In Somalia sono decine di migliaia i morti per la grave carestia che ha colpito buona parte del paese, mentre 750.000 persone potrebbero morire di fame nei prossimi quattro mesi se la comunità internazionale non garantirà sufficienti aiuti alimentari alle popolazioni del Corno d’Africa. Secondo le Nazioni Unite, dodici milioni e mezzo di persone hanno urgente bisogno di cibo, acqua e medicinali, mentre sta crescendo giorno dopo giorno il numero dei disperati in fuga dalle sei macroregioni somale duramente colpite dalla siccità. Oltre 600.000 somali hanno attraversato il confine per raggiungere i campi profughi sorti nei paesi confinanti. Nella tendopoli di fortuna di Dadaab, Kenya orientale, il più affollato centro per rifugiati al mondo, sono stipati oggi più di 420.000 persone. In Etiopia, le agenzie internazionali hanno installato quattro grandi campi di accoglienza, dove affluiscono oltre un migliaio di sfollati al giorno. Una crisi umanitaria imponente ma con radici lontane, che le grandi reti mediatiche stanno rendendo visibile internazionalmente sulla scia della campagna interventista lanciata dal Dipartimento di Stato e da USAID, l’agenzia per gli aiuti allo sviluppo degli Stati Uniti d’America. Per Washington è indispensabile aprire manu militari corridoi “umanitari” che consentano il flusso degli aiuti alle popolazioni colpite. Un’occasione da non perdere per chiudere di rimessa e definitivamente, la partita in Africa orientale contro le organizzazioni combattenti nemiche.
“Abbiamo contribuito con quasi 600 milioni di dollari nei primi otto mesi del 2011 fornendo aiuti a più di 4,6 milioni di abitanti del Corno d’Africa e confermando il ruolo degli Stati Uniti come il maggiore dei donatori mondiali nella regione”, affermano i funzionari di USAID. “Il nostro governo ha inoltre annunciato che finanzierà la fornitura di aiuti umanitari addizionali al popolo somalo e sta lavorando con le agenzie internazionali per portare alla popolazione i bisogni basici”. A metà agosto, il presidente Obama ha approvato uno stanziamento straordinario di 105 milioni di dollari per l’acquisto di “cibo, farmaci, shelter e acqua potabile per coloro che hanno disperatamente bisogno di aiuto in tutta la regione”, come recita un dispaccio del Dipartimento di Stato. Troppo poco. Per le Nazioni Unite, infatti, c’è bisogno di un miliardo di dollari in più per rispondere a tutte le necessità alimentari e sanitarie in Corno d’Africa. Gli ha risposto solo l’Unione europea annunciando fondi per 100 milioni di dollari e, bontà sua, la Banca mondiale, disponibile a stanziare sino a 500 milioni di dollari, 8 milioni appena per affrontare l’emergenza, il resto per chissà quali progetti “a lungo termine” a favore degli “agricoltori della regione”. Washington però avverte: sino a quando opereranno impunemente in Corno d’Africa le milizie degli Shebab, le formazioni integraliste somale ritenute vicine alla costellazione di al-Qaeda, “per le organizzazioni umanitarie sarà impossibile raggiungere e prestare assistenza alle popolazioni”.
“La mancanza di sicurezza e di vie di accesso alle aree colpite limita significativamente gli sforzi assistenziali in Somalia”, ha dichiarato il vicesegretario di Stato per gli affari africani, Don Yamamoto, in una sua audizione al Senato. “Esistono difficoltà a portare cibo dove c’è più necessità a causa della presenza dell’organizzazione terroristica degli Shebab. Le sue minacce hanno costretto le Nazioni Unite a ritirarsi dai programmi di assistenza in diverse parti della Somalia sin dall’inizio di quest’anno”. Secondo Yamamoto, “i più colpiti dall’odierna siccità sono gli oltre due milioni di somali intrappolati nelle aree meridionali e centrali della Somalia sotto il controllo degli Shebab”. Secondo il vicesegretario, gli Stati Uniti si stanno attivando insieme ai principali partner internazionali “per contrastare gli Shebab e impedire che minaccino i nostri interessi nell’area o continuino a tenere come ostaggio la popolazione somala”. In che modo ci ha pensato lo staff di USAFRICOM, il Comando degli Stati Uniti per le operazioni militari nel continente africano, riunitosi a fine luglio a Stoccarda (Germania).
