Uno scontro epocale, un momento pericoloso

Mentre tutti i giornali e le TV nostrane sono impegnati sulle modeste vicende politiche di casa nostra fatte di patteggiamenti di basso livello, veti incrociati, piccoli ricatti, false promesse, a molti sfugge la drammaticità del contesto internazionale dove assistiamo ad uno scontro epocale dai risvolti molto pericolosi.
Le potenze nord-atlantiche, guidate dagli USA, puntano in modo sempre più aggressivo sulla Russia di Putin, rea di non inchinarsi agli interessi imperiali statunitensi come ai bei vecchi tempi di Gorbaciov ed Eltsin. Contemporaneamente cercano di far fronte alla perdurante stagnazione economica occidentale, ed ai continui pericoli di nuove crisi, cercando di tamponare l’ascesa impetuosa di concorrenti politici ed economici, tra cui si distingue la Cina. Questo grande ex-Paese coloniale, un tempo preda privilegiata di imperialismi occidentali e giapponesi, non solo ha da tempo superato gli USA in termini di produzione globale (espressa in termini reali, cioè tenuto conto dei prezzi interni), ma ormai supera gli USA anche in settori tecnologici di avanguardia come quello dei supercomputer e della computazione quantistica.
Dopo le ridicole mai provate accuse lanciate agli hacker russi che avrebbero determinato la sconfitta della povera Clinton, ora la campagna denigratoria è stata lanciata dagli Inglesi, capeggiati dal borioso ministro degli Esteri Boris Johnson. Il cattivo Putin in persona è accusato di aver fatto avvelenare col gas Sarin (perbacco! Lo stesso che sarebbe stato usato anche in Siria!) una ex-spia di basso livello ormai in tranquilla pensione in Inghilterra da otto anni. Questa follia sarebbe stata commessa da Putin giusto alla vigilia delle elezioni presidenziali russe e dei Campionati di Calcio in Russia cui quel Paese teneva moltissimo come rilancio di immagine. Un vero autogol! Peccato che gli Inglesi, pur di fronte alle argomentate richieste russe, non abbiano fornito alcuna prova. Continua a leggere

La Russia degli anni ’90 rivisitata

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“Negli ultimi tempi il segmento in lingua russa di Internet è stato inondato da fotografie personali degli anni ’90. L’ho notato la prima volta nella mia bacheca di Facebook. Alcune sembravano comprensibilmente buffe — immaginatevi il taglio dei capelli! — altre erano nostalgiche. Ma quello che sembrava un flash mob spontaneo si è rivelato essere un evento pianificato. Infatti, questo esperimento di utilizzo delle reti sociali è stato organizzato dalla Fondazione Yeltsin insieme ad una rivista di opposizione. È stata pensata per le persone non ancora quarantenni e, soprattutto, per quelle nate a cavallo del 1990, troppo giovani per ricordare alcuni orrori di quel decennio. Quindi, lo scopo di questa condivisione di fotografie falsamente spontanea era quello di ridisegnare la memoria di una nazione riguardo i primi anni successivi al collasso dei Soviet. Questa memoria è stata negativa per la gran parte: razzia delle risorse naturali della nazione da parte di poche e selezionate persone, violenza fra bande sulle strade, fame quotidiana, collasso istituzionale, umiliazione nazionale, giusto per nominare alcuni di quegli orrori.
Ed ora, il 25 novembre, la stessa organizzazione non governativa apre a Yekaterinburg, in Russia, un nuovo Centro Yeltsin che include un museo ed un archivio. Il suo scopo dichiarato è quello, apparentemente benefico, di preservare e analizzare gli eventi sociali e politici avvenuti negli anni ’90. Questa prossima apertura è stata accompagnata da una grossa e professionale campagna sulle reti sociali, dalle relative proteste.
Alcuni protestanti sottolineano che la sua sistemazione in Siberia e la recente sfilza di visite da parte di diplomatici stranieri non sono casuali e sono intese a rinfocolare agitazione sociale ed il “separatismo siberiano”. Quest’ultimo attualmente non esiste su nessuna scala significativa, anche se certe fonti sui media occidentali, montandolo per servire gli interessi geopolitici dei rispettivi Paesi, vorrebbero che fosse vero. In ogni caso, questi manifestanti sono consapevoli delle cosiddette rivoluzioni colorate andate storte e molti Russi, in generale, vedono nel riscrivere la storia lo scopo del Centro. Mentre ciò che accadrà al Centro Yeltsin resta da vedere, l’esercizio di condivisione di foto a fini di soft power è finito in un fallimento.
Dopotutto, oltre alle fotografie, migliaia di persone, comprese quelle della fascia demografia bersagliata, hanno diffuso commenti personali risultati men che favorevoli. Alcuni di questi si meritano la traduzione e sono riportati qui sotto. Ho preso questi commenti dei lettori dalla pagina Facebook di un giornalista russo molto conosciuto, Dmitrii Steshin, che scrive per Komsomolskaia Pravda.
Ci sono molte interpretazioni sulla dissoluzione della URSS, dalla cattiveria dell’Occidente al desiderio utopico della gente per i valori ideologicamente liberali di democrazia e libertà, personale ed economica. La verità è nel mezzo: la combinazione della pressione occidentale, il fallimento nella trasformazione, disperatamente necessaria, del gigantesco ed ossificato organismo burocratico e il tradimento degli interessi nazionali da parte delle élite del Paese sono fra i più importanti fattori da considerare.”

