E Monroe disse: l’America agli americani

perroneDi Antonio Carioti

Nel 1823, a quarant’anni dalla vittoria nella guerra d’indipendenza, gli USA erano composti di 24 Stati: la marcia verso Ovest era appena iniziata. Eppure a Washington si guardava lontano e non solo verso la costa del Pacifico. Proprio allora il presidente James Monroe, esortato e sorretto dal segretario di Stato John Quincy Adams, enunciò la sua famosa dottrina, per cui le potenze europee dovevano tenersi alla larga da tutto il continente americano.
In quegli anni le ex colonie spagnole d’America stavano conquistando l’indipendenza, ma si temeva che la Santa Alleanza (Francia, Russia, Austria e Prussia) intervenisse per ripristinare il dominio di Madrid dal Messico a capo Horn. Monroe disse un no chiaro e tondo, ma secondo Maldwyn Jones, autore di un’importante Storia degli Stati Uniti (Bompiani), la sua dichiarazione «non ebbe effetti immediati» e, anche negli Stati Uniti, venne «praticamente dimenticata per un’intera generazione»: chi dissuase la Santa Alleanza fu la Gran Bretagna, che vedeva nell’America Latina un terreno propizio per i suoi commerci.
Nico Perrone la pensa diversamente. Nel libro Progetto di un impero (La Città del Sole) sostiene che dietro la «dottrina Monroe» c’era una visione lucida, che gli Stati Uniti avrebbero attuato con coerenza fino a stabilire un protettorato di fatto su tutto l’emisfero occidentale. Anche se nel 1823 gli Usa avevano ancora il problema «di consolidarsi in tutti gli aspetti della vita politica e delle relazioni internazionali», la «base teorica» della loro proiezione imperiale prendeva forma e si dava una robusta giustificazione ideologica, in nome dell’autodeterminazione dei popoli e della libertà degli scambi economici.
A suffragio della sua tesi, Perrone ha condotto una ricerca sugli indici delle Borse di Londra e Parigi, da cui risulta che gli operatori finanziari intuirono l’importanza di quanto era avvenuto. Quando la notizia del discorso di Monroe giunse in Europa (fine dicembre del 1823), i titoli sudamericani presero immediatamente a salire e quelli spagnoli a scendere: un andamento che proseguì fino al 1825. I mercati azionari scommettevano sugli Stati di nuova indipendenza e contro i vecchi colonizzatori.
Forse però l’autore esagera nel ravvisare «una corale volontà nazionale» di espansione esterna nella storia degli Usa, che hanno conosciuto anche l’insorgere di forti correnti isolazioniste: del resto lo stesso Monroe dichiarò la non interferenza di Washington negli affari europei. E senza la vittoria del Nord industriale sul Sud agricolo nella guerra civile (1861-65) difficilmente la dottrina Monroe avrebbe avuto gli sviluppi che produsse più tardi, specie con il «corollario» di Theodore Roosevelt (1904), che teorizzò il diritto d’intervento degli USA nei Paesi latinoamericani incapaci di far fronte ai propri impegni.
Detto questo, va riconosciuto a Perrone il merito di aver condotto un lavoro certosino per ricostruire una vicenda molto citata, ma non altrettanto conosciuta. Di notevole interesse sono anche le sue pagine sull’influenza della massoneria nella vita americana: essa portò per reazione alla nascita di un movimento antimassonico, di cui Quincy Adams si avvalse per vincere le presidenziali del 1824. Curioso è anche notare che, mentre oggi le logge sono associate a uno stile politico elitario, il massone (gran maestro del Tennessee) Andrew Jackson, che venne sconfitto da Adams, ma si prese la rivincita nel 1828, fu il primo presidente Usa «che non provenisse da una famiglia aristocratica e non avesse studiato in scuole prestigiose».

Nico Perrone, Progetto di un impero. 1823. L’annuncio dell’egemonia americana infiamma la Borsa
La Città del Sole, pagine 218, € 20

Fonte

Nel mirino di Washington

Di Maurice Lemoine, da Le Monde Diplomatique Brasil, anno 3 numero 31 Febbraio 2010, pp. 6-7.

