L’Italia ripudia la pace

Sono ormai mesi che l’Italia partecipa alla guerra e ai bombardamenti sulla Libia insieme ad altre potenze della NATO. La motivazione ufficiale è quella di “proteggere i civili”, la motivazione reale è quella di cacciare Gheddafi e mettere le mani sul petrolio e i soldi libici. Per raggiungere questi obiettivi gli aerei e le navi militari francesi, britanniche, italiane e statunitensi stanno bombardando a tappeto le città libiche, producendo migliaia di vittime, quelle stesse che si dichiarava di voler proteggere. Si ripete così il macabro rituale delle stragi di civili, effetto non collaterale di ogni guerra, motivo per il quale muovere guerra è un crimine internazionale, secondo il dettato della nostra Costituzione che ”ripudia la guerra”. Perciò è molto grave che anche il Presidente Napolitano e i partiti di opposizione in Parlamento sostengano questa guerra.

La guerra in Libia non è gratis
Ma se la guerra è un dramma per chi rimane sotto le bombe, è illusorio pensare che sia gratis anche per i lavoratori, i disoccupati, i precari dei Paesi che stanno bombardando la Libia. Oltre ai costi della crisi economica, il governo vuole farci pagare anche i costi della guerra che vedono milioni di euro buttati via per finanziarla mentre vengono tagliati senza pietà i soldi per le scuole, la sanità, il lavoro, le pensioni, il reddito ai disoccupati.
Un’ora di volo dei caccia-bombardieri Tornado costa 32.000 euro, che passano a 60.000 per gli aerei da ricognizione. In una sola ora costano quanto tre/quattro salari annui di un operaio.
Un missile costa 170.000 euro, un raid aereo costa dai 200 ai 300mila euro, mentre per lo stazionamento di 5 navi militari davanti alle coste libiche servono oltre 10 milioni di euro al mese.
Il totale, finora, fa circa 100 milioni di euro al mese buttati per andare a buttare bombe e missili sulla Libia.

Le basi della guerra sono anche dentro casa nostra
L’ex aeroporto di Centocelle, nel 1997 è diventato la sede del COI, Comando Operativo di Vertice Interforze.
Il COI è la struttura di comando del Capo di Stato Maggiore della Difesa attraverso il quale egli pianifica, predispone e dirige le operazioni nonché le esercitazioni interforze e multinazionali.
Cioè dall’interno dell’aeroporto di Centocelle vengono gestiti e diretti quei 10mila militari italiani impegnati nei teatri di guerra: dall’Afghanistan alla Libia.

Per dire basta alla guerra in Libia, ai bombardamenti e alle spese militari.
Per mettere fine alla guerra attraverso il cessate il fuoco e un vero negoziato che consenta l’autodeterminazione del popolo libico sul suo futuro.
Manifestazione a Roma mercoledì 1 giugno davanti all’ex aeroporto di Centocelle (sede del Comando Operativo Interforze), alle ore 17.30 in via Scribonio Curione (metro Numidio Quadrato).
Rete Nowar Roma

Il ricorso ai bombardamenti non aggrava molto

Articolo di Marco Ludovico sui costi della partecipazione italiana all’aggressione militare della Libia e della gestione dell’emergenza umanitaria-immigrati.
Qui invece, dello stesso autore, un riepilogo di quanto ha pesato finora sulle tasche degli Italiani la “missione di pace” in Afghanistan.

E io pago

“Il decreto di manutenzione sui conti del 2011 è in programma invece per il mese di giugno, e al momento “vale” attorno ai 3,3-3,5 miliardi.
Si tratta, prima di tutto, di finanziare spese definite “inderogabili”, tra cui le missioni militari internazionali, il cui costo è lievitato per effetto della crisi libica. L’ultima proroga, fino al 30 giugno 2011, è stata prevista dal decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre dello scorso anno.”

