Il Parlamento Europeo ha congelato il 20 maggio la ratifica dell’Accordo Ue-Cina sugli investimenti, siglato in dicembre dalla Commissione Europea dopo sette anni di trattative. La risoluzione è stata approvata a schiacciante maggioranza con 599 voti favorevoli, 30 contrari e 58 astenuti. Essa viene formalmente motivata quale risposta alle sanzioni cinesi contro membri del Parlamento Europeo, decise da Pechino dopo che suoi funzionari erano stati sottoposti a sanzioni con l’accusa, respinta dalla Cina, di violazione dei diritti umani in particolare degli Uighur. I legislatori UE sostengono che, mentre le sanzioni cinesi sono illegali poiché violano il diritto internazionale, quelle europee sono legali poiché si basano sulla difesa dei diritti umani sancita dalle Nazioni Unite.
Qual è il vero motivo che si nasconde dietro il paravento della «difesa dei diritti umani in Cina»? La strategia, lanciata e guidata da Washington, per reclutare i Paesi europei nella coalizione contro la Russia e la Cina. Leva fondamentale di tale operazione è il fatto che 21 dei 27 Paesi dell’Unione europea sono membri della NATO sotto comando USA. In prima fila contro la Cina, come contro la Russia, ci sono i Paesi dell’Est allo stesso tempo membri della NATO e della UE, i quali, essendo più legati a Washington che a Bruxelles, accrescono l’influenza statunitense sulla politica estera della UE. Politica che segue sostanzialmente quella statunitense soprattutto tramite la NATO.
Non tutti gli alleati sono però sullo stesso piano: Germania e Francia si accordano sottobanco con gli Stati Uniti in base a reciproche convenienze, l’Italia invece ubbidisce tacendo a scapito dei suoi stessi interessi. Il segretario generale della NATO Stoltenberg può così dichiarare, al termine dell’incontro col presidente francese Macron il 21 maggio: «Sosterremo l’ordine internazionale basato sulle regole contro la spinta autoritaria di Paesi come la Russia e la Cina».
La Cina, che finora la NAT0 metteva in secondo piano quale «minaccia» focalizzando la sua strategia contro la Russia, viene ora messa sullo stesso piano. Ciò avviene sulla scia di quanto stanno facendo a Washington. Qui la strategia contro la Cina sta per diventare legge. Al Senato degli Stati Uuniti è stato presentato il 15 aprile, su iniziativa bipartisan dal democratico Menendez e dal repubblicano Risch, il progetto di legge S.1169 sulla Competizione Strategica con la Cina. La motivazione della legge non lascia dubbi sul fatto che il confronto è a tutto campo: «La Repubblica Popolare Cinese sta facendo leva sul suo potere politico, diplomatico, economico, militare, tecnologico e ideologico per diventare un concorrente globale strategico, quasi alla pari, degli Stati Uniti. Le politiche perseguite sempre più dalla R.P.C. in questi ambiti sono contrarie agli interessi e ai valori degli Stati Uniti, dei suoi partner e di gran parte del resto del mondo». Su tale base, la legge stabilisce misure politiche, economiche, tecnologiche, mediatiche, militari ed altre contro la Cina, miranti a colpirla e isolarla.
Una vera e propria dichiarazione di guerra, non in senso figurato. L’ammiraglio Davidson, che è a capo del Comando Indo-Pacifico degli Stati uniti, ha richiesto al Congresso 27 miliardi di dollari per costruire attorno alla Cina una cortina di basi missilistiche e sistemi satellitari, compresa una costellazione di radar su piattaforme spaziali. Intanto aumenta la pressione militare USA sulla Cina: unità lanciamissili della Settima Flotta incrociano nel Mar Cinese Meridionale, bombardieri strategici della US Air Force sono stati dislocati sull’isola di Guam nel Pacifico Occidente, mentre droni Triton della US Navy sono stati avvicinati alla Cina trasferendoli da Guam al Giappone.
Sulla scia degli Stati Uniti, anche la NATO estende la sua strategia all’Asia Orientale e al Pacifico dove – annuncia Stoltenberg – «abbiamo bisogno di rafforzarci militarmente insieme a stretti partner come Australia e Giappone». Il Parlamento Europeo non ha dunque semplicemente compiuto un ulteriore passo nella «guerra delle sanzioni» contro la Cina. Ha compiuto un ulteriore passo per portare l’Europa in guerra.
“Che ci piaccia o no, e agli Italiani non piace, visto che il 63% si è dichiarato contrario all’istituzione di una tassa patrimoniale sulle ricchezze, si sta agitando sempre più fortemente, un partito della patrimoniale che vede alleati i liberisti del nord, tedeschi in prima fila, e la cosiddetta sinistra italiana, dietro la quale si nascondono, ma nemmeno tanto, i liberisti italiani. Ha cominciato all’inizio della crisi da coronavirus il senatore Zanda del PD, proponendo di andare a vendere il patrimonio immobiliare dello Stato per recuperare, a suo dire, 60 miliardi, e piano piano si sono aggiunti gli altri, da Cottarelli e la Fornero, a Landini fino a Del Rio e Melillo che a nome del gruppo parlamentare della Camera del PD, propongono un “contributo di solidarietà” per il coronavirus (di fatto una patrimoniale checché ne dicano) per i redditi superiori a 80 mila euro l’anno. Da ultimo arrivano i Tedeschi a rinforzare il tiro al piccione italico, con un articolo su una delle più seguite e prestigiose riviste di economia e finanza, Manager Magazine che in un editoriale del 30 aprile a firma di Daniel Stelter, rivela l’esistenza di un piano del governo tedesco per indurre l’Italia ad applicare una tassa sui patrimoni del 14% sulla base di un semplice calcolo aritmetico: la ricchezza degli Italiani, immobili compresi, si aggira intorno ai 9.900 miliardi di euro, e da una simile imposta straordinaria si genererebbe un ricavo di circa 1.400 miliardi che andrebbe ad abbattere il debito pubblico fino a circa il limite di Maastricht del 60% del PIL. Una simile manovra consentirebbe all’Italia di assumere senza problemi di conseguenze sui suoi conti pubblici, altro debito sufficiente per fare fronte all’emergenza coronavirus. Alla base di questa ipotesi, c’è un ragionamento semplice:la ricchezza privata degli Italiani è la più alta in Europa a fronte di un debito pubblico che è egualmente il più alto nella comunità. Per gli autori della proposta l’equazione è che gli Italiani hanno risparmiato i soldi che non hanno pagato in tasse, e quindi devono in qualche modo restituirli.
Ma perché proprio i liberisti si fanno promotori di una proposta che sembra più adatta a politiche fiscali dell’epoca sovietica, che a una società moderna? Qualcuno di una certa età ricorderà gli argomenti democristiani contro il Partito Comunista negli anni cinquanta e sessanta dello scorso secolo: “I comunisti vi porteranno via le vostre ricchezze e anche la casa!” Ecco, adesso lo vogliono fare i liberisti, ovvero proprio i nemici acerrimi (a parole) dei comunisti di allora, e per la banale ragione che il loro obiettivo è di impadronirsi delle ricchezze dell’Italia spendendo il meno possibile e approfittando della debolezza e della paralisi in cui è caduto il nostro governo, incapace di prendere decisioni efficaci per fare fronte all’urgenza dettata dalla situazione economica. Paralisi in buona parte indotta dal partito che rema contro il governo e che vorrebbe un nuovo governo tecnico, magari a guida Draghi, con la strana alleanza tra Lega, pezzi consistenti del PD, Berlusconi, la sinistra o quello che ne resta e dice di essere di sinistra, il tutto sotto la illuminata guida di Renzi e dei suoi compari di bottega. Tramontata l’ipotesi degli eurobond, lontana, fumosa e vaga quella del Recovery Fund, ridimensionato a soli mille miliardi circa l’intervento della BCE, volto per lo più a salvare le figliolette banche, non resta che affidarsi al MES e agli altri strumenti messi micragnosamente a disposizione dalla comunità per recuperare un po’ di soldi. Ma sappiamo bene che il MES non solo non basta, ma è anche una trappola, anche se alle “condizionalità” è stata sostituita la “stretta sorveglianza” sui conti di chi chiede l’intervento del MES, il che a me sembra pure peggio delle condizionalità che almeno sai dove ti portano. Oltretutto il 5 maggio, la Corte Costituzionale tedesca si pronuncerà sulla compatibilità del QE della BCE con i principi dello Stato tedesco e se, come è possibile anche per il crescente coro di chi in Germania nega ogni solidarietà per la vicenda coronavirus, questo significherebbe che l’unico strumento utilizzabile a breve termine sarebbe l’insufficiente e deleteria trappola del MES per cercare di salvare lo spread dall’assalto della speculazione finanziaria. Se ci pensate, è un quadro folle e disgustoso, a fronte della generosità e del sacrificio di tanti Italiani in questa emergenza, ma tant’è.”
