Il Kosovo, ancora il Kosovo

kusavo flag“Nei drammatici avvenimenti e scenari di guerra in Ucraina e non solo, la cosiddetta “questione Kosovo” attraversa analisi, riferimenti, raffronti, alle volte in modo consono, altre volte strumentale. Chi semina vento raccoglie tempeste, si potrebbe sintetizzare, riferendosi alle strategie e scelte delle leadership occidentali e statunitensi in primis.
Un aspetto sicuramente emerge come dato di fatto, grazie all’”operazione Kosovo”, gestita dalla NATO, lo stravolgimento e annichilimento del Diritto Internazionale, cominciato con il processo di distruzione della Jugoslavia e approdato alla rapina della provincia alla Serbia, ha aperto scenari di destabilizzazione e conflittualità dilaganti e a macchia d’olio in ogni angolo del mondo. Ma il Kosovo resta un modello solo per quelle realtà filo occidentali e vogliose di vendere la propria indipendenza e sovranità ai grandi poteri finanziari e militari occidentali.
Al contrario per paesi e popoli alla ricerca di autonomi ed indipendenti processi di sviluppo e soluzione dei propri problemi, il Kosovo non può essere un modello; semplicemente perché il Kosovo è una soluzione imposta con una guerra della NATO, estraneo a qualsiasi processo di emancipazione, liberazione o indipendenza di un popolo.
Il Kosovo è semplicemente un entità che esiste e sopravvive solo grazie alla presenza di forze militari straniere che impongono lo status quo, per propri interessi geostrategici e per una scelta geopolitica, estranea agli stessi interessi della popolazione onesta albanese. Senza di queste in pochi giorni tornerebbe ad essere ciò che è sempre stato, una provincia serba in cui hanno da sempre convissuto, quattordici minoranze paritariamente, e non ciò che è oggi: un narcostato nel cuore dell’Europa, teatro di pulizie etniche, violenze, terrore e criminalità, imposte da una dirigenza criminale e terrorista alla popolazione civile, occupato militarmente da migliaia di soldati stranieri (occidentali) e dalla più grande base statunitense dai tempi del Vietnam.”

Il Kosovo, ancora il Kosovo, dopo la Crimea, ora anche nell’Ucraina orientale, la “questione Kosovo” ineluttabilmente riemerge, come una metastasi, di Enrico Vigna continua qui (il collegamento inserito è nostro).

La pace va conquistata

clintonbill“Da dove comincia l’attuale Kosovo? Per me è iniziato dall’aeroporto di Zurigo – dove si fa scalo giungendo da Roma – all’imbarco per Pristina; lì presiedeva una moltitudine di facce anomale, quasi “incidentate” per la peculiare fisionomia storta e scomposta. Volti granitici, sgraziati e già vecchi, cui ne seguivano altri, quelli delle donne, che, fisse al seguito degli uomini, trovavano riparo sotto il velo: Schipetari, dunque. Di Serbi, a bordo, nemmeno l’ombra; eppure la terra verso cui viaggiavo e che distava poco più di un’ora, la abitano ancora, malgrado tutto e tutti, i Serbi del Kosmet, anzi è proprio la loro, quella terra, solo che a essi non è consentito partire e poi tornare come un qualsiasi cittadino della Comunità Europea o un serbo qualsiasi. Ecco perché la mia prima comprensione ha avuto origine in Svizzera, Paese che poco c’entra con le rovine del sacro Kosmet.
L’appartenenza di questa Provincia alla Serbia è inscritta ancora oggi non solo al catasto, ma nella Storia: fin dal Medioevo sbocciarono chiese e benedizioni, lotte sanguinose e fiere, fierissime sconfitte, tra cui spicca la Battaglia della Piana dei Merli (1389), che vide le truppe ottomane, guidate dal sultano Murad I, sconfiggere quelle cristiane del principe Lazar. Composte da 50.000 unità, le prime, e soltanto dalla metà, le seconde.
Fu una disfatta tremenda: perirono nobili e cavalieri – l’aristocrazia, dunque; nulla a che vedere con gli odierni mercenari – e venne aperta la via alla dominazione turca che, a distanza di cento anni, si sarebbe insediata nell’invitta memoria serba. Dalla rovinosa battaglia fiorirono un’epica e un’eredità irripetibili: non separarsi mai dal destino della propria terra, che, in tutto e per tutto, coincide con quello individuale e comunitario dei Serbi.
Ancora, tanta storia celeste è rintracciabile nelle spoglie immortali – il suo corpo che profuma di rose, dopo secoli, non ha mai preso la rigidità destinata a ogni comune mortale – del Santo Stefano Uroš, fondatore di Visoki Dečani, il monastero più importante, più assediato e più bello di tutto il Kosmet, meta di ogni pellegrinaggio del cristianesimo ortodosso, in cui si trova la rarissima, o forse unica, icona del Cristo con la spada: la pace va conquistata, non subita.
La geografia terrena, però, oggi spesso non coincide con quella spirituale ed è così che, attraversando Pristina – capitale per gli “indipendentisti”, semplice capoluogo per i Serbi – sembra di piombare nella modernità più consunta: palazzi in serie, negozi in franchising, macchine lussuose e ingombranti, night club e divertissement squisitamente occidentali. Addentrandosi nella città, ci si trova in boulevard Bill Clinton, in onore dell’ex presidente americano, che ha favorito la cacciata del popolo serbo e che sullo stesso viale gode persino di una statua, lì eretta nel 2009 per non dimenticare tanto favorevole “accordo” degli onnipresenti Stati Uniti.”