“La grave carestia in Corno d’Africa è una delle priorità del Comando USA congiuntamente alla crescita nella regione dei gruppi estremisti violenti”, ha spiegato il generale Carter F. Ham, comandante di AFRICOM. “La situazione attuale non richiede un significativo ruolo militare, ma il governo USA potrebbe chiederci qualche forma di supporto per il futuro. Se vado aldilà dell’aspetto umanitario e guardo a quello militare, posso affermare che il rischio più grave in Africa orientale è oggi rappresentato dagli estremisti di Shebab”. Per il generale Ham, il primo passo per “indebolire” le milizie è quello di accrescere l’assistenza USA nel campo della “sicurezza e della stabilità interna” al Governo federale di transizione della Somalia e agli altri paesi della regione. “L’organizzazione di esercitazioni e scambi militari multinazionali è un mezzo importante per sviluppare la cooperazione tra le nazioni africane”, ha dichiarato Ham. “Più saranno i Paesi che si uniranno per partecipare simultaneamente alle esercitazioni e meglio sarà per noi”.
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Grazie ad AFRICOM è stata costituita la East Africa’s Standby Force (EASF), una forza di pronto intervento a cui i paesi dell’Africa orientale hanno assegnato i propri reparti d’élite. La formazione del personale EASF e l’addestramento operativo è curato dai marines della Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA), la task force USA creata a Gibuti nel 2002 per “combattere le cellule terroristiche in Africa orientale” e che, dopo la creazione di AFRICOM nel 2008, è divenuta la struttura chiave per la proiezione avanzata delle forze armate statunitensi nel continente. Oltre a formare i reparti militari africani, CJT-HOA ricopre un variegato ventaglio di missioni, compresi la pianificazione delle operazioni multinazionali in Africa, la negoziazione di accordi legali per futuri interventi e/o installazioni in loco, il sostegno alle operazioni anti-pirateria delle flotte USA, NATO ed UE nelle acque del Mar Rosso.
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Il Comando USA per le operazioni speciali in Africa è lo stesso che dal mese di giugno pianifica e dirige le operazioni in Somalia di bombardamento missilistico con l’utilizzo di velivoli UAV senza pilota (i droni del tipo Predator) contro obiettivi top secret, come rivelato dai maggiori quotidiani statunitensi. Il Pentagono sta inoltre preparando il trasferimento di quattro UAV alle forze armate di Uganda e Burundi, che hanno messo a disposizione 9.000 uomini per la forza multinazionale dell’Unione Africana presente a Mogadiscio e in altre città somale. Ai due Stati africani Washington ha fornito nei mesi scorsi equipaggiamenti militari (camion di trasporto, blindati, giubbotti antiproiettile, visori notturni, ecc.), per un valore di 45 milioni di dollari.
Attivissima nella formazione dei militari somali nell’individuazione e smascheramento dei miliziani Shabab è anche la famigerata CIA – Central Intelligence Agency degli Stati Uniti d’America. Oltre a finanziare ed armare la neo costituita agenzia di spionaggio nazionale (la Somali National Security Agency), la CIA ha collaborato alla realizzazione di una grande stazione d’intelligence all’interno dell’aeroporto di Mogadiscio, nota localmente come “the Pink House” o più semplicemente “Guantanamo”, perché utilizzata per gli interrogatori sotto tortura dei prigionieri sospettati di terrorismo. Come rivelato da un lungo reportage del New York Times (11 agosto 2011), per l’addestramento delle unità africane in lotta contro gli Shebab, il Dipartimento di Stato e la CIA si sarebbero pure affidati ai mercenari di origine sudafricana, francese e scandinava contrattati dalla Bancroft Global Development, una società di sicurezza privata statunitense con uffici alla periferia di Mogadiscio. Secondo il quotidiano USA, Bancroft Global Development verrebbe utilizzata ufficialmente in ambito Unione Africana dalle forze armate di Uganda e Burundi, successivamente rimborsate per le loro spese da Washington. Dal 2010, la compagnia privata avrebbe conseguito in Somalia utili per circa 7 milioni di dollari.
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Odyssey Dawn, l’operazione internazionale contro la Libia iniziata, non significa “Odissea all’Alba”, come riportato dai nostri giornalisti, bensì “Alba dell’Odissea”. Secondo Gianluca Freda può sembrare una notazione peregrina da traduttore perfezionista, invece si tratta di una precisazione dai risvolti sostanziali e inquietanti. Thierry Meyssan spiega il perché qui, precisando:
“In ogni caso, l’operazione iniziata il 19 marzo 2011 in applicazione della risoluzione 1793 [in realtà 1973, ndr] del Consiglio di Sicurezza, è reale e non un’esercitazione. Soltanto la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno partecipato alla prima giornata. In attesa della partecipazione di altri Stati membri della NATO e della formazione di un comando della coalizione, tutte le operazioni, comprese quelle francesi, vengono coordinate dall’AFRICOM, con sede a Stoccarda (Germania) sotto la direzione del generale americano Carter Ham. Le forze navali – comprese le navi italiane e canadesi operanti nella zona – e il comando tattico sono posti sotto l’autorità dell’ammiraglio statunitense Samuel J. Locklear, a bordo della USS Mount Whitney. Il tutto in conformità con le direttive predefinite della NATO.”
