Trump, Syriza & Brexit provano che il voto è solo una piccola parte della battaglia


Di Neil Clark per rt.com

Se il voto cambiasse qualcosa, l’avrebbero abolito. Potrebbe sembrare un po’ scontato ma considerate questi eventi recenti.
Nel gennaio del 2015, il popolo greco, malato e stanco di austerità e di un modello di vita frenetico, ha votato per Syriza, un partito radicale anti-austerità. La coalizione della sinistra, che era stata costituita solo undici anni prima, ha conseguito il 36,3% del voto e 149 dei 300 posti del Parlamento ellenico. Il popolo greco aveva ragionevoli speranze che il suo incubo di austerità finisse. La vittoria di Syriza è stata salutata dai progressisti in tutta Europa.
Ma cosa è successo?
E’ stata applicata dalla “Troika” pressione sulla Grecia per accettare condizioni onerose per un nuovo salvataggio. Syriza si è rivolto alla gente nel giugno 2015 per chiederle direttamente in un referendum nazionale se dovessero accettare i termini.
“Domenica non stiamo semplicemente decidendo di rimanere in Europa, stiamo decidendo di vivere con dignità in Europa”, dichiarò Alexis Tsipras, leader di Syriza. Il popolo greco ebbe doverosamente a concedere a Tsipras il mandato che aveva chiesto e respinse i termini del salvataggio con il 61,3% di ‘No.’
Tuttavia, poco più di due settimane dopo il referendum, Syriza accettò un pacchetto di salvataggio che conteneva tagli più alti delle pensioni e maggiori aumenti di imposta rispetto a quello offerto in precedenza.
Il popolo greco avrebbe potuto starsene comodamente a casa dato che il voto non ha fatto grande differenza.
Molti sostenitori di Donald Trump negli Stati Uniti la pensano senza dubbio allo stesso modo. Continua a leggere

Democrazia vs Oligarchia

Un luogo comune stancamente e pigramente ripetuto fa nascere la “democrazia” nell’antica Grecia e più in particolare nell’antica Atene, scriveva nel 2006 il compianto Costanzo Preve nel suo “Elogio del comunitarismo”

“…si trattava di una democrazia non tanto caratterizzata dal formalismo procedurale, che pure era presente, ma da un fatto sostanziale e contenutistico, e cioè dalla prevalenza del demos, che era certamente anche un corpo elettorale attivo e passivo, ma che era soprattutto l’insieme sociale dei più poveri, come del resto Aristotele dice in modo chiarissimo e inequivocabile. La democrazia greca era dunque non una forma di “sanzione giuridica” della disuaglianza sociale più estrema, come è oggi nella sua caricatura occidentalistica, ma era una forma di “intervento politico correttivo” su questa disuguaglianza. Ed infatti, i democratici antichi lo capivano benissimo, perché la forma politica contraria cui si opponevano era appunto l’oligarchia, il dominio dei pochi che erano anche i più ricchi.
Il contrario della democrazia era dunque l’oligarchia, e solo l’oligarchia. Solo dopo le guerre persiane, e soprattutto durante la preparazione ideologica dell’aggressione di Alessandro il Macedone contro l’impero persiano, l’opposizione ideologica fu simbolicamente “spostata”, e la dicotomia non fu più Democrazia contro Oligarchia, ma diventò Libertà dei Greci contro Tirannide Orientale. Tutti gli storici dell’antichità conoscono ovviamente questo spostamento ideologico, ma in genere lo sottovalutano. E questo non è un caso, perché la recente polemica ideologica del liberalismo moderno contro il dispotismo feudale, signorile, assolutista e religioso viene retrodata simbolicamente all’antichità classica. Il nemico della democrazia non è più lo scatenamento oligarchico della ricchezza illimitata e incontrollata, la cui dinamica porta infallibilmente alla dissoluzione di ogni comunità, ma è il sovrano orientale di Persepoli. Qualcosa del genere, come si sa, accadde anche nel secolo appena trascorso, in cui il nemico della democrazia era la tirannia comunista, non la concentrazione oligarchica delle ricchezze finanziarie.
Il fatto più curioso e paradossale in questo spostamento sta in ciò, che proprio quando il nemico della democrazia non era più l’oligarchia, bensì il dispotismo orientale, la democrazia stessa era finita, e i nuovi dispotismi, prima dei regni ellenistici e poi dell’impero romano, si imponevano svuotando di ogni contenuto la decisione politica delle comunità democratiche. E come oggi il cosiddetto “capitalismo compassionevole” si candida a sostituire il welfare state, allo stesso modo allora al posto della decisione politica comunitaria in favore del demos si imponeva la pura beneficenza dall’alto (everghetismo).”