L’articolo integrale è qui.
L’ultimo rifinanziamento delle “missioni di pace” ammonta a 754,3 milioni di euro. “Per effetto della crisi libica”, non è difficile che il prossimo si avvicini od addirittura superi la soglia del miliardo…
Proprio ieri Berlusconi, conversando con alcuni ministri, ha affermato che le missioni all’estero vanno riviste, anche riducendo i contingenti ed il numero di militari impegnati. Di fronte all’emergenza immigrazione, che comporta costi ingenti per il Paese con l’applicazione del blocco navale e le operazioni di accoglienza, il premier avrebbe ventilato l’ipotesi di ridurre la partecipazione italiana in alcune missioni molto impegnative dal punto di vista economico.
Ed è stato prontamente richiamato all’ordine dal Pres della Rep NATOlitano.

Obama taglia l’F-35?

Washington, 10 novembre. – La commissione presidenziale suggerirà di tagliare del 15% il budget per le armi del Pentagono per riuscire a tenere in piedi il bilancio federale USA. In particolare l’organismo voluto da Barack Obama proporrrà di rinunciare alla versione per i Marines dell’F35-B, il Joint Strike Fighter (tra l’altro ordinato anche dalla Marina Italiana per sostituire gli Harrier imbarcati e in parte dell’Aeronautica italiana) a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl). F35-B affetto da diversi problemi e il cui taglio farà risparmiare 17,6 miliardi nel quadriennio 2010-2015. L’organismo co-presieduto da Erskine Bowles e Alan Simpsony consiglierà al presidente Obama anche di sostituire la metà dei JSF di Lockheed Martin programmati per la US Air Force con F16 e con F18 quelli per la US Navy. In questo modo si risparmierebbero 9,5 miliardi da qui al 2015.
Secondo i piani originali gli USA avrebbero acquistato un totale di 2.443 F35 al costo di 382 miliardi di dollari, la più grossa comessa militare della storia USA. Programma co-sviluppato anche dall’Italia con in prima fila il gruppo italiano Finmeccanica, insieme Gran Bretagna, Olanda, Turchia, Canada, Danimarca e Norvegia.
La commissione ha anche proposto di fermare a quota 228 l’acquisto dei convertiplani Textron/Bell-Boeing V-22 Osprey, quota pari a circa due terzi del contratto originale. I quattordici commissari hanno anche suggerito di cancellare la flotta di 573 navi da sbarco della General Dynamics, risparmiando 15,6 miliardi. Nel complesso il piano ‘lacrime sangue’ consentirà di risparmiare 20 miliardi nel 2015 facendo calare la spesa per l’acquisto di sistemi d’arma a 117,5 miliardi. L’ultima raccomandazione della commissione insediata dal presidente americano riguarderà il taglio di un terzo del personale di stanza in Europa e Asia.
(AGI)

In attesa di conoscere le reazioni delle alte sfere politiche e militari italiane circa queste evidenti intenzioni di disimpegno, seguiremo con molta attenzione e fiducia gli sviluppi della situazione.
Per ora, segnaliamo che la bozza di Finanziaria per il 2011 elaborata dal ministro Tremonti prevede lo stanziamento per le “missioni di pace” di 750 milioni di euro…

“Missioni di pace”, un pozzo senza fondo

euro

I conti della ragioneria dello Stato: lievitano i costi delle missioni italiane, di Giovanni Scafuro, articolo apparso su “Avvenire” del 17 ottobre u.s., pagina 13.

[Le spesucce tricolori per la ricostruzione dell’Afghanistan… ed il resto + “I conti di Gino Strada“]

