Il fascismo inesistente vi seppellirà

Partiamo dal convincimento che la verità sia nel tutto, come Hegel insegna, quindi anche nelle sue necessarie interne contraddizioni.
L’antifascismo, cosi come il neofascismo, prescinde da questo tutto, trasformando il fascismo in un archetipo che è quello che gli altri hanno deciso per lui. Una valutazione unica è doverosa non certo per una volontà riabilitativa, ma soltanto per avere un’arma in più per una corretta interpretazione, non del passato, ma del presente che, stando così le cose, pesa molto di più perché drogato.
Per questo è particolarmente illuminante il significato del termine fascismo così come evocato dagli antifascisti.
Il suo uso prescinde da una valutazione storica, così come da una politica o filosofica, il suo uso non è neanche quello di un semplice aggettivo denigratorio, ma è un investimento per garantirsi sempre il diritto all’ esistenza e alla ragione. Prescinde persino dallo spazio temporale, persino da una prospettiva manichea, come se il fascismo, in quanto Male Assoluto, fosse sempre esistito. Una cloaca comunque da contrapporre alla propria autoreferenzialità. Al suo cospetto, tutto sembra svanire, dal colonialismo, alla tratta degli schiavi, allo sterminio degli Indiani d’America, al genocidio degli abitanti della Tasmania, persino lo sfruttamento sembra così sopportabile dinanzi al fascismo, la “legge bronzea dei salari” di Ricardo finisce per coincidere con una piattaforma per il rinnovo contrattuale.
L’antifascismo diventa l’abito buono che da i super poteri, un mezzo per diventare dei fuoriclasse. Già dei fuori classe, l’antifascismo è così potente da far scomparire non solo Giovanni Gentile, ma anche Karl Marx e Antonio Gramsci.
La gravità di una tale liturgica investitura risiede tutta nell’inautenticità dell’antifascismo.
Ad un primo approccio un sistema del genere, così condiviso da non essere mai messo in discussione più da nessuno, sembrerebbe spianare la via ai suoi utilizzatori, un a priori che equivale a mettersi dalla parte dei buoni, mentre i cattivi, gli altri, dall’altra. Un’illusione di farsi giudice delle regole della vita per “vincere facile”, ma a lungo andare le astrazioni che durano troppo hanno sempre il merito di chiedere il conto ai suoi ciechi sostenitori.
Vediamo qualche particolare.
Fino al 1936, malgrado tutto, al PCI il fascismo, almeno non tutto, non doveva apparire così orrido, visto “L’appello ai fratelli in camicia nera” firmato da sessanta dirigenti del Partito, compreso Togliatti. Nello stesso anno iniziano le purghe staliniane ed i processi ai trotskisti.
Con la guerra di Spagna s’assiste forse al primo tentativo di usare l’antifascismo come fosse un’arma, e questa volta l’uso che se ne fa è senz’altro politico. I compagni anarchici e trotskisti del POUM vengono massacrati perché inspiegabilmente s’erano messi al soldo del fascismo secondo l’accusa. Il format calunnioso, di una sola maschera da mettere in faccia a tutti i nemici, viene sperimentato anche altrove, sempre con buoni risultati. Si trovano infuocate pagine su l’Unità, siamo nel gennaio del 1944, che invitano a schiacciare tutti gli infiltrati, sempre trotskisti, fattisi oramai la V colonna del nazifascismo. Il messaggio probabilmente era rivolto anche al più grande gruppo partigiano di Roma, il Movimento Comunità d’Italia riunito sotto il quotidiano Bandiera Rossa che, cosa da non crederci, era più diffuso de l’Unità. Il gruppo Bandiera Rossa era distante anni luce dal CLN, cosi come dal PCI, in quanto antimonarchico, antibadogliano, ma soprattutto avrebbe voluto non consegnare Roma agli Alleati, ma bensì proclamare “La Repubblica Romana dei Lavoratori”. Stranamente questi compagni, malgrado il loro grandissimo contributo alla resistenza, non appariranno negli annali della epopea dell’ANPI, mentre molti di loro moriranno sotto le provvidenziali raffiche naziste delle Fosse Ardeatine.
Fondamentale è il documento di chiusura della III Internazionale comunista, maggio 1943, in esso scompare esplicitamente il concetto di rivoluzione socialista lasciando il posto alla necessità d’aderire al “blocco antifascista”.
Bordiga, altro fondatore del PCI, ebbe modo d’affermare che la cosa peggiore che aveva prodotto il fascismo era proprio l’antifascismo, il tronfio antifascismo che abbracciava anche l’odiato nemico borghese.
Alla affermazione di Bordiga, gli farà eco più di mezzo secolo dopo, confermando il mortale abbraccio con il nemico di classe, quella di Costanzo Preve quando disse che peggio del fascismo c’era solo l’antifascismo. Tra i due comunisti, solo qualche bagliore di lucidità, primo fra tutti quello di Pier Paolo Pasolini.
L’inautenticità dell’antifascismo risiede nel suo essere antistorico e non contestuale, quindi non un momento antitetico da opporre alla sua affermazione, ma un opporsi che diventa evanescente perché il farlo non contempla il momento della tesi reale e di conseguenza quello del divenire nella sintesi. La sua pretesa di autenticità necessaria passerà allora esclusivamente nel vedere nel qualunque altro, quello fuori da sé, un fascista.
Non si tratta più di un solo uso mistificante del termine, ma questo diventa una piattaforma psudoideologica onnivora, capace per questo di procedere ad un processo di metamorfosi genetica.
La rimozione della missione storica del corpo sociale, sedato dall’antifascismo nel tempo, è stata lenta ma costante, fino ad essere completa. Dallo scambiare il socialismo per un riformismo che nel suo procedere non aveva neanche più il coraggio di nominarlo, fino al rendere inutile tutta la critica marxiana al capitalismo.
Mentre l’orchestrina intonava “Bella Ciao”, si scoprivano nuove icone sovrastrutturali, da Kennedy ad Obama, da Blair a Clinton, da Paolo di Tarso a Papa Francesco, da Macron ad Juncker, dalla troika alla NATO, da Chicco Testa a Vladimir Luxuria.
La globalizzazione diventa l’internazionalismo realizzato, il meticciato è la società senza classi, il consumismo la distribuzione della ricchezza, il precariato altro non è che un’opportunità.
Ed allora, in fase oramai matura, al dogma dell’antifascismo, si può affiancare con orgoglio il dogma del neoliberismo, la tanto agognata lotta per la libertà e la giustizia sociale possono finalmente rispecchiarsi realizzate nelle libertà dei diritti umani e nelle pari opportunità che il mercato a tutti offre.
In conclusione, l’oscenità dell’antifascismo risiede tutta nell’aver abbandonato il Socialismo, foss’anche come sogno raggiungibile del non ancora, appiattendosi invece acriticamente su quest’attimo presuntuoso ritenuto eterno a cui non manca niente. Questo è stato il vero profondo potere di questo antifascismo inautentico, ma anche la sua più grande e indelebile colpa.
Lorenzo Chialastri

[Modificato in data 8/5/2019]

Washington sta addestrando un esercito ribelle per “Occupare” la Siria?