Se sei così furbo, perché sei così povero? La Russia degli anni ’90 rivisitata, di Nina Kouprianova continua qui.

Capire la Russia – intervista a P. Borgognone

Breve intervista realizzata con l’autore di Capire la Russia. Correnti politiche e dinamiche sociali nella Russia e nell’Ucraina postsovietiche, Zambon editore, 2015.

Sovranità alimentare in Russia

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A proposito della notizia secondo la quale i cineasti russi Nikita Mikhalkov, già premio Oscar, e il fratello Andrej Konchalovsky hanno inviato una lettera al presidente Vladimir Putin, chiedendo un contributo pubblico di quasi un miliardo di rubli (poco più di 18 milioni di dollari) per la creazione di una catena di fast food patriottici dal nome “Mangiamo a casa”, in alternativa alle catene di ristoranti occidentali tipo McDonald’s – riceviamo e volentieri pubblichiamo la seguente riflessione di Paolo Borgognone.

“L’ho letto ieri e riscatta il senso di nausea e delusione che provai quando, nel Gennaio 1990, il primo McDonald’s aprì i battenti a Mosca, con Boris Eltsin che subito accorse a ingozzarsi a uso e consumo delle telecamere occidentali.
Da notare il passaggio dove il giornalista scrive che si dovrebbe mangiare meno cibarie dei fast food americani (Super Size Me docet) non per amor di Patria (guai, sentimento proibito!) ma per il mero piacere di “mangiar sano”.
“Vero è che la risposta alle catene americane in Italia è già partita da qualche anno con le hamburgherie a chilometro zero. Certo, non una risposta di Stato e non un inno alla Patria, quanto piuttosto la voglia di mangiare, si spera, cibo più sano, dando la priorità ai prodotti del territorio”.
Come a dire: vabbè, il “cibo” dei fast food ogni tanto lo smettiam di mangiare per evitare di avvelenarci (ancora Super Size Me insegna) oltre ogni limite, però rimaniamo culturalmente fedeli, nei secoli e indefettibilmente, non vi preoccupate.
La Stampa rimane il miglior giornale di esilarante (e a tratti davvero grottesca nella sua goffaggine propagandistica) promozione degli interessi americani (abilmente mascherati da “valori culturali democratici”) in Italia.”

