Guerre USA 2013

E l’Italia segue al traino…

“Sacrifici e tagli per tutti ma non per i mercanti di morte. L’amministrazione Obama ha presentato al Congresso la proposta di bilancio 2013 per il comparto “difesa”: 613 miliardi di dollari, 525 per pagare stipendi e acquistare cacciabombardieri, missili, carri armati e bombe nucleari e 88 per le missioni di guerra d’oltremare. Meno di quanto chiedevano generali e ammiragli ma alla fine tutti sono rimasti contenti: la Marina confermerà i suoi undici gruppi navali guidati da portaerei a propulsione atomica, l’Aeronautica e i Marines avranno i nuovi caccia ed elicotteri multi-missione, l’Esercito si diletterà con superblindati, tank, radar e intercettori terra-aria. Grazie agli ordini Pentagono potranno brindare le borse e le aziende leader del complesso militare industriale Usa, le inossidabili Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon, ecc..
Quasi un terzo delle spese andranno per l’acquisto e la modernizzazione dei sistemi di guerra più sofisticati, aerei con e senza pilota, navi e sottomarini d’attacco, missili a medio e lungo raggio, satelliti. Esattamente 179 milioni di dollari, il 7% in meno del bilancio di previsione 2012, ma con quasi 70 milioni da destinare alla ricerca e allo sviluppo di nuovi strumenti di morte. A fare la parte del leone saranno i famigerati cacciabombardieri F-35 “Joint Strike Fighters” di Lockheed Martin che piacciono tanto pure ai ministri-ammiragli di casa nostra. Il prossimo anno, il Dipartimento della difesa vorrebbe acquistarne 29, 19 da destinare a US Air Force e 10 a US Navy, per un valore complessivo di 9,2 miliardi di dollari. Il programma degli F-35 sarà comunque ridimensionato per poter risparmiare nei prossimi cinque anni almeno 15 miliardi.”

Barack Obama al supermarket delle armi 2013, di Antonio Mazzeo continua qui.