antisiria

Mahdi Darius Nazemroaya per rt.com

Gli Stati Uniti stanno pianificando l’occupazione della Siria attraverso la formazione di una forza insorgente non convenzionale di invasione?
Pensate che un cambio di regime in Siria sia fuori programma? Pensate ancora. Il bombardamento di ISIL o ISIS in Siria è parte di una campagna politica di rischio calcolato che porta a una potenziale invasione non convenzionale, parallela al ritorno delle forze armate statunitensi in Irak.
L’ISIL e le altre forze anti-governative in Irak e Siria non sono gli unici ad ignorare il confine iracheno-siriano disegnato dagli inglesi e francesi Sykes-Picot nel 1916. Gli Stati Uniti altresì hanno violato il confine e il diritto internazionale quando hanno cominciato a bombardare illegalmente la Siria.
La campagna di bombardamenti non era sufficiente per alcuni nel Congresso degli Stati Uniti. In una dichiarazione congiunta del 23 settembre, gli arci-falchi senatori John McCain e Lindsey Graham hanno chiesto che anche truppe USA siano inviate in Siria. Entrambi hanno elogiato gli attacchi aerei illegali del Pentagono in Siria e poi suggerito truppe di terra statunitensi.
Anche se McCain e Graham hanno fatto del loro per dire che questa non sarebbe una occupazione di Siria o Irak, ciò è quasi esattamente quello che chiedevano quando hanno detto che la campagna militare doveva essere diretta anche contro il governo siriano.
Poiché, e prima ancora delle richieste da parte di McCain e Graham diversi suggerimenti erano circolati su un’invasione della Siria.
Il dilemma è che Washington non vuole che il Pentagono invada direttamente la stessa Siria. Vuole tirare le fila mentre un’altra forza fa il lavoro sul campo. I candidati per un’invasione esternalizzata della Siria includono l’esercito turco o altri alleati regionali degli Stati Uniti. C’è però anche un impasse qui in quanto gli alleati di Washington sono pure timorosi delle conseguenze di un’invasione della Siria. Questo è dove un terzo attore entra in scena: la costruzione di un esercito ribelle multinazionale da parte degli Stati Uniti. Continua a leggere

Quello che gli ipocriti vogliono far dimenticare a proposito di Mandela

gheddafi_mandela
Nel primo anniversario della scomparsa di Nelson Mandela

“Erano ormai 17 mesi che Mandela viveva in clandestinità. Una notte, il 5 agosto del 1962, stava attraversando in auto Howick, una cittadina del Natal, quando venne fermato da una pattuglia della polizia. Fu arrestato e condannato a cinque anni di lavori forzati per incitamento alla dissidenza e per aver compiuto viaggi illegali all’estero. Due anni più tardi sarà accusato anche di sabotaggio e tradimento e condannato all’ergastolo.
Come fece la polizia a catturare Nelson Mandela? La vicenda rimase oscura per oltre venti anni. Solo nel luglio del 1986, tre giornali sudafricani, ripresi dalla stampa inglese e dalla CBS, spiegarono l’accaduto. Negli articoli veniva chiarito, con dovizia di particolari, che un agente della CIA, Donald C. Rickard, aveva fornito ai servizi segreti sudafricani tutti i dettagli per catturare Mandela, cosa avrebbe indossato, a che ora si sarebbe mosso, dove si sarebbe trovato. Fu così che lo presero.
Mandela rimase in prigione fino al 1990, quando venne liberato grazie a una grande mobilitazione internazionale.
Mandela per il regime razzista sudafricano era un terrorista. Ma era un terrorista anche per alcuni dei più importanti governi del mondo. Per l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher e per il presidente statunitense Ronald Reagan era qualcosa di peggio: un terrorista comunista. I governi di Londra e di Washington hanno a lungo considerato il regime di Pretoria un importante baluardo contro i movimenti di liberazione anticoloniale del continente africano e gli hanno fornito sempre il loro sostegno. Alle Nazioni Unite, questi due Paesi hanno sempre manifestato la propria opposizione alle risoluzioni dell’Assemblea Generale che miravano a contrastare l’apartheid, proprio la stessa politica che stanno a tutt’oggi attuando sulle azioni illegali di Israele nei confronti dei palestinesi. Mandela era ormai una delle più grandi personalità del Pianeta ma, fino al 2008, cioè dopo che gli era stato concesso il premio Nobel per la Pace e aveva già ricoperto la carica di Presidente della Repubblica Sudafricana, il suo nome e quello dell’African National Congress erano ancora nella lista delle organizzazioni terroristiche redatta dal governo statunitense.
nelson fidelNei lunghi anni della prigionia, pochi furono coloro che veramente lo sostennero, non solo verbalmente, ma materialmente, e fra essi ci furono alcuni leader che oggi la stampa addomesticata dell’Occidente, impegnata a riscrivere un’altra storia di Mandela, accuratamente occulta. Ma Mandela, che il sentimento di lealtà non perdette mai, non se ne dimenticò. «Ho tre amici nel mondo», soleva dire, «e sono Yasser Arafat, Muammar Gheddafi e Fidel Castro». Molto stretta e profonda fu, in particolare, l’amicizia con Muammar Gheddafi, che Mandela visitò in Libia soltanto tre mesi dopo la sua scarcerazione. Molti criticarono in quell’occasione la sua visita al leader libico, primo fra tutti Bill Clinton, il Presidente di quello stesso Paese i cui servizi segreti avevano contribuito a incarcerare Mandela ed a fornire il maggior sostegno politico, militare ed economico al regime razzista sudafricano. Ma Mandela, anche in quell’occasione, non mancò di rispondere: «Nessun Paese può arrogarsi il diritto di essere il poliziotto del mondo. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici hanno oggi la faccia tosta di venirmi a dire di non visitare il mio fratello Gheddafi. Essi ci stanno consigliando di essere ingrati e di dimenticare i nostri amici del passato».
Stessa stima e amicizia mostrò nei confronti di Fidel Castro e del popolo cubano. Lo testimoniano le parole che pronunciò il 26 luglio del 1991, quando Mandela visitò il leader cubano in occasione della celebrazione del trentottesimo anniversario della presa della Moncada: «Fin dai suoi primi giorni la rivoluzione cubana è stata fonte di ispirazione per tutte le persone che amano la libertà. Noi ammiriamo i sacrifici del popolo cubano che cerca di mantenere la sua indipendenza e sovranità davanti alla feroce campagna orchestrata dagli imperialisti, che vogliono distruggere gli impressionanti risultati ottenuti grazie alla rivoluzione cubana».
nelson arafatLe parole di elogio pronunciate dal presidente statunitense Barack Obama il giorno della morte del leader sudafricano stridono fortemente col pensiero che Mandela aveva espresso in più occasioni sulla politica USA: «Se c’è un Paese che ha commesso atrocità inenarrabili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti. A loro non interessa nulla degli esseri umani». Sono parole che Madiba pronunciò al Forum Internazionale delle Donne a Johannesburg, quando gli USA si preparavano a invadere l’Iraq.
Chiare sono anche le parole riguardanti il conflitto israelo-palestinese, riferite da Suzanne Belling dell’agenzia Jewish Telegraph: «Israele deve ritirarsi da tutti i territori che ha preso dagli Arabi nel 1967 e, in particolare, Israele dovrebbe ritirarsi completamente dalle Alture del Golan, dal sud del Libano e dalla Cisgiordania».
Che fare di fronte alla realtà di parole così chiare? Ai media dell’Occidente libero e democratico non resta che un’unica via: quella della censura e della falsificazione della storia.”

Da La memoria nascosta di Nelson Mandela, di Marcella Guidoni.