Sull’incompatibilità della Russia con l’Occidente

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“L’epiteto “democratico” in Russia, dopo l’esperienza politica del decennio eltsiniano, è perlopiù considerato alla stregua di un insulto per cui sia chiaro che non intendo offendere Putin nel momento in cui lo definisco “democratico”. Battute a parte, il nocciolo del problema sta proprio nel termine “democrazia liberale”. Io considero questa formula una specie di alibi dell’Occidente finalizzato a legittimare la Postmodernità Americanocentrica come religione identitaria unica di un mondo che si pretende interamente conquistato alle logiche della globalizzazione, del capitalismo sans frontières e della promozione, su scala globale, tramite guerre neocoloniali e “rivoluzioni colorate”, dei “diritti di libertà individuali” di un astratto individuo perfettamente addomesticato al cosmopolitismo del “consumo libero” occidentale. In altri termini, la “democrazia liberale” odierna non è che un’alternativa definizione caratterizzante la “Cultura McWorld” degli anni Novanta, evolutasi nell’attuale società della comunicazione multimediale globalizzata. La stessa categoria politica di democrazia moderna, intesa come ideologia e processo di emancipazione delle masse nell’ambito degli Stati nazionali a regime postcoloniale, è stata delegittimata e dissolta nell’ambito dell’odierna postdemocrazia di libero mercato e libero consumo (per chi se lo può permettere). La democrazia moderna ha chiuso il suo ciclo storico nel momento in cui, dopo il 1989, è stata decretata, dall’iperpotenza uscita vittoriosa dalla Guerra Fredda, l’imminente fine capitalistica della Storia e il trionfo dell’“ultimo uomo” (volontario rimando di Fukuyama a Nietzsche), ossia l’individualizzato consumatore americanocentrico privo di qualsivoglia legame identitario a carattere collettivo (nazionale, politico, di classe, di genere). Il colonialismo dei nostri giorni si fonda appunto sull’estensione, su scala planetaria, del modello culturale della “società dei consumi e dello spettacolo” occidentale. E’ pertanto un colonialismo centrato sull’apertura di mercati e di “spazi di comunicazione” volti alla promozione del postmoderno cosmopolitismo del consumo e del desiderio. Oggi i gruppi strategici di riproduzione tardocapitalistica sono proprio le nuove classi medie giovanilistiche e americanizzanti che, in Russia, in special modo nelle città di Mosca e San Pietroburgo, esercitano una limitata ma rumorosa azione di opposizione al governo di Putin e che l’Occidente definisce, acriticamente, i “democratici” russi. Ponendo in discussione determinati postulati culturali tipici della postmodernità (marginalizzazione del ruolo degli Stati nazionali come organizzatori e gestori delle dinamiche di riproduzione sociale interna, società dell’Internet globalizzato, World Wide Web, esterofilia americanocentrica, gay-friendly inteso come affermazione di un nuovo tipo androgino unificato in luogo dei tradizionali generi sessuali maschio/femmina) il “putinismo” si pone in diretta continuità con una prospettiva di ripristino del moderno concetto di democrazia come processo di emancipazione e di liberazione collettiva da vincoli di derivazione coloniale.
(…)
Con Putin la Russia ha in parte allontanato il rischio della plutocrazia senza mediazioni, riequilibrando il contenzioso dei poteri a vantaggio della frazione politica e a svantaggio di quella oligarchica. Soprattutto, gli oligarchi filoccidentali, largamente invisi alla popolazione, sono stati marginalizzati dal punto di vista politico.
(…)
I valori tradizionali della Russia storica oggi fungono quale elemento di contraltare al dilagare della “società dei consumi e dello spettacolo” occidentale, costituiscono una risposta identitaria al tentativo di colonizzazione dell’immaginario pubblico russo verificatosi a seguito dell’imposizione del capitalismo americano quale religione idolatrica unica dopo il 1991. Non a caso, il ruolo della spiritualità religiosa (soprattutto ortodossa, ma non solo) quale cemento dell’unità politica nazionale della Russia in chiave di contrasto a determinati postulati culturali della globalizzazione americanocentrica, è contestato dai gruppuscoli libertari e radicaleggianti sponsorizzati e sostenuti dall’Occidente come attori politici della nominata “società dello spettacolo in Russia”, dalle Pussy Riot, anarco-capitaliste perfettamente interne, per loro stessa dichiarazione, alla cultura consumistica occidentale, fino ai “liberali 2.0” della “Rivoluzione dei Visoni” dell’inverno 2011-2012 ed è apprezzato dalle classi popolari, generalmente ostili alla globalizzazione e al liberalismo contemporaneo e per questo pesantemente invise alla media intellettualità euro-atlantica, che si ostina a considerare la spiritualità ortodossa, declinata in senso patriottico, come un retaggio “antimoderno” e “reazionario” da sostituire con l’idolatrico culto occidentale per il denaro, il successo individuale e il riconoscimento pubblico del singolo nell’ambito di una società interamente di spettacolo e in fase di crescente virtualizzazione.
(…)
Una coabitazione tra Europa e Russia è auspicabile, non solo possibile. Tale integrazione necessita il superamento dell’Unione Europea come progetto transatlantico e il conseguente riorientamento geopolitico dell’Europa (che è cosa assai diversa rispetto all’attuale UE) verso la Russia. Soltanto se riscopre la sua vocazione continentale, l’Europa potrà connotarsi come comunità di popoli indipendenti e nazioni sovrane, strategicamente alleati e culturalmente contigui alla Russia. Per il resto, la cultura politica e filosofica europea va sottoposta a un vero e proprio «bucato delle idee», una rivisitazione complessiva. Perché questo possa accadere è necessario, anzi, indispensabile, che l’Europa recuperi la propria sovranità geopolitica.”