Carceri-fabbriche negli USA

I prigionieri delle carceri federali che guadagnano ventitre centesimi di dollaro l’ora stanno producendo componenti high-tech per missili Patriot a lunga gittata, rampe di lancio per i missili anti-carro TOW (Tube-launched, Optically tracked, Wire-guided) e altri sistemi missilistici. Un articolo, pubblicato lo scorso marzo dal giornalista e ricercatore finanziario Justin Rohrlich di World in Reviews, merita una lettura attenta per capire tutte le implicazioni di questo inquietante sviluppo (minyanville.com)
La diffusione dell’utilizzo di carceri-fabbriche, che pagano salari da schiavi, per incrementare i profitti dei giganti corporativi militari, è un attacco frontale ai diritti di tutti i lavoratori.
Il lavoro carcerario, senza garanzie sindacali, straordinari, vacanze, pensioni, benefit, garanzie sulla salute e sicurezza o la Social Security, fabbrica anche componenti per i caccia bombardieri F-15 della McDonnell Douglas/Boeing, per gli F-16 della General Dynamics/Lockheed Martin e per gli elicotteri Cobra della Bell/Textron. Il lavoro carcerario produce occhiali per la vista notturna, giubbotti antiproiettile, mimetiche, strumenti radio e di comunicazione, sistemi d’illuminazione, componenti per i cannoni antiaerei da 30 mm a 300 mm insieme a spazza-mine e materiale elettro-ottico per tracciatori laser della BAE Systems Bradley Fighting Vehicle. I prigionieri riciclano il materiale elettronico tossico e revisionano i mezzi militari.
Il lavoro nelle prigioni federali è appaltato alla UNICOR, già conosciuta in precedenza come Federal Prison Industries, una corporazione in parte pubblica e a fine di lucro diretta dal Bureau of Prisons. In quattordici fabbriche carcerarie, più di tremila prigionieri producono materiale elettronico per la comunicazione terrestre, marina e aerea. L’UNICOR ora è il trentanovesimo assegnatario più grande del governo, con 110 fabbriche in 79 istituti penitenziari.
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Le maggiori compagnie che traggono profitto dal lavoro carcerario comprendono Motorola, Compaq, Honeywell, Microsoft, Boeing, Revlon, Chevron, TWA, Victoria’s Secret ed Eddie Bauer.
IBM, Texas Instruments e Dell si fanno costruire i pannelli elettrici dai prigionieri del Texas. I reclusi del Tennessee hanno cucito jeans per Ksmart e JCPenney. Decine di migliaia di giovani che distribuiscono hamburger per un salario minimo da McDonald’s vestono uniformi cucite da lavoratori carcerati, che sono costretti a lavorare per molto meno.
In California, come in molti Stati, i prigionieri che si rifiutano di lavorare vengono spostati negli istituti disciplinari, perdono il diritto alla mensa e i crediti per rientrare nel programma di benefici per buona condotta, il “Good Time”, che allevia le loro sentenze.
Gli abusi sistematici, i pestaggi, l’isolamento prolungato e la deprivazione sensoriale, la mancanza di cure mediche rendono quelle americane tra le peggiori prigioni al mondo. Ironicamente, lavorare a condizioni estenuanti per qualche centesimo l’ora è considerato come una sorta di “premio” per buona condotta.
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Nella spietata ricerca di massimizzare i profitti e di accaparrarsi ogni possibile fonte di guadagno, quasi ogni agenzia pubblica e di servizio sociale è stata esternalizzata a contractors privati in cerca di profitti.
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La creazione di centinaia di carceri a scopo di lucro è tra le più raccapriccianti privatizzazioni.
La popolazione internata in queste prigioni private a scopo di lucro è triplicata nel periodo compreso tra il 1987 e il 2007. Nel 2007 c’erano 264 prigioni di questo tipo che avevano in custodia circa 99.000 prigionieri adulti (house.leg.state.mn.us, 24 febbraio 2009). Tra le aziende che operano in questi luoghi ci sono la Corrections Corporation of America, il GEO Group Inc. e il Community Education Centers.
I titoli obbligazionari delle prigioni garantiscono un profitto per gli investitori capitalisti come Merrill-Lynch, Shearson Lehman, American Express e Allstate. I prigionieri vengono barattati e spostati da uno Stato all’altro a seconda della convenienza degli accordi commerciali.
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Da Il Pentagono e il lavoro schiavistico nelle carceri USA, di Sara Flounders.

A sostegno della democrazia nel Vicino Oriente

All’Arabia Saudita la più grande fornitura di armamenti statunitense di sempre.
Ed Attwood per arabianbusiness.com (traduzione di L. Bionda).

L’azione saudita per acquistare qualcosa come 60 miliardi di dollari in armamenti dagli Stati Uniti sarà pressoché completata entro sei mesi, secondo le parole di un alto rappresentante di una società americana strettamente legata all’accordo.
“Al momento stiamo valutando tutte le proposte tra di noi, la nostra società, la società Boeing, la casa regnante saudita ed il governo americano” ha dichiarato Greg Churchill, vice-presidente esecutivo per le soluzioni e i servizi internazionali della Rockwell Collins, ad Arabian Business nel corso di un evento sulla difesa ad Abu Dhabi.
“Sto dicendo che tutti i piani si realizzeranno nei prossimi sei mesi prima della conclusione e che sappiamo bene ciò che stiamo facendo.
Intendo sei mesi salvo piccoli ritardi, che potrebbero essere dovuti a fattori temporali e politici connessi al progetto”, ha detto Churchill.
Essendo la più grande fornitura di armamenti statunitense di sempre, l’Arabia Saudita acquisterà qualcosa come 84 bombardieri F-15, così come strumentazione di aggiornamento tecnologico per 70 jet, poco meno di 200 elicotteri, missili e bombe a guida laser, sistemi radar avanzati.
La parte della società Rockwell Collins nel contratto sarà “superiore a 60-70 milioni di dollari”, ha dichiarato Churchill, aggiungendo che la compagnia avrebbe già iniziato a gestire gli ordinativi.
“Siamo già stati sollecitati dalla Boeing per una parte del lavoro che avrà implicazioni di lungo termine. Stiamo anche già lavorando al contratto, sebbene lo stesso non sia ad oggi definito. Ma tutto quanto sarà oggetto di decisione, come ho detto, entro sei mesi”.
La società, che produce sistemi di comunicazione e di avionica per piattaforme commerciali e militari, ha anche aperto da poco degli uffici ad Abu Dhabi e Dubai per cercare di aggiudicarsi ulteriori contratti negli Emirati Arabi Uniti.
Churchill sostiene di aspettarsi altre commesse più importanti con gli Emirati “nelle prossime settimane”.
Il funzionario ha anche aggiunto che starebbe pianificando di raddoppiare le vendite nel Vicino Oriente nel prossimo futuro, partendo da una stima di circa 25-30 milioni di dollari/anno, specialmente in riferimento alle previste riduzioni della spesa per la difesa statunitense.
“Questa regione è certamente più importante – Non penso che le sfide in atto in questa parte del mondo stiano diminuendo in alcun modo, al contrario nei prossimi mesi potremmo disquisire sul loro aggravarsi”, ha aggiunto Churchill.
“Non vedo quindi grandi cambiamenti nel prossimo futuro. Per noi quindi tutto ciò rappresenta un’opportunità”.