Perché e quando votare, perché e quando astenersi

democrazia-italia_530X0_90

La retorica di questa “democrazia” – accettata acriticamente dal comune senso politico – dice che quello del voto è il momento in cui ognuno di noi può decidere e, perfino, scegliere chi deve rappresentare le nostre idee e i nostri interessi nelle istituzioni. Il risultato di queste libere elezioni darà alla maggioranza il potere di decidere e di governare.
Questa “democrazia”, dunque, si compendia 1) nella libertà di scegliere, 2) nel principio che è la maggioranza a decidere.
La realtà è stata sempre molto diversa, e oggi questa diversità è assolutamente evidente.
In questo momento abbiamo di fronte due scadenze in cui siamo chiamati ad esprimere il nostro voto: tra qualche mese, a ottobre, per il referendum sullo stravolgimento della Costituzione e sulla nuova legge-truffa elettorale e, a breve, tra qualche giorno, per le elezioni amministrative.
Si tratta, però, di due cose molto diverse tra loro.
Vediamole una per volta. Continua a leggere

Elezioni USA e dintorni

Dal meno peggio al sempre peggio, dal tanto peggio al tanto meglio.
Ma dalla Sicilia alla California l’astensionismo conquista o sfiora la maggioranza

“Caro Lucio – recita l’e-mail – conosciamo i tuoi spunti critici sulla nostra opera di governo degli ultimi quattro anni e ne terremo conto nel nostro secondo mandato. Il tuo sostegno è comunque essenziale al fine di tradurre in realtà quei programmi che l’emergenza della crisi economica ereditata dalla precedente amministrazione e l’accanita opposizione repubblicana nella Camera dei rappresentanti ci hanno in parte impedito di attuare. Facciamo affidamento pertanto sul tuo voto il 6 novembre e prima ancora sul tuo contributo economico alla fase conclusiva della campagna elettorale. F.to: Barack Obama”.
Non ci siamo mai sognati di chiedere la cittadinanza statunitense nei trentotto anni trascorsi nella repubblica stellata e in quanto stranieri non abbiamo il diritto di voto nel grande impero d’occidente e anche se volessimo non potremmo contribuire un solo dollaro alla campagna di Obama o del suo avversario. Sospettiamo che più di un malinteso si sia trattato di uno scherzo fattoci da un caro amico newyorkese da anni residente in Italia, D.S., obamista di ritorno, che dopo averci fatto pervenire altri inviti dalla Casa Bianca (con soli 19 dollari il nostro nome sarebbe stato estratto a sorte per un invito a cena con il Presidente), ci abbia segnalato come cittadino americano “critico”, residente all’estero, a qualche funzionario democratico di Washington. Perché la tesi di D.S. è quella più semplice e più in voga da almeno due mesi a questa parte: definire Romney-Obama “un mostro a due teste” è da sofisti intellettualmente disonesti, perché Barack è meglio di Mitt e anche per i disillusi è il meno peggio dei due.
Ci risiamo: votare per il meno peggio, anche se l’esperienza degli ultimi quaranta anni negli Stati Uniti e in Europa ha dimostrato che il meno peggio ha portato sempre al peggio. Continua a leggere

Tampa e Charlotte: due recitativi diversi

Una sola Convenzione: quella dell’uno per cento.
Presidenti delle grandi corporazioni, banchieri, petrolieri, speculatori finanziari con centinaia di lobbisti al seguito a convegno nelle due città per rafforzare con finanziamenti ormai senza limiti il loro controllo su Casa Bianca e Congresso quale che sia l’esito elettorale di novembre.
Le elargizioni multimilionarie premiavano fino a ieri i repubblicani, poi si sono spostate sui democratici come hanno confermato i sondaggi.

“How much is that doggie in the window, the one with the waggley tail?” – cantava Patty Page negli anni ’50 e ’60 e quell’interrogativo “Quanto costa quel cagnolino in vetrina, quello che scodinzola?” è affiorato più volte nella memoria di un ottuagenario mentre seguiva su Sky International, CNN e, grazie a internet, sulla ABC e NBC la convenzione repubblicana di Tampa e quella democratica a Charlotte. Che i due eventi abbiano assunto da più di un ventennio il ruolo di semplici vetrine dove vengono esposti i prodotti di scelte predeterminate in altre sedi, anche ma non solo nelle primarie, è un dato di fatto da tutti accettato nella repubblica stellata: i prodotti, le candidature cioè alla Casa Bianca e indirettamente al congresso e al governo di un terzo degli stati, vengono promossi con dispendiose coreografie, interventi roboanti e trucchi scenici per riaccendere l’interesse dell’elettorato sulle consultazioni popolari del primo martedì di novembre. E poi l’ostentazione di una granitica adesione dei due partiti – inesistenti nell’accezione europea ma negli USA solo movimenti di opinione in evidenza ogni quattro anni – alle scelte già fatte dei candidati.
Prima di tornare al tema della canzonetta sul costo dei cagnolini scodinzolanti in vetrina, alcune osservazioni non certo marginali vanno fatte sulle due kermesse di Tampa e Charlotte. Continua a leggere