Il reportage di Fiorenza Licitra, Orizzonti dal Kosovo e Metohija, continua qui.

Camp Bondsteel Intercontinental Soccer Competition

 

Lo scorso 13 settembre, la base statunitense di Camp Bondsteel ha ospitato un torneo di calcio tra i contingenti militari della Kfor, la forza di interposizione a guida NATO presente in Kosovo.
Alla competizione hanno partecipato sei squadre “nazionali”: Irlanda, Grecia, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Stati Uniti. Ogni squadra aveva una rosa di quindici giocatori, con nove in campo per ogni partita e con sostituzioni senza limiti. Sono stati formati due gironi con tre squadre ognuno: le seconde classificate si sarebbero poi contese il 3° e 4° posto, mentre le due vincitrici avrebbero giocato per la vittoria finale. Partite di due tempi dalla durata di venti minuti ciascuno.
Il torneo è iniziato alle nove del mattino con il derby fra Repubblica Ceca e Slovacchia, con una netta vittoria della prima per 4 a 0. La successiva combattuta partita ha visto affrontarsi Grecia ed Irlanda, con gli irlandesi vincitori di misura per 1 a 0. Gli Stati Uniti, pur se sostenuti da un grande tifo, hanno dovuto poi cedere alla Repubblica Ceca per 2 a 0. L’Irlanda, benché provata dal precedente match, ha quindi strapazzato per 4 a 0 la Finlandia. L’emozionante vittoria della Slovacchia sugli Stati Uniti per 3 a 2 ha concluso il primo girone, mentre nell’altro la Grecia ha battuto la Finlandia per 2 a 0.
Queste le classifiche finali dei due gironi:

Group 1

Place

Nation

Won

Draw

Lose

Points

1

Czech Rep

2

0

0

6

2

Slovakia

1

0

1

3

3

U.S.A.

0

0

2

0

 

Group 2

Place

Nation

Win

Draw

Lose

Points

1

Ireland

2

0

0

6

2

Greece

1

0

1

3

3

Finland

0

0

2

0

Si è quindi svolta la finale per il terzo posto, una partita intensa e gradevole in cui la Grecia ha sconfitto la Slovacchia per 2 a 1 con i goal dei caporali Efthimios e Dimitrios, mentre per gli slovacchi si registra la realizzazione di niente poco di meno che il comandante del contingente, tenente colonnello Alexander Kollarik.
La successiva finale per il primo posto fra Irlanda e Repubblica Ceca si è disputata con due tempi da trenta minuti ciascuno, ed una grande partecipazione da parte dei rispettivi sostenitori. Gli irlandesi sono alla fine risultati vincitori con un perentorio 4 a 1.
Molti ringraziamenti vanno agli ufficiali di tutti i contingenti che hanno collaborato nell’organizzazione del torneo, ed in particolare a Marcus Wheeler , lo specialista supervisionatore per le attività sportive e ricreative presso Camp Bondsteel. Al termine della manifestazione, il tenente colonnello Michael Murphy del 38° gruppo di fanteria irlandese, ha provveduto a consegnare i trofei e le medaglie ai vincitori ed i certificati di partecipazione a tutte le squadre.

Non ci credete?
La fonte è inoppugnabile: nato.int.
Una sola domanda: ma i “nostri” perché non c’erano?

