohammed ha continuato la sua confessione davanti ad una commissione militare, ma non è stato possibile, per gli avvocati e i giudici militari, interrogarlo in pubblico, poiché si temeva che, fuori dalla gabbia, si rimangiasse la confessione.
Per nascondere le attività segrete dei medici di Guantanamo, la Marina Militare ha organizzato viaggi-stampa dedicati ai giornalisti compiacenti. Così, il saggista francese Bernard Henry Levy, ha detto che ha giocato volentieri il ruolo del testimone della moralità, visitando quello che si voleva fargli vedere. Nel suo libro ‘American Vertigo’, ha assicurato che questo carcere non è diverso da altri penitenziari degli Stati Uniti, e che le prove di abusi praticati vi “erano piuttosto gonfiate.” (sic)
In definitiva, l’amministrazione Bush ha stimato che pochissimi individui sono stati condizionati a tal punto da confessare di aver commesso gli attentati dell’11 settembre. Essa ha concluso che era necessario testare un gran numero di prigionieri per selezionarne i più reattivi.
Tenuto conto della controversia che si sviluppò attorno a Guantanamo, e per essere sicura di non essere perseguita, la US Navy ha creato altre prigioni segrete, poste al di fuori di qualsiasi giurisdizione, in acque internazionali.
17 imbarcazioni a fondo piatto, del tipo usato per le truppe da sbarco, sono state trasformati in prigioni galleggianti, con gabbie come quelle di Guantanamo. Tre sono state identificate dall’associazione britannica Reprieve. Questa sono la USS Ashland, USS Bataan e USS Peleliu.
Se aggiungiamo tutte le persone che sono state fatte prigioniere in zone di guerra, o sequestrate in qualsiasi parte del mondo, e trasferite in questa serie di carceri, negli ultimi otto anni, un totale di 80.000 persone sono transitate nel sistema, di cui meno di un migliaio sarebbe stato spinto alla fase finale del processo di Biderman.
Quindi il problema dell’amministrazione Obama è il seguente: non è possibile chiudere Guantanamo senza rivelare ciò che è stato fatto. E non è possibile riconoscere quanto è stato fatto, senza ammettere che tutte le confessioni ottenute sono false e sono state deliberatamente inculcate sotto tortura, con le conseguenze politiche che ciò implica.
Alla fine della seconda guerra mondiale, dodici processi furono istruiti dal tribunale militare di Norimberga. Uno era dedicato a 23 medici nazisti. 7 furono prosciolti, 9 furono condannati a pene detentive e 7 furono condannati a morte. Dal momento che esiste un codice etico che disciplina la medicina a livello internazionale. Esso vieta proprio ciò che i medici statunitensi hanno fatto a Guantanamo e in altre prigioni segrete.

Da Il segreto di Guantanamo, di Thierry Meyssan.

60 (anni di NATO)

