Anime belle

Una risposta data sui social a un pacifista dell’ultim’ora.

Peccato che tutte queste belle anime non l’abbia mai viste quando andavamo a protestare a Camp Darby contro le ingerenze USA e contro le atomiche stivate nella loro base, sotto i nostri piedi; peccato non aver visto queste anime belle strapparsi i capelli quando siamo andati ad Aviano a protestare contro i bombardamenti sui civili indifesi in Jugoslavia; peccato non abbia visto nessuna di queste anime pure in Iraq, quando, nel 2003, ci siamo offerti come scudi umani per difendere un Paese aggredito con false accuse (Colin Power docet) e una popolazione decimata da 15 anni di embargo.

Peccato che non abbia incontrato nessuno di queste belle anime quando, nel 2007, abbiamo cercato di entrare a Gaza da Eretz, per forzare il criminale assedio imposto ai Palestinesi. Peccato che non ho sentito nemmeno una di queste belle anime quando i francesi hanno bombardato la Libia e ucciso Gheddafi perché voleva una moneta africana, che portasse i giusti guadagni agli Africani nella vendita dei loro prodotti e che avrebbe distrutto quella francese. Peccato che non abbia sentito un gemito, provenire da tutte queste belle anime a sostegno della Siria, aggredita dai tagliagole al soldo USA.

Peccato non aver udito lo sdegno, di queste anime candide, contro i bombardamenti dello Yemen, da parte degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita. Peccato che in otto anni, non abbia mai sentito dire, da queste anime innocenti, una parola sui civili del Donbass, aggrediti da nazifascisti, torturati, bruciati e vessati.

E non ho mai sentito nessuna, di queste anime belle, dire una parola a favore di Assange, imprigionato come un criminale per aver fatto seriamente il suo lavoro di giornalista ed aver scoperto le bugie statunitensi dietro alle loro aggressioni. Le sento tutte ora, questa miriade di belle anime, che si straccia le vesti, i capelli, che compete su chi è più pacifista, naturalmente facendo collette e avallando un governo che invia armi in territorio di guerra. Ma vi rendete conto, anime belle, di quanto fate vomitare con la vostra infame retorica?

Maria Grazia Da Costa

(Fonte)

Donetsk, 14 marzo 2022

Segui i soldi: come la Russia aggirerà la guerra economica occidentale

Gli Stati Uniti e l’UE stanno esagerando con le sanzioni russe. Il risultato finale potrebbe essere la de-dollarizzazione dell’economia globale e la massiccia carenza di materie prime in tutto il mondo.

Di Pepe Escobar per The Cradle

Quindi una congregazione di pezzi grossi della NATO nascosti nelle loro casse di risonanza mediatiche prende di mira la Banca Centrale russa con sanzioni e si aspetta cosa? Biscottini?

Quello che invece hanno ottenuto sono state le forze di deterrenza russe portate a “uno speciale regime di servizio” – il ché comporta che le flotte del Nord e del Pacifico, il comando dell’aviazione a lungo raggio, i bombardieri strategici e l’intero apparato nucleare russo siano tutti quanti in stato massima allerta.

Un generale del Pentagono ha fatto molto rapidamente i calcoli di base su ciò appena avvenuto, e solo pochi minuti dopo, una delegazione ucraina è stata inviata a condurre negoziati con la Russia in una località segreta a Gomel, in Bielorussia.

Nel frattempo, nei regni vassalli, il governo tedesco era impegnato a “porre limiti ai guerrafondai come Putin” – un impegno piuttosto grande considerando che Berlino non ha mai posto tali limiti per i guerrafondai occidentali che hanno bombardato la Jugoslavia, invaso l’Irak o distrutto la Libia in completa violazione della legge internazionale.

Pur proclamando apertamente il loro desiderio di “fermare lo sviluppo dell’industria russa”, danneggiare la sua economia e “rovinare la Russia” – facendo eco agli editti americani su Irak, Iran, Siria, Libia, Cuba, Venezuela e altri nel Sud del mondo – i tedeschi possibilmente potrebbero non riconoscere un nuovo imperativo categorico.