Da Capire la Russia? Intervista a Paolo Borgognone, a cura di Pierluigi Mele.
P. Borgognone è l’autore di Capire la Russia. Correnti politiche e dinamiche sociali nella Russia e nell’Ucraina postsovietiche, Zambon editore.

“Solo un ostacolo può impedire a una palla di rotolare”

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Alexander Zinov’ev, nato nel 1922 nell’allora Unione Sovietica, è stato filosofo, logico e scrittore. Ha vissuto sulla propria pelle tutto l’arco storico che condusse il mondo dallo scontro frontale durante la Guerra Fredda alla fase della Russia eltsiniana nella quale il dominio unipolare degli Stati Uniti sembrava non avere rivali sul piano geopolitico planetario, fino alla rivincita nazional-sovranista iniziata con la comparsa del presidente Putin sulla scena politico-internazionale.
Fu espulso dall’URSS nel 1978, dopo la pubblicazione del romanzo Cime abissali.
Nei vent’anni trascorsi all’estero, rappresentò una delle figure di spicco della dissidenza sovietica, dedicandosi all’elaborazione di una critica radicale della società occidentale, percepita da lui come una minaccia senza precedenti per l’umanità. A questo periodo, risalgono i saggi Katastrojka: la perestrojka nel culo della Russia (1989) e La caduta dell’impero del male: saggio sulla tragedia della Russia (1994), nonché il romanzo L’umanaio globale (1998).
Morì a Mosca nel 2006.
A seguire, presentiamo alcuni estratti da un’intervista realizzata nel giugno del 1999, pochi giorni prima del suo ritorno definitivo in Russia.

“Contrariamente all’idea comunemente accettata, il comunismo non è crollato per ragioni interne. La sua caduta è stata la più grande vittoria della storia dell’Occidente. Una vittoria colossale che, lo ripeto, ha permesso l’instaurazione di un potere planetario. Ma la fine del comunismo ha anche significato la fine della democrazia, la nostra epoca, oggi, non è solo post-comunista, ma è anche post-democratica. Noi oggi assistiamo all’instaurazione di un totalitarismo democratico, o se preferite all’instaurazione della democrazia totalitaria.”

