Nel 1823, a quarant’anni dalla vittoria nella guerra d’indipendenza, gli USA erano composti di 24 Stati: la marcia verso Ovest era appena iniziata. Eppure a Washington si guardava lontano e non solo verso la costa del Pacifico. Proprio allora il presidente James Monroe, esortato e sorretto dal segretario di Stato John Quincy Adams, enunciò la sua famosa dottrina, per cui le potenze europee dovevano tenersi alla larga da tutto il continente americano.
In quegli anni le ex colonie spagnole d’America stavano conquistando l’indipendenza, ma si temeva che la Santa Alleanza (Francia, Russia, Austria e Prussia) intervenisse per ripristinare il dominio di Madrid dal Messico a capo Horn. Monroe disse un no chiaro e tondo, ma secondo Maldwyn Jones, autore di un’importante Storia degli Stati Uniti (Bompiani), la sua dichiarazione «non ebbe effetti immediati» e, anche negli Stati Uniti, venne «praticamente dimenticata per un’intera generazione»: chi dissuase la Santa Alleanza fu la Gran Bretagna, che vedeva nell’America Latina un terreno propizio per i suoi commerci.
Nico Perrone la pensa diversamente. Nel libro Progetto di un impero (La Città del Sole) sostiene che dietro la «dottrina Monroe» c’era una visione lucida, che gli Stati Uniti avrebbero attuato con coerenza fino a stabilire un protettorato di fatto su tutto l’emisfero occidentale. Anche se nel 1823 gli Usa avevano ancora il problema «di consolidarsi in tutti gli aspetti della vita politica e delle relazioni internazionali», la «base teorica» della loro proiezione imperiale prendeva forma e si dava una robusta giustificazione ideologica, in nome dell’autodeterminazione dei popoli e della libertà degli scambi economici.
A suffragio della sua tesi, Perrone ha condotto una ricerca sugli indici delle Borse di Londra e Parigi, da cui risulta che gli operatori finanziari intuirono l’importanza di quanto era avvenuto. Quando la notizia del discorso di Monroe giunse in Europa (fine dicembre del 1823), i titoli sudamericani presero immediatamente a salire e quelli spagnoli a scendere: un andamento che proseguì fino al 1825. I mercati azionari scommettevano sugli Stati di nuova indipendenza e contro i vecchi colonizzatori.
Forse però l’autore esagera nel ravvisare «una corale volontà nazionale» di espansione esterna nella storia degli Usa, che hanno conosciuto anche l’insorgere di forti correnti isolazioniste: del resto lo stesso Monroe dichiarò la non interferenza di Washington negli affari europei. E senza la vittoria del Nord industriale sul Sud agricolo nella guerra civile (1861-65) difficilmente la dottrina Monroe avrebbe avuto gli sviluppi che produsse più tardi, specie con il «corollario» di Theodore Roosevelt (1904), che teorizzò il diritto d’intervento degli USA nei Paesi latinoamericani incapaci di far fronte ai propri impegni.
Detto questo, va riconosciuto a Perrone il merito di aver condotto un lavoro certosino per ricostruire una vicenda molto citata, ma non altrettanto conosciuta. Di notevole interesse sono anche le sue pagine sull’influenza della massoneria nella vita americana: essa portò per reazione alla nascita di un movimento antimassonico, di cui Quincy Adams si avvalse per vincere le presidenziali del 1824. Curioso è anche notare che, mentre oggi le logge sono associate a uno stile politico elitario, il massone (gran maestro del Tennessee) Andrew Jackson, che venne sconfitto da Adams, ma si prese la rivincita nel 1828, fu il primo presidente Usa «che non provenisse da una famiglia aristocratica e non avesse studiato in scuole prestigiose».
Nico Perrone, Progetto di un impero. 1823. L’annuncio dell’egemonia americana infiamma la Borsa
La Città del Sole, pagine 218, € 20