Finalmente sono stati liberati dal loro complesso di responsabilità della Seconda Guerra Mondiale nientemeno che dal presidente russo Vladimir Putin. La Germania è finalmente libera di sostenere e armare di nuovo i neonazisti – ora nella varietà del battaglione ucraino Azov.

Per capire in che modo queste sanzioni della NATO “rovineranno la Russia”, ho chiesto la succinta analisi di una delle menti economiche più competenti del pianeta, Michael Hudson, autore, tra gli altri, di un’edizione rivista dell’imperdibile Super-imperialismo: la strategia economica dell’impero americano .

Hudson ha osservato come sia “semplicemente agghiacciato dall’escalation quasi atomica degli Stati Uniti”. Sulla confisca delle riserve estere russe e sulla chiusura per la Russia dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, il punto principale è che “ci vorrà del tempo prima che la Russia introduca un nuovo sistema con la Cina. Il risultato porrà fine alla dollarizzazione per sempre, poiché i Paesi minacciati di “democrazia” o che mostrano indipendenza diplomatica avranno paura a usare le banche statunitensi”.

Questo, secondo Hudson, ci porta alla “grande domanda: se l’Europa e il gruppo dei Paesi del dollaro potranno ancora acquistare materie prime russe – cobalto, palladio, ecc. e se la Cina si unirà alla Russia nell’embargo di questi minerali”.

Hudson è fermamente convinto che “la Banca Centrale russa, ovviamente, ha attività bancarie estere per intervenire sui mercati valutari per difendere la sua valuta dalle fluttuazioni. Il rublo è precipitato. Ci saranno nuovi tassi di cambio. Eppure spetta alla Russia decidere se vendere il proprio grano all’Asia occidentale, che ne ha bisogno; o smettere di vendere gas all’Europa attraverso l’Ucraina, ora che gli Stati Uniti possono prenderlo”.

Sulla possibile introduzione di un nuovo sistema di pagamento Russia-Cina aggirando il sistema SWIFT e combinando il sistema russo SPFS (System for Transfer of Financial Messages) con il  sistema cinese CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), Hudson non ha dubbi “il sistema russo-cinese sarà implementato. Il Sud del mondo cercherà di unirsi e allo stesso tempo manterrà il sistema SWIFT, spostando le proprie riserve nel nuovo sistema”.

Ho intenzione di de-dollarizzare me stesso

Quindi, gli stessi Stati Uniti, con un altro enorme errore strategico, accelereranno la de-dollarizzazione. Come ha detto al Global Times l’amministratore delegato di Bocom International, Hong Hao, con la de-dollarizzazione del commercio energetico tra Europa e Russia “sarà l’inizio della disintegrazione dell’egemonia del dollaro”.

È un ritornello che l’amministrazione statunitense stava sentendo tranquillamente la scorsa settimana da alcune delle sue più grandi banche multinazionali, incluse banche degne di nota come JPMorgan e Citigroup.

Un articolo di Bloomberg riassume le loro paure collettive:

“L’allontanamento della Russia dal sistema globale critico – che gestisce 42 milioni di messaggi al giorno e che funge da ancora di salvezza per alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo – sarebbe controproducente, aumenterebbe l’inflazione, spingendo la Russia più vicino alla Cina, e metterebbe al riparo le transazioni finanziarie dal controllo dell’Occidente. Potrebbe anche incoraggiare lo sviluppo di un’alternativa allo SWIFT, che potrebbe, alla fine, danneggiare la supremazia del dollaro USA”.

Coloro che hanno un quoziente di intelligenza superiore a 50 nell’Unione Europea devono aver capito che la Russia semplicemente non può essere totalmente esclusa da SWIFT, ma forse solo alcune delle sue banche: dopotutto, i trader europei dipendono dall’energia russa.

Dal punto di vista di Mosca, questo è un problema minore. Diverse banche russe sono già collegate al sistema CIPS cinese. Ad esempio, se qualcuno vuole acquistare petrolio e gas russo con CIPS, il pagamento deve essere nella valuta cinese yuan. CIPS è indipendente dal sistema SWIFT.

Inoltre, Mosca ha già collegato il suo sistema di pagamento SPFS non solo alla Cina, ma anche all’India e ai Paesi membri dell’Unione Economica Eurasiatica. SPFS si collega già a circa 400 banche.