La quale NATO, nei prossimi giorni, potrebbe assumere il comando e controllo delle operazioni:
Londra, 20 marzo – La Gran Bretagna auspica che il comando e controllo dell’operazione contro la Libia sia trasferito ”entro i prossimi giorni” alle strutture della NATO, pur chiarendo che quella in corso ”non è una missione della NATO”. A parlare in questi termini, è il ministro della difesa, Liam Fox, in una intervista alla BBC, ricordando che sono in corso a Bruxelles riunioni del Consiglio Nord Atlantico proprio per discutere dell’eventuale assunzione di un ruolo formale, da parte dell’Alleanza Atlantica e le sue strutture di comando, nell’intervento contro le forze di Gheddafi.
(Adnkronos/Dpa)
Frattini e La Russa, ovviamente, si allineano:
Bruxelles, 21 marzo – Dopo l’avvio dei raid occidentali contro le truppe di Muammar Gheddafi, è ora venuto il momento di andare oltre la coalizione che comprende Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e Italia, verso un coordinamento sotto l’ombrello dell’Alleanza Atlantica.
Lo ha detto oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini, al Consiglio Esteri a Bruxelles. “Crediamo che sia il tempo di andare oltre la coalizione dei volenterosi, verso un approccio più coordinato sotto il controllo della NATO”.
Riferendosi alle dichiarazioni di Frattini, una fonte della Farnesina ha poi detto che “l’attuale guida delle operazioni, a tre teste (di Francia, Gran Bretagna e USA, ndr), è anarchica”, definendo allo stesso modo anche il bombardamento contro la Libia, iniziato nel fine settimana, che costituisce “un problema per il mondo arabo”.
“Tenere la NATO in disparte mina la credibilità dell’Alleanza”, ha aggiunto, senza tuttavia spiegare quali sarebbero le posizioni di Germania e Turchia nel caso di un coinvolgimento NATO, cui si oppone la Francia. La fonte inoltre ha sollecitato che vengano “circoscritti gli obiettivi militari e che si limiti l’escalation”.
(Reuters)
Roma, 21 marzo – L’Italia ritiene opportuno che il “cappello dell’operazione” contro la Libia passi alla NATO. Lo ha affermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi al termine del Consiglio dei Ministri.
(Adnkronos)
Mentre il generale Prosciutto afferma che le operazioni sulla Libia puntano ora ad estendere la no fly zone, portandola a 1.000 chilometri, e ribadisce che non saranno impiegate truppe di terra, il portavoce del Comando della II Flotta della marina militare statunitense comunica che la forza anfibia di pronto intervento Bataan ARG salperà entro 48 ore dalla costa atlantica degli Stati Uniti d’America per raggiungere le unità navali già impegnate nelle operazioni di bombardamento. “La task force sarà attiva sin dalla prossima settimana. La Bataan ARG opererà a supporto del piano d’intervento USA ed internazionale associato alla crisi in Libia ed è preparata a condurre missioni che vanno dalla presenza navale avanzata alle operazioni di sicurezza marittima, alla cooperazione di teatro e all’assistenza umanitaria”.
E se Obama detta la linea, l'”opposizione” pacifinta scatta sull’attenti:
Santiago del Cile, 21 marzo – Questione di giorni e il comando della missione in Libia verrà trasferito alla NATO e agli alleati. Lo ha sottolineato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel corso della conferenza stampa congiunta con l’omologo cileno Sebastian Pinera, al palazzo de La Moneda a Santiago.
(Adnkronos)
Roma, 21 marzo – ”Nessuno è contrario” a che la NATO prenda il comando delle operazioni in Libia. Lo afferma il segretario del PD, Pier Luigi Bersani in un’intervista al Tg1 chiarendo che però ”un principio deve essere chiaro: la nostra Costituzione ripudia la guerra come metodo per risolvere le controversie tra Stati” ma ”accetta l’uso della forza per questioni di giustizia e sotto il mandato di organismi internazionali”.