Il partito trasversale della patrimoniale e la “strana” alleanza tra Tedeschi e Italiani, di Domenico De Simone continua qui.
Come funziona l’Unione Europea? Qual è il peso delle lobby e delle grandi multinazionali sulle decisioni che vengono prese? E chi le prende? I deputati eletti dal popolo, gli Stati che negoziano fra loro, un ristretto manipolo di tecnocrati della Commissione Europea e della Banca Centrale, o dei soggetti privati privi di qualunque controllo? Il libro di Gabriel Amard pone queste domande, sentite oggi da milioni di persone in tutto il continente, e cerca di rispondere con i fatti, analizzando il modo in cui si è costruita l’Unione Europea, l’ideologia neoliberista che la guida, il contenuto dei Trattati, gli scandali di corruzione che hanno attraversato le istituzioni europee, le figure politiche che passano senza soluzione di continuità dagli organismi pubblici ai consigli di amministrazione di imprese e banche… Ma la denuncia si accompagna alla proposta, per cui il testo di Amard si trasforma via via in un manuale di disobbedienza a livello europeo, che entra nel merito di alcune rivendicazioni concrete e lancia un appello per costruire un’Europa dei popoli, per voltare pagina sia rispetto al “federalismo neoliberista”, sia al “nazional-sovranismo”.
Le Lobby a Bruxelles: il grande imbroglio del neoliberismo,
di Gabriel Amard
The Spark Press, pp. 178, € 14
Fulvio Grimaldi intervista alcuni esponenti dell’opposizione al governo Tsipras in Grecia.
F.G. Cos’è il Plan B? Alekos Alavanos (economista, psicoterapeuta, già presidente di Synaspismos e poi capogruppo di Syriza, oggi segretario della formazione “Plan B”, staccatasi da Syriza dopo il referendum consultivo del luglio 2015) E’ un’idea alternativa per una politica totalmente diversa rispetto a quelle dettateci da Bruxelles, Francoforte e Berlino e che hanno distrutto la società e l’economia della Grecia. Non siamo io e altri compagni che abbiamo cambiato idea, è stata Syriza a cambiare totalmente. La rottura avviene nel 2011 quando Syriza sostiene che non era possibile avere una linea autonoma nel quadro dell’eurozona e dell’UE.
F.G. Che Grecia sarebbe quella del Piano B? A.A. Nessuno può pensare che ogni cosa possa essere fatta senza correre rischi, trappole, difficoltà. Proponiamo una cosa molto semplice: le politiche che la maggioranza dei Paesi evoluti ha attuato dopo una prolungata recessione. Significa liquidità, domanda, salari e pensioni in grado di far girare la ruota. Significa un ruolo diverso dello Stato, creativo e dinamico, una politica di bilancio opposta a quella dell’UE.
F.G. Pensi che ci possa essere vita fuori dall’UE? A.A. Certamente c’è vita fuori dall’Europa. Ma non c’è alcuna Europa, non è Europa. Per oltre vent’anni sono stato un membro del Parlamento europeo, amo l’Europa, tengo al confronto con gli altri Paesi, le altre forze politiche. Abbiamo bisogno di cooperazione in Europa. Ma deve essere una cooperazione basata sulla solidarietà, sul mutuo beneficio, sul rispetto. Se vuoi essere filo-Europa devi essere contro l’UE e la sua valuta. Siamo all’ennesimo memorandum: ancora tagli, riduzione delle pensioni, più tasse, meno esenzioni. Tutto questo mentre già stiamo in una gravissima depressione.
F.G. Il popolo greco aveva deciso diversamente… A.A. Il venerdì, prima del referendum della domenica in cui vinse il no alla Troika, vidi la Merkel in tv che diceva che se i Greci avessero votato no, il lunedì non sarebbero più stati membri dell’UE e dell’euro. Ci minacciò. Usano campagne terroristiche, ora anche in Italia, di fronte alla rivolta della gente. I Greci non si fecero intimidire: oltre il 60% votarono no. Poi furono traditi, ingannati. Se io voto no e il governo il giorno dopo dice sì, ciò che si perde sono l’autostima, la fiducia, la prospettiva, la dignità morale.
F.G. E adesso? A.A. Credo che ci siano dei buoni segni, che non ci vorrà molto prima che il popolo greco si svegli e riprenda in mano il fucile, il fucile della politica.
F.G. Anche noi abbiamo vinto un referendum contro i desideri della Troika. Credi che l’UE abbia per l’Italia un progetto come quello imposto a voi? A.A. Spero che i poteri sistemici in Italia non si comportino come i nostri e le sinistre come le nostre sinistre. In effetti l’Italia è un boccone grosso. Ma potrebbe anche essere la leva per cambiare l’intera Unione. Le recenti elezioni, chiunque governi ora, hanno espresso una chiara volontà della maggioranza contro quanto all’Italia viene imposto. L’Europa non può sopravvivere nella forma e con i contenuti di adesso. Brexit è la soluzione. Spero che i popoli italiano e greco ritrovino la propria autostima e lottino, insieme ai Francesi, ai Tedeschi, a tutti, per un’Europa diversa, senza la BCE, senza questa valuta tossica. Un’Europa della libertà, creatività e della capacità sovrana dei popoli di autogovernarsi.
F.G. Vedi un filo che corre dalla vostra guerra contro i nazifascisti, alla guerra civile, a quella partigiana contro i britannici, alla dittatura NATO di Papadopulos, fino alla Troika? A.A. C’è un filo, un filo assai pericoloso. E’ il filo della dipendenza, della subordinazione, militare, politica, anche psichica. La Grecia, inizio e simbolo della nazione che resiste, fin dall’800, è un simbolo increscioso, intollerabile. Dobbiamo farla finita. Non siamo agli inizi dell’800, quando qui comandavano i sultani. Sai, non c’è più sovranità nazionale. Una sovranità che non sarebbe in contraddizione con la collaborazione internazionale. Anzi. C’è sovranità nazionale quando il popolo si autogoverna e quando la cooperazione internazionale rispetta e favorisce una sovranità nazionale democratica. Il frutto è sull’albero. Lasciamolo maturare. Arriverà sulle nostre tavole.
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F.G. Sembra che in Grecia rinasca una resistenza. Panagiotis Lafazanis (segretario di “Unità Popolare”, già dirigente del partito comunista greco KKE e ministro nel primo governo Tsipras) Per la prima volta dopo molto tempo si sono viste manifestazioni popolari di massa davanti al parlamento e in molte città contro la Troika, l’alleanza con Israele di un paese da sempre vicino ai palestinesi, la cessione del nome Macedonia (“Macedonia del Nord”), nome greco di terra greca, al vicino slavo. E si è vista la brutalità della repressione di un governo che si dice di sinistra, per quanto alleato all’estrema destra. Pensiamo che il movimento risponderà e si rafforzerà, in vista anche di una data molto importante, quella del referendum vittorioso contro l’austerità e la Troika, il 5 luglio.