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STRASBURGO, 2 aprile – Dopo gli incidenti e le violenze che hanno segnato il G20 di Londra, a prepararsi all’arrivo in massa di manifestanti, no global, terzomondisti, pacifisti e autonomi sono le tre città, Strasburgo, Kehl e Baden Baden, che sulle rive del Reno ospiteranno i ventotto capi di Stato e di governo della NATO.
Le autorità francesi e tedesche si sono preparate mobilitando complessivamente oltre venticinquemila uomini della sicurezza, in attesa della mega manifestazione, che prenderà avvio sabato mattina a Strasburgo.
In Germania, 14.600 poliziotti verranno affiancati da seicento militari. Duecento poliziotti tedeschi e sei mezzi con gli idranti attraverseranno la frontiera, che sarà chiusa per 24 ore da venerdì notte, per dare una mano ai colleghi francesi.
A Strasburgo, a garantire che le due zone rosse siano ermeticamente chiuse a chi è sprovvisto di permessi ci saranno circa diecimila poliziotti e gendarmi, ai quali si uniranno alcune unità delle forze d’elite. Lo spazio aereo fra Strasburgo e Badedn Baden, dove domani sera si svolgerà la cena dei leader, sarà off limit a tutti gli aerei non previsti e anche le autostrade fra le due città saranno chiuse.
E’ la più grande operazione di sicurezza sul territorio francese dal G8 di Evian nel 2003, ha reso noto il ministro dell’Interno Michele Alliot Marie, secondo la quale duemila dei circa 35-40.000 manifestanti attesi a Strasburgo sono potenzialmente violenti. Mentre sul lato tedesco sono attesi circa 25.000 manifestanti, che potrebbero includere, secondo le autorità locali, circa tremila violenti.
Tafferugli e tensioni si sono già registrate nei giorni scorsi fra partecipanti al contro-vertice e forze dell’ordine. Due collettivi tedeschi hanno annunciato che bloccheranno gli accessi a Strasburgo, sabato mattina, quando i leader NATO attraverseranno il ponte che collega la riva tedesca e quella francese del Reno. ”Ci prepariamo a bloccare l’accesso ai partecipanti del vertice e vogliamo che Obama lo sappia”, ha affermato uno rappresentanti della ‘sinistra interventista’ Jonas Frykman.
Nel frattempo sono a un punto morto i negoziati fra il collettivo anti-NATO e la prefettura di Strasburgo per modificare il percorso della manifestazione di sabato e che prevede un tragitto lungo le rive del Reno, fuori dalla città. ”E’ incredibile – ha commentato Arielle Denis del Movimento per la pace – Lungo gli otto chilometri non c’è assolutamente nulla, abbiamo fatto proposte compatibili con le esigenze di sicurezza, ma che permettevano di sfilare nelle zone abitate. Lo spazio pubblico non appartiene ai capi di stato, ma ai cittadini”, ha commentato.
Le dispute sulle misure di sicurezza sono arrivate anche alle aule dei tribunali. A Wiesbaden un fotografo indipendente si è visto dare ragione per il suo mancato accredito da parte della NATO, perché ”ingiustificato” e frutto di una procedura ”illegale”.
(ANSA)

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Primo evento ufficiale del Vertice NATO che celebra i sessanta anni dell’Alleanza Atlantica, lo Youth Forum si è aperto oggi pomeriggio con un incontro tra il Segretario Generale uscente Jaap De Hoop Scheffer e circa trecento giovani, studenti o lavoratori, provenienti da 60 Paesi.
L’incontro, denominato La NATO nel 2020: cosa ci aspetta?, proseguirà nella giornata di domani, che prevede un discorso di apertura del guru dei “nuovi filosofi” francesi, quel Bernard-Henri Lévy tristemente noto alle cronache per il suo acceso astio antiserbo.
Questo è solo l’antipasto.

A fine giornata, foto ricordo con Jaap e la di lui consorte:

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Il nuovo Kissinger detta l’agenda
Gli Stati Uniti intendono promuovere al vertice un vigoroso dibattito per definire la nuova filosofia e il nuovo assetto strategico dell’Alleanza Atlantica rimasti all’epoca della Guerra Fredda. “Dobbiamo adeguare la NATO alle nuove sfide del XXI Secolo”, ha ribadito l’ex generale James Jones, Consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Obama.
“Dobbiamo essere in grado di affrontare le sfide simmetriche ma anche quelle asimmetriche (come la guerriglia e i terroristi) – ha spiegato Jones – E’ giunto il momento di uscire dalla mentalità del XX secolo e reinventare il ruolo della NATO, pensando al futuro, giungendo ad una nuova versione più agile, più attiva e più rapida nell’eseguire missioni di tipo diverso che includono la prevenzione di conflitti futuri”. “Invece di avere la NATO in una postura reattiva, che aspetta che accada qualcosa di brutto e poi dopo un dibattito che può durare dai sei mesi ad un anno decide infine di inviare truppe – ha affermato Jones – vorremmo vedere un’Alleanza che reagisce più rapidamente in modo da prevenire conflitti futuri”.

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TotoNATO
Ankara, 3 aprile – Il Primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, si è detto ”personalmente contrario” alla candidatura del suo omologo danese, Anders Fogh Rasmussen, alla guida della NATO. E’ quanto riportano le televisioni turche. ”Sono personalmente contrario. Dubito delle sue capacità di contribuire alla pace mondiale”, ha detto Erdogan rispondendo a una domanda nel corso di una conferenza stampa al centro di ricerche Chatham House. In particolare, il premier turco ha citato ad esempio il caso delle caricature di Maometto, pubblicate da un giornale danese nel 2005, e che avevano indignato il mondo musulmano, Turchia compresa.
(ASCA-AFP)

Al celebre Kurhaus della città termale di Baden Baden, il concerto della violinista tedesca Anne-Sophie Mutter per allietare i nostri uomini.
A seguire cene separate per capi di governo e ministri degli esteri e della difesa, Angelona Merkel assicura che entro oggi comunque decidono.
Qui un superbo streaming della serata.

