
Bell’articolo che mette soprattutto alla berlina la tanto osannata “equità” massmediatica di certi telegiornali ipocriti e finto-sinistroidi, e soprattutto la “profondità” di certa satira “di sinistra”.
(dal commento di Ladygagarin)
La tecnica degli uni e degli altri, intendendo i media di destra e sinistra e i loro padrini, è quella collaudata di buttare nella stessa zuppa mediatica le capre e i cavoli. I cavoli ogm delle “rivoluzioni colorate” o “dei fiori” (Iran, Tibet, Georgia, Serbia…) mescolate alle capre DOC delle insurrezioni contro tiranni servi dell’Impero e zimbelli del FMI globalizzante. Con la nobiltà e la sincerità delle seconde cercano di coprire il mercenariato vendipatria delle prime. E in questa brodaglia, resa tossica dalla contaminazione con la mutazione genetica, ci sguazzano tutti: i soliti amici del giaguaro, i soliti utili idioti (o finti tali) e, ahinoi, la maggioranza bue del popolo. Esplicitando: coprono con le insurrezioni di massa, spontanee o piuttosto innescate ed alimentate da anni di lavorio sotterraneo di gruppi antagonisti repressi, cioè con l’autentica primavera araba in Egitto, Iraq, Tunisia, Yemen, Bahrein, Somalia, Giordania, Marocco, le operazioni sporche, per quanto “colorate”, con gran tempismo organizzate dalla criminalità organizzata detta “comunità internazionale”, una percentuale infima dell’umanità, ma dotata del quasi monopolio dell’informazione e del controllo di menti e corpi. Danno, così, un’immagine seducente alle carognate di Impero e ascari al traino, appiccicandovi il logo e gli slogan della rivoluzioni che contro l’impero e la sua globalizzazione della miseria e sottomissione lottano.
L’elemento tragicamente funzionale per questo contesto sono i trogloditi dell’informazione “di sinistra” che vestono la propria decerebrazione, o criptocomplicità, con le candide tuniche del moralismo dirittoumanista. Una furbata imperialista che, accoppiata alla “guerra al terrorismo” e alle manette della nonviolenza, è servita negli ultimi vent’anni a far fuori buona parte del quadrante geopolitico resistente all’imperialismo: Jugoslavia, Serbia, Iraq, Afghanistan, Honduras, Palestina, Pakistan, come a tenere in piedi narcostati e satrapie clienti, dal Messico all’Egitto, dal Kosovo alla Colombia, dall’Indonesia alle Filippine. Eccelle per imbecillità nella colonna di cavernicoli che lubrificano il rullo dei bulldozer mediatico-militare occidentale, tale Gennaro Carotenuto. E’ seccante fargli pubblicità, anche negativa, ma mi serve come modello per tutta una vociferante, spocchiosa, disinformata, ipocrita, quinta colonna che, ahinoi, vantando qualche credibilità tra l’incolto e l’inclita per meriti genericamente umanitari, spesso autoassegnatisi all’ombra di figure di autentico valore, fa più danno alla verità e, dunque alla coscienza e all’azione liberatrici, dello stesso uragano di menzogne sollevato dal nemico evidente. Sono il tarlo che mina il mobile dall’aspetto integro, sono la tarma che ti fa ritrovare il bel maglione tutto sforacchiato, sono il roditore che corrode la pianta alla radice.
Questo Carotenuto coltiva un certo pubblico interessato all’America Latina, di cui, mescolando verità scontate e le classiche stronzate degli ipocriti dai distinguo grilloparlanteschi, si proclama esperto. Dopo aver infangato della sua bigotta religione dei “diritti umani”, versione cattolico-dalailamesca-obamiana, ogni movimento che allo sterminio imperiale si oppone con un minimo di forza, ora, sulla Libia, sbertuccia l’intero mondo progressista e rivoluzionario dell’America Latina. La colpa dei vari Chavez, Lula, Ortega, Kirchner, Castro, come delle coalizioni latinoamericane, Mercosur, Unasur, sorte in reazione all’assalto neoliberista e militare di USA-UE, e dei loro media Telesur, La Jornada, Pagina 12, Resumen, sarebbe di non essersi inseriti nella gigantesca campagna di disinformazione di Cia e Mossad e relativi velinari e di avergli fatto il controcanto della verità.