Il bilancio occulto della “difesa” americana

pentagono

A fine giugno, Mother Jones ha pubblicato un’approfondita analisi sul bilancio militare degli Stati Uniti d’America, partendo dalla richiesta del presidente Barack Obama al Congresso di stanziare 534 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa. Ma l’ammontare reale di ciò che gli USA spendono per la “difesa” è molto maggiore. Per rendere il tutto più facilmente digeribile, ve ne proponiamo una sintesi divisa in quattro parti.
L’Office of Management and Budget ha elaborato un calcolo totale che tiene in considerazione le diverse parti del governo, e comprende i soldi assegnati al Pentagono, le attività relative alle armi nucleari svolte presso il Dipartimento dell’Energia ed alcuni esborsi nel campo della sicurezza effettuati dal Dipartimento di Stato (il ministero degli esteri statunitense) e dall’FBI. Nel bilancio 2010 (che in realtà ha il suo momento iniziale nell’ottobre 2009) la cifra ammonta a 707 miliardi, più della metà della spesa governativa cosiddetta “discrezionale” per l’anno prossimo. La spesa discrezionale è quella per cui gli stanziamenti sono decisi annualmente dal Congresso, a differenza di programmi quali ad esempio quello sanitario denominato Medicare il cui finanziamento è obbligatorio e ricorrente.
Ma la cifra reale è ancora più alta perché, fra le varie cose, l’ufficio governativo del bilancio non tiene conto della spesa aggiuntiva per le guerre in Iraq ed Afghanistan. Riepilogando tutte le diverse fonti di spesa in campo militare per l’anno 2010 che emergono dai documenti contabili, si ha:

  • bilancio del Pentagono: 534 miliardi
  • stanziamenti extra per il personale militare: 4,1 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2010): 130 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2009, ancora da legiferare): 82,2 miliardi
  • armi nucleari ed altra spesa “atomica” (Dip. dell’Energia): 16,4 miliardi
  • sostegno militare ed economico ad Iraq, Afghanistan e Pakistan (Dip. di Stato): 4,9 miliardi
  • sicurezza, controterrorismo ed aiuto militare a Paesi stranieri, incluso il Medio Oriente ed Israele (Dipartimento di Stato): 8,4 miliardi
  • Guardia costiera (Dipartimento per la Sicurezza Interna): 583 milioni

Spesa totale: 780,4 miliardi di dollari

In questo calcolo sono incluse solo le risorse direttamente collegate ad attività militari, non viene quindi preso in considerazione il Dipartimento dei Veterani la cui spesa di 55,9 miliardi porterebbe il totale a 836,3; e la parte restante del Dipartimento per la Sicurezza Interna (altri 54,5 miliardi), arrivando così alla colossale cifra di 890,8 miliardi di dollari, rispetto ai 534 ufficialmente stanziati.
Si tenga poi presente che i bilanci degli apparati di intelligence (CIA, NSA…) sono segreti e che perciò non possono essere aggiunti a questa contabilità.

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Nel 2008, il Pentagono ha calcolato che gli impegni correnti per i programmi di armamento costeranno al governo, ad ultimazione avvenuta, 1.600 miliardi di dollari. Una parte consistente – 296 miliardi – è rappresentata da costi aggiuntivi. Questi 296 miliardi non sono il risultato di grandi programmi che, in via eccezionale, hanno sfondato il tetto di spesa e sbilanciato i conti, ma rappresentano la norma. Tali incrementi di costo sono spesso significativi: considerando tutti i programmi, la media dell’aumento rispetto alle stime iniziali è pari al 26%. Rappresentano la normalità anche i ritardi nel loro completamento, che riguardano ben il 72% dei programmi.
Incrementi di costo e ritardi hanno subito un peggioramento durante le due amministrazioni Bush terminate nel 2008, ma se si volge lo sguardo ancora più all’indietro si scopre che i costi aggiuntivi sono aumentati ad un ritmo serrato per tutti gli ultimi quindici anni, ad una media del 1,86% annuo per essere precisi. Se la spesa del Pentagono continuerà a crescere al tasso attuale, la media degli incrementi di costo raggiungerà il 46% in dieci anni.
Facendo qualche confronto, lo spreco militare USA è quattro volte tanto l’intera spesa per la difesa della Cina (che oggi rappresenta il secondo bilancio militare nazionale al mondo con 70 miliardi di dollari) ed è anche superiore al bilancio militare di tutti i Paesi dell’Unione Europea messi insieme (pari a 281 miliardi).