F.G. Come siete messi, dopo l’ennesimo memorandum? P.L. La condizione della società greca è catastrofica, una situazione in cui non ci si vuol far vedere nessun futuro. Il 34,6% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, 3.796.000 persone su 10 milioni. E il debito che dovremmo pagare con questo strangolamento continua a crescere. E’ ancora forte la sensazione che tutto è perduto. Ma c’è anche l’altra faccia della luna: resta un potenziale sociale in grado di riprendere in mano la situazione e reagire. Insomma, c’è un corpo sociale che si convince di essere fottuto e un altro che è deciso a uscire dal vicolo cieco impostoci da Tsipras.
F.G. Basteranno le sole forze greche, o ci vorrà il concorso di altri Paesi? P.L. In effetti, perché il popolo greco possa liberarsi, gli occorre il concorso di altri popoli europei, in prima linea di quello italiano. Però a noi tocca l’impegno di non aspettare che si muova un popolo vicino. Dovremo comunque essere i primi a rompere le sbarre del carcere tedesco. Forse saremmo l’ispirazione per altri, fino all’affondamento di tutta l’eurozona, come di questa Unione Europea.
F.G. Qual è il progetto strategico dei vostri nemici? P.L. Per la Grecia è la distruzione del Paese, non c’è dubbio. Per l’Europa si tratta di una nuova feudalizzazione che elimini i soggetti nazionali in modo da riunire sotto il controllo dell’oligarchia tutte le ricchezze dei singoli Paesi. Per noi del Sud si tratta dell’applicazione di classici criteri colonialisti. Sono questi i caposaldi del progetto europeo. Sono caposaldi razzisti, ma a dispetto del suo razzismo, l’Europa sta conoscendo l’inserimento massiccio nel suo seno di altre popolazioni spodestate e sradicate e chi nutre dubbi sull’onestà del fenomeno, che non nasconda qualcosa di letale, viene accusato di xenofobia.
F.G. Potrebbe trattarsi di una strategia dei globalisti finalizzata a svuotare delle proprie generazioni giovani il Sud del mondo, ricco di risorse appetite dall’imperialismo? P.L. Evidentemente. Ma si noti che i Paesi costretti a ricevere queste masse di migranti sono la Grecia e l’Italia. Non è un caso. E si prevede che queste masse aumenteranno man mano che l’Africa viene impoverita e si diffondono altre guerre. Non per nulla gli USA e la NATO hanno intensificato in questi giorni i bombardamenti su Iraq e Siria, mentre si accentua la militarizzazione dell’Africa. Di questi sviluppi Grecia e Italia sono le grandi vittime.
F.G. Siamo tutti figli della civiltà greca. E’ per questo che la Grecia deve essere punita? P.L. E’ da qualche secolo che ci si vendica della nostra civiltà. Poi, per le élite euro-atlantiche punire la Grecia alla vista di tutti gli altri ha lo scopo di fornire un esempio. Se voi non accettate incondizionatamente l’impero, sarete puniti come i Greci. Ma potrebbe anche succedere che la Grecia si riveli il tallone d’Achille di questo progetto.
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F.G. Anche qui per certe finte sinistre del neoliberismo globalista la parola sovranità è diventata reazionaria e sovranismo sinonimo di destra? Grigoriou Panagiotis (antropologo, sociologo, economista, giornalista, autore di Asimmetrie sulla vicenda UE-Grecia) Posso solo dirti che il governo Tsipras ha ceduto controllo e sovranità del Paese, compresi i beni pubblici, ai creditori, titolari di un debito sistematicamente creato da dominanti esterni e complici interni. E questo per 99 anni. Si è perso il 40% dell’industria, il 40% del commercio, il 30% del turismo, tutti i porti, tutti gli aeroporti. Il 30% dei greci sono esclusi dalla sanità pubblica e al 30% è anche la disoccupazione reale. Per un po’ si è ricevuta un’indennità di 450 euro, poi più niente. Tutto questo si chiama effetto Europa, effetto euro. L’ingresso della Grecia nell’UE e nell’euro ha comportato il progressivo smantellamento della nostra economia produttrice. Importiamo addirittura gran parte dei nostri viveri. E’ una condizione di totale dipendenza. Non c’è patria, non c’è autodeterminazione e, ora con il vicino slavo titolato “Macedonia del Nord”, non ci sono più neppure gli spazi e confini della nazione greca. Un processo che interessava a UE e NATO che ora possono incorporare anche Skopje.
F.G. Come e più dell’Italia questo massacro sociale ed economico è stata aggravato dall’afflusso di decine di migliaia di migranti da Siria e altri Paesi. G.P. Un gravame terribile, insostenibile e sicuramente non innocente da parte della Turchia e di coloro che hanno messo queste persone in condizione di dover fuggire. E’ sconcertante come a questi profughi sia garantita, giustamente, un minimo di copertura sociale, mentre a milioni di Greci è stata tolta. Le ONG straniere sollecitano l’immigrazione, per esempio affittando abitazioni a basso prezzo e riempiendole di migranti, cui pagano anche elettricità, gas e acqua. Migliaia di Greci rimangono senza casa e senza niente.
F.G. Stavo filmando un gruppo di persone dell’OIM (Organizzazione Internazionale Migranti), un organismo a metà tra ONU e privati. Non gradivano essere ripresi. Poi mi è piombato addosso un arcigno poliziotto che mi ha intimato di cancellare quelle riprese, se no mi avrebbe addirittura arrestato. Cosa significa tutto questo? G.P. Non appena si affrontano queste cose si viene accusati di razzismo. Qui abbiamo una strategia contro certi Paesi del Sud. Da un lato la gente viene indotta a lasciare casa sua dalla violenza o dalla miseria importate a forza; dall’altro, chi li riceve non deve sentirsi più padrone a casa sua. Tanto meno, in quanto forze ed enti esterni assumono il controllo della tua economia nazionale. E qui, a difenderla, sei tacciato di nazionalismo. I Greci pensano a ragione di aver perduto la loro sovranità. E’ come essere sotto occupazione. Di nuovo un’occupazione tedesca. Pensa che in tutti i settori dello Stato ci sono dei controllori della Troika! Ricevono i ministri all’Hotel Hilton. Della Costituzione non c’è più traccia e neppure i diritti fondamentali del lavoro sanciti dall’UE sono rispettati.
F.G. Perché si impedisce di filmare migranti e chi se ne occupa? Cosa si vuole nascondere? G.P. Il fatto è che altri decidono sulle sorti del tuo Paese e che devi fare o non fare quello che vogliono loro. Sempre di più la vicenda dei migranti, come in Italia, diventa un segreto. Un segreto delle ONG e dei loro finanziamenti occulti o, comunque, finalizzati a fargli assumere un ruolo che non è il loro e che sottrae prerogative allo Stato nazionale, uno Stato che non è più padrone delle proprie frontiere, del proprio territorio, delle persone che vuole o può accogliere. Tutte queste decisioni sono prese altrove, con le ONG che gestiscono un fenomeno, in effetti nella piena illegalità, dato che non esiste un quadro giuridico entro il quale farle agire. A cosa ti fa pensare un Paese mandato in default dall’Europa e a cui l’Europa, Dublino, impongono di ricevere e tenersi decine di migliaia di migranti che ne sono la rovina definitiva? Dobbiamo integrare chi non lo vorrebbe quando dalla nostra comunità nazionale, costituzionale, espelliamo tre quarti dei Greci? A cosa ti fa pensare un Paese mandato in default dall’Europa e a cui l’Europa, Dublino, impongono di ricevere e tenersi decine di migliaia di migranti che ne sono la rovina definitiva?