(ASCA)
Roma, 22 marzo – “L’escalation militare di questi giorni e gli attacchi aerei contro la Libia hanno rappresentato una brusca accelerazione della crisi determinata da qualche circostanza imprevedibile? Oppure i bombardamenti contro le postazioni dei lealisti gheddafiani erano già programmati?”. Due domande che non hanno risposte, ma una chiave di interpretazione la si trova sul sito http://www.globalist.it, collegato al Centro studi strategie internazionali, diretto da Gianni Cipriani. Nelle settimane scorse, si legge nell’articolo di apertura, “in missione (chiaramente segreta) in alcune capitali europee, è arrivato il capo della CIA, Leon Panetta. Direttamente il numero uno, come si conviene quando c’è una situazione particolarmente delicata da affrontare. Al di là dei consueti rapporti di tipo diplomatico con i capi delle intelligence alleate, in questo caso gli scopi del viaggio erano prettamente operativi. In primo luogo il capo della CIA – ovviamente in pieno accordo con il presidente Obama e coordinandosi con Hillary Clinton – si è occupato del dopo-Gheddafi. L’ipotesi che il rais alla fine sia costretto ad andarsene è considerata molto probabile dagli Stati Uniti ed è anche un obiettivo dichiarato”. Per cui, prosegue l’articolo, “si lavora per il dopo, ipotizzando uno scenario che non sia traumatico per gli interessi statunitensi”. In secondo luogo “bisognava fare il punto sulle attività operative, soprattutto per coordinare eventuali azioni clandestine con altri servizi in territorio libico”.
Altro punto importante: “Al momento i ribelli della Cirenaica non hanno un leader o una struttura propriamente detta. Italiani, americani, inglesi, francesi e arabi del Golfo hanno interlocutori diversi. E’ una babele. L’obiettivo era (ed è) quello di fare un po’ di ordine ed appoggiare quei leader o gruppi in grado di dare maggiori garanzie. Ad esempio rifornendoli di armi leggere, che gli 007 della CIA stanno facendo arrivare da diversi giorni attraverso il confine egiziano”. Un viaggio-lampo, “quello di Panetta. Per pianificare quello che sarebbe accaduto. Restano, appunto, due domande: quello che è accaduto in questi giorni era programmato da tempo? Oppure il capo della CIA si è scomodato ad attraversare l’Oceano in previsione di uno scenario possibile ma non affatto certo? La risposta si potrà avere solo tra molti anni. A meno di una nuova fuga di documenti, come ultimamente avviene”.
(DIRE)
Quasi miracolosa, nell’attuale panorama dell'”informazione”, la schiettezza geopolitica del Porta a Porta vespiano di ier notte (23 marzo), durante il quale si è arrivati persino ad insinuare la volontà USA di nascondersi dietro la Francia, snocciolando le cifre delle sortite aeree effettuate sino a quel momento: 212 statunitensi contro 55 transalpine.
Del resto, è la stessa agenzia di stampa Reuters a sostenere che “la spinta diplomatica di Obama, in telefonate a Cameron, Sarkozy e altri leader, ha sottolineato la sua ansia di mettere un volto non-USA alla campagna contro le forze di Gheddafi, anche se l’esercito americano potrebbe restare il pilastro dell’operazione”.
Se alla fine si trovasse un’accordo per affidare in toto il comando delle operazioni alla NATO, allora meritano una particolare attenzione le parole pronunciate dal generale dell’A.M.I. (in pensione) Tricarico, a detta di cui il coordinamento delle missioni aeree, in tal caso, sarà conferito alla base di Poggio Renatico in provincia di Ferrara. Nell’ovattata campagna ferrarese tra i fiumi Po e Reno, c’è un Pioppo che cresce.
Giunge conferma:
Bruxelles, 24 marzo – La NATO ha elaborato un piano di comando per eseguire le operazioni militari in Libia da base italiana. Lo riferiscono all’AFP fonti diplomatiche, precisando che il comando operativo e quello specifico per le operazioni navali saranno situati a Napoli, mentre il comando delle missioni aeree sarà realizzato alla base di Poggio Renatico, nel nord Italia.
(ASCA-AFP)
Trattasi evidentemente di una forma grave ed acuta di sadomasochismo. Nelle parole di Gianluca Freda, la nazione Italia, prima al mondo, si avvia “intonando i peana ideologici della “libertà” e della “democrazia”, in un conflitto il cui scopo dichiarato è quello di ledere i suoi interessi nazionali. La fanteria italica della logorrea libertaria marcia spedita, sotto la frusta dei suoi capi, verso la devastazione dei suoi interessi energetici, verso l’ignominia diplomatica internazionale, verso la rinuncia alla sua area naturale d’interesse geostrategico. E non – si badi bene – nell’interesse dei suoi despoti, verso i quali, com’è comprensibile, la resistenza potrebbe costare cara; bensì nell’interesse dei suoi concorrenti di zona, di altri sguatteri di pari livello che hanno avuto l’intelligenza di calare meno le brache, conquistandosi così, se non il rispetto dei padroni, almeno la prima fila nelle razzie banditesche che seguiranno alla battaglia. I capi puniscono severamente le ribellioni dei servi, ma disprezzano con altrettanta forza la loro mancanza di dignità.”