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Passiamo ora in rassegna i principali programmi militari statunitensi:

cacciabombardiere F-22 Raptor: progettato per sfidare i velivoli di concezione sovietica, un F-22 costa 351 milioni di dollari, più del doppio delle stime originali.
Fu messo in produzione ancora prima di essere pienamente testato e – non sorprendentemente – è incorso in ogni genere di intoppi; non ha partecipato a nessuna azione di combattimento in Afghanistan né in Iraq. Il titolare del Pentagono Robert Gates ha deciso di acquistarne altri quattro, per un totale di 187 rispetto ai 243 che inizialmente l’USAF voleva.
Addirittura, all’inizio di quest’anno, 194 deputati e 44 senatori statunitensi hanno scritto ad Obama per sollecitarlo ad acquistare più F-22, ed a metà giugno i parlamentari del comitato militare della Camera hanno previsto uno stanziamento per altri 12 caccia. Sollecitazioni che però non sono servite a rianimare la morente linea di produzione del velivolo, almeno per l’uso domestico. Infatti è notizia fresca il via libera da parte del comitato finanziario del Senato statunitense allo sviluppo di una versione del F-22 per l’esportazione, privato degli accorgimenti tecnologici “segreti” presenti nella versione originale. Probabilmente la decisione vuole far fronte alla perdita di migliaia di posti di lavoro causata dallo stop della produzione per l’aviazione USA; fra i probabili acquirenti figurano Giappone, Corea del Sud, Australia ed Israele;
aereo da trasporto C-17 Globemaster III: l’aeronautica USA ne possiede 205 esemplari e non ne chiede di ulteriori, ma il Senato intende introdurre nel bilancio per la difesa del 2010 l’importo di 2,5 miliardi per comprarne altri 10;
Future Combat Systems: si tratta di apparati in cui armi, veicoli e robot coesistono, uniti da un comune sistema di comunicazione, ed è un altro caso in cui le intenzioni di spesa sono state messe in pista prima che la tecnologia in questione sia stata effettivamente testata. Dal 2003, il costo totale è aumentato del 73% fino ad arrivare a 159 miliardi, tanto che Gates nei mesi a venire vuole ripensare l’intero programma;
elicottero presidenziale VH-71: Lockheed Martin ed Agusta Westland (del gruppo Finmeccanica) vinsero nel 2005 la commessa per il sostituto dell’attuale “Marine One”, un Sikorsky VH-60 entrato in servizio nel 1989. La flotta di 28 (!) esemplari doveva costare inizialmente 6 miliardi di dollari, ma poi i correttivi introdotti durante l’amministrazione Bush avevano portato il conto totale quasi a raddoppiare fino ad 11,2 miliardi (400 milioni ad esemplare). Il programma è stato cancellato a maggio, ed una conferma pubblica del suo annullamento è stata data dallo stesso presidente Obama ad agosto in un discorso ai veterani di guerra;
DDG-1000 Destroyer: navi che dovrebbero costare 4 miliardi di dollari ma fonti alternative stimano un costo reale vicino ai 6 miliardi. Mentre la marina statunitense inizialmente desiderava acquistarne fra un minimo di 16 ed un massimo di 24, Gates tenterà di ridurre il programma a soli 3 Destroyers.

E’ comunque inquietante notare come Gates abbia dato il via libera ad un paio di palesi catorci. Del primo abbiamo già parlato su questo blog, si tratta del Littoral Combat Ship (LCS), un altro progetto Lockheed Martin sviluppato prima di completare i test. Nonostante i suoi costi siano quasi raddoppiati rispetto alle prime stime, Gates si è impegnato ad acquistare 55 di queste unità navali.
Ma forse l’indizio più evidente della continuità del bilancio militare USA è la decisione di più che raddoppiare l’ordine di cacciabombardieri F-35 Lightning II Joint Strike Fighter (JSF), facendone il più grande programma di acquisizione del Dipartimento della Difesa (quasi a voler placare l’industria produttrice, l’onnipresente Lockheed Martin, per la cancellazione del F-22). Ciò nonostante l’F-35 sia ben lontano dall’essere pronto, visto che a novembre 2008 era stato implementato solo il 2% dei voli di prova previsti.
Secondo l’attuale calendario, gli Stati Uniti spenderebbero 57 miliardi di dollari per acquistarne 360 unità prima che i test siano completati. Per velocizzare i tempi, la Lockheed ha elaborato un piano per svolgere solo il 17% delle prove richieste mediante test di volo, il restante 83% affidandole ai simulatori. Sfortunatamente, secondo un rapporto della Corte dei Conti americana (GAO) “la capacità di sostituire i voli di prova con laboratori di simulazione non è stata ancora dimostrata”.
Ciò non fa che aumentare i dubbi sulla decisione del Dipartimento della Difesa di acquistarne 2.456 (sì, avete letto bene, duemilaquattrocentocinquantasei!).
Fonti ufficiali hanno stimato un costo per l’intero programma superiore al trilione di dollari (più di mille miliardi) – circa la stessa cifra del deficit nazionale -, sommando ai 300 miliardi per l’acquisizione dei velivoli i 760 miliardi per la loro operatività, manutenzione compresa. Ma poiché il Pentagono ha deciso di comprarne così tanti esemplari prima di verificare l’efficienza della tecnologia, ritardi ed incrementi di costo saranno inevitabili.