Con sempre più società russe che utilizzano i sistemi SPFS e CIPS, anche prima della loro fusione, ed altre manovre per aggirare il sistema SWIFT, come l’utilizzo del baratto – ampiamente utilizzato dal sanzionato Iran – e con le banche agenti, la Russia potrebbe compensare almeno il 50% delle perdite commerciali.

Il fatto chiave è che la fuga dal sistema finanziario occidentale dominato dagli Stati Uniti è ora irreversibile in tutta l’Eurasia e ciò procederà di pari passo con l’internazionalizzazione dello yuan.

La Russia ha la sua valigetta di trucchi

Nel frattempo, non stiamo neanche ancora parlando delle ritorsioni russe per queste sanzioni. L’ex presidente Dmitry Medvedev ha già dato un accenno: tutto, dall’abbandono di tutti gli accordi sulle armi nucleari con gli Stati Uniti al congelamento dei beni delle aziende occidentali in Russia, è sul tavolo.

Allora, cosa vuole “L’impero delle Menzogne”? (Termine putiniano, dalla riunione di lunedì 28 febbraio a Mosca per discutere la risposta alle sanzioni).

In un articolo pubblicato questa mattina, deliziosamente intitolato L’America sconfigge la Germania per la terza volta in un secolo: MIC, OGAM e FIRE conquistano la NATO, Michael Hudson tocca una serie di punti cruciali, a cominciare da come “la NATO è diventata l’entità che detta la politica estera dell’Europa, fino al punto di dominare gli interessi economici interni”.

Hudson delinea le tre oligarchie che controllano la politica estera degli Stati Uniti.

La prima di queste tre oligarchie è il complesso militare-industriale, che Ray McGovern coniò in modo memorabile come MICIMATT (Military Industrial Congressional Intelligence Media Academia Think Tank). Hudson definisce la sua base economica come “rendita monopolistica, ottenuta soprattutto dalla vendita di armi alla NATO, agli esportatori di petrolio dell’Asia occidentale e ad altri Paesi con un surplus di bilancia dei pagamenti”.

La seconda è il settore petrolifero e del gas, affiancato da quello minerario (OGAM: Oil Gas Mineral). Il suo scopo è “massimizzare il prezzo dell’energia e delle materie prime in modo da massimizzare la rendita delle risorse naturali. Il monopolio del mercato petrolifero dell’area del dollaro e l’isolamento dal petrolio e dal gas russi è stata una delle principali priorità degli Stati Uniti da oltre un anno, poiché l’oleodotto Nord Stream 2 dalla Russia alla Germania minacciava di collegare insieme l’economia dell’Europa occidentale e quella russa”.

La terza ed ultima oligarchia è il settore “simbiotico” finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE: Finance, Insurance Real Estate), che Hudson definisce “la controparte della vecchia aristocrazia fondiaria post-feudale europea che vive di rendite fondiarie”.

Mentre descrive questi tre settori di portatori di rendite che dominano completamente il capitalismo finanziario postindustriale nel cuore del sistema occidentale, Hudson osserva che “Wall Street è sempre stata strettamente fusa con l’industria del petrolio e del gas (ovvero conglomerati bancari quali ad esempio Citigroup e Chase Manhattan).”

Hudson mostra come “l’obiettivo strategico più urgente degli Stati Uniti nel confronto della NATO con la Russia è l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas. Oltre a creare profitti e guadagni sul mercato azionario per le società statunitensi, l’aumento dei prezzi dell’energia sottrarrà gran parte del vigore all’economia tedesca”.

Egli avverte come i prezzi dei generi alimentari aumenteranno “guidati dal grano”. (La Russia e l’Ucraina rappresentano il 25% delle esportazioni mondiali di grano.) Dal punto di vista del Sud del mondo, è un disastro: “Questo metterà in difficoltà molti Paesi dell’Asia occidentale e del Sud del mondo carenti di cibo, peggiorando la loro bilancia dei pagamenti e minacciando l’insolvenza del debito estero.”

Per quanto riguarda il blocco delle esportazioni di materie prime russe, “esso minaccia di causare interruzioni nelle catene di approvvigionamento di materiali chiave, inclusi cobalto, palladio, nichel, alluminio”.