Kosovo e Ucraina: analogie e differenze

propaganda_shutmouth
Neil Clark per rt.com

Ci sono stati almeno due Paesi in Europa nella storia recente che hanno intrapreso operazioni militari “anti-terrorismo” contro “separatisti”, ma hanno ottenuto due reazioni molto diverse dalle élite occidentali.
Il governo del Paese europeo A lancia quella che definisce una operazione militare ‘anti-terrorismo’ contro ‘separatisti’ in una parte del Paese. Noi vediamo immagini sulla televisione occidentale di abitazioni che vengono bombardate e un sacco di persone in fuga. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e le altre potenze della NATO condannano ferocemente le azioni del governo del Paese A e lo accusano di perpetrare ‘genocidio’ e ‘pulizia etnica’ e dicono che vi è una urgente ‘crisi umanitaria’. Politici occidentali e giornalisti dell’establishment ci raccontano che ‘bisogna fare qualcosa’. E qualcosa è fatto: la NATO lancia un intervento militare ‘umanitario’ per fermare il governo del Paese A. Il Paese A è bombardato per 78 giorni e notti. Il leader del Paese (che è etichettato come ‘il nuovo Hitler’) è accusato di crimini di guerra – e viene poi arrestato e inviato con un aereo della RAF per essere processato per crimini di guerra a L’Aia, dove muore, non-condannato, nella sua cella carceraria.
Il governo del Paese europeo B lancia quella che definisce una operazione militare ‘anti-terrorismo’ contro ‘separatisti’ in una parte del Paese. La televisione occidentale non mostra immagini, o almeno non molte, di abitazioni che vengono bombardate e persone in fuga, anche se altre emittenti televisive lo fanno. Ma qui gli Stati Uniti, Regno Unito e le altre potenze della NATO non condannano il governo, o lo accusano di aver commesso ‘genocidio’ o ‘pulizia etnica’. Politici occidentali e giornalisti dell’establishment non ci dicono che ‘bisogna fare qualcosa’ per impedire che il governo del Paese B uccida la gente. Al contrario, gli stessi poteri che hanno sostenuto l’azione contro il Paese A, sostengono l’offensiva militare del governo nel Paese B. Il leader del Paese B non è accusato di crimini di guerra, né è etichettato come ‘il nuovo Hitler’, nonostante il sostegno che il suo governo ha da gruppi nazionalisti estremi, della destra radicale, ma in realtà, riceve generose quantità di aiuti.
Chiunque difenda le politiche del governo nel Paese A, o in alcun modo contesti la narrazione dominante in Occidente viene etichettato come “negatore del genocidio” o un “apologeta dell’omicidio di massa.” Ma un tale obbrobrio non aspetta coloro che difendono l’offensiva militare del governo nel Paese B. Sono coloro che si oppongono alle sue politiche che vengono infangati.
Ciò che rende i doppi standard ancora peggiori, è che da qualsiasi valutazione oggettiva, il comportamento del governo nel Paese B è stato di gran lunga peggiore di quello del Paese A e che più sofferenza umana è stata causata dalle sue azioni aggressive.
Nel caso in cui non abbiate ancora indovinato – il Paese A è la Jugoslavia, il Paese B è l’Ucraina. Continua a leggere

La pace va conquistata

clintonbill“Da dove comincia l’attuale Kosovo? Per me è iniziato dall’aeroporto di Zurigo – dove si fa scalo giungendo da Roma – all’imbarco per Pristina; lì presiedeva una moltitudine di facce anomale, quasi “incidentate” per la peculiare fisionomia storta e scomposta. Volti granitici, sgraziati e già vecchi, cui ne seguivano altri, quelli delle donne, che, fisse al seguito degli uomini, trovavano riparo sotto il velo: Schipetari, dunque. Di Serbi, a bordo, nemmeno l’ombra; eppure la terra verso cui viaggiavo e che distava poco più di un’ora, la abitano ancora, malgrado tutto e tutti, i Serbi del Kosmet, anzi è proprio la loro, quella terra, solo che a essi non è consentito partire e poi tornare come un qualsiasi cittadino della Comunità Europea o un serbo qualsiasi. Ecco perché la mia prima comprensione ha avuto origine in Svizzera, Paese che poco c’entra con le rovine del sacro Kosmet.
L’appartenenza di questa Provincia alla Serbia è inscritta ancora oggi non solo al catasto, ma nella Storia: fin dal Medioevo sbocciarono chiese e benedizioni, lotte sanguinose e fiere, fierissime sconfitte, tra cui spicca la Battaglia della Piana dei Merli (1389), che vide le truppe ottomane, guidate dal sultano Murad I, sconfiggere quelle cristiane del principe Lazar. Composte da 50.000 unità, le prime, e soltanto dalla metà, le seconde.
Fu una disfatta tremenda: perirono nobili e cavalieri – l’aristocrazia, dunque; nulla a che vedere con gli odierni mercenari – e venne aperta la via alla dominazione turca che, a distanza di cento anni, si sarebbe insediata nell’invitta memoria serba. Dalla rovinosa battaglia fiorirono un’epica e un’eredità irripetibili: non separarsi mai dal destino della propria terra, che, in tutto e per tutto, coincide con quello individuale e comunitario dei Serbi.
Ancora, tanta storia celeste è rintracciabile nelle spoglie immortali – il suo corpo che profuma di rose, dopo secoli, non ha mai preso la rigidità destinata a ogni comune mortale – del Santo Stefano Uroš, fondatore di Visoki Dečani, il monastero più importante, più assediato e più bello di tutto il Kosmet, meta di ogni pellegrinaggio del cristianesimo ortodosso, in cui si trova la rarissima, o forse unica, icona del Cristo con la spada: la pace va conquistata, non subita.
La geografia terrena, però, oggi spesso non coincide con quella spirituale ed è così che, attraversando Pristina – capitale per gli “indipendentisti”, semplice capoluogo per i Serbi – sembra di piombare nella modernità più consunta: palazzi in serie, negozi in franchising, macchine lussuose e ingombranti, night club e divertissement squisitamente occidentali. Addentrandosi nella città, ci si trova in boulevard Bill Clinton, in onore dell’ex presidente americano, che ha favorito la cacciata del popolo serbo e che sullo stesso viale gode persino di una statua, lì eretta nel 2009 per non dimenticare tanto favorevole “accordo” degli onnipresenti Stati Uniti.”

Il reportage di Fiorenza Licitra, Orizzonti dal Kosovo e Metohija, continua qui.

Le ragioni di François

_60343359_014785990-1

Di fronte alle bellicose dichiarazioni di sostegno a una eventuale azione militare contro la Siria, capitanata dagli Stati Uniti, che il presidente francese François Hollande ha rilasciato nelle ultime settimane, viene da chiedersi cosa abbia mai fatto quest’uomo per ridursi in tali pietose condizioni di sudditanza pur continuando a definirsi un “socialista”.
Forse, una spiegazione quantomeno parziale può essere trovata nella partecipazione, datata 1996, a un programma di “scambio culturale” denominato Young Leaders, il principale fra quelli promossi dalla French-American Foundation nel suo intento di approfondire la reciproca comprensione tra Francia e Stati Uniti.
Il programma Young Leaders è rivolto a piccoli gruppi di leader emergenti dei due Paesi, attentamente selezionati nel mondo della politica, degli affari, della comunicazione, delle forze armate, della cultura e del settore no-profit, ai quali viene concessa l’opportunità di trascorrere cinque giorni insieme discutendo argomenti di comune interesse e, cosa più importante, avendo modo di conoscersi l’un l’altro.
Il programma è stato creato nel 1981 a seguito della presa di coscienza che il rapporto di collaborazione tra le classi dirigenti francese e statunitense, così stretto nel periodo successivo all’ultima guerra mondiale, andava declinando in quanto i nuovi leader crescevano avendo poca interazione con i loro interlocutori transatlantici.
Fra gli Young Leaders, dalla parte americana, si annoverano l’ex Presidente Bill Clinton, l’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, i senatori Evan Bayh e Bill Bradley, il generale Wesley Clark, l’ex Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, importanti dirigenti d’azienda quali Frank Herringer di Transamerica Corporation e John Thain di CIT Group, il regista vincitore di premio Oscar Charles Ferguson.
Dalla parte francese, sono stati Young Leaders ben sei membri dell’attuale governo presieduto da François Hollande, ed egli medesimo come dicevamo nel 1996.
Ovviamente, si tratta solamente di un piccolo esempio della cura che “l’alleato d’oltreoceano” mette da sempre nell’influenzare, attraverso l’azione di fondazioni e ong varie create allo scopo, la formazione delle elite europee, in modo che alle posizioni decisionali pervengano uomini e donne di inconfutabile fedeltà atlantica.
Argomenti che abbiano già avuto modo di affrontare in altre occasioni, alle quali rimandiamo, in riferimento all’opera dell’ambasciatrice Clare Boothe Luce in Italia nei primi anni Cinquanta e all’istituzione, da parte della CIA, del Congress for Cultural Freedom, attivo in trentacinque Paesi, prevalentemente europei, tra il 1950 e 1967.
Federico Roberti