Hanno sfidato una tempesta di sabbia

Herat, 17 settembre – Hanno sfidato una tempesta di sabbia per consegnare le schede elettorali in una delle zone più remote dell’Afghanistan, Por Chaman. Gli elicotteri italiani hanno compiuto la missione questa mattina ed hanno consegnato alle autorità afghane gli scatoloni sigillati contenenti le schede elettorali per le votazioni che si svolgeranno domani in tutto l’Afghanistan. Una missione durata due ore e che ha visto impegnati un CH47, elicottero da trasporto, e due Mangusta che hanno scortato le schede elettorali.
Nel corso della settimana molte volte l’operazione era fallita proprio a causa della tempesta di sabbia che ha colpito la regione. “Negli ultimi giorni – spiega il maggiore Bruno Pagnanelli abbiamo messo a punto un piano dettagliato per portare le scatole sigillate con all’interno le schede elettorali nei vari distretti. Una tempesta di sabbia però ha impedito che l’operazione giungesse a buon fine. Fino a questa mattina quando il maltempo ha concesso una tregua di due ore e così gli elicotteri sono partiti da Farah, nella provincia di Herat, affrontando una missione al limite, sorvolando la zona montuosa e desertica di quella provincia. Nessun atto ostile da parte degli insorti è stato registrato contro le forze dell’aviazione leggera dell’Esercito e dunque sabato gli abitanti di quella zona potranno recarsi alle urne”.
(AGI)

Peccato però che…

Kabul, 17 settembre – Alla vigilia del voto afghano, sequestrate migliaia di schede false e badge per l’accredito degli osservatori. Lo hanno annunciato le autorità in Afghanistan, dove crescono i timori di brogli elettorali, in un voto che i talebani hanno invitato a boicottare e minacciato di insanguinare con attentati.
(AGI)

Roma, 17 settembre – In Afghanistan si corre il rischio di brogli elettorali: lo ha detto il ministro della difesa Ignazio La Russa. “Qualche volta sentiamo parlare di rischio brogli elettorali nei Paesi europei – ha dichiarato La Russa – e qualche volta anche in casa nostra. Potete immaginare come sia più facile sentirne il pericolo in una terra così devastata come l’Afghanistan“. La riflessione del responsabile della Difesa a margine dell’incontro che ha avuto con il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen.
(AGI)

Ma come, signor Ministro, non ci ha sempre detto che in Afghanistan siamo sulla buona strada?!?
Intanto, i “nostri ragazzi” continuano a giocare alla guerra:

Roma, 17 settembre – Due incursori italiani, un ufficiale e un militare di truppa della Task Force 45, costituita dalle forze speciali italiane, sono rimasti feriti oggi nel distretto di Bakwah, provincia di Farah, a sud di Herat. I due, colpiti da proiettili di arma da fuoco alla spalla, non sono in pericolo di vita. In particolare, riferisce il Regional Command West di ISAF, i militari sono rimasti feriti nel corso di un’operazione mirata alla cattura di quattro insorti che erano stati avvistati da un velivolo senza pilota dell’Aeronautica militare mentre posizionavano un ordigno lungo la strada che collega Farah a Delaram.
Gli insorti si erano spostati in un’abitazione verso la quale si stavano dirigendo un elicottero da trasporto CH47 con a bordo gli elementi delle forze speciali, scortato da due elicotteri Mangusta. I due feriti sono stati subito evacuati presso l’ospedale da campo USA di Farah. La dinamica dell’evento è in fase di ricostruzione, mentre le famiglie dei due militari sono state avvisate.
(ASCA)

Un elicottero da trasporto CH47 e due Mangusta in entrambi gli episodi, ma che curiose coincidenze!