Queste le parole pronunciate dal signor Churchill lo scorso 22 febbraio.
Di lì a poco sarebbe iniziata l’aggressione militare alla Libia, tuttora in corso.
Davvero preveggente, il nostro.

Afghanistan: le manfrine di Frattini, La Russa & soci

Il “Freccia“ è il 5° blindato, in questo caso di produzione FIAT Iveco-Oto Melara, utilizzato dal “nostro“ contingente in Afghanistan ed il 3° progettato ed uscito dalle catene di montaggio nazionali per dotare i militari “tricolori“ di “un mezzo idoneo ad affrontare le minacce di formazioni ostili in Paesi in cui si imponga la necessità di operazioni di polizia internazionale per ristabilire l’ordine e sicurezza“ (dichiarazione di La Russa Ignazio). Insomma, peace-keeping e peace-enforcing sotto l’egida dell’ONU ed occasione utile per soddisfare al tempo stesso le esigenze dell’ Esercito Italiano (E.I.) per dotare i suoi reparti di un numero adeguato di VBL/VCM/VCE/IFV che soddisfi l’esigenza di dotazioni della Forza Armata.
Un esigenza che coincide con l’acquisto da parte del Ministero della Difesa di un numero di blindati tale da generare, in ogni caso, un lauto profitto alle società costruttrici che si accollano, bontà loro, i costi di progetto, produzione, modifica, manutenzione a tempo e le scorte ricambi all’ E.I..
La conseguenza più immediata di una tale procedura è il volatilizzarsi del rischio di impresa e l’acquisizione da parte dell’E.I. di quantità “regolarmente eccedenti di esemplari prodotti, rispetto alle necessità operative“ essendo ben noti i benefici economici che ricava il personale di alto grado della Forza Armata, Marina ed Aviazione comprese, alla quiescenza, dall’’inserimento a livello dirigenziale nell’industria militare pubblica e privata.
Lobbies che opacizzano, nel migliore dei casi, i bilanci di settore ed inquinano, ormai a partire dagli anni Settanta, le destinazioni di spesa di Via XX Settembre.
Il “Freccia“ pesa in ordine di combattimento 26+2 tonnellate, ha un cannone a tiro rapido da 25 mm KBA, una mitragliatrice MG-42 da 7,62 mm ed una trasmissione su quattro assi. L’arma più temibile nelle mani di un coraggiosissimo ed eternamente appiedato straccione pashtun è un RPG-7 che a 150 metri perde i tre quarti della sua precisione di tiro od un AK-47 che a 130 mt la dimezza.
Nella versione controcarro il “Freccia” aggiungerà, grazie al professore, una dotazione di missili antitank “made in Israel“ Spike con un raggio d’azione dai 4 ai 6 km. Continua a leggere