“Voto contro”. Brava nipotina!
Roma, 24 marzo – ”Qui ci sono missili e razzi, c’è di tutto… io voto contro questa risoluzione”. Alessandra Mussolini esprime in aula alla Camera la sua dichiarazione di voto sulla risoluzione di maggioranza sull’intervento in Libia, in dissenso dal gruppo del PdL. Mussolini cita l’articolo 11 della Costituzione che rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. ”Non credo nell’intervento militare, voto contro”, insiste.
(Adnkronos)
Nel frattempo, sono giunti a Mineo i primi 420 extracomunitari sbarcati nei giorni scorsi a Lampedusa .
Saranno “ospitati”, insieme ad un migliaio di altri già presenti, nel complesso residenziale recentemente lasciato dai militari USA operanti a Sigonella, di proprietà della Pizzarotti di Parma che stava disperatamente cercando qualcuno a cui riaffittarlo.
Ora l’ha trovato: lo Stato italiano, con costi a carico dei contribuenti (nella foto sotto).
La drammatica situazione dei cittadini stranieri che lavoravano in Libia, causata dall’esplodere della guerra civile e che certamente non migliorerà con l’intervento militare occidentale, è sintetizzata qui.
Italiani, non lo avevate capito? Il PD costruisce la pace…
Iseo (Brescia), 25 marzo – “Guerrafondaio è chi è contro l’intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace. Lo è chi vuole aiutare Gheddafi a fare la guerra ai popoli che cerca di sopprimere”. Il vicesegretario del PD, Enrico Letta, replica così alle accuse di chi non condivide la posizione del partito in merito all’intervento in Libia.
(Adnkronos)
A coloro che, fin dall’inizio, avevano invece capito dove i “costruttori di pace” volevano andare a parare, è dedicata l’intervista del giornalista RAI Amedeo Ricucci, il quale spiega che la disseminazione scientifica di balle spaziali è stata funzionale a spingere l’opinione pubblica ad appoggiare e perfino invocare una guerra che produrrà sul serio (e sta già producendo) le migliaia di morti che la “rivolta” non aveva provocato:
In attesa dell’imminente passaggio del comando delle operazioni militari alla NATO, per la gioia degli ascari (bianchi, rossi e neri) d’Italia, ecco la nuda contabilità di chi mena le danze dell’aggressione alla Libia:
Washington, 28 marzo – A poche ore dall’effettivo passaggio del comando di tutte le operazioni militari in Libia dagli USA alla NATO i jet americani sono ancora i principali autori dei raid aerei sul Paese. Sui 167 attacchi effettuati tra le 21,30 di sabato e le 17 di domenica oltre la metà, 97, sono stati opera di aerei americani. Una percentuale di poco inferiore al 62% in media delle 1.424 sortite effettuate dall’inizio delle operazioni il 19 marzo scorso.
(AGI)
Alle fandonie del Pres della Rep risponde il ministro degli Esteri russo Sergei “sarò franco” Lavrov:
Mosca, 28 marzo – Mosca ha espresso preoccupazione in merito ai raid aerei della coalizione internazionale contro le forze fedeli al regime libico di Muammar Gheddafi. ”I funzionari dei Paesi che partecipano al conflitto dicono che il loro scopo è proteggere la popolazione civile, ma stanno bombardando” i lealisti a ”sostegno dei ribelli armati”, ha detto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. ”Riteniamo che tale interferenza della coalizione nella guerra civile libica non sia sancita dalla risoluzione delle Nazioni Unite”, ha poi aggiunto Lavrov
(ASCA-AFP)
Rasmussen puntualizza. Ed è la barzelletta del giorno:
Londra, 28 marzo – La coalizione internazionale in Libia non prende posizione per nessuna delle due parti in lotta, ha detto alla BBC il segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen.
Parlando con Radio 4, Rasmussen ha detto che teoricamente i ribelli potrebbero finire sotto attacco se mettono a rischio la vita di civili. ”Chi attacca i civili diventa nostro bersaglio. Finora sono state le forze pro-Gheddafi ad attaccare il proprio popolo”, ha detto il capo dell’Alleanza, che domani parteciperà alla Conferenza di Londra sulla Libia.
Oggi il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha accusato al coalizione di essere intervenuta ”in quella che è essenzialmente una guerra civile interna”.
(ANSA)
L’obiettivo? Rovesciare Gheddafi.
Evviva la sincerità di Obama!