Altri addirittura, pur di sparare a qualche animale di grossa taglia, da cacciatori accaniti arrivano a firmare contratti annuali o pluriennali con le nostre Forze Armate che organizzano safari a proprie spese.
Il ragionamento è semplice: se, tra acquisto di mimetica, scarponi, fucile, munizioni, costo di viaggio di spostamento all’estero ecc, se ne vanno più di mille euro, e io posso risparmiare, anzi mi pagano lautamente per la trasferta internazionale, perché non farlo?
Qualche rischio c’è, ma a vedere i dati che ogni anno ci arrivano dagli enti preposti, ma anche dalla stessa televisione, decine di morti e feriti per ogni stagione faunistica, c’è da ammettere che c’è più rischio di essere impallinati dai cacciatori della domenica o morti precipitati in dirupi a causa di un terreno che frana in tutta Italia, piuttosto che percorrere le lande desolate afgane o irachene a caccia di qualche bella preda.
Qualche volta dallo schermo tv, ci arrivano delle notizie curiose che ci parlano del cinghiale che inferocito ha fatto cadere un cacciatore, al quale partendo un colpo ha ammazzato accidentalmente l’amico o di qualche volpe che fintasi morta ha poi staccato il naso o la mano al cacciatore imprudente, ma sono cose che non fanno paura, anzi danno una bella scossa di adrenalina a ogni impenitente cacciatore.
Oggi, l’incidente di caccia è avvenuto non nei boschi della Garfagnana, bensì tra le pietraie del distretto di Herat, dove un gruppo di cacciatori italiani in trasferta, che in Afghanistan sono inquadrati dalla agenzia di Safari “Incursori Taskforce45”, addestrata ad eliminare a colpi di silenziatore dei fastidiosi esemplari di una specie che si chiama talebana, dopo aver avuto le indicazioni da parte di un cane-volante robot (chiamato Predator) ove si trovasse la tana di alcuni esemplari di questa razza, è incautamente incappata in un branco di cuccioli talebani con mamme al seguito.
La reazione di questi animali che, notoriamente, appena vedono un cane-robot Predator a stelle e strisce, si fanno immediatamente annichilire a colpi di missile, è stata inconsulta, rabbiosa provocando la morte di un cacciatore ed il ferimento di un altro.
L’ennesimo incidente di caccia scatenerà nuove polemiche tra coloro che sono sfavorevoli alle attività di caccia grossa all’estero sotto il patrocinio del Ministero della Difesa e coloro che invece richiederanno l’impiego di cani-robot armati, capaci di ammazzare prima la preda a distanza, onde far fare ai cacciatori incalliti un safari teleguidato senza rischi.
Si prevede che i missili da installare su questi nuovi cani da caccia saranno acquistati con i risparmi sulle pensioni di invalidità, sulla scuola, sulla sanità e con tariffe più alte sui servizi pubblici.

“La caccia grossa è garantita dai principi delle libertà costituzionali, corrobora lo spirito italico e fa tenere alto il nome della nostra Nazione all’Estero!“.
Con queste parole, il nostro ministro della Difesa richiederà la mozione di fiducia sulla prossima manovra relativa all’acquisto della ”nuova attrezzatura” per un’attività venatoria che quest’anno si presenta molto interessante.

Da Incidenti di caccia: morto un incursore italiano che andava a caccia di talebani, di Antonio Camuso.
[grassetto nostro]

Missione di pace
Roma, 20 settembre – “Il tenente Romani era un valoroso combattente”, ha detto Franco Frattini, ricordando la figura del militare ucciso. Il ministro degli Esteri ha aggiunto che gli uomini della Task Force 45, di cui faceva parte Romani, sono militari “addestratissimi”, in Afghanistan da volontari, che “devono andare a snidare quei talebani con cui non potremo fare mai un accordo”.
(AGI)