E questo ci porta, ancora una volta, al cuore della questione: “Il sogno a lungo termine dei nuovi guerrieri statunitensi della nuova Guerra Fredda è quello di smantellare la Russia, o almeno ripristinare la sua cleptocrazia manageriale cercando di incassare le loro privatizzazioni nei mercati  azionari occidentali.

Ciò non succederà. Hudson vede chiaramente come “la più enorme conseguenza involontaria della politica estera statunitense sia stata quella di guidare insieme Russia e Cina, insieme a Iran, l’Asia centrale e i Paesi lungo la Nuova Via della Seta”.

Confischiamo un po’ di tecnologia

Ora confrontate quanto sopra con la prospettiva di un magnate degli affari dell’Europa centrale con vasti interessi, ad est ed ovest, e che fa tesoro della sua discrezione.

In uno scambio di e-mail, il magnate degli affari ha espresso seri dubbi sul possibile sostegno della Banca Centrale russa alla propria valuta nazionale, il rublo, “che secondo la pianificazione statunitense viene ad essere distrutta dall’Occidente attraverso sanzioni e branchi di lupi nel settore delle valute che si stanno esponendo vendendo rubli allo scoperto. Non c’è davvero quasi nessuna somma di denaro che possa battere i manipolatori del dollaro contro il rublo. Un tasso di interesse del 20 per cento ucciderebbe inutilmente l’economia russa”.

L’uomo d’affari sostiene che l’effetto principale dell’aumento dei tassi “sarebbe quello di disincentivare le importazioni non necessarie. La caduta del rublo è quindi favorevole alla Russia in termini di autosufficienza. Con l’aumento dei prezzi all’importazione, questi beni dovrebbero iniziare ad essere prodotti a livello nazionale. [Fossi al loro posto] lascerei semplicemente cadere il rublo, fino a fargli raggiungere il proprio livello, che sarà per un po’ più basso di quanto le forze naturali consentirebbero, poiché, in questa guerra economica contro la Russia, gli Stati Uniti lo porteranno al ribasso attraverso le sanzioni e la manipolazione delle vendite allo scoperto”.

Ma questo sembra raccontare solo una parte della storia. Probabilmente, l’arma letale nell’arsenale di risposte della Russia è stata individuata dal capo del Centro per le Ricerche Economiche dell’Istituto di Globalizzazione e Movimenti Sociali (IGSO), Vasily Koltashov: la chiave è confiscare la tecnologia – come può accadere se la Russia cessa di riconoscere i diritti statunitensi sui brevetti.

In quella che definisce “proprietà intellettuale americana liberatrice”, Koltashov chiede l’approvazione di una legge russa sugli “Stati amici e ostili” [cosa già avvenuta – n.d.c.]. Se un Paese risulta essere nella lista ostile, allora possiamo iniziare a copiare le sue tecnologie nei settori farmaceutico, industriale, manifatturiero, elettronico, medico. Può essere qualsiasi cosa, dai semplici dettagli alle composizioni chimiche”. Ciò richiederebbe emendamenti alla Costituzione russa.

Koltashov sostiene che “una delle basi del successo dell’industria americana è stata la copia di brevetti stranieri per invenzioni”. Ora, la Russia potrebbe utilizzare “l’ampio know-how della Cina con i suoi ultimi processi produttivi tecnologici per copiare i prodotti occidentali: il rilascio della proprietà intellettuale americana causerà un danno agli Stati Uniti per un importo di 10 trilioni di dollari, solo nella prima fase. Sarà un disastro per loro”.

Allo stato attuale, si stenta a credere alla stupidità strategica dell’UE. La Cina è pronta ad accaparrarsi tutte le risorse naturali russe, con l’Europa ridotta a pietoso relitto, preda di speculatori selvaggi. Sembra che ci sia una divisione totale tra UE e Russia, con pochi scambi rimasti e zero diplomazia.

Ora ascoltate il rumore delle bottiglie di champagne che vengono stappate in tutto il MICIMATT.

(Traduzione a cura della redazione)

Cuba in 30 secondi

Fumatevi un Cohiba mentre prendete in considerazione il cuore del problema.