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Il Dipartimento della Difesa è presente dal 1995 nell’elenco di apparati governativi ad alto rischio stilato dalla Corte dei Conti statunitense. Per gestire gli acquisti, la contabilità e la logistica, le varie agenzie e servizi del Pentagono mantengono 2.480 diversi sistemi informatici, molti dei quali non sono interconnessi. Di conseguenza, nessuno conosce con sicurezza quanto il Pentagono abbia speso in passato, stia spendendo adesso e spenderà in futuro. Al contrario, esso fonda le sue decisioni di bilancio prevalentemente sulle informazioni delle aziende private vincitrici degli appalti.
Un rapporto del Defense Science Board Task Force on Developmental Test and Evaluation rileva che, fra il 1997 ed il 2006, benché il 67% dei sistemi d’arma non abbia superato i parametri di prova, molti di essi sono stati egualmente messi in produzione. Il concetto che il Pentagono dovrebbe “provare prima di comprare” risale almeno agli anni Settanta, ma i funzionari della difesa ed i parlamentari statunitensi non l’hanno mai veramente messo in pratica. Anzi, i funzionari sono fortemente incentivati a sottoscrivere contratti sottostimati perché se rendono noti i veri costi fin da subito, rischiano di non poter avere i loro “giocattoli”. Ogni tanto il Congresso o la Casa Bianca chiedono di insediare un’agenzia indipendente in grado di produrre stime attendibili dei costi, ma ciò è estremamente difficile a causa dello stretto rapporto tra i funzionari del Pentagono e l’industria bellica.
Nel 2006, 2.435 ex funzionari del Pentagono, generali ed ufficiali lavoravano per aziende private operanti nel settore della difesa, ed almeno 400 di questi erano impiegati nell’ambito di appalti direttamente collegati al loro precedente datore di lavoro governativo. Quando i calendari slittano di anni ed i bilanci sforano di miliardi, le aziende sono già state pagate; inoltre, è prassi fra i parlamentari dare il via libera al proseguimento dei programmi nonostante la legge preveda che essi devono essere informati su quei programmi che sforano il bilancio per più del 30% e che quelli con aumenti superiori al 50% devono essere ricertificati o cancellati.
Quest’anno, la Casa Bianca ha promesso di impiegare altri 20.000 funzionari nel prossimi quinquennio per tenere sotto controllo i contratti militari e la relativa spesa, ma bene che vada ci vorranno diversi anni prima che ciò porti frutti. La legge di riforma circa l’acquisto dei sistemi d’arma patrocinata dal candidato repubblicano alle ultime elezioni presidenziali, John McCain, prevede anche l’istituzione di un ufficio per l’accertamento imparziale dei costi che però non dovrebbe occuparsi di tutti i programmi. Ufficio il cui primo direttore, comunque, è William Lynn, lobbysta precedentemente al servizio proprio di un’azienda privata del complesso militare, la Raytheon.