Il curriculum di Reginald Bartholomew

bartholomew-albright

“Ci fu poi un altro contesto che riguarda ciò che avvenne tra Cosa Nostra, gli apparati della guerra clandestina contro il comunismo, che erano stati organizzati durante la guerra fredda e i loro referenti, non solo interni, italiani, ma anche e forse soprattutto internazionali, e cioè gli anglo americani con cui avevano stretto un patto ferreo durante la guerra, un patto che era durato fino alla caduta del muro di Berlino e alla fine della guerra fredda.
Nel libro c’è un lungo capitolo basato su una testimonianza inedita, che io registrai nel 1998 per un altro libro, era dell’ambasciatore Reginald Bartholomew il quale mi diede la sua testimonianza su quella fase critica dell’Italia e sul suo ruolo anche personale nel nostro Paese.
Bartholomew mi raccontò la sua storia e la ragione per cui Bill Clinton, appena eletto Presidente degli Stati Uniti aveva deciso di mandarlo in Italia, lui era ambasciatore americano alla NATO a Bruxelles, stava per lasciare quell’incarico, aveva ricevuto un’altra destinazione, Israele, aveva già presentato le sue credenziali al governo Israeliano, ma all’ultimo momento Clinton lo chiamò e gli disse lei non va più in Israele, lei va in Italia.
Quando Bartholomew chiese “Ma perché proprio io e perché in Italia”, si sentì rispondere perché data la situazione che si è creata in Italia a Roma ci serve un professionista come lei, un diplomatico di carriera con il suo curriculum. Allora quando io gli chiesi “Ma ambasciatore che curriculum ha lei?” lui chiamò la sua segretaria e fece portare un elenco di cose che aveva fatto, di operazioni a cui aveva partecipato, di missioni che aveva compiuto per conto della amministrazione americana, era stato dal Libano alla Bosnia, della Cina di Piazza Tienanmen alla crisi iraniana, al Golfo Persico, era stato in tutti i teatri di guerra civile con il compito di rimettere le cose a posto e di salvaguardare gli interessi americani. Lo stesso compito che aveva ricevuto da Clinton per l’Italia. Lui si insediò nella ambasciata americana a Roma con il compito di stabilizzare la situazione italiana così difficile e così drammatica. E questo fece.”

Da La lunga trattativa Stato-Mafia, intervista a Giovanni Fasanella.
(I collegamenti inseriti sono nostri – ndr)

Elezioni USA e dintorni

Dal meno peggio al sempre peggio, dal tanto peggio al tanto meglio.
Ma dalla Sicilia alla California l’astensionismo conquista o sfiora la maggioranza

“Caro Lucio – recita l’e-mail – conosciamo i tuoi spunti critici sulla nostra opera di governo degli ultimi quattro anni e ne terremo conto nel nostro secondo mandato. Il tuo sostegno è comunque essenziale al fine di tradurre in realtà quei programmi che l’emergenza della crisi economica ereditata dalla precedente amministrazione e l’accanita opposizione repubblicana nella Camera dei rappresentanti ci hanno in parte impedito di attuare. Facciamo affidamento pertanto sul tuo voto il 6 novembre e prima ancora sul tuo contributo economico alla fase conclusiva della campagna elettorale. F.to: Barack Obama”.
Non ci siamo mai sognati di chiedere la cittadinanza statunitense nei trentotto anni trascorsi nella repubblica stellata e in quanto stranieri non abbiamo il diritto di voto nel grande impero d’occidente e anche se volessimo non potremmo contribuire un solo dollaro alla campagna di Obama o del suo avversario. Sospettiamo che più di un malinteso si sia trattato di uno scherzo fattoci da un caro amico newyorkese da anni residente in Italia, D.S., obamista di ritorno, che dopo averci fatto pervenire altri inviti dalla Casa Bianca (con soli 19 dollari il nostro nome sarebbe stato estratto a sorte per un invito a cena con il Presidente), ci abbia segnalato come cittadino americano “critico”, residente all’estero, a qualche funzionario democratico di Washington. Perché la tesi di D.S. è quella più semplice e più in voga da almeno due mesi a questa parte: definire Romney-Obama “un mostro a due teste” è da sofisti intellettualmente disonesti, perché Barack è meglio di Mitt e anche per i disillusi è il meno peggio dei due.
Ci risiamo: votare per il meno peggio, anche se l’esperienza degli ultimi quaranta anni negli Stati Uniti e in Europa ha dimostrato che il meno peggio ha portato sempre al peggio. Continua a leggere

Tampa e Charlotte: due recitativi diversi

Una sola Convenzione: quella dell’uno per cento.
Presidenti delle grandi corporazioni, banchieri, petrolieri, speculatori finanziari con centinaia di lobbisti al seguito a convegno nelle due città per rafforzare con finanziamenti ormai senza limiti il loro controllo su Casa Bianca e Congresso quale che sia l’esito elettorale di novembre.
Le elargizioni multimilionarie premiavano fino a ieri i repubblicani, poi si sono spostate sui democratici come hanno confermato i sondaggi.

“How much is that doggie in the window, the one with the waggley tail?” – cantava Patty Page negli anni ’50 e ’60 e quell’interrogativo “Quanto costa quel cagnolino in vetrina, quello che scodinzola?” è affiorato più volte nella memoria di un ottuagenario mentre seguiva su Sky International, CNN e, grazie a internet, sulla ABC e NBC la convenzione repubblicana di Tampa e quella democratica a Charlotte. Che i due eventi abbiano assunto da più di un ventennio il ruolo di semplici vetrine dove vengono esposti i prodotti di scelte predeterminate in altre sedi, anche ma non solo nelle primarie, è un dato di fatto da tutti accettato nella repubblica stellata: i prodotti, le candidature cioè alla Casa Bianca e indirettamente al congresso e al governo di un terzo degli stati, vengono promossi con dispendiose coreografie, interventi roboanti e trucchi scenici per riaccendere l’interesse dell’elettorato sulle consultazioni popolari del primo martedì di novembre. E poi l’ostentazione di una granitica adesione dei due partiti – inesistenti nell’accezione europea ma negli USA solo movimenti di opinione in evidenza ogni quattro anni – alle scelte già fatte dei candidati.
Prima di tornare al tema della canzonetta sul costo dei cagnolini scodinzolanti in vetrina, alcune osservazioni non certo marginali vanno fatte sulle due kermesse di Tampa e Charlotte. Continua a leggere

Amnesty per l’occupazione?