La forbice di Obama è spuntata

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L’amministrazione Obama ha annunciato oggi di voler metter fine ad anni di spese eccessive e ai previsti prolungamenti di programmi di armamenti, affermando che una delle principali priorità per il Pentagono è la riforma dell’acquisto (degli armamenti).
La visione d’insieme del budget dell’anno fiscale 2010 diffusa oggi richiede un incremento del 4% del bilancio di base del Pentagono a 533,7 miliardi di dollari, per far crescere l’esercito ed il corpo dei marine, migliorare i servizi medici per i soldati feriti e riformare il sistema di acquisto di armi del Dipartimento della Difesa.
Il piano non comprende dettagli specifici su programmi particolari di armamenti che possono essere oggetto di tagli o cancellazioni, sebbene il presidente Barack Obama questa settimana abbia detto di voler metter fine ai programmi da Guerra Fredda che non sono stati utilizzati.
Questi sforzi riformisti sono seguiti con molta attenzione dai più grossi fornitori del Pentagono, tra cui Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman, General Dynamics, BAE Systems ed altri.
Le società si preparano a un taglio nelle spese sui grandi armamenti dopo quasi un decennio di massiccia crescita. Sono particolarmente preoccupate dalla promessa di Obama di cancellare immediatamente alcuni programmi ma i dettagli non sono ancora chiari.
I nuovi armamenti in corso di sviluppo, dice la relazione di bilancio, sono tra i più grandi, i più costosi ed i più complessi tecnologicamente mai adottati dal Pentagono, cosa che li mette a rischio di fallimento nelle prestazioni, incremento dei costi e prolungamenti delle scadenze.
Il Government Accountability Office, istituzione non di parte, lo scorso anno ha stimato che la crescita del costo dei principali programmi di acquisizione del Pentagono fosse attorno al 26%.
Per metter fine a questi problemi cronici, l’amministrazione ha detto di voler mettere un freno all’abitudine militare di aggiungere nuove richieste dopo l’inizio dei programmi di armamenti e porre rigorosi standard prima che inizi il flusso di fondi.

Articolo di Andrea Shalal-Esa per Reuters.
[grassetto nostro]

Alla cifra del bilancio di base vanno aggiunti 130 miliardi di dollari per coprire i costi delle guerre in Afghanistan ed Irak, in lieve calo rispetto ai 141 miliardi stanziati nell’anno fiscale 2009 (si tenga presente che, secondo le regole della contabilità statunitense, l’inizio dell’anno fiscale è posto nel mese di ottobre dell’anno solare precedente).