New York, 29 marzo – Gli USA hanno fatto il proprio dovere in Libia, evitando con il loro intervento una strage da parte del regime di Gheddafi. Ora la palla può passare alla NATO, che da domani prenderà il comando operativo delle operazioni militari, continuando a proteggere i civili minacciati. In un intervento in diretta tv, il presidente americano Barack Obama ha spiegato per la prima volta nei dettagli la sua decisione di intervenire in Libia, confermando che l’obiettivo è di rovesciare Gheddafi.
(ANSA)
“Mezzi non militari”??? Anche questo giorno ha la sua barzelletta.
Washington, 29 marzo – Gli Stati Uniti “perseguiranno attivamente” la cacciata del leader libico Muammar Gheddafi attraverso “mezzi non militari”. Lo ha detto il presidente americano Barack Obama nel suo discorso sulla Libia, sottolineando come “non vi sia dubbio che la Libia e il mondo staranno meglio con Gheddafi lontano dal potere”.
(Adnkronos)
Su chi dovrebbe stare “lontano dal potere” affinché il mondo sia migliore, potremmo fare un lungo discorso…
Firenze, 29 marzo – Una vecchia stazione radar, utilizzata dall’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, nella località pisana di Coltano. Questo sarebbe uno dei siti scelti dal governo per l’accoglienza dei profughi dalla Libia. Questa mattina il sindaco di Pisa Marco Filippeschi (PD), che contesta l’iniziativa dell’esecutivo e ha scritto una lettera al ministro dell’Interno Roberto Maroni, ha condotto un sopralluogo nell’area. ”Si tratta – spiega il vicesindaco e assessore alla protezione civile Paolo Ghezzi – di un edificio suddiviso in tre ambienti di cui uno è quasi interamente occupato dai trasformatori gli altri due sono senza finestre, con pavimenti flottanti in buona parte dissestati, senza acqua (l’approvvigionamento avveniva attraverso un sistema di pozzi attualmente in disuso) con corrente a media tensione da ricondurre a bassa. Lo spazio esterno, che potrebbe ricevere una tendopoli, è suddiviso da una serie di canali che servivano per scopi militari, e presenta gravi problemi di bonifica: è facilmente allagabile, collocato in una zona fortemente acquitrinosa, dotato di una doppia recinzione militare”.
In quest’area dovrebbero essere allestite almeno 100 tende. L’area di Coltano è collocata all’interno del Parco Naturale di San Rossore, sito patrimonio dell’Unesco, vicino (500 metri) alle strutture della vecchia stazione radio costruita da Marconi, per il cui recupero si sono mobilitate recentemente 12 mila persone che hanno risposto all’appello del FAI. Nell’area (che alla fine della seconda guerra mondiale fu utilizzata dagli Alleati come campo di concentramento per i prigionieri) sono già presenti anche tre insediamenti Rom.
(ASCA)
Accanto ai “nani” (politici), non potevano mancare le “ballerine”:
Roma, 29 marzo – “Se tanto ami il tuo popolo e la tua terra come sempre ci hai detto, prendi una decisione importante anche se per te molto dolorosa: ‘Lascia il potere!’ e magari chiedi nuove elezioni democratiche”. E’ quanto scrivono le ragazze di ‘Hostessweb’ e Alessandro Londero, responsabile dell’agenzia, che organizzò la presenza delle hostess agli incontri con il leader libico Muammar Gheddafi a Roma, in una lettera a Gheddafi pubblicata sul sito internet della stessa agenzia e inviata al colonnello “attraverso amici libici” a lui vicini.
(Adnkronos)
Oltreoceano si fanno i conti in tasca. Raytheon (azienda produttrice dei Tomahawk) e compagnia cantante gongolano.
Washington, 29 marzo – Le operazioni militari condotte dalle forze USA sulla Libia sono costate finora 550 milioni di dollari e saliranno di almeno altri 40 milioni nelle prossime tre settimane. Lo ha reso noto il Pentagono.
Tra il 19 ed il 28 marzo, il Dipartimento alla Difesa ha speso oltre il 60% di questi fondi per le munizioni, in particolare missili e bombe, mentre il restante 40% è andato in spese logistiche come il dispiegamento delle truppe, ed il carburante per aerei e navi. Le forze USA hanno lanciato 192 dei 199 Tomahawk utilizzati contro le difese aeree ed i centri di comando militari in Libia. Ogni esemplare costa 1,5 milioni di dollari. Sganciate dagli USA anche 455 delle 602 bombe a guida laser utilizzate dalla coalizione.
(ASCA-AFP)
La “libera stampa” scopre che in Libia sono in corso “operazioni segrete dell’intelligence”. Talmente segrete che se ne parla da settimane.
Una descrizione convincente della loro pianificazione ed attuazione è qui.