Ashley Smith spiega cosa c’è dietro le contorsioni politiche di Amnesty International

La maggior parte delle persone associa Amnesty International con la lotta alla tortura, la protesta contro la pena di morte e l’impegno per la liberazione dei prigionieri politici. Conosciuta per queste importanti campagne, nell’ultimo decennio Amnesty si è opposta alla guerra in Iraq e ha chiesto la chiusura del campo di reclusione americano presso la Baia di Guantanamo, a Cuba.
Pertanto, gli attivisti contro la guerra presenti a Chigago durante il vertice della NATO dello scorso Maggio sono stati scioccati dal vedere che Amnesty International USA ha ricoperto le fermate degli autobus cittadine con manifesti che recitavano: “Diritti Umani per le donne e le ragazze in Afghanistan: NATO, sostieni il progresso!”.
Ancora peggio, Amnesty USA ha organizzato di sua iniziativa un “vertice ombra” in contemporanea con quello della NATO, ospitando Madeleine Albright, il famigerato Segretario di Stato di Bill Clinton, che sarà sempre ricordata per la sua cinica risposta alla domanda – postale durante la trasmissione 60 Minutes – circa le sanzioni contro l’Iraq degli anni novanta. Il corrispondente Lesley Stahl chiese, “Abbiamo sentito che mezzo milione di bambini sono morti. Sono ancora di più di quelli morti a Hiroshima. Ne valeva la pena?”, la Albright rispose “Penso sia stata una scelta molto difficile, ma crediamo ne valesse la pena”.
Con una vera e propria criminale di guerra quale sua relatrice speciale, il vertice ombra di Amnesty USA ha lanciato una campagna come se auspicasse una estensione dei “buoni lavori” della NATO in Afghanistan. I suoi relatori e i materiali promozionali riciclavano la giustificazione “femminista” dell’invasione e dell’occupazione militare tipica di George Bush – che la NATO avrebbe liberato le donne dall’oppressione dei Talebani.
Amnesty USA dice in una “Lettera aperta ai presidenti Obama e Karzai”: “Oggi, tre milioni di ragazze vanno a scuola, in confronto praticamente a nessuna sotto i Talebani. Le donne costituiscono il 20% dei laureati. La mortalità materna e quella infantile sono diminuite. Il 10% di giudici e procuratori sono donne, rispetto a nessuna durante il regime dei Talebani. Questo è ciò che intendiamo per progresso: i miglioramenti per i quali le donne hanno lottato durante l’ultimo decennio”.
Si faccia un confronto con la propaganda della NATO: “In dieci anni di collaborazione, le vite di uomini, donne e bambini afghani sono migliorate significativamente per quanto riguarda la sicurezza, l’educazione, la cura della salute, il benessere economico e il rispetto di diritti e libertà. C’è da fare di più, ma siamo determinati a lavorare insieme per assicurare il sostanziale progresso che abbiamo realizzato nel passato decennio”.
Semplicemente non c’è alcuna differenza.

La verità sulle donne durante l’occupazione della NATO
Queste affermazioni sono ridicole. L’occupazione NATO dell’Afghanistan ha sviluppato un regno del terrore nei confronti di tutta la popolazione del Paese, infliggendo repressione, attaccando le feste di matrimonio e appoggiando il Presidente burattino Hamid Karzai e il suo corrotto regime di signori della guerra.
Anche il New York Times ammette che non c’è stato praticamente alcun sviluppo. Un suo editoriale riporta: “Secondo la Banca Mondiale, circa il 97% del PIL dell’Afghanistan, pari a 15,7 miliardi di dollari, viene dall’aiuto internazionale militare e allo sviluppo e dalle spese effettuate nel Paese dalle truppe straniere.”
Ogni affermazione di funzionari statunitensi o della NATO circa il miglioramento delle condizioni degli afghani dovrebbe essere valutata con profondo sospetto. Nella più recente esposizione delle loro bugie circa lo sviluppo, un’ìnchiesta del Congresso ha rivelato che l’ospedale Dawood, finanziato dagli USA, ha imprigionato i suoi pazienti in “condizioni stile-Auschwitz”. Come ha riferito Democracy Now!: “Fonti anonime dell’Esercito hanno diffuso fotografie scattate nel 2010 che mostrano pazienti severamente trascurati, affamati all’ospedale Dawood, considerato il gioiello della corona del sistema sanitario afghano, dove è trattato il personale militare del Paese. Le foto mostrano pazienti molto emaciati, alcuni sofferenti di cancrena e ferite infestate da vermi”.
Le condizioni delle donne in Afghanistan non costituiscono un’eccezione a questo quadro generale. Né la NATO né il regime di Karzai hanno migliorato i diritti delle donne – Karzai ha firmato una normativa che conferisce ai mariti il potere di costringere a far sesso e privare di cibo le proprie mogli. Come Sonali Kolhatkar, fondatrice della Missione delle Donne Afghane, e Mariam Rawi, dell’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan, hanno scritto: “Sotto i Talebani, le donne erano confinate nelle proprie case. Non veniva loro permesso di lavorare o frequentare la scuola. Erano povere e senza diritti. Non avevano accesso all’acqua pulita o alle cure mediche, ed erano costrette ai matrimoni, spesso ancora bambine. Oggi, nella maggior parte dell’Afghanistan le donne vivono nelle stesse precise condizioni, ma con una notevole differenza: sono circondate dalla guerra.”
Dopo più di un decennio di occupazione militare, l’aspettativa media di vita per le donne afghane è pari a 51 anni. Il Paese è ultimo al mondo nella classifica della mortalità sia materna che infantile. L’UNICEF riferisce che il 68% dei bambini con meno di cinque anni soffre di malnutrizione.
Con l’inizio delle operazioni di controguerriglia volute da Obama, le condizioni per le donne sono drammaticamente peggiorate, non migliorate. “Il conflitto alle soglie di casa” scrivono Kolhatkar e Rawi “mette in pericolo le loro vite e quelle delle loro famiglie. Non porta loro diritti nell’ambito domestico o nella vita pubblica, e le rinchiude ulteriormente nella prigione costituita dalle loro stesse abitazioni”.
Ecco perché Malalai Joya, ex membro del Parlamento afghano, presume che l’unica buona cosa che USA e NATO possano fare è andarsene dal suo Paese. In una dichiarazione durante la dimostrazione contro il vertice NATO, ella ha detto: “In Afghanistan abbiamo molti problemi – il fondamentalismo, i signori della guerra, i Talebani. Ma avremmo una migliore probabilità di risolverli se avessimo la nostra auto-determinazione, la nostra libertà, la nostra indipendenza. Le bombe della NATO non daranno mai democrazia e giustizia all’Afghanistan o a nessun altro Paese”.

Per chi conosce l’inglese, la lettura può continuare qui.
Scoprirà, fra le altre cose, che lo scorso mese di Gennaio è stata designata quale nuovo direttore esecutivo di Amnesty International USA la signora Suzanne Nossel, fresca da un incarico al Dipartimento di Stato di Hillary Clinton, paladina dell'”interventismo umanitario” insieme a Samantha Power, Susan Rice e la stessa Clinton.
Non prima di essere stata assistente dell’ambasciatore USA presso l’ONU Richard Holbrooke ai tempi dei bombardamenti della NATO sull’ex Jugoslavia e direttore operativo di Human Rights Watch (HRW), nonché di aver inventato il termine “smart power”, assunto da Hillary Clinton quale parola d’ordine della politica estera a stelle e strisce durante l’amministrazione Obama.

E’ un caso?

Qualche giorno fa ho pubblicato sul Giornale, una notizia con un retroscena insolito. Ricordate il Sexgate? E Newt Gingrich, l’implacabile accusatore repubblicano di Clinton? Ebbene ora apprendiamo che i due implacabili nemici di giorno, la sera, in gran segreto, erano complici. Si ritrovavano per… parlare di donne. Già, perché anche il moralista Gingrich aveva un’amante. E Clinton divenne il suo confidente, come potete leggere qui.
L’episodio è divertente e anche un po’ boccaccesco, ma emblematico di un modo di fare politica che non è limitato alle questioni di letto. Negli Stati Uniti più ci si avvicina al vertice e più le distinzioni,. nella gestione del potere, tendono a scomparire, pur salvaguardando l’apparenza.
(…)
E lo stesso schema si sta diffondendo in molti Paesi. Che cosa distingue i laburisti post Blair dai conservatori alla Cameron? Solo l’etichetta. In Spagna i popolari di Aznar dai socialisti alla Zapatero? Solo questioni etiche e religiose, ma su tutto il resto la continuità è evidente. E guardando ieri sera la trasmissione, noiosissima, di Fazio Fazio e del guru (senza spessore) Roberto Saviano, mi ha colpito la similitudine tra Bersani e Fini, nell’elencare i valori della destra e della sinistra. Un cumulo di banalità, che lascia intravedere una convergenza di fondo, sul modello di società, sull’immigrazione, e, naturalmente, sulle modalità di gestione (reali) del potere,
Tra i due vedo poche differenze sostanziali. Come avviene negli USA. E’ un caso?