“A questo punto, abusando della pazienza del lettore che mi ha seguito sin qui, devo aprire un secondo versante di riflessione per fare cenno ai complessi processi macro-politici che hanno creato una oggettiva convergenza di interessi tra la vecchia razza dei predatori nazionali e una nuova temibile specie di predatori. i protagonisti del capitalismo finanziario sovranazionale, entrambi interessati al definitivo smantellamento delle Stato sociale e a fare della sua decomposizione una straordinaria occasione di locupletazione mediante la devoluzione dei suoi servizi alle “forze del mercato”, cioè agli oligopoli che controllano il mercato. A questo riguardo, occorre premettere che vari indicatori inducono a ritenere che lo Stato democratico di diritto non sia, come la mia generazione aveva creduto, una conquista irreversibile, ma una breve parentesi storica apertasi a seguito di un inedito e contingente equilibrio di forze venutosi a determinare nel XX secolo. Come è noto, lo Stato di diritto è nato dal compromesso tra i due principali soggetti collettivi protagonisti della storia del Novecento: le forze materiali del capitalismo industriale e le organizzazioni politiche del mondo del lavoro. La natura compromissoria di tale origine è attestata della definizione stessa dello Stato di diritto come Stato “liberal-democratico”, binomio che sintetizza le due diverse culture politiche su cui si fonda e che costituisce la forma giuridica dell’economia sociale di mercato, via di mezzo tra l’economia di mercato liberista e l’economia pianificata statalista.
Tale peculiare equilibrio tra le forze in campo instauratosi nel secondo dopoguerra, è venuto meno alla fine del XX secolo. Il crollo dell’Unione Sovietica e la fine del bipolarismo internazionale, (…).
Gli eventi verificatisi nel Terzo millennio, nello sconvolgere i rapporti di forza preesistenti, hanno dunque creato le condizioni per sciogliere il coatto matrimonio di interessi tra il liberalismo e la democrazia, fondamento dello Stato di diritto liberaldemocratico, dando vita a un divorzio non consensuale. Si assiste così alla marcia trionfale in tutto l’Occidente dell’unica forza sociale e politica rimasta padrona del campo: il capitalismo globale finanziario e delle multinazionali. I politologi riassumono questo evento assumendo che la democrazia è divenuta superflua, nel senso che sono venute meno le ragioni che imponevano al sistema capitalistico di accettare per ragioni di realismo politico i limiti al proprio libero sviluppo e i costi economici imposti dalla camicia di forza della democrazia. Il nuovo capitalismo globale non si limita a sottrarsi a ogni regola, tende anche a imporre le proprie, condizionando dall’interno alcuni Stati occidentali per riscrivere gli ordinamenti giuridici in modo da spostarne il fulcro dall’interesse pubblico a quello privato. Si è avviato quindi un processo di decostruzione progressiva dello Stato democratico di diritto per dare vita a un modello che propone l’asservimento dello Stato alle esigenze di attori forti presenti sul mercato, attraverso una riduzione degli spazi pubblici e il correlativo ampliamento di quelli privati. In termini strettamente economici tutto ciò si traduce nel progressivo smantellamento del welfare state.
(…) La decostruzione progressiva dello Stato liberaldemocratico di diritto, conseguente al mutamento dei rapporti di forza sociali, prosegue di pari passo a un complesso processo di reingegnerizzazione del potere che trasferisce le sedi decisionali strategiche fuori dai parlamenti e dagli esecutivi nazionali, prima trasmigrandole all’interno di organi sovranazionali non elettivi, privi di rappresentatività democratica – quali la BCE e la Commissione Europea – e poi da questi, con un secondo cruciale passaggio, in organizzazioni finanziarie internazionali come la trojka (costituita dai rappresentanti della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale), proiezioni istituzionali delle oligarchie finanziarie globali le cui politiche vengono spacciate alla pubblica opinione come soluzioni tecniche prive di alternative (“There is not alternative”, secondo il categorico diktat thatcheriano, divenuto il manifesto ideologico del pensiero unico neoliberista).
Questa è l’essenza politica della transizione dal liberismo classico (laissez-faire) improntato a un’astensione dell’intervento pubblico nella regolazione dei rapporti economici, all`attuale neoliberismo improntato alla predisposizione di un ordine pubblico sovranazionale sancito in trattati multilaterali, istitutivi di organismi internazionali che si muovono nella direzione di una definitiva subordinazione degli Stati – soprattutto quelli a legalità debole come l’Italia – alle esigenze dei grandi investitori internazionali.
(…) Se l’analisi sin qui svolta è almeno in parte condivisa, può comprendersi come la questione criminale italiana sia divenuta uno dei terreni sui quali si declina a valle quel gioco grande del potere che, attraversando a monte tutti i livelli dell’ordinamento e i piani della vita collettiva, sta rimodulando, sull’onda di nuovi rapporti di forza, i modi di essere della sovranità, della rappresentanza e della legalità, ridisegnandone i confini. Nel nuovo scenario internazionale dove è in corso una dura competizione senza esclusione di colpi, la legalità debole italiana, che in passato era solo un triste affare di famiglia, è divenuta infatti una sabbia mobile che non solo continua a impantanare la nazione nelle secche del suo torbido passato, ma inghiotte giorno dopo giorno le residue chance di riscatto futuro.
Quella che fu una grande nazione rischia così di divenire un terreno di scorreria di vecchi e nuovi predatori, un vaso di coccio destinato a frantumarsi nello scontro tra i vasi di ferro che si contendono l’egemonia politica ed economica nella nuova forma-mondo in gestazione. Esiste dunque in Italia un’inscindibile correlazione tra questione economica e questione della legalità (costituzionale e ordinaria). Non per problemi etici, né per problemi di giustizia, ma per evitare che la legalità materiale italiana continui a precipitare il Paese in una spirale di declino irreversibile, la vera sfida con la quale deve misurarsi oggi e con la quale dovrà misurarsi domani chiunque avrà la guida del Paese, si muove dunque sul terreno ineludibile del ripristino della legalità e del principio di responsabilità, coniugando legalità e sviluppo. Stato regolatore e libero mercato. A questo riguardo ci si sente ripetere che la politica si nutre di realismo. Ma è bene assumere consapevolezza che oggi di realismo il Paese rischia di morire, se per realismo si intende la necessità di adattarsi alla situazione esistente per l’impraticabilità politica di soluzioni alternative.”
Da La legalità materiale ovvero il tramonto di una Nazione, di Roberto Scarpinato, in “Micromega” n. 7/2014.
Roberto Scarpinato. magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo, nel 1991 entra a far parte del pool antimafia collaborando con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si occupa – tra le altre cose – dei processi per gli assassinii di Piersanti Mattarella, Presidente della Regione siciliana, di Pio La Torre, segretario regionale del PCI, di Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana e di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo. Dopo la strage di via D’Amelio, è il promotore della rivolta di otto sostituti procuratori contro il Procuratore capo Piero Giammanco, al quale viene addebitata la responsabilità di avere progressivamente isolato Giovanni Falcone, inducendolo ad andare via dalla Procura di Palermo. Quella clamorosa presa di posizione innescò un conflitto interno alla Procura di Palermo che costrinse il Consiglio Superiore della Magistratura ad intervenire ed indusse il procuratore Giammanco a chiedere il trasferimento.
Alla Procura della Repubblica di Palermo inizia così una svolta, caratterizzata dalla nomina di Giancarlo Caselli a Procuratore capo e dall’avvio delle indagini per alcuni dei più importanti processi sui rapporti tra mafia e potere. La nuova stagione dell’antimafia porterà all’arresto dei più importanti capi della mafia militare, a centinaia di condanne all’ergastolo e contemporaneamente alla prosecuzione di indagini e processi sul versante strategico delle collusioni con gli apparati burocratici pubblici.
Divenuto Procuratore aggiunto, Scarpinato conduce pressanti indagini sui rapporti tra mafia e massoneria, e sulla cosiddetta “trattativa” tra lo Stato e Cosa Nostra nel periodo delle stragi.
Nel 2005 assume la direzione del Dipartimento mafia-economia all’interno del quale crea un gruppo di magistrati e investigatori specializzati, che smantella colossali patrimoni illegali, giungendo a sequestrare beni in Italia ed all’estero per un valore di circa tre miliardi e cinquecento milioni di euro. Nel giugno 2010 viene nominato Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta. Dal febbraio 2013 riveste il ruolo di Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo.