La ragione principale che porta al patetico tentativo di rivoluzione colorata a Cuba – con il pieno sostegno del Dipartimento di Stato dello Stupidistan – è stato il BLOQUEO, cioè l’embargo americano, recentemente condannato da virtualmente ogni nazione dell’Assemblea Generale dell’ONU. Il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez Parrilla, ha rimarcato il fatto che il BLOQUEO è costato non meno di 9 miliardi di dollari all’economia cubana dal 2019 (il 10% del PIL) e non meno di 17 miliardi di dollari durante gli ultimi cinque anni. E pur tuttavia un’isola orgogliosa con un PIL di soltanto 90 miliardi di dollari fa tremare di paura il codardo Impero del Caos. Lo scandalo del BLOQUEO include tali semplici malvagità come ad esempio proibire a Western Union di gestire le rimesse straniere verso Cuba. E poi ci sono quelle miriadi di sanzioni imperiali applicate contro il Venezuela, storico alleato cubano.

Il governo cubano di Diaz Canel ha tentato ogni cosa. L’anno scorso hanno cambiato la politica monetaria con doppia circolazione e quest’anno hanno proibito l’uso del dollaro statunitense per le transazioni locali. I salari sono aumentati del 500% a gennaio. Ma quando abbiamo avuto quegli eccessi di pesos in combinazione con produzione calante e deficit fiscale si è generato un disastro sconosciuto a Cuba: l’inflazione. L’Avana stava mettendo in conto delle cose che non sono mai accadute: una distensione con gli USA (i supervisori di Crash Test Dummy [perifrasi scherzosa riferita al Presidente Joe Biden – n.d.c.] non lo hanno permesso); una ripresa del turismo internazionale (non possibile con l’isteria da Covid ancora scatenata); e un rialzo del prezzo delle merci (al contrario: lo zucchero, la principale fonte di export di Cuba, è collassato al più basso livello dei più bassi livelli raggiunti nei primi anni duemila). Nel frattempo, le rimesse nel 2020 sono scese del 37% rispetto al 2019.

La Russia e la Cina possono essere d’aiuto? Non molto – perché hanno esportazioni più che a sufficienza da Cuba sotto forma di servizi (nei campi della medicina ed istruzione). È tutta un’altra storia rispetto al secolo scorso, quando il 72% del commercio dipendeva dall’Unione Sovietica. Poi venne il PERIODO ESPECIAL, in cui il genio di Fidel riuscì a tenere aperta la partita. Attualmente il Venezuela – l’alleato strategico – conta solo per il 17% del commercio cubano, seguito da Cina, Spagna, Messico e Canada. Tuttavia ciò non è sufficiente per pagare i conti.

Ma voglio che sia chiaro quando finirete di fumare il vostro Cohiba: la crisi cubana si basa tutta sul BLOQUEO dello Stupidistan.

Pepe Escobar

(Fonte – traduzione a cura della redazione)