“Fiaccola per la nostra Patria, lampada per i popoli martoriati”
Roma, 20 settembre – ”Alessandro in Afghanistan voleva che gli ordigni non spegnessero più i sogni dei bambini, che le donne non fossero più sfigurate e lapidate, che gli uomini non fossero più legati su pali in attesa della morte, dinanzi agli occhi dei figli”. Con queste parole mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, ha ricordato la figura del tenente Alessandro Romani, l’incursore del reggimento ‘Col Moschin’ ucciso il 17 settembre in uno scontro a fuoco con i talebani e del quale si sono celebrati i funerali oggi a Roma alla presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano.
”In questa basilica, diventiamo alunni dinanzi alla sua bara, cattedra non sempre condivisa e riconosciuta. Eppure è una cattedra da cui viene trasmesso un insegnamento che debella l’egoismo e fa trionfare la solidarietà. Una cattedra che non respinge i poveri e gli emarginati ma insegna ad accogliere i più deboli e li mette in cattedra”. ”Caro Alessandro, – ha detto mons. Pelvi rivolgendosi direttamente al militare caduto – con la partecipazione alle missioni internazionali di sicurezza e di sviluppo, sei diventato, senza cercarlo, fiaccola per la nostra Patria e l’intera umanità. Non ti sei preoccupato delle tue paure o delle tue ferite perché avevi a cuore di restituire dignità umana a ogni persona. Prima per il popolo iracheno e poi per quello afghano, sei stato luce di speranza, convinto che la vita di ogni uomo è un valore non negoziabile”.
Per mons. Pelvi la morte di Romani ”è un ammonimento circa la necessità di abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come fardello e come fastidiosi importuni. Eppure solo assieme a loro possiamo creare un mondo più giusto e per tutti più prospero. Se vogliamo la pace, la costruiremo assicurando a tutti la possibilità di una crescita ragionevole: le ingiustizie, prima o poi, presentano il conto a tutti. Il servizio dei nostri militari rivela un obiettivo di profonda solidarietà: mirare al bene di ognuno e di tutti”. Da qui l’impegno a ”non distogliere mai l’attenzione ai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più bisognosi di aiuto, promuovendo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale anche col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti. Lo sviluppo è dato dall’incremento di scelte buone che sono possibili quando esiste la nozione di un bene umano integrale”.
Il vescovo castrense ha concluso l’omelia ringraziando a nome dell’Italia ”i nostri militari, che, liberi dal proprio io, si espongono come lampada per i popoli martoriati dalla tirannia e dalla violenza con l’intento di rendere ospitale la casa dell’umanità. La guerra non è mai inevitabile e la pace è sempre possibile. Anzi doverosa”.
(ASCA)

[La puntata precedente del “Monsignore atlantico”.
Le ingiustizie, prima o poi, presentano il conto a tutti…]

Iran: la tesi dei brogli al vaglio

nuke club

“Dato lo scarto di voti tra il primo ed il secondo classificato delle recenti elezioni presidenziali in Iràn, ed il livello dei controlli sulla regolarità delle operazioni di voto e scrutinio – tra cui la capillare presenza di rappresentanti dei candidati sconfitti nei seggi – appare estremamente improbabile se non impossibile che dei brogli verificatesi all’interno dei seggi possano aver sovvertito il risultato delle elezioni. I fatti denunciati nei ricorsi dei tre candidati sconfitti sono stati tutti smentiti o fortemente ridimensionati dalle indagini del Consiglio dei Guardiani; inoltre tali fatti, anche se confermati, avrebbero indicato tutt’al più disfunzioni della macchina elettorale (come ve ne sono in ogni paese) ma non certo brogli sistematici. Il riconteggio d’una quota significativa di schede, ben il 10%, ha confermato i risultati ufficiali precedentemente diffusi. Il risultato del riconteggio è stato riconosciuto dal candidato sconfitto Mohsen Rezai, che a differenza di Musavì e Karrubi ha accettato di mandarvi propri osservatori. Musavì e Karrubi, al contrario, insistono nel denunciare un presunto sovvertimento dei risultati in sede di conteggio e computo finale, ossia presso il Ministero degl’Interni. Il riconteggio parziale avrebbe confermato tale accusa, se veritiera, ma Musavì e Karrubi si sono rifiutati di mandarvi propri osservatori: malgrado ciò il riconteggio è avvenuto, alla presenza di delegati di Rezai e di telecamere della televisione statale, ed ha confermato l’esito delle elezioni. Se ciò non bastasse a smentire le tesi complottiste di Musavì, Karrubi e dei loro sostenitori, resta l’assenza di prove e l’inconsistenza d’ogni ragionamento
deduttivo a sostegno di tale accusa.
(…)
I risultati elettorali non solo ricalcano quelli di quattro anni fa, ma sono anche in accordo con quanto previsto dalla maggior parte dei sondaggi: ossia una netta vittoria di Ahmadinejād. Seppure non ci si volesse fidare dei sondaggi iraniani, si può cercare riscontro nell’unico sondaggio realizzato da organizzazioni statunitensi – importanti ed una compagnia che realizza sondaggi d’opinione e ricerche di mercato per alcune delle principali ditte e dei maggiori media mondiali – rispettando la metodologia consolidata: anch’esso prevedeva una vittoria del Presidente uscente, persino più larga di quella poi effettivamente realizzatasi, e indovinava molti altri esiti delle elezioni (come la vittoria di Ahmadinejād in Azerbaigian Orientale, l’alta affluenza e l’irrilevanza dei voti raccolti da Rezai e Karrubi).
(…)
La netta vittoria di Ahmadinejād non solo conferma i risultati di quattro anni fa ed è in linea coi sondaggi pre-elettorali, ma era prevista dalla maggioranza degli esperti di politica iraniana. Le presunte anomalie dei risultati il più delle volte non sono tali, non sussistono o hanno una spiegazione razionale. L’omogeneità di voto da provincia a provincia in realtà non esiste: la differenziazione locale è stata più elevata che nel 2005, e maggiore rispetto, ad esempio, alle ultime elezioni politiche svoltesi in Italia. Anche la sconfitta di Musavì, Karrubi e Rezai nelle proprie province d’origine è facilmente spiegabile, ed ha paralleli evidenti nelle elezioni di tutto il mondo. L’espressione d’un numero di voti maggiore dei registrati alle liste elettorali in alcuni distretti è un fenomeno non nuovo in Iràn, e perfettamente spiegabile con le regole e le pratiche di voto colà vigenti. Su trenta province, solo in quattro Ahmadinejād ha fatto registrare un deciso aumento del sostegno elettorale, ed in due di esse ciò è spiegabile coinvolgendo solo i nuovi votanti. Solo in Lorestan e Ilam il Presidente uscente deve aver sottratto quote cospicue di voti ai suoi avversari, ma ciò non prova alcuna irregolarità, giacché flussi elettorali anche più repentini si possono osservare in altri paesi, come ad esempio l’Italia. Il tempo richiesto dal conteggio dei voti e dalla proclamazione dei risultati è credibile, in linea con le precedenti elezioni iraniane e con quelle d’altri paesi.
Alla luce di tutto ciò, possiamo concludere che non esiste alcuna prova di brogli sistematici e decisivi nelle elezioni presidenziali iraniane di quest’anno: persino i semplici indizi sono estremamente scarsi, sicché i sospetti sono il più delle volte fondati su basi labilissime o del tutto immaginarie.”