Pasticciaccio brutto sul Colle, mentre l’UE getta la maschera
Non se lo aspettavano: né Renzi, né Mattarella, e tanto meno Napolitano che è il grande vecchio al telecomando pensavano che il no vincesse davvero e soprattutto non in proporzioni tali da richiedere imperativamente le dimissioni del premier prima dell’approvazione della finanziaria. Così si è arrivati al pasticciaccio indecoroso al quale assistiamo e nel quale si somma tutta l’ignavia e la cialtroneria di un ceto politico che è ormai soltanto una formazione di molluschi aggrappati ai palazzi parlamentari: Mattarella, il presidente sagoma a due dimensioni, nemmeno per un attimo ha pensato di indurre Renzi ad approvare la finanziaria prima della consultazione popolare come sarebbe stato ovvio, probabilmente perché non glielo ha suggerito Napolitano che è la sua terza dimensione e anche adesso si rifugia nell’astensione da ogni proposta. Così adesso ci troviamo con il guappo che scalpita come un dannato per andarsene e il duo Mattarella – Napolitano che vogliono costringerlo a rimanere fino all’approvazione della legge di stabilità.
Tutto questo però nasce dalle promesse ingannevoli perpetrate durante tutta la lunghissima campagna elettorale: la legge di stabilità non poteva in nessun caso essere approvata prima del referendum semplicemente perché altrimenti il guappo avrebbe scoperto il proprio bluff, avrebbe mostrato a tutti che ancora una volta stava prendendo per il naso il Paese e che molti provvedimenti erano semplicemente fumo negli occhi e voto di scambio, compresi i famosi 85 euro ai dipendenti pubblici per i quali non vi è traccia di copertura. Inoltre questo avrebbe costretto l’Europa di Bruxelles a venire allo scoperto sconfessando le “aperture” di pura facciata messe in piedi per aiutare il guappo nella sua campagna contro la Costituzione. Infatti già ieri l’Eurogruppo, ovvero il consesso dei ministri delle finanze della UE ha chiesto straordinarie correzioni al bilancio, incaricando la Commissione Europea di dettare al governo italiano i passi necessari per ridurre il debito. Ma non si astiene dal suggerire in proprio la ricetta: privatizzazioni selvagge ed entrate straordinarie (leggi tasse) per tirare fuori i 15 miliardi che mancano dopo mille giorni di gestione demenziale, cialtrona e condita di innumerevoli menzogne.
E’ fin troppo chiaro che se Renzi dovesse firmare, sia pure come ultimo atto, una legge di stabilità lacrime e sangue, invece di lasciare ai successori il compito di maneggiare la castagna bollente preparata con le sue manine, subirebbe un altro durissimo colpo: anche i media più fedeli, anche i vegliardi domenicali più incalliti nello spaccio del renzismo per nome e conto del trafficante che risiede in Svizzera, potrebbero nascondere l’evidenza: che per un anno il Paese è vissuto nell’immobilismo e dentro la narrazione completamente fasulla di un imbonitore , funzionale solo al referendum. Ma tutto questo, un premier in evidente confusione emotiva, un presidente terrorizzato dal dover decidere qualcosa, un PD trasformato in banda di dervisci danzanti al cospetto del proprio declino, ma ormai privo di qualsiasi personaggio in grado di cambiare rotta o ancor meglio di recidere il cordone ombelicale con questo partito degli equivoci per cercare aria pura, si configurano come un’ennesima offesa alla volontà degli elettori: queste dimissioni congelate sanno di beffa, di incoerenza e di presa in giro. Perché è chiaro che assieme ai domiciliari di Renzi a Palazzo Chigi viene artificialmente messo in freezer anche il resto, compreso un Parlamento nato non soltanto da una legge elettorale dichiarata anticostituzionale, ma ormai lontanissimo dal rispecchiare la realtà del Paese.
I nodi stanno venendo al pettine: i parlamentari del PD e del fritto misto alleato, sono ormai terrorizzati, come del resto le oligarchie europee, dalla sola idea di elezioni e faranno di tutto e di più per evitarle, per assemblare col lego un ennesimo governo tecnico, anche se al loro arco non ci sono che manovre di corridoio e di aula visto che la realtà va altrove, da quella economica intrecciata indissolubilmente ai diktat europei privi di qualsiasi senso a quella sociale che si è rimessa in movimento. Proprio per questo ieri dicevo che la guerra è appena iniziata, una guerra per ritrovare la democrazia e per non finire come la Grecia.
“Le strategie politiche dei creditori giocano un ruolo determinante nella scelta dei Paesi ai quali una ristrutturazione del debito viene concessa e nei termini in cui avviene”, sostiene Eric Toussaint…
“La ristrutturazione del debito greca è al cuore della battaglia che contrappone Atene alla Troika. Lo scontro non è nuovo. Nel 2012, una prima ristrutturazione del debito greco era stata adottata. Con quali risultati?
All’inizio del 2010, la Grecia è stata vittima di attacchi speculativi dei mercati finanziari atti ad imporre tassi di interesse assolutamente spropositati in cambio di finanziamenti per ripagare il debito greco. La Grecia era sul punto di interrompere i pagamenti perché incapace di rifinanziare il debito a tassi ragionevoli. La Troika è intervenuta con un piano di aggiustamento strutturale sotto forma di «Memorandum». Si trattava di concedere nuovi crediti alla Grecia a condizione che saldasse i conti con i propri creditori. Ora, questi creditori erano soprattutto banche private europee, in ordine di importanza francesi, tedesche, italiane, belghe… Questi crediti erano ovviamente accompagnati da misure di austerità che hanno avuto effetti catastrofici sulla vita dei Greci e sulle attività economiche del Paese.
Nel 2012, la Troika ha organizzato una ristrutturazione del debito greco soltanto sulla parte contratta con creditori privati, e cioè da un lato banche private degli Stati dell’Unione Europea che si erano fortemente disimpegnate rispetto alla Grecia ma che conservavano ancora crediti nei confronti del Paese, e dall’altro altri tipi di creditori come i fondi pensione dei lavoratori greci. Questa ristrutturazione comportava una riduzione del debito greco di circa 50-60% nei confronti dei creditori privati. La stessa Troika aveva concesso prestiti alla Grecia dal 2010 e si era rifiutata di ridurre i crediti di cui era in possesso. L’operazione è stata presentata come un grande successo dai principali media, dai governi occidentali, dallo stesso governo greco, dalla Commissione Europea e dal FMI. Si è voluto far credere all’opinione pubblica internazionale, e ai Greci, che i creditori privati avevano compiuto sforzi immensi tenendo conto della situazione drammatica in cui la Grecia si era ritrovata. Ma la verità è un’altra. Questa operazione non è andata in nessun modo a beneficio del Paese in generale, e ancora meno della sua popolazione. Dopo un calo momentaneo del debito nel corso del 2012 e all’inizio del 2013, il debito greco è di nuovo aumentato, sorpassando il livello raggiunto nel 2010-2011. Le condizioni imposte dalla Troika hanno provocato un crollo drammatico delle attività economiche in Grecia e il PIL è sceso del 25% tra il 2010 e il 2014. Inoltre, le condizioni di vita della popolazione hanno subito un impatto fortemente negativo. Si sono registrate violazioni crescenti dei diritti economici e sociali e dei diritti collettivi, precarietà del sistema pensionistico, una drastica riduzione dei servizi nella sanità pubblica e nel sistema educativo, un crollo del potere di acquisto… Va poi sottolineato che una delle condizioni dell’alleggerimento del debito imposte alla Grecia riguardava la giurisdizione competente in caso di controversia. Contrariamente all’accordo raggiunto con la Germania nel 1953 sul debito tedesco, le controversie non sarebbero stati tratttate da un tribunale competente greco.
(…)
Dunque, se la ristrutturazione del debito non è la soluzione, quale via ipotizza affinché gli Stati possano risolvere tale problema?
Per gli Stati si tratta di compiere atti di sovranità unilaterale: 1- realizzando una valutazione integrale del debito, con una partecipazione cittadina attiva; 2- sospendendone il pagamento 3- rifiutandosi di pagarne la parte illegittima; 4-imponendo una riduzione della restante parte. La riduzione della parte restante, dopo l’annullamento della parte illegittima, può avere le caratteristiche di una ristrutturazione ma in ogni caso non potrà essere una risposta sufficiente.