Il bipolarismo tecnologico


“Quando il 6 dicembre 2018 la direttrice finanziaria del gigante cinese Huawei, Meng Wanzhou, figlia del fondatore Ren Zhengfei, venne arrestata a Vancouver, in Canada, in base a un mandato di arresto emesso dagli Stati Uniti per una presunta violazione delle misure di embargo economico all’Iran, il genio uscì definitivamente dalla lampada. La guerra commerciale decretata dall’amministrazione Trump è stata l’utile foglia di fico con cui gli Stati Uniti hanno coperto un ben più cogente obiettivo geopolitico: isolare gradualmente la Cina, frenare l’ascesa tecnologica dell’Impero di Mezzo, ritardarne la scalata in terreni dalle applicazioni decisive per i futuri assetti di potere del pianeta. Vistasi indietro nella gara, Washington ha sdoganato le armi a disposizione: sanzioni commerciali, moniti agli alleati, non a caso divenuti sempre più espliciti poco prima dell’arresto di Meng, a non utilizzare tecnologie cinesi , sfruttamento delle armi del geodiritto, richiamo alla sbandierata “comunità di destino” contro la minaccia posta dalla Cina comunista.
Lo spartiacque del caso Huawei è decisivo, perché da un lato rappresenta il momento in cui lo scontro USA-Cina si fa realmente nuovo bipolarismo e dall’altro rende palese la valenza geopolitica dello scontro al resto del mondo, costringendo, d’altro canto, Washington a rendere palese ciò che negli apparati di potere era già noto, a far cadere la presunta immaterialità e neutralità dei colossi digitali della Silicon Valley, in realtà da sempre intrinseci alle logiche del potere globale statunitense. I campioni nazionali statunitensi sono stati rapidamente arruolati nella guerra a Huawei e al resto dei rivali cinesi. Il mondo della tecnologia, abdicando alla mitologia del paradiso libertario californiano, non può negare il suo sostegno ai programmi governativi, che rappresentano una fetta considerevole dei suoi introiti. La Casa Bianca, per irreggimentare i campioni nazionali statunitensi in una fase di confronto con la Cina, ribadisce la logica della scelta di campo, rilanciando con decisione la matrice statunitense della rete supposta come globale. Invitando i grandi del digitale a una nuova collaborazione con solidi argomenti economici, sotto forma di appalti dal valore di decine di miliardi di dollari e sconti fiscali a tutto campo, il governo federale aggiunge solidi argomenti alla focalizzazione sulla sicurezza nazionale.
(…) Nella tecnologia stiamo dunque parlando di un vero e proprio scenario di matrice bellica, di un conflitto sotterraneo ma continuo che amplifica gradualmente la faglia tra Stati Uniti e Cina, provocando da un lato la costruzione di paradigmi tecnologici paralleli a mano a mano che l’innovazione avanza in forma divergente sulle due sponde del Pacifico; e, dall’altro, producendo un contesto caotico che vede Washington estrarre su scala globale rendite di posizione dall’attuale egemonia dei suoi colossi digitali (Google, Amazon, Facebook e Apple gestiscono ancora l’80% dei dati su scala globale) e Pechino creare, gradualmente, i più efficaci standard del futuro.”

Dall’omonimo articolo a firma di Andrea Muratore, in Eurasia. Rivista di studi geopolitici n. 4/2020, pp. 123-125.