La forbice di Obama è spuntata

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L’amministrazione Obama ha annunciato oggi di voler metter fine ad anni di spese eccessive e ai previsti prolungamenti di programmi di armamenti, affermando che una delle principali priorità per il Pentagono è la riforma dell’acquisto (degli armamenti).
La visione d’insieme del budget dell’anno fiscale 2010 diffusa oggi richiede un incremento del 4% del bilancio di base del Pentagono a 533,7 miliardi di dollari, per far crescere l’esercito ed il corpo dei marine, migliorare i servizi medici per i soldati feriti e riformare il sistema di acquisto di armi del Dipartimento della Difesa.
Il piano non comprende dettagli specifici su programmi particolari di armamenti che possono essere oggetto di tagli o cancellazioni, sebbene il presidente Barack Obama questa settimana abbia detto di voler metter fine ai programmi da Guerra Fredda che non sono stati utilizzati.
Questi sforzi riformisti sono seguiti con molta attenzione dai più grossi fornitori del Pentagono, tra cui Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman, General Dynamics, BAE Systems ed altri.
Le società si preparano a un taglio nelle spese sui grandi armamenti dopo quasi un decennio di massiccia crescita. Sono particolarmente preoccupate dalla promessa di Obama di cancellare immediatamente alcuni programmi ma i dettagli non sono ancora chiari.
I nuovi armamenti in corso di sviluppo, dice la relazione di bilancio, sono tra i più grandi, i più costosi ed i più complessi tecnologicamente mai adottati dal Pentagono, cosa che li mette a rischio di fallimento nelle prestazioni, incremento dei costi e prolungamenti delle scadenze.
Il Government Accountability Office, istituzione non di parte, lo scorso anno ha stimato che la crescita del costo dei principali programmi di acquisizione del Pentagono fosse attorno al 26%.
Per metter fine a questi problemi cronici, l’amministrazione ha detto di voler mettere un freno all’abitudine militare di aggiungere nuove richieste dopo l’inizio dei programmi di armamenti e porre rigorosi standard prima che inizi il flusso di fondi.

Articolo di Andrea Shalal-Esa per Reuters.
[grassetto nostro]

Alla cifra del bilancio di base vanno aggiunti 130 miliardi di dollari per coprire i costi delle guerre in Afghanistan ed Irak, in lieve calo rispetto ai 141 miliardi stanziati nell’anno fiscale 2009 (si tenga presente che, secondo le regole della contabilità statunitense, l’inizio dell’anno fiscale è posto nel mese di ottobre dell’anno solare precedente).

Il cambiamento di Obama in due notizie

gates

Premessa:
“Il bilancio ‘base’ della difesa, che esclude il costo delle guerre in Irak ed Afghanistan, è cresciuto del 40% dal 2001 fino ad una stima di 518,3 miliardi di dollari richiesti per l’anno fiscale 2009. Ma questo non racconta l’intera storia. Se si considerano le altre spese militari, come quelle realizzate dai dipartimenti della Sicurezza Nazionale, dell’Energia, degli Affari dei Veterani, e le numerose leggi di difesa “supplementari” alle quali l’amministrazione Bush ha fatto ricorso per finanziare le sue avventure all’estero, la spesa USA per la difesa ammonta all’impressionante cifra di 863,7 miliardi di dollari. Cifra che supera la spesa annuale di difesa di tutte le altre amministrazioni militari nel mondo messe assieme.”
Bruce Falconer su motherjones.

New York, 25 nov. – Barack Obama confermerà Robert Gates alla guida del dipartimento della Difesa. Lo sostiene il sito ‘Politico’, secondo il quale Gates avrebbe accettato l’offerta del presidente eletto di rimanere alla guida del Pentagono nella nuova Amministrazione.
(AGI)

Washington, 25 nov. – Barack Obama nominerà l’ex comandante delle forze NATO e USA in Europa, James Jones, suo consigliere per la sicurezza nazionale. Secondo il sito “Politico”, il presidente eletto ha scelto il pluridecorato generale per guidare il Consiglio nazionale di sicurezza, un organismo che fa capo alla Casa Bianca e che si occupa di politica estera e altri temi che variano a seconda del presidente in carica.
(AGI)