Cosa succede quando un governo intavola negoziazioni con i creditori in vista di una ristrutturazione, senza sospendere il pagamento del debito?
Senza sospensioni dei pagamenti anticipati e senza una verifica pubblica, i creditori si trovano in una posizione di dominio. Non bisogna sottovalutare la loro capacità di manipolazione, che può portare i governi a compromessi inaccettabili. E’ la sospensione del pagamento del debito come atto sovrano unilaterale che crea un rapporto di forza con i creditori. Inoltre, la sospensione obbliga i creditori a farsi avanti: quando si tratta di affrontare i detentori dei titoli, se non c’è sospensione del debito, essi agiscono in maniera opaca, poiché i titoli non sono nominativi. Ed è soltanto rovesciando tale rapporto di forza che gli Stati creano le condizioni per poter imporre misure la cui legittimità si fonda sul diritto internazionale e interno.”
Due commenti sull’esito del referendum greco e i possibili sviluppi futuri.
FALLITO IL TENTATIVO DI ROVESCIARE IL GOVERNO TSIPRAS
Da Gabriel a Schultz, da Dijsselbloem a Hollande: “Wer hat uns Veraten? Sozial Demokraten!”. Tutti d’accordo: il debito ellenico non è sostenibile. Tutti d’accordo: continuiamo a trarne profitti fino al “Grexit”.
Il No greco in sintesi: è fallito il tentativo di rovesciare il governo Tsipras. Le concause: la austerity, il contagio di Syriza, Podemos, l’anti-europeismo delle destre estreme e, prevaricante su ogni altro sviluppo passato, presente e futuro, il ruolo di dominatrix di Frau Merkel. Il corollario scontato: il tradimento dei socialdemocratici.
Potremmo chiudere qui le nostre conclusioni sulla tragedia del popolo greco (posto oggi davanti a due alternative il Grexit o un’emorragia terminale), se l’informazione USA ed Europea non avesse ignorato e travisato i fatti.
Primo tra tutti: Syriza delenda est.
L’avvento di un governo socialista nel cosiddetto concerto d’Europa è stato immediatamente giudicato incompatibile con gli orientamenti e le direttive dell’Unione non solo dai suoi governi conservatori, ma anche e soprattutto da quelli del centro-sinistra. Il 2 febbraio, a poche settimane dall’esito elettorale in Grecia, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble dichiarava che le proposte di Tsipras e Varoufakis erano “incomprensibili”, dieci giorni dopo rincarava la dose: erano “inesistenti”. Comprensibile la presa di posizioni del ministro laureato in legge e non in economia: non si era mai seduto ad un tavolo con degli economisti che volevano introdurre il sociale nell’economia capitalista, neo-liberista, del libero mercato e del sistema bancario. Non ne comprendeva il linguaggio, la filosofia, l’etica della difesa degli interessi primari dei popoli. Tra aprile e giugno il bersaglio principale non solo della Germania, ma di quasi tutti i paesi “virtuosi” o costretti a diventare tali, era uno solo, Yanis Varoufakis, professore di economia nelle università europee, americane ed australiane, autore, prima ancora di diventare ministro delle finanze, della più brillante, convincente ed aggiornata revisione della critica dell’economia di Karl Marx. Incompetente, ignorante, velleitario, offensivo, intrattabile erano gli epiteti a lui rivolti da questo o quell’esponente dell’Eurogruppo e facevano loro eco i mass media americani ed europei (eccelleva tra tutti la rete televisiva tedesca “Die Erste”: è un fanatico, porta la camicia di fuori, ha una moglie bella e ricca, ha un appartamento sontuoso con vista sull’Acropoli). L’odio sconfinava nell’orrore per tutti i componenti del governo di Atene. Richiamava alla memoria la Tosca di Magni con Monica Vitti, il commento in Vaticano sulla vittoria di Marengo: “Mamma, li giacobini”.
Buon ultima, ma non meno vetriolica Christine “le foulard” Lagarde del FMI che definiva “irricevibile” la proposta greca di rinviare di 30 giorni il pagamento di una rata di circa un miliardo e mezzo di dollari del debito e proclamava con un anticipo statuario di 25 giorni il default “automatico” di Atene. E tutti i mass media naturalmente uniti nell’ignorare il ruolo dell’Amministrazione Obama che disponendo della più alta quota del Fondo ne controlla ogni passo o iniziativa (il predecessore della Lagarde, Dominique Strauss-Kahn, da buon socialista, aveva provato a liberarsi del giogo di Washington ed era stato fatto fuori con gli scandali bene orchestrati da Sarkozy e dallo FBI). L’ostilità malcelata di Obama era scattata con il veto posto dal governo Tsipras alle nuove sanzioni contro la Federazione Russa per la crisi ucraina ed aveva fatto uso ed abuso del Fondo Monetario Internazionale dopo i contatti di Atene con Mosca e gli accordi sul nuovo gasdotto. Solo Walter Veltroni in un articolo sulla nuova Unità attribuisce il compito di mediatore al Presidente e lo invita a telefonare a tal fine al presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, che non ha bisogno di telefonate in quanto anticipa i diktat di Barack e di Angela, ad esempio interferendo con le prassi democratiche e sovrane di un popolo ingiungendo ad esso di votare per il sì.
Desolante, ma non sorprendente il comportamento dei socialdemocratici tedeschi ed europei in genere: da Gabriel a Schultz, da Dijasselbloem a Hollande – non parliamo di casi pietosi come quello di Matteo Renzi – che allineati e coperti hanno prestato man forte ad Angela Merkel. Il richiamo storico al voto socialista tedesco favorevole al finanziamento della Prima Guerra Mondiale del Kaiser è inevitabile. Oggi come allora riecheggia l’urlo della protesta: “Wer hat uns veraten? Sozial-Demokraten!”. Chi ci ha tradito? I socialdemocratici!
E’ fallito dunque il “golpe bianco”, il colpo di stato “democratico” per rovesciare il governo di Atene e data la mobilitazione popolare sul No, appare per il momento improbabile un nuovo ricordo ai colonnelli. Crescono l’isterismo collettivo e il panico pretestuoso per la minacciata fine dell’Euro e dell’Unione Europea, presupposti di ulteriori punizioni dei reprobi greci. I “reprobi”, purtroppo, verranno ulteriormente puniti: il “debito insostenibile” da tutti riconosciuto, diventerà più insostenibile, BCE e FMI dopo qualche blanda misura di breve termine, daranno un altro giro di vite alla garrote, svolazzano già nell’aer cupo idee come la doppia valuta, o di un Grexit pilotato o addirittura come quella oscena di Schultz di aiuti umanitari dei governi dell’UE.
E naturalmente la Merkel con Hollande “bagaglio a mano” annunzia a Parigi (dopo le dimissioni di Varoufakis) che la porta del negoziato rimane aperta: sembra la stessa posizione dei Governi Likud israeliani verso i palestinesi, siamo pronti a negoziare e intanto li bombardiamo.
Non è detto che abbiano partita vinta: sacrifici sì, ma ci sono altre carte da giocare per Atene. Dagli anticipi russi sui proventi del nuovo gasdotto che assicurino pro-tempore la liquidità, alla cooperazione sui traffici marittimi con la Repubblica Popolare Cinese e poi il coraggio creativo della speranza che potrà contagiare i popoli europei e modificare l’ottusa intransigenza dei loro governi. Lucio Manisco
Va bene, adesso che abbiamo festeggiato il bellissimo “NO!” greco alla plutocrazia europea, dobbiamo tornare nuovamente con i piedi per terra e valutare le opzioni a disposizione dell’Impero. O meglio, l’opzione (singolare) dell’Impero.
L’Impero è estremamente prevedibile. E’ da libro di testo l’esempio greco di come l’Impero strangoli una nazione con il debito attraverso le banche, crei una classe dirigente “compradora”, tramuti i media nazionali in strumenti di propaganda imperiale e tenti di bloccare completamente ogni processo democratico trattando esclusivamente con la classe dirigente. Per una sorta di miracolo, quest’ultima fase nel caso della Grecia non si è verificata.