Da Destra contro sinistra. In pubblico, ma poi…, di Marcello Foa.

Bono rockstar della NATO

Lo scorso 28 aprile, il Consiglio Atlantico degli Stati Uniti – organismo creato nel 1961 per raccogliere sostegno alla NATO e che deriva il suo nome dal Consiglio Nord Atlantico, la massima autorità esecutiva dell’Alleanza – ha conferito il suo primo Humanitarian Leadership Award al cantante Bono Vox, voce degli U2, già irlandese.
In buona compagnia con criminali di guerra vari ed assortiti, a cominciare dall’ex presidente statunitense Bill Clinton.
Per farsi un’idea del bel ambientino e conoscere i nomi di coloro i quali, negli anni passati, hanno ricevuto i prestigiosi riconoscimenti del Consiglio Atlantico, qui.
Per protagonisti, scopi,  fiancheggiatori e sostenitori rimandiamo all’analisi di Rick Rozoff.

Bertolaso rimandato in atlantismo

(AGI) – Washington, 25 gen. – “Il governo non si riconosce nelle dichiarazioni” in cui il sottosegretario alla Protezione Civile Guido Bertolaso ad Haiti “ha attaccato frontalmente l’America e le organizzazioni internazionali”.
Questa la secca presa di distanza da Bertolaso espressa dal ministro degli Esteri Franco Frattini al suo arrivo a Washington dove tra poche ore incontrerà il segretario di Stato Hillary Clinton con la quale, tra l’altro, affronterà l’emergenza Haiti .

Esami di riparazione superati con successo
«Con lui [Barack Obama – n.d.r.] prima di tutto, e con gli americani, ho un ottimo rapporto – dice Guido Bertolaso – le mie non erano accuse agli Stati Uniti, ma critiche, da tecnico, alla mancanza di coordinamento delle organizzazioni internazionali».
E via scusandosi e depistando…

Promuovere per rimuovere?
L’Aquila, 29 gennaio – Dopo 10 mesi dalla scossa che il 6 aprile ha colpito L’Aquila, Guido Bertolaso lascia il capoluogo abruzzese che lo ha visto protagonista come commissario all’emergenza. Ma per il sottosegreretario alla Protezione Civile arriva sul campo la promozione a ministro da parte del premier Silvio Berlusconi: “E’ il minimo che possiamo fare dopo lo straordinario exploit di Guido”.
Un gesto che arriva dopo le dichiarazioni di Bertolaso sulla gestione degli aiuti ad Haiti e lo scontro diplomatico sfiorato con gli Usa. Proprio su quell’episodio si appuntano le critiche dell’opposizione che dice: “I ministeri non sono premi”. Ma la ‘promozione’ di Bertolaso non sembra essere cosa di domani mattina. Non è stato solo il diretto interessato a mostrarsene sopreso e dichiararsene del tutto ignaro, poco dopo l’exploit del Premier. Nel Governo in più d’uno parlano di un annuncio a sorpresa, al limite dell’estemporaneità di cui solo nei prossimi giorni si potrà capire portata e sostanza. Anche la ipotesi più gettonata, quella del ‘superministero alle emergenze’ che trasformi ed ampi le competenze della Protezione Civile richiede tempo: a partire dalla nuova legge ad hoc che richiederebbe un nuovo aumento del numero dei ministri. Ad oggi, dunque, a Bertolaso non è restato che incassare la promozione pubblica sul campo da parte del premier, congedarsi dall’Aquila e tornare full time alla Protezione Civile, da Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
(Apcom)

Arte figurativa del Kosovo

clintonbill

Una statua di Bill Clinton, ex presidente degli Stati Uniti dell’America, è stata inaugurata da lui stesso a Pristina nella provincia serba del Kosovo e Metochia occupata dalla NATO.
Inaugurare un monumento ad una persona viva sa di macabro ma Clinton si è prestato al gioco ed ha inaugurato un monumento a se stesso. La statua tipica del social-realismo dei tempi di marxismo-leninismo di Enver Hoxa rappresenta l’ex presidente americano che saluta gli schipetari con una mano (a dir il vero ricorda un po’ il Duce) tenendo nell’altra il documento con il quale, durante i bombardamenti della Serbia da parte della NATO, aveva autorizzato, il 24 maggio 1999, l’entrata delle forze d’occupazione statunitensi nella provincia serba.
Fu tanto commosso il nostro eroe da cogliere l’occasione per dire queste sagge parole alla folla albanese nella piazza Bill Clinton di Pristina (ci sono ancora una via e un viale con il suo nome mentre la via principale porta il nome di George Bush): “Stamattina mentre parlavo con mia moglie che si trova nel Vicino Oriente e che vi saluta, lei mi disse di farmi fare una foto e di inviargliela perché possa vedere con i propri occhi che la mia statua esiste veramente”.
Poi le sue parole storiche con le quali consigliò gli albanesi e i serbi di dimenticare il passato suonarono ciniche nelle orecchie dei serbi ai quali questo nuovo eroe albanese aveva strappato con forza il 15% del territorio storico, una Firenze serba, e molto ricco di minerali rari e di energie.
Clinton ha finito il suo discorso dicendo: “Se c’è ancora qualche cosa che posso fare per voi albanesi, serbi ed altri, contate su di me…!”. Per quanto riguarda i serbi sanno quello che Clinton aveva già fatto per loro e gliene ringraziano tanto, ma non accetteranno altri doni di Bill, avendone avuti già troppi: 51.000 proiettili all’uranio impoverito, migliaia di missili cruiser, centinaia di migliaia di bombe a grappoli… tutti i frutti vietati dalle convenzioni internazionali per il loro effetto antiumano, una continua politica americana di pressioni e di ricatti contro i serbi che ebbe inizio ancora nel lontano 1991 e che non cessa ancora…
Gli albanesi hanno ora i due monumenti dedicati ai loro eroi nazionali più grandi della loro storia: quello di Tirana dedicato a Skanderbeg, cioè a Djuradj Kastriotic, un serbo, e questo a Pristina innalzato ad un americano.
Ci auguriamo che almeno un loro terzo eroe nazionale al quale faranno un monumento possa essere finalmente un albanese.

Pristina. Bill Clinton e il culto della personalità, di Dragan Mraovic.

Srebrenica balla atlantica

srebrenica

Dopo molti anni che investigo gli eventi bellici a ed attorno a Srebrenica, ho raggiunto la conclusione definitiva che non vi fu nessun genocidio. Nel luglio del 1995, mentre la città veniva conquistata dalle forze serbe, persero la vita circa 2.000 musulmani — non 8.000 come pretende la macchina della propaganda musulmano bosniaca, con il sostegno di certi politici e media occidentali. Quei 2.000 caddero in battaglia contro l’esercito serbo, mentre stava sfondando verso Tuzla. Il “genocidio di Srebrenica” è un’invenzione di Izetbegovic e Clinton, – ha dichiarato Dorin.

Su che cosa basate le vostre asserzioni che il “massacro” di Srebrenica è stato inventato da Izetbegovic e Clinton?
Si dovrebbe tenere in mente che persino i media americani scrissero abbastanza sul fatto che gli Stati Uniti stavano armando da anni le forze di Izetbegovic. L’amministrazione Clinton era molto ostile verso i serbi — i generali di Clinton erano persino coinvolti nell’operazione croata “Tempesta”, l’espulsione e l’eliminazione della nazione serba dalla Repubblica della Krajina serba e da parti occidentali della Bosnia-Herzegovina.
Allo stesso tempo, uno dei signori della guerra di Srebrenica — Hakija Meholjic — continua ad asserire che dal 1993 Clinton offriva ad Izetbegovic un massacro fabbricato contro i musulmani di Srebrenica, come una manovra che avrebbe posto fine alla guerra civile in Bosnia-Herzegovina [a vantaggio dei musulmani bosniaci].

