A Camp Darby le forze speciali italiane


La notizia non è ufficiale ma già se ne parla: da ottobre su Camp Darby sventolerà il tricolore. Gli Stati uniti stanno per chiudere il loro più grande arsenale nel mondo fuori dalla madrepatria, restituendo all’Italia i circa 1000 ettari di territorio che occupano tra Pisa e Livorno?
Niente affatto. Non stanno chiudendo, ma ristrutturando la base perché vi possano essere stoccate ancora più armi e per potenziare i collegamenti col porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa.
Nella ristrutturazione restava inutilizzata una porzioncina dell’area ricreativa: 34 ettari, poco più del 3% dell’intera area. È questa che lo US Army Europe ha deciso di restituire all’Italia, più precisamente al Ministero italiano della Difesa, per farne il miglior uso possibile.
È stato così stipulato un accordo che prevede il trasferimento in quest’area del Comando delle forze speciali dell’esercito italiano (Comfose) attualmente ospitato nella caserma Gamerra di Pisa, sede del Centro addestramento paracadutismo.
Sono le forze sempre più impiegate nelle operazioni coperte: si infiltrano nottetempo in territorio straniero, individuano gli obiettivi da colpire, li eliminano con un‘azione fulminea paracadutandosi dagli aerei o calandosi dagli elicotteri, quindi si ritirano senza lasciare traccia salvo i morti e le distruzioni.
L’Italia, che le aveva usate soprattutto in Afghanistan, ha fatto un decisivo passo avanti nel loro potenziamento quando, nel 2014, è divenuto operativo il Comfose che riunisce sotto comando unificato quattro reggimenti: il 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e il 185° Reggimento acquisizione obiettivi Folgore, il 28° Reggimento comunicazioni Pavia e il 4° Reggimento alpini paracadutisti Rangers.
Nella cerimonia inaugurale nel 2014 fu annunciato che il Comfose avrebbe mantenuto un «collegamento costante con lo U.S. Army Special Operation Command», il più importante comando statunitense per le operazioni speciali formato da circa 30 mila specialisti impiegati soprattutto in Medio Oriente.
A Camp Darby – ha specificato l’anno scorso il colonnello Erik Berdy, comandante dello US Army Italy – già si svolgono addestramenti congiunti di militari statunitensi e italiani.
Il trasferimento del Comfose in un’area di Camp Darby, formalmente appartenente all’Italia, permetterà di integrare a tutti gli effetti le forze speciali italiane con quelle statunitensi, impiegandole in operazioni coperte sotto comando USA. Il tutto sotto la cappa del segreto militare.
Non può non venire a mente, a questo punto, la storia delle operazioni segrete di Camp Darby: dalle inchieste dei giudici Casson e Mastelloni è emerso che Camp Darby ha svolto sin dagli anni Sessanta la funzione di base della rete golpista costituita dalla CIA e dal Sifar nel quadro del piano segreto Gladio.
Le basi USA/NATO – scriveva Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione – hanno fornito gli esplosivi per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio. In queste basi «si riunivano terroristi neri, ufficiali della NATO, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati».
Nessuno però, né in Parlamento né negli enti locali, si preoccupa delle implicazioni del trasferimento delle forze speciali italiane di fatto all’interno di Camp Darby sotto comando USA.
I comuni di Pisa e Livorno, passati rispettivamente dal PD alla Lega e al M5S, hanno continuato a promuovere, con la Regione Toscana, «l’integrazione tra la base militare USA di Camp Darby e la comunità circostante».
Pochi giorni fa è stato deciso di integrare i siti web delle amministrazioni locali con quelli di Camp Darby. La rete di Camp Darby si estende sempre più sul territorio.
Manlio Dinucci