Potrei sbagliarmi, ma la mia sensazione è che l’Impero non ha mai preso troppo sul serio il fenomeno Syriza o, se lo ha fatto, lo ha fatto troppo tardi. Per quanto riguarda Tsipras e Varoufakis, essi sono rimasti sorpresi probabilmente quanto tutti noi quando sono stati improvvisamente “promossi” da capi di un partito del 5% a leaders dell’intera nazione greca. Ho anche la sensazione che nè Tsipras nè Varoufakis si aspettassero quel vero e proprio tsunami che si è scatenato con questo referendum. Qualunque sia il caso, quel che è fatto è fatto e, nonostante tutto l’orrore provato dagli Euroburocrati, il popolo greco ha fatto sentire la sua voce e così all’Impero, attualmente è rimasta un’unica opzione: cooptare o rovesciare il governo greco, quella delle due che funziona meglio.
La mia opinione strettamente personale è che sia troppo tardi per cooptare il governo. Inotre, sia Tsipras che Varoufakis sono diventati due figure talmente odiate dagli Euroburocrati che il loro rovesciamento è probabilmente l’opzione preferita.
Sembra che questo processo sia già in atto. Varoufakis, che solo ieri diceva ad un reporter “non vi libererete di me” ha già dato le dimissioni. Per quanto riguarda Tsipras, sembra che stia implorando per aprire trattative. Spero di sbagliarmi, ma sono abbastanza scettico su quanto ho visto fin’ora.
Un’altra rivoluzione colorata in vista?
L’esempio di Gheddafi mostra chiaramente come un leader nazionale possa arrendersi e sottomettersi completamente agli Anglo-Sionisti e tuttavia essere rovesciato. La mia opinione è che, per quante concessioni faccia Tsipras, queste non gli saranno sufficienti per mantenere il potere. Ha umiliato gli Euroburocrati e loro non lo perdoneranno. L’unica soluzione logica per l’Impero è quella di fare della Grecia un esempio.
Non importa come, ma per la Grecia si prospettano tempi estremamente difficili, sia politicamente che economicamente. Abbiamo visto recentemente come una nazione, in questo caso l’Armenia, possa essere facilmente “punita” per aver osato disobbedire ai diktat imperiali. Penso che attualmente la Grecia sia una nazione molto più debole e fragile dell’Armenia. Primo, tedeschi e americani mandano più o meno avanti, e anche possiedono, la baracca. Secondo, un terzo abbondante della nazione voleva accettare i termini dell’ultimatum richiesto dalla plutocrazia transnazionale. Terzo, la Grecia è circondata su tutti i lati dalla NATO e da zone di instabilità. Quarto, tutti i media della nazione sono in mano agli Anglo-Sionisti. Quinto, alla Grecia mancano risorse naturali ed un valido mercato al di fuori dell’Unione Europea.
A differenza di altri, io non temo troppo l’esercito greco. Certo, questo di solito si schiera dalla parte delle elites “compradore”, ma l’ultima cosa che l’Unione Europea vuole è un’altra giunta militare fascista al potere in una nazione europea. Inoltre, la reazione del popolo greco ad un colpo di Stato allo scoperto potrebbe essere molto imprevedibile. Penso che lo scenario più probabile che possa svilupparsi sia quello di un Maidan greco, seguito dall’accusa di brutalità da parte della polizia e da tutto quello che capita nelle tipiche rivoluzioni colorate. Alla fine della fiera, quello che succederà dipenderà in larga misura dall’atteggiamento che assumeranno Tsipras e il suo partito: se cercheranno di compiacere gli Euroburocrati, se faranno infinite concessioni e se agiranno come leali “Europatrioti”, allora saranno schiacciati. Ma se si appelleranno direttamente al popolo greco e gli spiegheranno che questa è una lotta di liberazione nazionale e che quello di cui loro hanno bisogno è sostegno popolare, aiuto e protezione, allora potrebbero anche vincere, specialmente se scegliessero di affrancarsi dall’Eurozona e chiedessero aiuto all’Unione Economica Euroasiatica o alla Cina. Spero di sbagliarmi, ma non ce lo vedo Tsipras osare qualcosa di così drammatico. Questo è perché io prevedo una rivoluzione colorata prossimamente.
Lo sapremo anche troppo presto. The Saker
Creare le condizioni per la caduta del governo di A. Tsipras è il modo indiretto con cui Stati Uniti e UE preferiscono influenzare le rotte energetiche del futuro attraverso i Balcani…
“Anche se la crisi del debito è un problema da ben prima che il Balkan Stream fosse concepito, ora è intimamente intrecciata al dramma della nuova Guerra Fredda energetica nei Balcani. La Troika vuole costringere Tsipras a capitolare sull’accordo del debito impopolare che sicuramente comporterebbe la rapida fine della sua premiership. In questo momento, il principale fattore che lega il Balkan Stream alla Grecia è il governo Tsipras, ed è interesse di Russia e mondo multipolare vederlo rimanere al potere fin quando il gasdotto sarà fisicamente costruito. Qualsiasi cambiamento improvviso o inatteso della leadership in Grecia potrebbe facilmente mettere in pericolo la sostenibilità politica del Balkan Stream e costringere la Russia a fare affidamento sull’Eastring, ed è per queste ragioni che la Troika vuole imporre a Tsipras un dilemma inestricabile. Se accetta le condizioni attuali del debito, allora perderà l’appoggio della base e probabilmente inaugurerà elezioni anticipate o cadrà vittima di una rivolta nel suo stesso partito. Dall’altra parte, se rifiuta la proposta e permette il default della Grecia, allora la catastrofe economica risultante potrebbe por termine al supporto della base e por fine prematuramente alla sua carriera politica. Perciò la decisione del referendum nazionale sull’accordo del debito è una mossa geniale, perché assicura a Tsipras la possibilità di sopravvivere all’imminente tempesta politica-economica con risultati democraticamente ottenuti (che sembrano predire il rifiuto del debito e imminente default). Con il popolo dalla sua parte (non importa quanto ristretto), Tsipras potrà continuare a presiedere la Grecia attraversando il prossimo preoccupante periodo d’incertezza. Inoltre, la continua gestione del Paese e i rapporti personali con i leader dei BRICS (soprattutto Vladimir Putin) potrebbe portare ad estendere una qualche forma di assistenza economica (probabilmente dalla Nuova Banca per lo Sviluppo dei BRICS da 100 miliardi di dollari o un’altrettanto grande riserva valutaria) alla Grecia dopo il prossimo vertice di Ufa ai primi di luglio, a condizione che possa continuare la leadership fino ad allora. Pertanto, il futuro della geopolitica energetica dei Balcani attualmente si riduce a ciò che accade in Grecia nel prossimo futuro. Mentre è possibile che un primo ministro greco diverso da Tsipras possa far progredire il Balkan Stream, la probabilità è significativamente inferiore a un Tsipras che rimane in carica. Creare le condizioni per la sua rimozione è il modo indiretto con cui Stati Uniti e UE preferiscono influenzare le rotte energetiche del futuro della Russia attraverso i Balcani, quindi ecco perché tale pressione su Tsipras in questo momento. La sua proposta di referendum chiaramente li ha colti di sorpresa, dato che la vera democrazia è praticamente sconosciuta nell’Europa di oggi, e nessuno si aspettava che si rivolgesse direttamente ai suoi elettori prima di prendere una delle decisioni più cruciali del Paese degli ultimi decenni. Attraverso questi mezzi, può sfuggire alla trappola da Comma-22 che la Troika gli ha teso e così salvare anche il futuro del Balkan Stream.