New York, 31 marzo – In Libia operano da diverse settimane agenti della CIA che tengono i contatti con i ribelli e raccolgono informazioni sulle forze di Muammar Gheddafi. Lo ha scritto il sito del New York Times, dopo che ABC News aveva dato notizia che Barack Obama ha emesso un ordine presidenziale che autorizza operazioni segrete dell’intelligence USA nel Paese nordafricano “a sostegno” delle operazioni in corso. Al fianco della CIA, ha riferito il quotidiano della Grande Mela, ci sarebbero anche “decine di agenti” dell’MI6 britannico che collaborano nella raccolta di dati sull’armamento delle forze di Gheddafi e sugli obiettivi per raid aerei e bombardamenti.
(AGI)
Chissà se si riferiva alle proteste dei No base o alle questioni burocratiche made in Italy. Però lo ha detto chiaro: «La sfida più grande? Sarà la nuova base a Vicenza».
Lui è il generale Carter Ham, comandante dell’US Army Europe, che durante una conferenza stampa al Pentagono parlava della pesante ristrutturazione delle forze armate USA in Europa, del suo timore che in Germania restino troppo pochi soldati e delle varie dislocazioni dei battaglioni. E quando davanti ai giornalisti americani cita Vicenza e il Dal Molin il generale Carter Ham non nasconde come stanno le cose: «La sfida più grande («the biggest challenge») che ci resta per la trasformazione del comando è il consolidamento della 173esima Airborne Brigade Combat Team in Italia».
Insomma è proprio sul Dal Molin che si gioca, sostiene il generale, tutta la riorganizzazione dell’esercito statunitense in Europa.
«Quell’unità ha adesso alcune truppe in Germania, ma si riunificherà a Vicenza con la costruzione di nuovi edifici». Quindi il Pentagono, a sentire il comandante dell’US Army in Europa, sulla nuova base nell’ex aeroporto vicentino e sull’allargamento della Ederle ci conta eccome. «Per ospitare – si legge nell’articolo comparso sul sito web Armytimes.com – i 3.800 soldati della 173rd brigata oltre ai loro parenti e agli impiegati civili».
Dal Molin a parte, il generale Carter Ham era andato al Pentagono per chiedere di cambiare il progetto iniziale di ristrutturazione dell’esercito americano in Europa. «Meglio fermarci a quarantaduemila soldati e non, come previsto dal programma iniziale, di ridurli a trentaduemila entro il 2012-13». In altre parole mantenere tra Italia e Germania quattro combat team e non due come vorrebbe il Pentagono.
Carter Ham ha parlato anche del neonato US Africa Command che, sempre a Vicenza, ha sostituito la vecchia Setaf: «Così come è strutturato oggi non avrà a disposizione truppe ma dovrà servirsi di quelle sparse in Europa». E solo quando ci saranno le condizioni logistiche e di fondi l’esercito trasferirà il comando dalla Ederle all’Africa.
Da Il Giornale di Vicenza del 4 marzo 2009, p. 19, di Al. Mo.
Le dichiarazioni del generale Prosciutto sono riportate più estesamente da Antonio Mazzeo, il quale sottolinea come il programma di ridimensionamento delle forze statunitensi in Europa – in corso da alcuni anni – sembri destinato ad interrompersi.
Da Potenziate le basi dell’esercito USA in Europa:
Uno stop al piano di riduzione delle forze terrestri USA in Europa. Lo ha chiesto il comandante dell’US Army nel vecchio continente, generale Carter F. Ham, in occasione della sua recente visita a Washington dove ha incontrato gli alti comandi dell’esercito e del Dipartimento della difesa. Ham ha raccomandato che il numero dei militari in forza al comando USAREUR, venga congelato al suo livello odierno di 42,000 unità, bloccando il programma che prevede il ridimensionamento ad un massimo di 32,000 soldati entro il 2012-13. Nello specifico, il Pentagono ha programmato la riduzione della presenza in Europa da quattro a due brigate pesanti (la 2^ Stryker Brigade a Vilseck, Germania e la 173^ Brigata Aviotrasportata a Vicenza, Italia).
Il generale Ham ha spiegato che il commando USAREUR ha bisogno di una forza maggiore per “rispondere efficacemente alle richieste operative in Iraq, Afghanistan, nei Balcani e dove sarà necessario”, e per condurre simultaneamente “l’ambizioso programma di addestramento con gli alleati, particolarmente con le nuove nazioni appartenenti alla NATO e con quelle che hanno fatto richiesta di entrare nell’organizzazione”.