Niscemi, il MUOS e l’egemonia globale statunitense

“In Sicilia l’ultima tappa del processo di militarizzazione dello spazio e di rilancio delle guerre stellari e delle strategie di “primo colpo” nucleare. A due passi dal centro abitato di Niscemi (Caltanissetta) sta per sorgere infatti una delle stazioni di controllo terrestre del Mobile User Objective System MUOS, il sofisticato sistema di comunicazione satellitare ad altissima frequenza (UHF) delle forze armate USA che integrerà comandi, centri d’intelligence, radar, cacciabombardieri, missili da crociera, velivoli senza pilota, ecc., con l’obiettivo di perpetuare la superiorità offensiva degli Stati Uniti d’America.
(…)
L’area prescelta per la stazione terrestre MUOS ricade nell’antico feudo Ulmo di Niscemi dove dal 1991 esiste una delle più grandi stazioni di telecomunicazione della Marina USA nel Mediterraneo. Si tratta della “Naval Radio Transmitter Facility (NRTF) N8”, utilizzata per le trasmissioni in alta e bassa frequenza (HF ed LF) dei comandi e delle forze militari operanti in una vastissima area compresa tra il Mediterraneo, l’Asia sud-occidentale, l’Oceano Indiano e l’Oceano Atlantico. Attualmente a Niscemi sono installate 41 antenne di trasmissione HF ed una LF; il centro di telecomunicazione è sotto il controllo della U.S. Naval Computer and Telecommunication Station Sicily (NAVCOMTELSTA – NCTS Sicily) che ha sede a NAS II Sigonella. NCTS Sicily assicura le comunicazioni supersegrete e non, delle forze di superficie, sottomarine, aeree e terrestri e dei centri C4I (Command, Control, Computer, Communications and Intelligence) di Stati Uniti ed alleati NATO. “Essendo parte della Navy’s ForceNet Vision – si legge nel sito ufficiale della base di Sigonella – NAVCOMTELSTA Sicily lega insieme sensori, piattaforme di comando e controllo, decision makers, sistemi d’arma che permettono di progredire nella Guerra Globale al Terrorismo”. Le infrastrutture dei centri di Sigonella e Niscemi “forniscono il supporto tattico C4I al Comando Navale USA in Europa (COMUSNAVEUR), ai Comandi della V e VI Flotta (COMFIFTHFLT e COMSIXTHFLT), al Comando delle forze aeree nel Mediterraneo (COMFAIRMED), ai Comandi del 7° e 8° Gruppo Sottomarino (COMSUBGRUs 7 and 8), al CTF 67, al VP Squadron ed ai 44 Tenant Commands attraverso la comunicazione nelle frequenze LF, HF, UHF, EHF ed SHF”.
A seguito della chiusura della stazione della US Navy di Keflavik (Islanda), nel dicembre 2006 sono state assegnate a NAVCOMTELSTA Sicily tutte le funzioni di collegamento LF con i sottomarini strategici USA operanti nella regione atlantica. I centri di Sigonella e Niscemi sono stati integrati al Submarine Automated Broadcast Processing System (ISABPS), il sistema che globalmente permette ai sottomarini di ricevere messaggi ed ordini mentre navigano in immersione. La stazione di Niscemi, essendo l’unica struttura della US Navy nel bacino mediterraneo con particolari caratteristiche, ha assunto un ruolo chiave nel potenziamento delle comunicazioni dei sottomarini nucleari USA (Under Sea Warfare – USW communication) e dei diversi centri di supporto tattico (TSCOMM), delle operazioni aeroterrestri della vicina base di Sigonella NASSIG, e di quelle della Broadcast Control Authority (BCA).
Niscemi contribuisce pure ad ottimizzare le comunicazioni in bassa frequenza delle unità dell’US Air Force, di altri organismi appartenenti al Dipartimento della Difesa e del Sistema Interoperativo Sottomarino dell’Alleanza Atlantica (NATO Interoperable Submarine Broadcast System – NISBS). I sistemi di telecomunicazione installati a Niscemi sono stati inseriti nel cosiddetto “Minimum Essential Emergency Communication Network”, il sistema concepito dagli Stati Uniti per sopravvivere a un attacco ed esercitare il controllo sulle opzioni nucleari strategiche.
(…)
Con l’installazione della stazione terrestre del MUOS, Niscemi farà l’ennesimo salto di qualità, e si affermerà come una delle maggiori infrastrutture di guerra a livello planetario. Secondo quanto affermato dagli alti comandi della US Navy, “il Mobile User Objective System fornirà un sistema universale e multi-service a terminali e siti mobili e fissi per i servizi di telecomunicazione satellitare (SATCOM)”. Il sistema assicurerà così “una considerevole crescita delle odierne capacità di comunicazione satellitare così come un significativo miglioramento dell’operatività dei piccoli terminali”. Si tratta a tutti gli effetti di un sistema che fornirà servizi di telefonia cellulare alle forze militari utilizzando i satelliti che opereranno come “cell towers” nello spazio. Nello specifico, il MUOS Ground System – di cui la stazione di Niscemi sarà elemento chiave – assicurerà le comunicazioni ed i controlli interfaccia tra i satelliti MUOS e le reti di telecomunicazioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti con base a terra. “Il sistema MUOS è parte dell’architettura di trasformazione delle comunicazioni satellitari militari”, spiega l’ammiraglio Victor See Jr., responsabile del settore ricerca, sviluppo ed acquisizione spaziale della Marina USA. “Stiamo realizzando il MUOS a partire dalle infrastrutture terrestri associate per poi connetterlo ai terminal e ai siti periferici JTRS (Joint Tactical Radio System) del servizio UHF. Le comunicazioni ad altissima frequenza sono uno dei principali obiettivi di interconnessione con gli utenti mobili – esercito, marina ed aeronautica militare – nei teatri periferici di guerra. Il primo satellite MUOS sarà lanciato entro il dicembre 2009 e la piena operatività orbitale avverrà nel marzo 2010.
Quando il sistema sarà pienamente operativo (2014) ci sarà una coppia di sistemi satellitari che garantiranno il trasferimento di informazioni dalle unità di guerra operanti a terra o in mare verso lo spazio e da lì ai terminali terrestri. Il sistema MUOS utilizzerà anche tecnologia di tipo commerciale”.
(…)
La progettazione e la realizzazione del segmento terrestre del sistema MUOS è stato affidato alla General Dynamics, altra potente società del complesso militare industriale statunitense. Lo scorso mese di agosto, la General Dynamics ha annunciato di aver completato l’installazione di tre antenne satellitari giganti presso la base di Wahiawa, Hawaii, nota come”Naval Computer and Telecommunications Area Master Station Pacific”.
“Wahiawa è la prima delle quattro stazioni terrestri che saranno equipaggiate con antenne satellitari del sistema MUOS”, si legge nel comunicato stampa emesso da General Dynamics. “Le altre stazioni MUOS saranno realizzate a Norfolk, Virginia, Geraldton, Australia e Niscemi, Italia”.”