Fonte

Omicidi mirati per la Task Force 45

Abbandonare Kabul – la dichiarazione è arrivata da Rasmussen, il Segretario Generale della NATO al summit dei 28 ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica che si è tenuto a Bratislava il 22 Ottobre 2009 – avrebbe, a suo dire, costi altissimi e catastrofiche conseguenze per l’Europa.
“A quelli che ci chiedono se il costo del nostro impegno non sia troppo elevato, io rispondo – ha continuato – che il costo della mancata azione sarebbe molto più grande ed il Paese (l’Afghanistan – ndr) ridiventerebbe terreno di addestramento di Al Qaeda”.
Mentre salta immediatamente agli occhi la colossale menzogna di queste affermazioni e la pagliaccesca strumentalità delle motivazioni, traspare tra le righe una paura folle: la necessità di tenere ancora aggregata la partecipazione militare dei Paesi del vecchio e del nuovo Continente (per dirla alla Rumsfeld) al traballante apparato militare degli USA, a corto anche di elicotteri da trasporto medi e pesanti, nonostante un’immissione di 100 nuovi CH-47 per posizionare e rifornire sul campo il contingente aggiuntivo di 39.000 marines e rangers arrivati a scaglioni dall’Iraq nell’arco degli ultimi sei mesi.
Ad ISAF NATO aderisce anche personale militare appartenente a Stati falliti (Polonia, Estonia, Lituania) e Stati falliti e criminali (Georgia e Kosovo). Rasmussen dai singoli governi dell’Europa ha preteso ed ottenuto nel corso del 2009 complessivamente 7.000 unità aggiuntive.
USA e NATO hanno chiesto aiuto alla Russia per poter disporre entro il 2011 di altri 56 elicotteri da trasporto MI-8 dopo i 16 già arrivati a Kabul.
Mosca ha risposto affermativamente alla richiesta avanzata dal Pentagono, mettendo inoltre a disposizione di Washington nuovi corridoi aerei e le tratte ferrate della Russia per il trasporto del materiale militare. Esamineremo i perché in altra occasione.
Da Bratislava ad oggi per bocca di Frattini e La Russa, su decisione di Napolitano e dei soci del Consiglio Supremo (!) di Difesa, l’Italia senza badare a spese ha contribuito alle nuove necessità operative della “missione di pace” con l’invio in Afghanistan di altri 1.450 militari, con larga dotazione di mezzi blindati e rifornimenti logistici. L’impegno assunto dalla Repubblica delle Banane sfiora da solo il 20% della richiesta fatta all’intera Europa.
Altri 200 “istruttori” dell’Arma dei Carabinieri destinati ad affiancare formazioni dell’esercito afghano raggiungeranno Herat entro Dicembre.
Decisione resa nota da Ignazio La Russa a distanza di ventiquattro ore dalla visita mattutina di Rasmussen al Quirinale, alla presenza del ministro degli Esteri Frattini, ed a Palazzo Chigi nel primo pomeriggio del 17 Settembre. Visita che ha come al solito fatto registrare sorrisi larghi e convinte strette di mano, e messo in risalto il clima di solida, perdurante amicizia esistente tra le parti.
Sul nuovo oneroso impegno dei 200 Carabinieri da sbattere nella regione Ovest, l'”opposizione” ha pensato bene di fare, ancora una volta, l’usuale scena muta. Continua a leggere

Una guerra sporca, senza onore

sarissa

L’esordio in Afghanistan.
L’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane continua ad irrobustirsi ed a costare alla gente perbene altri miliardi di euro
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di Giancarlo Chetoni

La pianificazione del coinvolgimento bellico dell’Italietta in Afghanistan nasce nella Sede del Comando Generale Alleato per il Sud Europa nei mesi successivi al Novembre 2001.
Se la campagna aerea USA ha spazzato via le posizioni tenute dalle forze pashtun a est a sud ed a nord del Paese e disperso sul terreno le sue formazioni combattenti con il sostegno dei Signori della Guerra dell’Alleanza del Nord del calibro di Daud, a libro paga della CIA, accusato recentemente di efferati crimini di guerra, per la Coalizione il lavoro che resta da fare nel Paese delle Montagne è semplicemente enorme.
Il nemico non mollerà facilmente la presa. La morfologia del territorio, la sua estensione, una viabilità primitiva che si inerpica su tornanti di montagna, la totale mancanza di una decente rete stradale di altopiano, l’assenza di risorse minerali ed energetiche da depredare, una struttura sociale e religiosa reiteratamente refrattaria, ostile, a modelli di civiltà estranei ed una struttura statale inesistente fanno dell’Afghanistan, per bene che vada, un grosso buco nero.
I comandanti locali taliban, anche se danno l’ordine di smobilitazione, inviteranno i militanti a mimetizzarsi alle periferie delle città lasciando nei centri urbani i combattenti più determinati per avere occhi, orecchie e braccia alle spalle degli aggressori.
I nuclei pashtun che non saranno sciolti o distrutti esfiltrano un po’ alla volta dalle aree sottoposte a rastrellamenti e bombardamenti per trovare riparo nei fondovalle, nelle aree rurali e nei villaggi di montagna.
Anche se la vittoria è stata facile, quasi senza perdite, gli analisti militari USA e NATO sanno che tenere sotto stretto controllo militare l’intero Afghanistan non sarà né semplice né facile. Occorrerà chiedere ed ottenere, ancora una volta, il sostegno politico, economico e militare alla cosiddetta Comunità Internazionale, a quella nuova e vecchia Europa dell’Est e dell’Ovest, all’Inghilterra, al Canada, a Stati Criminali e Repubbliche delle Banane.
La nostra (!?) avventura militare prende così ufficialmente avvio sulle montagne di Kost, dopo un anno di preparazione logistica e di acclimatamento, nel Luglio 2003 con un distaccamento di paracadutisti della Folgore coinvolto in un primo conflitto a fuoco con presunte formazioni terroriste che, quella volta, si sganciano nell’oscurità. Continua a leggere