Negli ultimi anni, il Pentagono ha chiuso in Europa 43 tra basi e piccole installazioni dell’US Army, richiamando negli Stati Uniti 11.000 militari. Il piano di riduzione prevede adesso il ritiro della 172^ Brigata di fanteria (oggi di stanza nelle città tedesche di Schweinfurt e Grafenwöhr) e della 1^ Divisione Corazzata di Baumholder (ancora in Germania), destinata a Fort Bliss, Texas. La richiesta formalizzata dal generale Carter F. Ham potrebbe tuttavia condurre a una modificazione di questo scenario.
’US Army punta intanto a centralizzare i suoi reparti di guerra in cinque grandi centri “hub”, quattro in Germania (Ansbach, Grafenwöhr, Kaiserslautern e Wiesbaden), ed uno in Italia, per l’appunto Vicenza. Nel budget previsto per il 2009 dall’amministrazione USA per il potenziamento delle basi militari all’estero, è prevista una spesa di 349 milioni di dollari per le infrastrutture e le postazioni ospitate in questi “hub” europei dell’esercito.
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Nella foto: il ritrovamento di alcune bombe inesplose della Seconda Guerra Mondiale durante i lavori in corso all’aeroporto Dal Molin di Vicenza.
L’Esercito USA ha assegnato un plotone di aerei senza pilota (UAV) “Shadow 200” alla 173^ Brigata Aerotrasportata di Vicenza. Lo ha reso noto il comandante del “Joint Multinational Training Command” dell’US Army, colonnello Tim Touzinsky. Annunciando l’intenzione del Pentagono di realizzare a Grafenwöhr, Germania, la principale area addestrativa in Europa dei nuovi aerei spia, Touzinsky ha accennato all’attivazione di tre plotoni “Shadow”, il primo presso la 172^ Brigata di Fanteria di Grafenwöhr, il secondo presso il 2° Reggimento di cavalleria di Vilseck (Germania), e il terzo presso la 173^ Brigata di Vicenza.
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I residenti che vivono attorno all’aeroporto Dal Molin di Vicenza sono avvisati. Gli aerei spia “Shadow 200” hanno una spiccata propensione a schiantarsi a terra dopo il decollo, come è confermato dalle cronache dei primi voli sperimentali eseguiti in Kosovo nel 2004. Nei soli primi due giorni d’addestramento, l’US Army perdette due velivoli e fu costretta a sospenderne la sperimentazione. Dopo la “correzione” di alcuni problemi tecnici agli apparati di bordo furono riprese le operazioni, ma altri due gravi incidenti imposero un lungo stop ai nuovi aerei senza pilota. Furono poi testati negli scenari di guerra afghano ed iracheno. Qualche mese fa, gli “Shadow 200” sono stati dislocati dalla 172^ Brigata di Fanteria dell’US Army presso la base avanzata “Warhorse” di Baqubah, Iraq.
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L’attribuzione di un plotone di “Shadow 200” alla 173^ Brigata Aviotrasportata di Vicenza va infatti interpretata nel quadro dei nuovi piani USA di penetrazione in Africa, insieme alla recentissima trasformazione del comando SETAF (Southern European Task Force) – ospitato anch’esso nella città veneta – in US Army Africa, la componente terrestre di Africom. Il 9 dicembre 2008, alla presenza dei due massimi rappresentanti dell’esercito USA in Europa, il generale William E. Ward, comandante Africom, e il generale Carter Ham, comandante di US Army Europe, la SETAF ha mutato emblema e bandiera, assumendo il ruolo di reparto d’élite per l’intervento armato nel continente africano. In realtà, per la SETAF di Vicenza non si tratterrà di un debutto in Africa. La forza aerotrasportata ha infatti una lunga storia operativa in questa vasta area geografica. Nel 1994, gli uomini della 173^ Brigata furono inviati in Rwanda per un’ambigua operazione di “peacekeeping” che non impedì lo sterminio di centinaia di migliaia di civili durante il conflitto interno. Due anni più tardi la SETAF fu mobilitata per facilitare l’evacuazione di personale USA presente a Monrovia, Liberia.
Ancora nel 1996, i reparti USA di Vicenza presero parte alla “Joint Task Force Guardian Assistance” inviata in Uganda e Rwanda per “assistere” le operazioni di rimpatrio dei rifugiati ruandesi dall’allora Zaire. Quando una parte dei rifugiati rientrò nel paese d’origine, la missione USA si trasformò in assistenza militare e logistica a favore delle nuove autorità del Rwanda. Nel 1997 fu la volta della Repubblica del Congo, dove la 173^ Brigata fu schierata per fornire “assistenza” all’evacuazione di popolazione non combattente proveniente dallo Zaire. Quando il paese fu nominato “Repubblica Democratica del Congo”, gli obiettivi della missione furono ridisegnati, e i militari USA si trasformarono in “consiglieri” del governo di transizione.