Le ultime dal Kirghizistan

All’inizio di agosto, alcune fonti locali hanno riferito circa il ritrovamento di ventisette cadaveri privi degli organi interni nelle vicinanze della base USA di Manas, in Kirghizistan.
Questo probabile atto di disinformazione – la notizia non è stata infatti confermata dalle principali agenzie di stampa – ha offerto la sponda per speculazioni e confronti con la notizia degli espianti forzati operati dai kosovari sui prigionieri serbi dopo il 1999, all’ombra della bandiera della NATO. Di apparizione sempre più regolare, rapporti sul probabile utilizzo della base di Manas – il cui personale gode dell’immunità diplomatica – per il movimento di narcotici fra l’Afghanistan e Camp Bondsteel, l’enorme insediamento statunitense in Kosovo.
Il tutto alla vigilia del vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai – che si svolge da oggi a Dushanbe, capitale del Tagikistan – in occasione del quale Mosca e Pechino dovrebbero incrementare la pressione sui Paesi centrasiatici al fine di porre dei limiti stringenti all’azione degli Stati Uniti nella regione.
Dall’autunno del 2001, gli USA utilizzano – sotto copertura NATO e col pretesto delle operazioni in Afghanistan – una parte dell’aeroporto della capitale kirghiza, Manas appunto, quale base militare. Al di là del fatto di per sé singolare dell’associazione di strutture civili con mezzi militari, che rende il principale aeroporto del Paese un possibile oggetto di ritorsioni belliche, la base si sta rivelando sempre più un fattore di irritazione pubblica. Gli aerei che vi fanno scalo hanno in più occasioni riversato carichi di kerosene sulle campagne circostanti, ed in almeno due occasioni sono stati sul punto di causare seri incidenti con gli apparecchi civili, evitati per miracolo.
Sullo sfondo dell’indigenza circostante (il Kirghizistan è uno dei Paesi più poveri nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica), i militari statunitensi si muovono alla pari di cowboy ed infiammano le autorità tradizionali di una società in via di reislamizzazione. A fine 2006, un G.I. ha freddato, senza apparenti motivi, un civile del personale locale. Un fatto che, non essendo la situazione a tutt’oggi risolta sul piano legale, ha accentuato il risentimento di massa verso i militari di Washington. Questo si è ulteriormente inasprito negli ultimi mesi in seguito ad alcuni incidenti stradali e risse provocate dal personale militare statunitense, circostanze ben note a tutti coloro i quali si trovino a vivere nei pressi di un loro insediamento (ne parleremo prossimamente per quanto riguarda il caso di Aviano).
La presenza della base costituisce, infine, un serio fattore di disturbo delle relazioni fra la fragile repubblica kirghiza ed i vicini cinesi ed uzbeki, oltre che con la Russia. Gli impegni militari assunti con quest’ultima proibirebbero, in teoria, la presenza di militari stranieri, da cui l’escamotage dell’immunità diplomatica loro concessa. Senza scordare che dalle rimesse provenienti dai kirghizi ivi immigrati dipende la sussistenza di buona parte della popolazione rimasta in patria.

NATO: la storia

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La NATO (acronimo di North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) nasce a Washington il 4 aprile 1949 per volontà di dodici Paesi fondatori: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America. Nel 1952 vi furono le adesioni di Grecia e Turchia, che almeno in quella occasione misero tra parentesi la loro storica rivalità. Essa si configurò subito come un sistema militare a carattere esclusivamente difensivo, nel quale ogni Stato aderente si impegnava a dare aiuto militare nel caso di aggressione ad una o più delle parti contraenti. La NATO fu legittimata dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che inseriva nel quadro del diritto internazionale anche il “diritto alla legittima difesa”.
La legittimazione esclusivamente “anticomunista” della NATO perde parte della propria credibilità se si considera che il Patto di Varsavia – l’alleanza militare in chiave antioccidentale dei Paesi del blocco comunista – fu sancito ufficialmente solo il 15 maggio 1955, ben 6 anni dopo l’istituzione della NATO stessa. Alla quale nello stesso anno aderì, non a caso, anche la Repubblica Federale Tedesca.
La strategia militare statunitense degli anni seguenti si è sempre ispirata a due principi fondamentali: da una parte, preservare il territorio degli Stati Uniti da un eventuale attacco nucleare sovietico; dall’altra, limitare l’area del possibile conflitto al solo scacchiere europeo. In questo quadro si inserisce non solo la NATO ma anche la presenza in territorio europeo di basi militari alle dirette dipendenze di Washington, sull’attività delle quali i governi europei hanno sempre avuto un controllo assai debole. Continua a leggere