Con queste parole, Daniele Scalea conclude la propria ampia e documentata ricognizione del processo elettorale svoltosi in Iran lo scorso mese di giugno.

[Rivoluzione colorata in Iran]
[Chi ha ucciso Neda Soltani?]

Eccesso di democrazia

Karzai

Roma, 7 ottobre – Dati dell’ONU sulle elezioni presidenziali in Afghanistan mostrano che i voti ufficiali in certe zone superano il numero dei votanti. Nella provincia meridionale di Helmand, dove 134.804 voti sono stati registrati, le Nazioni Unite stimano che solo 38.000 persone abbiano votato.
La Commissione elettorale indipendente ha riportato che 212.405 voti validi sono stati depositati nelle urne nella provincia di Paktika, fra i quali 193.541 per Karzai. I votanti sarebbero stati solo 35 mila.
(ANSA)

Dal rapporto del Washington Post emerge anche che in diverse province in cui ha vinto il principale sfidante di Karzai, Abdullah Abdullah, vi sono stati brogli “al contrario”: nella provincia di Balkh hanno votato 450.000 persone, ma allo spoglio sono risultati solo 297.557 voti.
Possiamo, quindi, meglio definirli come “travasi di democrazia”.
Ad ogni buon conto questi incorreggibili afghani si meritano proprio una tutela straniera, militare e non, che sia la più lunga possibile.

[Qui la cartina con le “discrepanze” voti/votanti per area geografica]

Alle urne, alle urne!