Requiem per una democrazia

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Non fa piacere vedere gli Stati Uniti, a lungo considerati il tempio della democrazia, assoggettarsi sempre più ai voleri imposti da potenti lobbies, o gruppi di pressione, che dominano ogni aspetto della vita del Paese. Per decenni la lobby degli espatriati cubani della Florida ha ricattato il governo di Washington, mettendolo di fronte all’alternativa di perdere un notevole numero di voti nel caso avesse riconosciuto il regime di Fidel Castro e, conseguentemente, eliminato l’embargo economico. Tali espatriati, tutti ferventi sostenitori del dittatore Fulgencio Batista, erano motivati dall’assurda speranza di ritornare un giorno nell’isola e di rientrare in possesso dei loro beni. Non sembrava neppure sfiorargli la mente il fatto che loro stessi erano stati la causa dell’avvento della rivoluzione cubana, avendo mantenuto gran parte della popolazione dell’isola in stato di semi schiavitù.
La rottura delle relazioni con l’isola e la relativa imposizione dell’embargo economico era stato decretato nel 1960 dall’allora presidente Eisenhower a seguito dell’atteggiamento castrista di fomentare la rivoluzione socialista nel mondo e di accordare protezione ai terroristi. Nonostante che tutte le nazioni avessero mantenuto normali relazioni con l’isola, gli Americani -sotto l’impulso della lobby degli espatriati della Florida- si erano rifiutati di mutare la loro posizione, malgrado che il regime castrista avesse abbandonato la sua politica rivoluzionaria. Spettava recentemente al presidente Obama di ignorare le pressioni della lobby dei fuoriusciti cubani e di dare l’avvio a un nuovo capitolo nella storia delle relazioni tra i due popoli.
Di gran lunga più potente doveva dimostrarsi la lobby destinata a opporsi a quello che viene giustamente considerato il fiore all’occhiello della politica estera di Obama, vale a dire l’accordo con l’Iran per convincere quel Paese a rinunciare alla costruzione di ordigni nucleari. In base a tale trattato, sostenuto da tutti i Paesi europei, l’Iran si impegnava a usare i suoi impianti nucleari per scopi esclusivamente pacifici, in cambio dell’eliminazione dell’embargo economico al quale era sottoposto da anni. Il più strenuo oppositore del trattato appariva il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che insisteva sulla tesi che l’Iran avrebbe dovuto rinunciare a tutte le sue installazioni nucleari, in quanto a lungo andare avrebbero potuto essere convertite per la produzione di armi atomiche. Anche se Netanyahu giustificava la sua richiesta con il fatto che l’Iran non accennava ad abbandonare la sua politica di inimicizia verso Israele, non si poteva negare che l’Iran, in qualità di Paese sovrano, avesse il diritto di usare l’energia nucleare per scopi non militari come tanti altri. A detta di molti osservatori, peraltro, ogni tentativo di imporre condizioni più stringenti sarebbe servito ad esacerbare ancor più le relazioni con quel Paese. La pretesa di Netanyahu di avere un Medio Oriente privo di armi nucleari, peraltro, non mostrava molta coerenza, dal momento che Israele disponeva di un grosso arsenale atomico, anche se si guardava bene dal confermarlo.
Il presidente Obama, da parte sua, pur rassicurando Israele che il trattato conteneva sufficienti disposizioni da garantire l’adempienza da parte dell’Iran, aveva ammonito che l’eventuale fallimento delle trattative avrebbe potuto sollevare lo spettro di un nuovo conflitto. A questo riguardo aveva accusato coloro che si opponevano al trattato di essere gli stessi che a suo tempo si erano schierati in favore della guerra in Irak, malgrado l’assenza di valide prove sull’esistenza di armi di distruzione di massa. Il trattato è ora all’esame del Congresso americano, dove si prevede incontrerà una forte opposizione data la profonda ostilità esistente tra l’organo legislativo, dominato dai Repubblicani, e quello esecutivo. In effetti, ogni iniziativa del presidente Obama, dal programma per assicurare una copertura medica a tutti gli Americani a quello per affrontare l’immigrazione illegale nel Paese, e ora al trattato nucleare con l’Iran, ha incontrato una indiscriminata e talvolta assurda opposizione.
Nel caso che il Congresso americano esprimesse parere sfavorevole sul trattato, al presidente non rimarrebbe che apporre il suo veto alla risoluzione parlamentare, ricorrendo al suo potere esecutivo. Ma non è finita qui. Il Congresso, a sua volta avrebbe ancora una possibilità di sbarazzarsi del trattato mettendo insieme due terzi di voti sfavorevoli in ciascuna camera per annullare il veto presidenziale. Le possibilità che il veto potesse essere superato, tuttavia, risultavano assai remote, dal momento che i Repubblicani da soli non avrebbero avuto i voti necessari.
In questo scenario era inevitabile che l’iniziativa fosse passata alla varie lobbies che avevano l’obiettivo di imporre le vedute di Netanyahu negli Stati Uniti, sovvenzionate in gran parte da miliardari americani favorevoli a Israele. L’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), la potente lobby creata all’indomani della nascita di Israele, in particolare, ha stanziato decine di milioni di dollari per allestire una imponente campagna sui vari media del Paese diretta a screditare l’operato di Obama e, principalmente, a fare affluire a Washington migliaia di simpatizzanti con lo scopo di fare pressione sui rappresentanti democratici dei vari Stati. Una importante vittoria di questa tattica è stata la recente defezione di Chuck Schumer, un influente senatore democratico di New York particolarmente legato a Israele, che ha deciso di opporsi a Obama e di unirsi ai Repubblicani per respingere il trattato.
Il presidente Obama si è affrettato ad accusare l’AIPAC di spargere voci tendenziose sul trattato al fine di falsarne il contenuto e di interferire in maniera inaccettabile sulla politica americana, accentuando ancor più la divergenza di opinioni con il primo ministro Netanyahu. Nel frattempo, in Israele non sono mancati coloro che hanno criticato la posizione intransigente del primo ministro, che avrebbe finito per mettere a dura prova le relazioni tra il loro Paese e gli Stati Uniti, sicuramente i più fedeli dei loro alleati.
Gian Carlo Treggi

(Fonte: Gazzetta di Parma dell’8/9/2015, p. 38)

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