“I Paesi occidentali hanno conosciuto una vera democrazia all’epoca della Guerra Fredda. I partiti politici avevano delle vere differenze ideologiche e dei programmi politici diversi. Gli organi di stampa avevano anche loro delle marcate differenze. Tutto questo influenzava la vita delle persone, contribuiva al loro benessere. Ora è tutto finito. Perché il capitalismo democratico e prospero, quello delle leggi sociali e delle garanzie sul lavoro, doveva molto alla minaccia comunista. Il grande attacco ai diritti sociali nell’Ovest è cominciato con la caduta del comunismo all’Est. Oggi i socialisti al potere nella maggior parte dei Paesi europei svolgono una politica di smantellamento sociale di tutto ciò che c’era di giustamente socialista nei Paesi capitalisti. Non esistono più in Occidente delle forze politiche capaci di difendere gli umili. L’esistenza dei partiti politici è puramente formale. Le loro differenze spariscono ogni giorno. […] La democrazia tende a sparire dall’organizzazione sociale occidentale. Questa super-struttura non democratica dà gli ordini, sanziona, bombarda e affama. […] Il totalitarismo finanziario ha sottomesso i poteri politici. Il totalitarismo finanziario è freddo. Non conosce né la pietà né i sentimenti. Le dittature politiche fanno pena a confronto di questo totalitarismo. Una certa resistenza era possibile anche nelle più dure dittature, nessuna rivolta è possibile contro una banca.”

“Il sistema occidentale consiste nel dividere per poter meglio imporre la propria legge a tutte le parti allo stesso tempo ed ergersi a giudice supremo.”

“La dominazione mondiale si esprime prima di tutto per i diktat intellettuali o culturali, se preferite. Ecco perché gli americani sono impegnati da decenni a far abbassare il livello culturale e intellettuale del mondo: vogliono sottometterlo al loro potere per poter esercitare i loro diktat.”

“Nella vita reale ci sono i Russi, i Cinesi, i Francesi, i Serbi, eccetera. Ora se le cose continuano come sono iniziate, i popoli che hanno fatto la nostra civilizzazione, e penso essenzialmente ai popoli latini, scompariranno. L’Europa occidentale è sommersa da una marea di stranieri e non è un caso. Non ne abbiamo ancora parlato ma questo non è stato il frutto del caso né il frutto di un movimento incontrollabile. Lo scopo è quello di creare una situazione simile a quella degli Stati Uniti.”

“I sistemi sociali non si autodistruggono. Solo una forza esteriore può sconfiggere un sistema sociale, come solo un ostacolo può impedire a una palla di rotolare.”

Le relazioni NATO-Russia viste da uno che c’era

Il 27 aprile 1997 veniva firmato a Parigi, dai Capi di Stato e di governo dei Paesi membri della NATO e dal presidente della Federazione Russa (allora, Boris Eltsin), l’Atto Fondamentale sulle relazioni comuni, la cooperazione e la mutua sicurezza tra la NATO e la Russia.
Tra le disposizione di tale Atto, c’era anche quella secondo cui le parti non avrebbero mai dovuto intraprendere azioni che potessero minacciare la sicurezza europea, senza prima consultarsi con l’altra per ottenerne l’approvazione.
A dieci anni di distanza – a parere del generale Leonid Ivashov che all’epoca faceva parte della delegazione russa in rappresentanza del Ministero della Difesa – chiamarla cooperazione è un insulto. La NATO ha attivamente e progressivamente lavorato per rafforzare la propria potenza militare, occupare posizioni strategicamente utili ad accerchiare la Russia, isolarla dai suoi alleati e renderle ostile i Paesi che la circondano. Tutto ciò attraverso una ben calibrata miscela: allargamento dell’Alleanza Atlantica ai Paesi dell’Europa Orientale, ridislocamento di truppe ed equipaggiamenti a ridosso dei confini russi, rivoluzioni colorate nelle repubbliche ex sovietiche propedeutiche ad una loro adesione alla NATO, ed interventi “umanitari” armati, quando occorreva, come in Serbia nel 1999.
In attesa di mettere uno spesso cappuccio antimissilistico sul potenziale nucleare avversario.