democrazia diretta

Alla vigilia delle elezioni europee gli elettori non stanno mostrando interesse per un Parlamento dalle funzioni limitate e confuse. Sovrastato da una “commissione” che funge da governo autocratico, i cui inamovibili rappresentanti sono designati dai governi. Nessun elettore ha mai scelto Solana o Barroso, ma è reale il rischio che i loro incarichi da vitalizi diventino… ereditari.
Il disinteresse è altresì rafforzato dalla tragicomica vicenda della Costituzione europea, due volte bocciata nelle urne dagli elettori, ma il responso è stato olimpicamente ignorato. Sarà approvata dai deputati nazionali, con raggiri e manovre di corridoi molto stretti. L’unica cosa chiara nell’Unione Europea (UE) alle prese con le raffiche gelide di un crollo del 5% della produzione, è l’indiscussa e totale autorità della Banca Centrale Europea: si impone ai parlamenti nazionali, a quello di Strasburgo e a tutti gli elettorati.
Questo è il veridico governo del blocco europeo, ridotto all’essenza scarnificata dell’utopia ultraliberista: mercato e moneta. Null’altro. Non ha una politica sociale, tantomeno una linea internazionale coerente perché è privo di una visione geo-politica nitida.
Senza una difesa autonoma propria perché ha scelto la subalternità agli Stati Uniti, quando rafforzò la camicia di forza della NATO, all’indomani dell’implosione dell’Unione Sovietica e della scomparsa del Patto di Varsavia.
L’integrazione europea, da quando è passata dalle mani dei pochi statisti di rilievo che la fondarono a quelle dei tecnocrati della finanza, si è svilita a mera applicazione di “5 macro-dogmi liberisti”, facendo un ardito salto acrobatico da 6 a 27 Paesi. Grandi quantità, statistiche, PIL, trionfalismi immotivati e zero visione strategica. Proprio nel momento in cui sta tramontando l’unipolarismo e – con esso – la supremazia “occidentale”.
(…)
L’Europa non ha materie prime e neppure l’energia. Per il petrolio dipende dai Paesi arabi e per il gas dalla Russia, ciononostante promuove una politica estera anti-araba ed agressivamente anti-russa.
La dipendenza energetica è un dato di fatto del blocco europeo, come pure la necessità della coperazione con i russi per le forniture di gas. Come si spiega allora il velleitarismo di incorporare l’Ucraina e la Georgia nella NATO? Come si giustificano le provocatorie manovre della NATO in corso nel Caucaso?
E’ una contraddizione schizofrenica tra obiettivi e strumenti per ottenerli, tra proiezione geo-politica ed iniziativa militare che – ahinoi – non è sovrana né autonoma. L’UE è ostaggio delle fobie anti-russe non solo dei polacchi e dei cechi, ma persino delle micro-repubbliche del Baltico. Per di più, la versione osé dell’atlantismo è immutata dal tempo dei Bush.
E’ come se non fosse accaduto nulla. Non hanno assimilato che lo scacco degli Stati Uniti in Iraq ha comportato la perdita definitiva del feudo sudamericano. Che perderá l’UE con la barcollante avventura atlantista in Afghanistan? Con ogni probabilitá, il ritorno della questione sociale al centro del dibattito pubblico e la ripresa della lotta di classe.
La “Commissione” di Bruxelles è ondivaga e non riesce a coniugare gli interessi concreti dell’Europa con quelli di un traballante egemonismo assoluto che gli Stati Uniti cercano di resuscitare con la NATO. Gli Stati Uniti Occidentali o “grande mercato trans-atlantico” sono una chimera da incubo.
(…)

Da Elezioni, ma per quale Europa?, di Tito Pulsinelli.

Frasi celebri – commiato da un Presidente

Invitandovi a leggere questo per conoscere quali siano gli amici del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, oggi diamo l’addio a George H. W. Bush con una scelta delle sue più acute esternazioni, tratte dal testo di Effepi editore.

Il Pedagogo
Vedete, la mia linea di lavoro è: continua a ripetere le cose, continua e continua, finché la verità affonda.
(New York, 24 maggio 2005)

L’Economista
Le nostre importazioni provengono in sempre maggiore quantità dall’estero.
(Beaverton, Oregon, 25 settembre 2005).
Si tratta evidentemente di un budget. E’ pieno di numeri.
(5 maggio 2000)

Il Politico
E’ un mito credere che io non so cosa succede. E’ un mito credere che io non sappia che ci sono opinioni che non si accordano con le mie, perché ne sono pienamente cosciente.
(Philadelphia, 12 dicembre 2005)
I nostri nemici sono innovativi e pieni di risorse? Lo siamo anche noi. Essi non cessano mai di escogitare nuovi modi di nuocere al nostro Paese ed al nostro popolo? E noi facciamo lo stesso.
(Washington D.C., 5 agosto 2004)
Voglio che tutti gli americani sappiano che la responsabilità delle decisioni che prendo è mia, e anche loro.
(Live with Regis, 20 settembre 2000)
L’ambasciatore ed il generale mi stavano facendo rapporto sulla vasta maggioranza di irakeni che vogliono vivere in un mondo pacifico e libero. Noi troveremo queste persone e le assicureremo alla giustizia.
(Washington D.C., 27 ottobre 2003)

Il Pensatore
Secondo me la guerra è un posto pericoloso.
(Washington D.C., 7 maggio 2003)
Io so in cosa credo. Io continuerò ad articolare ciò in cui credo e ciò a cui credo – io credo che ciò a cui credo è giusto.
(Roma, 22 luglio 2001)
La giustizia dovrebbe essere giusta.
(Washington D.C., 15 dicembre 2004)
Non sappiamo mai come sarà la nostra storia fino a molto dopo che siamo morti.
(Washington D.C., 5 maggio 2006)

Il Pensatore Politico
Secondo il mio giudizio, quando gli Stati dichiarano che ci saranno gravi conseguenze, e poi non ci sono gravi conseguenze, ciò crea conseguenze avverse.
(8 febbraio 2004)
Se questa fosse una dittatura, tutto sarebbe un sacco più facile, sempre che fossi io il dittatore.
(Washington D.C., 19 dicembre 2000)
Non c’è nulla di più profondo del riconoscere il diritto di Israele ad esistere. E’ questo il pensiero più profondo di tutti… Non mi viene in mente nulla di più profondo di questo diritto.
(Washington D.C., 13 marzo 2002)