Meglio Minzolini o il Manifesto, con la loro rappresentazione dei fatti libici come la carneficina del suo popolo da parte di un tiranno sanguinario, uscito di senno. Meglio inondare la gente delle atrocità inventate a carico di un governo sotto assalto da parte di bande guidate e armate da chi non tollera neanche quel grado di indipendenza nazionale che consiste in una collaborazione economica senza costi di sovranità e senza vampirismo sociale, che non la “stolta analisi ideologica e geopolitica” degli avvenimenti fatta da quegli incompetenti dell’antimperialismo di Chavez, Evo, o Fidel. Come se non fosse proprio quell’analisi di chi la prestidigitazione dei predatori la sperimenta – e smaschera – da decenni, a sgretolare l’edificio di fango e di menzogne costruito dagli agenti immobiliari della cementificazione imperiale. Avessimo noi una Telesur, una Jornada e i tanti altri organi d’informazione del Sud del mondo. E invece abbiamo chi il cervello di informatore lo porta all’ammasso e il petto agli elargitori di medaglie ai bravi ragazzi. Tipo Fazio e Saviano.
Lasciamo perdere questo galoppino alla rincorsa di credibilità in ambito benpensante, le cui eclatanti scemenze alla fin fine tolgono forza al mulino dei liquami tossici e dedichiamo una parola al Manifesto. Mai s’era visto in un giornale una tale strepitosa opposizione sui fatti libici, nelle medesime pagine, tra versioni di segno contrario.
Da un lato bravi giornalisti, della scuola di Stefano Chiarini, che combinano la visione della realtà sul posto, Matteuzzi a Tripoli, in tutte i suoi chiaroscuri, con l’analisi di Manlio Dinucci, uno che meglio di tutti studia e illustra i meccanismi geopolitici e geostrategici dell’imperialismo alla riconquista di paesi, risorse, mercati; dall’altro, le quinte colonne della lobby, Rossanda, Sgrena, Forti, Lettera 22, Battiston, impegnate in tutte le aree di scontro tra popoli e aggressori a sostenere le ragioni umanitarie e “democratiche” della piovra imperialista. Come pensi la direttrice, Norma Rangeri, a offrire in tal modo ai suoi sconcertati e quindi fuggitivi lettori strumenti di conoscenza, riflessione, azione, resta un mistero.
Li vediamo dappertutto i limiti di queste fonti alle quali tocca abbeverarsi all’affannosa ricerca di qualche barbaglio di verità. Il guerrafondaio e ballista Nigro, di Repubblica, che ci vuol far credere che i funzionari di Gheddafi l’avrebbero accompagnato a intervistare i rivoltosi nella Zawiya da loro occupata, per poi, tutti contenti, andarlo a riprendere tra i nemici e riportarlo nell’albergo di Tripoli (e, coerentemente, nella pagina a fianco, il titolo “Menghistu, Bokassa e gli altri, così l’Africa salva i suoi dittatori” e giù contumelie razziste contro i governanti africani, sorvolando su chi, avendo ammazzato gente come Lumumba o Sankara e carcerato Mandela, ha installato questi suoi clienti); Santoro che sulla Libia ci rifila un logoro e sputtanato arnese del peggiore razzismo militarista come Luttwack; Fazio che, in pieno raptus savianeo-sionista, rasenta l’orgasmo a sentire squittire il gioiello della satira coprofila e sessuomane, Littizzetto, i borborigmi della propaganda sul “pazzo furioso” di Tripoli, sui suoi 50 cavalieri berberi, sulla sua tenda a Villa Pamphili, sui suoi fantasiosi addobbi. Perchè, anzichè esibire la sua anticultura razzista su turbanti, cavalieri e tenda, astuti gesti simbolici di rivalsa nei confronti degli ex-colonizzatori, la pierre del “walter” e della “jolanda” non si occupa del satrapo inghirlandato e ingioiellato del Vaticano, delle scintillanti uniformi dello sterminatore Balbo, delle grottesche sconcezze di Dolce e Gabbana, o delle smaglianti fattorie dei coloni italiani che nelle tende dei campi di concentramento e di sterminio del governatore Graziani, modello copiato agli inglesi e proposto ai nazisti, ridussero e uccisero metà della popolazione libica?