Da Sorgerà a Niscemi la stazione terrestre USA del piano di riarmo spaziale MUOS, di Antonio Mazzeo.

In un successivo articolo, pubblicato l’11 ottobre, Mazzeo segnala che le prime opere di movimentazione terra e di predisposizione delle piattaforme per l’installazione del MUOS (costo complessivo del progetto: 43 milioni di dollari) hanno già preso il via lo scorso 19 febbraio.
Oltre all’impatto per ora ignoto delle onde elettromagnetiche della stazione radar sulla salute umana e sull’ambiente circostante, l’autore sottolinea gli spropositati consumi di gasolio. Stando ai dati forniti dal Pentagono, si parla di 2.100.000 litri nel periodo compreso tra il 2003 ed il 2005, una cifra nettamente superiore a quella di altre importanti infrastrutture per le telecomunicazioni che gli Stati Uniti possiedono in Italia, quali Napoli Capodichino (550.000 litri) e isola di Tavolara (300.000).
Facile, lo pagano il 65% in meno!

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Tre miliardi di dollari che alla fine potrebbero diventare sei. È quanto costerà il nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS (Mobile User Objective System), che la Marina Militare degli Stati Uniti d’America prevede di realizzare entro la fine del 2012. È un programma ambiziosissimo, elemento chiave delle future strategie di guerra nello spazio e in ogni angolo del pianeta.
Il MUOS assicurerà il trasferimento d’informazioni e dati ad una velocità mai raggiunta nella storia delle telecomunicazioni e consentirà alle forze armate statunitensi di rafforzare ulteriormente la propria superiorità militare. Perlomeno sulla carta, visto che tutta una serie d’imprevisti progettuali e tecnici ne stanno ritardo l’entrata in funzione. Intanto però il MUOS si è convertito in uno dei più lucrosi affari per i colossi dell’industria militare: la Lockheed Martin e la Boeing, che si occupano della costruzione e messa in orbita dei satelliti; la General Dynamics, che sta realizzando i quattro terminal terrestri; la Harris Corporation, che invece fornirà le potentissime antenne ad altissima frequenza (UHF), la cui incompatibilità con l’uomo e l’ambiente è cosa ormai accertata.
Un business ad esclusivo appannaggio del made in USA, mentre i due Paesi stranieri che hanno avuto l’ardire di ospitare le stazioni terrestri del sofisticato sistema satellitare (Australia e Italia) dovranno accontentarsi di qualche spicciolo (e delle radiazioni elettromagnetiche…). Per installare il terminal a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, il Pentagono ha riservato un budget di “appena” 13 milioni di dollari. Nonostante l’inesistenza d’informazioni del governo Berlusconi e delle autorità statunitensi attorno all’infausto progetto militare, è possibile conoscere l’identità delle uniche imprese italiane chiamate ai lavori di esecuzione. Queste hanno scelto di darsi un nome non certo originale ma che perlomeno esplicita le finalità della loro azione: “Consorzio Team MUOS Niscemi”. Dal maggio 2008 curano presso la stazione di telecomunicazioni NRTF dell’US Navy di contrada Ulmo, la “realizzazione di un’infrastruttura preparatoria all’installazione di 3 antenne satellitari, comprensiva di opere di fondazioni e basamenti speciali, impianti idrici, elettrici, fognari e antincendio”, nonché i lavori di “prevenzione per l’erosione superficiale e il drenaggio”. Quando i lavori saranno completati, Niscemi ospiterà antenne circolari e torri radio che collegheranno i Centri di Comando e Controllo delle forze armate USA, i centri logistici e gli oltre 18.000 terminali militari radio esistenti, con i gruppi operativi in combattimento, i cacciabombardieri in volo e gli aerei senza pilota che opereranno dalla vicina base di Sigonella.