Il Sociologo
Anzitutto, lasciatemi dire molto chiaramente, i poveri non sono necessariamente assassini. Solo perché ti capita di non essere ricco, ciò non significa che tu voglia uccidere.
(Washington D.C., 19 maggio 2003)
Troppi buoni dottori hanno perso il lavoro. Troppi ginecologi non riescono più a praticare il loro amore con le donne in tutto questo Paese.
(Poplar Bluff, Missouri, 6 settembre 2004)

Il Bioetico
Se gli iraniani dovessero avere un’arma nucleare, potrebbero proliferare.
(Washington D.C., 21 marzo 2006)

Il Geografo
[Rivolto al Presidente brasiliano Lula da Silva]
Wow! Il Brasile è grosso!
(Brasilia, 6 novembre 2005)

Il Credente
Io ho fiducia che Dio parla attraverso di me. Senza questo, non potrei fare il mio lavoro.
(Ad un gruppo di Amish, 9 luglio 2004)

Dopo quindici Martini
Quando un medicinale viene dal Canada, io voglio assicurarmi che ti curi, non che ti ammazzi… Ho un obbligo di essere sicuro che il governo fa tutto quel che può per proteggerti. E’ una… la mia preoccupazione è che è che sembra che venga dal Canada, e può venire da un Terzo Mondo.
(Saint Louis, Missouri, 8 ottobre 2004)
Sono onorato di stringere la mano ad un valoroso cittadino irakeno che ha avuto le mani tagliate da Saddam Hussein.
(Washington D.C., 25 maggio 2004)
E’ nell’interesse del nostro Paese trovare quelli che vogliono farci danno, e metterli fuori pericolo.
(Washington D.C., 28 aprile 2005)

Intenzioni aggressive, 2° parte

Bombardamenti.
Utilizzo di armi non convenzionali.
Aggressioni chimiche e batteriologiche su Paesi stranieri.
Appoggio ad aggressioni chimiche e batteriologiche di altri Paesi.
Test chimici sulla popolazione interna.
Tortura.
Sovvertimento delle elezioni in Paesi stranieri.
Ingerenze in Paesi stranieri.
Risoluzioni ONU bloccate con il diritto di veto.

Ecco il curriculum vitae degli Stati Uniti d’America, dal 1945 ad oggi.

(Qui, invece, una breve descrizione degli “anni giovanili”)

Indicazioni di v(u)oto

voto-domestico.jpg

Il prossimo 13 aprile saremo chiamati a ratificare, per la milionesima volta, l’appartenenza dell’Italia al Partito Atlantico. Scegliendo quale gruppo di interesse dovrà condurre la somministrazione del farmaco e gestirne gli sgradevoli effetti collaterali, in ogni campo della vita sociale.
A ridosso dell’appuntamento elettorale, le indicazioni di voto, ovviamente, si sprecano. Ebbene, ci permettiamo di dare la nostra: recatevi al seggio, visto che dovete (se non per legge, almeno per educazione civica – affermano ossessivamente). Consegnate la tessera elettorale in modo che ve la possano timbrare ma non appena accennano a consegnarvi la scheda con cui votare rifiutatela, assicurandovi che la vostra scelta sia messa a verbale (è obbligatorio compilare infatti per ogni scheda rifiutata un apposito verbale).
E’ inoltre possibile far allegare al medesimo verbale una breve dichiarazione mediante la quale potete precisare le motivazioni del vostro rifiuto (ad esempio, “non mi sento rappresentato da nessuno degli schieramenti in lizza”).
A differenza delle schede bianche e nulle che, dopo le adeguate verifiche, vengono computate in un unico cumulo da ripartire nel cosiddetto premio di maggioranza attribuito allo schieramento uscito vincitore, questo metodo garantisce di essere percentuale votante ma consente di non far attribuire il proprio non-voto al partito di maggioranza.
La legge, infatti, prevede solo l’attribuzione delle schede contenute nell’urna al momento dell’apertura della stessa, creando una discrepanza tra percentuale votanti e voti attribuibili e di conseguenza un problema di difficile – se non impossibile – attribuzione di seggi, specie se il fenomeno raggiungesse quote notevoli: nella pratica non è mai successo ma, in linea teorica, se la quantità di schede rifiutate raggiungesse la quota di voti necessaria per l’attribuzione di un seggio, tale seggio non potrebbe essere attribuito.
Si chiama astensionismo attivo ed è un piccolo gesto di disobbedienza civile.