Cosa ci dice questo?
Ci dice che hanno avuto due anni per avviare quella manovra, il tempo durante il quale Izetbegovic e Clinton venivano mitizzati ed elevati alla posizione di eroi attraverso i più influenti media occidentali.

Questo libro offre prove aggiuntive?
Il libro presenta inoltre le prove che dimostrano che 2.000 musulmani che hanno perso la vita a Srebrenica sono caduti in battaglia. Per essere in grado di pretendere che fu commesso il “genocidio” e dal momento che non avevano i corpi sufficienti per sostenere la pretesa iniziale di presumibilmente 8.000 musulmani uccisi, hanno elencato come vittime di Srebrenica numerosi combattenti musulmano bosniaci che sono morti molto prima della conquista di Srebrenica o che vennero uccisi in altre battaglie durante la guerra civile, dal 1992 al 1995. La lista delle presunte vittime di Srebrenica contiene anche i nomi di quelli che sono ancora vivi.

Intendete quelli che più tardi votavano alle elezioni…?
Esatto. Nelle elezioni bosniache del 1996, le liste elettorali contenevano circa 3.000 musulmani bosniaci che erano anche elencati come “vittime di Srebrenica”. Ciò sottolinea ulteriormente il fatto che il cosiddetto Tribunale dell’Aja non ha ancora nessuna prova del “genocidio di Srebrenica”. Invece, conta sulle affermazioni del croato Dražen Erdemovic, provate essere assolute menzogne, come ha dimostrato nel suo ultimo libro il giornalista bulgaro Germinal Civikov.

Il Tribunale dell’Aja non ritiene così…?
L’ex portavoce della NATO Jamie Shea nel 1999 ha enfatizzato che, senza la NATO, tanto per cominciare, non vi sarebbe nessun Tribunale dell’Aja. Ha asserito che la NATO ed il Tribunale dell’Aja sono “alleati ed amici”. Tra gli altri, l’esempio che conferma la sua affermazione è il caso del [Colonnello] Vidoje Blagojevic, condannato ad un lungo periodo di prigione a causa dei fatti di Srebrenica anche se è assolutamente innocente e non ha fatto del male a nessuno. Così, la NATO punisce i suoi avversari attraverso il Tribunale dell’Aja mentre, allo stesso tempo, protegge i suoi alleati.
(…)

Da Il “massacro di Srebrenica” inventato da Bill Clinton e Alija Izetbegovic.

[In attesa di un’eventuale edizione italiana del testo di Alexander Dorin, si può utilmente leggere Il dossier nascosto del “genocidio” di Srebrenica, pubblicato nel 2007 dall’editore La Città del Sole, e consultare il sito srebrenica-report.]

Ivo Daalder: Stati Uniti e NATO contro l’ONU

ivo daalder

Olandese di nascita, Ivo Daalder è l’attuale rappresentate permanente (ambasciatore) degli Stati Uniti presso la NATO. Daalder si è fatto le ossa nei Balcani, occupando negli anni novanta sotto le presidenze Clinton il ruolo di direttore degli affari europei del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Benché nominato da Clinton, egli criticò il suo presidente durante l’aggressione alla ex-Jugoslavia del 1999 a causa del mancato intervento terrestre.
Il giorno seguente a quello in cui Daalder è stato designato da Barack Obama quale ambasciatore alla NATO (11 marzo), un articolo apparso nella stampa olandese, definendolo un “falco liberale”, ha ricordato come egli fosse fra i firmatari della lettera che nel gennaio 2005 il Project for a New American Century (PNAC, uno dei “serbatoi di pensiero” artefici della politica estera statunitense durante le amministrazioni di George Bush) aveva inviato al Congresso richiedendo urgentemente l’aumento dei militari USA impiegati in Iraq. Nell’articolo si ricordava anche come Daalder avesse spesso scritto circa il diritto-dovere della cosiddetta “comunità internazionale” – traduzione: Stati Uniti e Gran Bretagna con vassalli e valvassini vari ed eventuali provenienti da un generico Occidente – di usare lo strumento militare sotto copertura umanitaria per intervenire in quei Paesi che “hanno mancato di adempiere le proprie responsabilità”.
Al momento della nomina, Daalder ricopriva il posto di docente di studi di politica estera presso la Brookings Institution; egli è, inoltre, membro del paramassonico Council on Foreign Relations (CFR) e dell’International Institute for Strategic Studies.
L’edizione cartacea di Russia Today ha commentato la sua designazione con le seguenti parole: “L’amministrazione Obama vede nella NATO il nucleo di un’organizzazione globale delle democrazie che prenderà il posto, eventualmente, delle Nazioni Unite. Washington desidera che la NATO si allarghi con l’ingresso di Paesi come Australia, Giappone, Brasile e Sudafrica e diventi un’organizzazione globale che si occupi non solo di questioni di sicurezza ma anche di epidemie e diritti umani… Il nuovo ambasciatore USA presso la NATO Ivo Daalder è un grande sostenitore di questa idea”.
Daalder, consigliere di Obama in politica estera durante la campagna presidenziale, è un forte promotore del cosiddetto Concerto delle Democrazie, presupposto del quale è l’idea che l’ONU sia un’istituzione ormai datata. L’origine del paradigma di Concerto delle Democrazie, sotto l’egida della NATO ed in opposizione all’ONU, può essere rinvenuta in un’editoriale apparso sul Washington Post del 23 maggio 2004 intitolato “Un’alleanza di democrazie”, scritto a quattro mani da Ivo Daalder e James Lindsay, allora vice presidente e direttore degli studi presso il CFR. Nell’articolo, gli autori non lasciavano alcun dubbio su quale sia l’istituzione da rimpiazzare con una NATO globale : “Un problema immediato è che le Nazioni Unite non sono in grado di fare la differenza. I suoi Caschi Blu possono agevolare il mantenimento della pace quando i cobelligeranti interrompono le ostilità. Ma, come abbiamo appreso nei Balcani, non possono sancire la pace dove essa non esiste. (…) Il problema più grande è che queste (dell’ONU, ndr) proposte di riforma non arrivano al cuore di ciò che affligge l’organizzazione: essa tratta gli Stati membri come egualmente sovrani a prescindere dal carattere dei loro governi. L’idea di eguale sovranità riflette una decisione assunta dai governi sessant’anni fa secondo la quale sarebbe stato meglio che essi non si fossero arrogati il diritto di intervenire negli affari interni degli altri. Questa scelta ormai non ha più senso. Oggi il rispetto per la sovranità statale dovrebbe essere condizionato da come gli Stati agiscono all’interno, non solo all’estero. Abbiamo bisogno di un’Alleanza di Stati Democratici. Questa organizzazione dovrebbe unire le nazioni con solide tradizioni democratiche, quali gli Stati Uniti e il Canada; i Paesi dell’Unione Europea; Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda ed Australia; India ed Israele; Botswana e Costa Rica.”