Tendenza del dopo-Guerra Fredda, gli Stati Uniti sono passati da una strategia di contenimento del rivale sovietico alla ricerca dell’egemonia planetaria. Le nuove tecnologie militari non esigono più basi gigantesche, ma una densa rete di punti di appoggio previamente posizionati. Ed è qui che entrano in gioco i colombiani

“I problemi della Colombia si estendono ben oltre le sue frontiere e hanno implicazioni per la sicurezza e la stabilità regionali”, dichiarò, nell’Agosto 1999, l’allora Segretario di Stato USA Madeleine Albright. Il 13 Luglio dell’anno seguente, il presidente Bill Clinton ed il suo collega colombiano Andrés Pastrana si accordarono per firmare il Piano Colombia, destinato a farla finita con il narcotraffico e le guerriglie. Senza molta partecipazione, il Congresso Nazionale di Bogotà ebbe diritto soltanto a consultarne un testo parziale ed in inglese!
Un decennio più tardi, la Colombia ha già ricevuto più di 5 miliardi di dollari di aiuto statunitense, essenzialmente di carattere militare. E, dall’arrivo al potere di Alvaro Uribe, nel 2002, già molto sangue è scorso sotto i ponti. Il presidente promise una “vittoria rapida” sui ribelli dell’Esercito di Liberazione Nazionale
(ELN) e principalmente sulle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Ed a credere ai bilanci divulgati dall’Esercito Colombiano, il presidente ha vinto ampiamente. A titolo di esempio, nel 2007 egli affermava di aver catturato più di 6.500 guerriglieri e di averne uccisi più di tremila ? cifre che, anno dopo anno, continuano similmente. Oltre a ciò, diceva che il programma di smobilitazione, tra il 2002 e Maggio 2008, abbia colpito circa 15mila persone, tra cui 9mila membri delle FARC. Dunque: sapendo che le FARC sono state sempre stimate in 15mila combattenti, secondo la contabilità di Uribe, esse avrebbero dovuto necessariamente sparire dalla circolazione! O no? Continua a leggere

Aree di responsabilità

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All’inizio del ventunesimo secolo, il Pentagono ha completato la divisione del pianeta in “aree di responsabilità” militari attribuite a Comandi Supremi. Niente chiarisce l’ambizione egemonica a stelle e strisce meglio dell’elencazione di queste cinque – poi diventate sei – zone, che coprono tutto il Pianeta e partecipano direttamente al controllo dell’Eurasia. Essendo quest’ultima la vera posta in palio, a partire dalla dottrina Brzezinski fino agli ideologi neoconservatori William Kristol e Lawrence Kaplan i quali affermano testualmente: “La nostra supremazia non può essere mantenuta a distanza. L’America deve al contrario considerarsi sia una potenza europea, sia una potenza asiatica, sia – beninteso – una potenza mediorientale”.
Ebbene, due di questi comandi supremi non sono rilevanti per il nostro discorso. Il primo, il Comando Nord (NORTHCOM), copre il continente nordamericano ed una zona fino a cinquecento miglia marine dalle coste. Il secondo, il Comando Sud (SOUTHCOM), continuazione della vecchia Dottrina Monroe, copre l’America centrale, i Caraibi e l’insieme dell’America meridionale; controlla inoltre il Golfo del Messico, le acque territoriali prospicienti alle coste ed una parte dell’Oceano Atlantico.
Gli altri comandi ci interessano più direttamente, in particolare il terzo, il Comando Europa (EUCOM), la cui area di responsabilità non si limita all’Unione Europea ma include la zona balcanica, Ucraina, Bielorussia, il Caucaso e la Russia fino a Vladivostock. L’EUCOM, rispetto agli altri Comandi, ha una peculiarità: i suoi legami con la NATO. Il comandante dell’esercito statunitense in Europa è infatti anche il comandante supremo delle forze inquadrate nella NATO. Questo doppio comando sempre attribuito ad un alto ufficiale statunitense integra la NATO nella struttura del Pentagono e quindi nella strategia egemonica globale degli USA. Un rapporto di dipendenza che viene ribadito in un documento ufficiale dell’EUCOM quando afferma che “la trasformazione dell’EUCOM sosterrà la trasformazione della NATO”.
Il quarto è il Comando di Centro (CENTCOM) che comprende l’Egitto, il Vicino e Medio Oriente sino al Pakistan e le repubbliche dell’Asia centrale. E’ il comando che conduce le operazioni attualmente in corso in Irak ed Afghanistan, in collaborazione con la NATO.
Il quinto è il Comando Pacifico (PACOM) che ingloba l’India, il Sud-est asiatico, la Cina, il Giappone e le isole del Pacifico. La sua zona marittima si estende dalla costa occidentale del continente americano alla costa orientale dell’Africa, dall’Artico all’Antartico. Può essere considerato la zona cruciale del dispiegamento, per lo spazio che copre, perché ospita il 60% della popolazione mondiale e le sei forze armate più consistenti per numero di effettivi: Cina, India, Russia, Stati Uniti e le due Coree.
Una sesta zona di comando è stata creata nel 2007 per l’Africa. L’AFRICOM dovrebbe diventare operativa entro il 2008, coprendo tutto il continente nero tranne l’Egitto. E’ l’evidente segnale che l’Africa, a causa soprattutto della penetrazione cinese, è oggi una vera posta strategica, non distinta però dall’area eurasiatica, e lo dimostra il fatto che la sede del suo comando si trova in Germania, a Stoccarda, sede anche dell’EUCOM.