Per una questione di prossimità fisica
“Credo sia più probabile che al Qaeda riesca a sferrare un attacco terroristico serio in Europa piuttosto che negli Stati Uniti, per una questione di prossimità fisica”, ha detto Obama alla conferenza stampa dopo il colloquio di stamane con il presidente francese Nicholas Sarkozy. Quindi? Sarebbe opportuno che “l’Europa rafforzi le proprie capacità militari, nell’ambito della NATO, quanto più possibile”.
Dopo aver elogiato la “coraggiosa” leadership di Sarkozy, ha da questi incassato un pieno sostegno all’ulteriore militarizzazione del teatro afghano.
A spese di chi, è facile immaginarselo.

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Ricapitoliamo:
la cena di ier sera non era riuscita a dissipare le forti perplessità turche sulla nomina di Rasmussen quale nuovo Segretario Generale.
Stamattina, all’appuntamento della passeggiata sul Reno, il giallo: “Dov’è Berlusconi?” chiede la Merkel. Poi si scopre che il Silvio nazionale era impegnato al telefono per convincere Erdogan che il danese è l’uomo giusto per la NATO del XXI° secolo. Come dargli torto… alla fine le minacce dell’UE – per bocca di Olli Rehn, commissario europeo all’allargamento – di rallentare ulteriormente il processo di avvicinamento della Turchia all’Europa, insieme alle fantomatiche “garanzie” di Obama, hanno fatto il resto. Durante la conferenza stampa di fine Vertice è quindi arrivato l’annuncio in pompa magna, insieme a quello che qualche altro migliaio di soldati – 5.000 per la precisione – verrà inviato in Afghanistan per stanare i Talebani.

Di questi militari aggiuntivi, 900 saranno assicurati dalla Gran Bretagna, 600 dalla Germania ed altri 600 (probabilmente quelli che sta ritirando dalla missione KFOR in Kosovo) dalla Spagna. L’Italia ha annunciato un contributo aggiuntivo fino a 524 uomini, rispetto ai 2.665 già sul terreno. Si tratta di 440 militari che arriveranno entro fine luglio insieme a due aerei da trasporto, a cui si aggiungono tre elicotteri per evacuazioni mediche con 34 uomini di equipaggio.
Sarà inoltre portato da 46 a 100 il numero di carabinieri impegnati nell’addestramento della polizia afghana e, quando partirà la nuova missione di addestramento NATO strutturata sulla falsariga di quella implementata in Iraq, ne arriveranno altri 50.
Magari accompagnati da qualche spiona.

Per concludere:
i partecipanti al Vertice hanno rilasciato due dichiarazioni, una molto stringata sulla Sicurezza dell’Alleanza che, rallegrandosi per i sessanta anni della NATO, la celebra quale artefice di una “epoca mai vista di pace e stabilità”.
La seconda, articolata in ben 62 punti, annuncia l’inizio del processo di elaborazione del Nuovo Concetto Strategico il quale definirà il ruolo della NATO per la sicurezza nel secolo in corso.
Per coerenza logica e cronologica, fuori dai Palazzi, venivano distribuite mazzate a destra ed a manca.

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Nella foto, Jaap l’uscente e Anders Forgh Rasmussen, Segretario Generale della NATO a partire dall’1 agosto p.v.
Il quale Rasmussen avrebbe assicurato “una collaborazione speciale con la Turchia ed il mondo musulmano”. Le garanzie fatte pervenire da Obama consisterebbero invece nel fatto che uno dei vice di Rasmussen sarà turco e che i comandanti della Turchia saranno presenti nel comando militare integrato dell’Alleanza.
Fatto sta che il peso geopolitico delle Turchia, unico Paese di religione musulmana appartenente alla NATO, pare accrescersi e questo potrebbe -diciamo, prudentemente, potrebbe – non essere un male.

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[chiuso il 5 aprile]