Imperterrito, Daalder ha offerto una replica due anni e mezzo dopo (12 ottobre 2006), questa volta in una vetrina generosamente concessagli dall’International Herald Tribune, pubblicazione gemella del New York Times (l’altro principale pilastro della “libera stampa” americana), in un articolo di cui era coautore con James Goldgeier, anch’egli appartenente al CFR.
Nel pezzo, intitolato “Per la sicurezza globale, espandere l’alleanza”, si afferma: “La NATO deve diventare più estesa e globale ammettendo ogni Stato democratico che abbia il desiderio e la capacità di contribuire all’adempimento delle nuove responsabilità dell’alleanza. Altri Paesi democratici condividono i valori della NATO e molti interessi comuni – inclusi Australia, Brasile, Giappone, India, Nuova Zelanda, Sudafrica e Corea del Sud – e tutti loro possono grandemente contribuire agli sforzi della NATO con l’offerta di forze militari aggiuntive o sostegno logistico…”. Il contributo è urgente perché “il dispositivo militare della NATO è assottigliato dalle molte nuove missioni che deve adempiere in Iraq ed in Afghanistan, così come in Sudan, Congo ed altri parti dell’Africa.”
Nel marzo 2007, parlando del progetto di scudo antimissile globale, l’allora vice Segretario di Stato statunitense John Rood dichiarò che i siti all’uopo individuati in Polonia e Repubblica Ceca “dovrebbero essere integrati con le installazioni radar esistenti nel Regno Unito ed in Groenlandia così come con gli intercettori di difesa missilistica in California ed Alaska”, aggiungendo che a quel tempo qualcosa come quattordici Paesi erano già coinvolti nei piani, inclusi “Australia, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Israele, India, Giappone, Olanda ed Ucraina. Anche Taiwan sta partecipando…”.
La correlazione fra i Paesi non NATO menzionati come membri del Concerto o Alleanza delle Democrazie sotto l’egida atlantica e quelli che si stanno integrando nel sistema globale di scudo antimissile è più che evidente.

[Sulla strategia statunitense per svuotare dall’interno le Nazioni Unite: Accordo segreto fra l’ONU e la NATO]

Un calabrese (irreprensibile) alla CIA

panetta

Siderno (Reggio Calabria), 6 gennaio – “Studiava sempre. Era qui a Siderno in vacanza, tutti noi ragazzi andavamo al mare oppure a giocare ed a divertirci, lui invece rimaneva a casa a studiare, a leggere, e non cedeva a nessuna tentazione”. L’ingegnere Domenico Panetta, già sindaco di Siderno, grosso centro del Reggino, per due legislature, conversando telefonicamente con l’AGI, ricorda con “gioia ed orgoglio” il cugino Leon Panetta, ieri indicato come nuovo capo della CIA dal presidente eletto degli Stati Uniti d’America, Barack Obama. “Le ultime volte che l’ho incontrato – dice Domenico Panetta – ricopriva l’incarico di capo di gabinetto dell’allora presidente americano Bill Clinton. Mi ha ricevuto alla Casa Bianca ed anche in quell’occasione abbiamo dialogato in dialetto sidernese, una lingua che lui ama molto e che utilizza anche oggi. Spesso scrive o telefona, chiedendo sempre notizie del suo mare, della sua terra. E’ infatti un convinto ambientalista ed anche un uomo impegnato profondamente per l’affermazione dei diritti civili”. Leon Panetta, sposato e padre di tre figli, è figlio di Carmelo Panetta, originario di Gerace, e di Maria Carmela Brugnano, di Siderno, emigrati in America a cercar fortuna. Ha un fratello, anche lui residente in USA. “Pur essendo nato negli Stati Uniti d’America – sottolinea il cugino calabrese – mantiene stretti legami con la sua terra d’origine, ovviamente compatibilmente con tutti gli impegni cui deve assolvere. La notizia della sua nomina a capo della CIA ci rende orgogliosi, ci riempie di soddisfazione e credo sia anche una notizia molto positiva per l’intera Calabria ed anche per tutta l’Italia”.
(AGI)

Soprattutto per l’Italia…
[grassetti nostri]

Kosovo Italia Serbia, pro memoria 1999

Il 24 Marzo di nove anni or sono l’attacco aereo a Serbia, Montenegro e Kosovo Metohija vide l’Italia in prima fila per numero di aerei impiegati tra Tornado, ECR, AMX e F104 dell’Aeronautica Militare Italiana: 52, come da dichiarazione ufficiale dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema.
Il primo governo di coalizione guidato da un ex esponente del PCI si fece anche carico dell’assistenza a terra degli altri 263 cacciabombardieri della prima linea d’attacco della NATO. Con un provvedimento ad hoc, le Forze Armate italiane coprirono tutti gli oneri di spesa, dalla fornitura del carburante avio al munizionamento a guida laser da scaricare sul territorio della Repubblica Federale di Jugoslavia: 78 giorni di ininterrotti bombardamenti, in aperta violazione del diritto internazionale e, per quanto riguarda l’Italia, dell’articolo 11 della Costituzione.
Sui 1.378.000 abitanti del Kosovo Metohija, 461.000 erano cittadini di origine serba. Il censimento effettuato nel 2006 dall’UNMIK ne ha registrati come residenti meno di 100.000, perché gli altri sono stati cacciati dalle loro case, in presenza delle forze NATO appartenenti alla KFOR, ed ora vivono in estrema precarietà nei campi profughi sparsi in Serbia. Dei 55.000 che vivevano a Prishtina prima del 1999, ne rimangono 42. La stessa sorte è toccata a diverse migliaia di croati, rom, gorani (slavi di religione musulmana) ed agli albanesi considerati “collaborazionisti” – almeno a quelli non assassinati a sangue freddo dall’UCK, descritto come “senza alcun dubbio, un gruppo terroristico” da Robert Gelbard, inviato speciale del presidente Clinton nei Balcani. Gli schipetari hanno inoltre dato alle fiamme e saccheggiato 148 monasteri medievali e decine di migliaia di case, realizzando quella pulizia etnica che non era riuscita nemmeno a Mussolini quando si era impegnato a costruire una “Grande Albania”.
Il Kosovo è oggi privo di economia. Quel poco che consente la sopravvivenza della popolazione è basato quasi unicamente su traffici illegali. E tutto questo dopo avere ricevuto dall’Unione Europea due miliardi di euro in assistenza dal 1999 ad oggi. La bilancia commerciale parla chiaro: entrate da traffici vari (droga e armi soprattutto, ma anche automobili e marchi contraffatti) valgono per circa l’80%, gli aiuti internazionali per poco meno del 20%.
Stando alle stime dell’Interpol, è dal Kosovo che passa l’80% del traffico di eroina del Vecchio Continente. Si parla di un volume d’affari totale pari a due miliardi di dollari e di un flusso mensile compreso tra le 4 e le 6 tonnellate di droga. E una buona fetta dei proventi rientra poi in Kosovo, finendo anche nelle casse dei principali partiti.
Secondo la Banca mondiale, il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Il Kosovo ha il Pil più basso d’Europa. La disoccupazione è stimata al 60%, l’analfabetismo è vicino al 10% tra gli uomini ed al 20% fra le donne, cifre dieci volte superiori alla media regionale.
Ogni 15 giorni, i Nuclei di Polizia Internazionale emettono provvedimenti di chiusura a carico di locali adibiti al traffico di stupefacenti e/o di armi, al riciclaggio di denaro sporco, alla prostituzione; nella sola Prishtina, i bordelli – assiduamente frequentati dai militari stranieri ivi operanti – si contano in diverse centinaia. Le bande criminali censite sono 2.417. Le armi, corte o lunghe, a disposizione delle stesse sono stimate in 400.000 circa.
Per contro, ferma qualsiasi precedente attività mineraria estrattiva, la produzione artigianale ed industriale è pressoché nulla, con una compressione rispetto al volume sviluppato nel 1999 pari al 92% in meno. Con conseguenza, fra le altre, che il tasso di disoccupazione permanente nella fascia d’età tra i 18 ed i 45 anni sfiora l’82%.
A fronte delle 32 tonnellate di uranio impoverito seminate dai proiettili dell’USAF, nella popolazione residente si è registrato, in sei anni, un incremento del 25% degli aborti spontanei, del 15% delle malformazioni nei feti, del 17% di leucemie e tumori ad ossa, cervello, reni, fegato e vie urinarie. Tra i soldati italiani della KFOR avvicendatisi nella regione, i decessi per cancro registrati al gennaio 2007 sono 52, mentre più di 300 sono quelli in cura nelle strutture sanitarie nazionali.