Se vi va di stare nel calduccio del coro dallo spartito obbligato, sbeffeggiate pure Gheddafi per le sue eccentricità di modi e vesti, infierite dall’alto della vostra aristocratica democrazia sull’assenza di partiti e sulle astruserie della costruzione statale, rampognate gli episodi di dura repressione, sdegnatevi delle piroette di un rivoluzionario anticoloniale che si riduce a condividere consigli d’amministrazione e pozzi con gli avvoltoi del capitalismo (che altrimenti gli avrebbero reso il paese come l’Iraq o Haiti). Ma, magari, confrontate la vita di un qualunque libico, beduino o operaio, scolaretto o infermo, omosessuale o donna, con quella del fratello arabo e africano della porta accanto. Studiatevi il Libro Verde e rintracciatevi Marx e Gramsci, Averroè e Fidel. Affiancate i burka di Bengasi alle donne della scorta di Gheddafi, o dell’università di Tripoli. Giudicate chi ha conquistato più dignità, la Libia di Gheddafi o quella del Senussi accovacciato ai piedi della Regina. Pensate all’indefesso lavoro di Gheddafi, creatore dell’Unione Africana – e di questa è espressione la legione dei “mercenari”, per unire il continente in un fronte politicamente ed e conomicamente in grado di constrastare i monopoli occidentali del potere. E poi immaginate cosa di quel popolo fiero e ricco faranno gli F16, i carri Abraham, gli azionisti della Shell e le immancabili mafie di armi, droga ed ecocidio nella loro marcia da Tripoli a Pretoria. Altro che Graziani.
Noi ci vantiamo di obbedire alla sacra legge “non avrai altro dio all’infuori di me”, o “chi non ama Gesù nei suoi ottantanni va all’inferno per l’eternità”. Legge più orrida di quella sul fine-vita che va allestendo la coppia santo satrapo-guitto mannaro. Gheddafi, tuttavia, ci ha offerto l’arma di distrazione di massa: “Chi non ama Ghedddafi deve morire”, gli è stato fatto dire nella Piazza Verde da un squinternato interprete. E se con Gesù la pistola alla tempia dei mortali è almeno maneggiata dal divino, con Gheddafi è in mano a un delirante psicopatico.Peccato che poi siamo rimasti inchiodati al familiare ricatto cristiano allorchè la traduzione corretta è risultata: “Se il popolo non lo ama più, Gheddafi deve morire”. Pensate a quali mezzucci da tre carte ricorre questo giornalismo gigolò.
Del resto, per il razzismo eurocentrico che accomuna nella stessa visione di valori destre e “sinistre”, non c’è governante che si opponga al cannibalismo della “civiltà superiore” il quale non sia folle, non assomigli a Hitler, non deliri: Milosevic, Saddam, Castro, Chavez, Nasrallah, Ahmadi Nejad… Basterebbe un minimo di rispettoso approfondimento delle culture in questione per rendersi conto che nei discorsi di costoro, espressi nell’oratoria delle proprie tradizioni, il “delirio” e la “follia” sono la denuncia dei complotti e crimini imperialisti, l’affermazione di come stanno veramente le cose, la determinazione a resistere. Si sono mai sentite dai rivoluzionari o resistenti citati le davvero demenziali inversioni tra realtà e falsità, di atti e intenzioni, ontologicamente proprie di illusionisti come Berlusconi, Bush, Obama, Blair, Ratzinger?
In ogni modo ci deve essere, oltre all’insipienza maturata nella lunga contiguità all’ideologia del padrone, una buona dose di malafede in chi non scorge l’evidenza abbagliante della ripetitività delle grandinate di menzogne e calunnie nell’era della restaurazione coloniale. Paesi sottratti al dominio del socialismo reale, a lavoro, sanità, istruzione per tutti, al benessere dignitoso, così vengono consegnati al cannibalismo della globalizzazione neoliberista, a partire dall’invenzione dei “trucidati” da Ceausescu a Timisoara (cadaveri sottratti all’obitorio); dalla Jugoslavia anti-NATO e antiliberista fatta a pezzi con la bufala della “pulizia etnica” e di Sebrenica; dall’Iraq cancellato dalla geografia umana grazie alle fandonie dei “neonati del Kuweit strappati alle incubatrici”, delle armi di distruzione di massa, dei curdi gassati; fino all’Honduras golpizzato perchè un presidente avvicinatosi al processo liberatore dell’ALBA “voleva farsi presidente a vita”…
(…)
Da Libia, arrivano i loro. Invece in Iraq…, di Fulvio Grimaldi.
[grassetto nostro]
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