C’è di più nella proposta del gasdotto Eastring di quanto appaia, da qui la necessità di svelarne le motivazioni strategiche per comprenderne meglio l’impatto asimmetrico. E’ chiaro che Stati Uniti ed UE vogliono neutralizzare l’aspetto geopolitico che il Balkan Stream avrebbe ampliando la multipolarità nella regione, il che spiega il loro mutuo approccio nel tentativo di fermarlo. Gli Stati Uniti alimentano le fiamme della violenza nazionalista albanese in Macedonia ostacolando la prevista rotta del Balkan Stream, mentre l’UE comodamente propone una rotta alternativa attraverso i Balcani orientali unipolaristi quale predeterminata ‘via d’uscita’ alla Russia. Le forze euro-atlantiche cospirano nel tentativo di rovesciare indirettamente il governo greco attraverso un’elezione programmata o colpo di Stato per rimuovere Tsipras, sapendo che tale mossa infliggerebbe un colpo grave e immediato al Balkan Stream. Anche se non è chiaro cosa alla fine accadrà a Tsipras o ai piani dei gasdotti della Russia, in generale è inconfutabile che i Balcani siano diventati uno dei principali e reiterati focolai della nuova guerra fredda, e la concorrenza tra mondo unipolare e multipolare in questo teatro geostrategico è solo agli inizi.”
Restiamo assolutamente sbalorditi nell’apprendere quanto accaduto ieri sera [17 Ottobre u.s. – ndr]. La Commissione europea ha risposto a Rino Strano, referente per la Sicilia del WWF Italia per le problematiche inerenti al MUOS, che aveva sollecitato un suo intervento [più precisamente: si trattava di un’interrogazione presentata dai deputati europei Roberta Angelilli e Giovanni La Via, membri del Gruppo PPE al Parlamento Europeo – ndr]. La risposta porta la firma di Janez Potočnik, commissaria per l’Ambiente. Che, in buona sostanza, se ne lava le mani e scarica tutto sullo Stato italiano. Sottolineando come, le direttive UE possono essere derogate per questioni di Difesa nazionale. Peccato che il MUOS non abbia nulla a che fare con la Difesa del nostro Paese.
Questo il ragionamento europeo. Pur confermando che la Sughereta di Niscemi, dove si sta costruendo il MUOS, è un sito di importanza comunitaria (SIC), la Commissione sostiene che le direttive europee in materia impongono alle autorità nazionali competenti di “valutare se un progetto possa produrre incidenze significative sulle specie e sugli habitat interessati e autorizzarlo solo dopo aver accertato che non pregiudicherà l’integrità del sito.” La commissione afferma che, dalle informazioni in loro possesso, le autorità italiane hanno fatto uno studio e sulla base dei risultati ottenuti, hanno autorizzato l’installazione. Quindi nella lettera si passa alla citazione di articoli, paragrafi e commi che autorizzano “gli Stati membri a decidere di non applicare la direttiva a progetti destinati a scopi di difesa nazionale (difesa nazionale!). (Direttiva 2011/92/UE, nota come direttiva sulla valutazione dell’impatto ambientale o direttiva VIA)
Altra direttiva (la 2001/42/CE, nota come direttiva sulla valutazione ambientale strategica o direttiva VAS), citata dalla Commissione Europea, prevede che “i piani e i programmi destinati unicamente a scopi di difesa nazionale possano essere esclusi dall’applicazione delle sue disposizioni”. (ancora la difesa nazionale!!!)
“In conclusione, la Commissione, non ravvisa alcuna potenziale violazione delle disposizioni summenzionate.”
Una presa di posizione che lascia basiti gli esponenti dei Comitati No MUOS. Strano, ad esempio, sottolinea come la Commissione non faccia nessun accenno alla ripercussione sulla salute umana prodotta dalle 41 antenne già presenti nel sito di Niscemi (le stesse valutazioni dell’ARPA parlano di valori relativi all’emissione di elettromagnetismo al di sopra del livello massimo sopportabile dall’organismo umano (6Vm)).
E ancora: le 41 antenne della NRTF siano di uso esclusivamente USA e non NATO e che pertanto nulla hanno a che spartire con la “difesa” dell’Italia, anche perché, come più volte è stato ribadito, il MUOS ha il compito “primario” di telecomandare i droni di Sigonella (Catania) e come ben sappiamo i droni ”non sono strumenti di sorveglianza – afferma Strano – quanto di offesa contro nemici che si trovano a diverse migliaia di chilometri di distanza dall’Italia e che quindi non rappresenteranno nessuna minaccia per il nostro Paese.”
E’ inutile ricordare che, secondo la Costituzione Italiana, il nostro Paese non può e non deve ospitare strutture che possano essere utilizzate per la guerra ad altri Paesi… ma la nostra “bistrattata” Costituzione, a quanto pare, non gode più nemmeno della considerazione degli Stati membri della Comunità Europea…
Dinnanzi a questa decisione, non ci meraviglia che il Nobel per la Pace assegnato all’UE sia stato fortemente criticato. Pacifisti non ci sembrano proprio… Daniela Giuffrida
Alla vigilia delle elezioni europee gli elettori non stanno mostrando interesse per un Parlamento dalle funzioni limitate e confuse. Sovrastato da una “commissione” che funge da governo autocratico, i cui inamovibili rappresentanti sono designati dai governi. Nessun elettore ha mai scelto Solana o Barroso, ma è reale il rischio che i loro incarichi da vitalizi diventino… ereditari.
Il disinteresse è altresì rafforzato dalla tragicomica vicenda della Costituzione europea, due volte bocciata nelle urne dagli elettori, ma il responso è stato olimpicamente ignorato. Sarà approvata dai deputati nazionali, con raggiri e manovre di corridoi molto stretti. L’unica cosa chiara nell’Unione Europea (UE) alle prese con le raffiche gelide di un crollo del 5% della produzione, è l’indiscussa e totale autorità della Banca Centrale Europea: si impone ai parlamenti nazionali, a quello di Strasburgo e a tutti gli elettorati.
Questo è il veridico governo del blocco europeo, ridotto all’essenza scarnificata dell’utopia ultraliberista: mercato e moneta. Null’altro. Non ha una politica sociale, tantomeno una linea internazionale coerente perché è privo di una visione geo-politica nitida.
Senza una difesa autonoma propria perché ha scelto la subalternità agli Stati Uniti, quando rafforzò la camicia di forza della NATO, all’indomani dell’implosione dell’Unione Sovietica e della scomparsa del Patto di Varsavia.
L’integrazione europea, da quando è passata dalle mani dei pochi statisti di rilievo che la fondarono a quelle dei tecnocrati della finanza, si è svilita a mera applicazione di “5 macro-dogmi liberisti”, facendo un ardito salto acrobatico da 6 a 27 Paesi. Grandi quantità, statistiche, PIL, trionfalismi immotivati e zero visione strategica. Proprio nel momento in cui sta tramontando l’unipolarismo e – con esso – la supremazia “occidentale”.
(…)
L’Europa non ha materie prime e neppure l’energia. Per il petrolio dipende dai Paesi arabi e per il gas dalla Russia, ciononostante promuove una politica estera anti-araba ed agressivamente anti-russa.
La dipendenza energetica è un dato di fatto del blocco europeo, come pure la necessità della coperazione con i russi per le forniture di gas. Come si spiega allora il velleitarismo di incorporare l’Ucraina e la Georgia nella NATO? Come si giustificano le provocatorie manovre della NATO in corso nel Caucaso?
E’ una contraddizione schizofrenica tra obiettivi e strumenti per ottenerli, tra proiezione geo-politica ed iniziativa militare che – ahinoi – non è sovrana né autonoma. L’UE è ostaggio delle fobie anti-russe non solo dei polacchi e dei cechi, ma persino delle micro-repubbliche del Baltico. Per di più, la versione osé dell’atlantismo è immutata dal tempo dei Bush.
E’ come se non fosse accaduto nulla. Non hanno assimilato che lo scacco degli Stati Uniti in Iraq ha comportato la perdita definitiva del feudo sudamericano. Che perderá l’UE con la barcollante avventura atlantista in Afghanistan? Con ogni probabilitá, il ritorno della questione sociale al centro del dibattito pubblico e la ripresa della lotta di classe.
La “Commissione” di Bruxelles è ondivaga e non riesce a coniugare gli interessi concreti dell’Europa con quelli di un traballante egemonismo assoluto che gli Stati Uniti cercano di resuscitare con la NATO. Gli Stati Uniti Occidentali o “grande mercato trans-atlantico” sono una chimera da incubo.
(…)