Da Premiato Consorzio Team MUOS Niscemi, sempre dell’ottimo Antonio Mazzeo.

F-35 Lightning II (Joint Strike Fighter)

Trattasi di un cacciabombardiere supersonico multiruolo di 5° generazione ad alto contenuto tecnologico, contraddistinto da bassa osservabilità radar-termica-acustica-visiva (stealthness). Verrà prodotto in tre versioni ad alta comunanza di componenti:
F-35A, versione per le piste convenzionali;
F-35B, versione a decollo corto ed atterraggio verticale;
F-35C, per decolli a catapulta ed atterraggi col gancio sulle grandi portaerei della US Navy.
Il programma si articola in quattro fasi:
System Development and Demonstration (SDD), della durata di dieci anni, con completamento entro il 2012, durante i quali verrà portato avanti sia lo sviluppo dei sistemi del velivolo che i relativi test, condotti tramite 19 esemplari già in linea di volo od in fase di produzione;
Production, Sustainment and Follow-on Development (PSFD) in cui vengono delineate le partecipazioni industriali, l’impegno economico ed i requisiti dei singoli partner del progetto complessivo;
Low-Rate Initial Production (LRIP), con inizio nel 2009 e conclusione indicativamente nel 2015, in cui avverrà una produzione a basso ritmo (poco più di venti velivoli al mese);
Full Rate Production (FRIP), cioé la produzione a pieno regime.
Il programma trae beneficio da una serie di studi condotti negli Stati Uniti negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, nell’ambito del Joint Advanced Strike Technology riguardo nuove tecnologie in grado di essere applicate su un futuro aereo d’attacco comune a US Air Force, US Navy e US Marines. Nel 1997 fu definito Joint Strike Fighter (JSF) il requisito per un velivolo in grado di soddisfare tale scopo e due consorzi concorrenti guidati da Lockheed Martin e Boeing vinsero la gara per la definizione e realizzazione del primo prototipo, che si concretizzò nel 2000.
Venne quindi selezionato il prototipo della statunitense Lockheed Martin, con quartier generale a Bethesda, Maryland e fatturato di 42 miliardi di dollari nel 2007 (che è il primary contractor, affiancata da Northrop Grumman, BAE Systems, Pratt & Whitney, General Electric e Rolls Royce quali principali subcontractors) come vincitore della competizione ed il gruppo ottenne un contratto da 19 miliardi di dollari per lo sviluppo e la produzione del JSF. BAE System è invece capo commessa per le due nuove portaerei della Royal Navy sulle quali opereranno i 138 F-35B britannici.
Il programma ha assunto una significativa dimensione internazionale con la firma di un accordo di cooperazione fra Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Turchia, Canada, Australia, Danimarca e Norvegia avvenuta nel 2002, che ha fatto del JSF il più grande programma aeronautico internazionale dell’era moderna.
Il 15 dicembre 2006 ha avuto luogo il primo volo di un F-35A, mentre l’F-35B ha fatto il suo esordio lo scorso 10 giugno sui cieli del Texas, guidato dall’ex pilota RAF Graham Tomlinson, compiendo la prima delle 5.000 uscite previste nei prossimi cinque anni.
All’inizio del 2007, le nove nazioni partner hanno firmato – dopo numerose discussioni sulle partecipazioni industriali ed i trasferimenti di tecnologia – l’accordo di prosecuzione per la fase successiva di PSFD.
L’F-35B sarà la prima delle tre varianti del Lightning II a ottenere l’Ioc (Initial operational capability), con l’entrata in servizio, in dotazione ai Marines, nel 2012. La capacità operativa iniziale verrà poi raggiunta dagli F-35A e, nel 2014, dagli F-35C.