La nuova cortina di ferro

La Lettonia sta costruendo una recinzione metallica di 90 km, alta 2,5 metri, lungo il confine con la Russia, che sarà ultimata entro l’anno. Sarà estesa nel 2019 su oltre 190 km di confine, con un costo previsto di 17 milioni di euro. Una analoga recinzione di 135 km viene costruita dalla Lituania al confine col territorio russo di Kaliningrad. L’Estonia ha annunciato la prossima costruzione di una recinzione, sempre al confine con la Russia, lunga 110 km e alta anch’essa 2,5 metri. Costo previsto oltre 70 milioni di euro, per i quali il governo estone chiederà un finanziamento UE. Scopo di tali recinzioni, secondo le dichiarazioni governative, è «proteggere i confini esterni dell’Europa e della NATO».
Esclusa la motivazione che essi debbano essere «protetti» da massicci flussi migratori provenienti dalla Russia, non resta che l’altra: i confini esterni della UE e della NATO devono essere «protetti» dalla «minaccia russa». Poiché la recinzione costruita dai Paesi baltici lungo il confine con la Russia ha una efficacia militare praticamente nulla, il suo scopo è fondamentalmente ideologico: quello di simbolo fisico che, al di là della recinzione, c’è un pericoloso nemico che ci minaccia. Ciò rientra nella martellante psyop politico-mediatica per giustificare la escalation USA/NATO in Europa contro la Russia. In tale quadro, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato in Lettonia due volte, la prima in luglio in un giro di visite nei Paesi baltici e in Georgia. Al pranzo ufficiale a Riga, il presidente della Repubblica italiana ha lodato la Lettonia per aver scelto la «integrazione all’interno della NATO e dell’Unione Europea» e aver deciso di «abbracciare un modello di società aperta, basata sul rispetto dello Stato di diritto, sulla democrazia, sulla centralità dei diritti dell’uomo». Lo ha dichiarato al presidente lettone Raymond Vejonis, il quale aveva già approvato in aprile il disegno di legge che proibisce l’insegnamento del Russo in Lettonia, un Paese la cui popolazione è per quasi il 30% di etnia russa e il russo è usato quale lingua principale dal 40% degli abitanti. Una misura liberticida che, proibendo il bilinguismo riconosciuto dalla stessa Unione Europea, discrimina ulteriormente la minoranza russa, accusata di essere «la quinta colonna di Mosca». Due mesi dopo, in settembre, il presidente Mattarella è tornato in Lettonia per partecipare a un vertice informale di Capi di Stato dell’Unione Europea, in cui è stato trattato tra gli altri il tema degli attacchi informatici da parte di «Stati con atteggiamento ostile» (chiaro il riferimento alla Russia). Dopo il vertice, il Presidente della Repubblica si è recato alla base militare di Ᾱdaži, dove ha incontrato il contingente italiano inquadrato nel Gruppo di battaglia schierato dalla NATO in Lettonia nel quadro della «presenza avanzata potenziata» ai confini con la Russia. «La vostra presenza è un elemento che rassicura i nostri amici lettoni e degli altri Paesi baltici», ha dichiarato il Presidente della Repubblica. Parole che sostanzialmente alimentano la psyop, suggerendo l’esistenza di una minaccia per i Paesi baltici e il resto dell’Europa proveniente dalla Russia. Il 24 settembre arriverà in Lettonia anche Papa Francesco, in visita nei tre Paesi baltici. Chissà se, ripetendo che si devono «costruire ponti non muri», dirà qualcosa anche sulla nuova cortina di ferro che, dividendo la regione europea, prepara le menti alla guerra. Oppure se a Riga, deponendo fiori al «Monumento per la libertà», rivendicherà la libertà dei giovani Lettoni russi di imparere e usare la propria lingua.
Manlio Dinucci

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Intermarium, chi era costui?

“Dopo la guerra combattuta tra la Russia e la Polonia e conclusasi il 18 marzo 1921 col trattato di pace di Riga, il Maresciallo Józef Piłsudski (1867-1935), capo provvisorio del rinato Stato polacco, lanciò l’idea di una federazione di Stati che, estendendosi “tra i mari” Baltico e Nero, in polacco sarebbe stata denominata Międzymorze, in lituano Tarpjūris e in latino, con un neologismo poco all’altezza della tradizione umanistica polacca, Intermarium. La federazione, erede storica della vecchia entità politica polacco-lituana, secondo il progetto iniziale di Piłsudski (1919-1921) avrebbe dovuto comprendere, oltre alla Polonia quale forza egemone, la Lituania, la Bielorussia e l’Ucraina. È evidente che il progetto Intermarium era rivolto sia contro la Germania, alla quale avrebbe impedito di ricostituirsi come potenza imperiale, sia contro la Russia, che secondo il complementare progetto del Maresciallo, denominato “Prometeo”, doveva essere smembrata nelle sue componenti etniche.
Per la Francia il progetto rivestiva un certo interesse, perché avrebbe consentito di bloccare simultaneamente la Germania e la Russia per mezzo di un blocco centro-orientale egemonizzato dalla Polonia. Ma l’appoggio francese non era sufficiente per realizzare il progetto, che venne rimpiazzato dal fragile sistema d’alleanze spazzato via dalla Seconda Guerra Mondiale.
Una più audace variante del progetto Intermarium, elaborata dal Maresciallo tra il 1921 e il 1935, rinunciava all’Ucraina ed alla Bielorussia, ma in compenso si estendeva a Norvegia, Svezia, Danimarca, Estonia, Lettonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Jugoslavia ed Italia. I due mari diventavano quattro, poiché al Mar Baltico ed al Mar Nero si venivano ad aggiungere l’Artico e il Mediterraneo. Ma anche questo tentativo fallì e l’unico risultato fu l’alleanza che la Polonia stipulò con la Romania.
L’idea di un’entità geopolitica centroeuropea compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero fu riproposta nei termini di una “Terza Europa” da un collaboratore di Piłsudski, Józef Beck (1894-1944), che nel 1932 assunse la guida della politica estera polacca e concluse un patto d’alleanza con la Romania e l’Ungheria.
Successivamente, durante il secondo conflitto mondiale, il governo polacco di Władisław Sikorski (1881-1943) – in esilio prima a Parigi e poi a Londra – sottopose ai governi cecoslovacco, greco e jugoslavo la prospettiva di un’unione centroeuropea compresa fra il Mar Baltico, il Mar Nero, l’Egeo e l’Adriatico; ma, data l’opposizione sovietica e la renitenza della Cecoslovacchia a federarsi con la Polonia, il piano dovette essere accantonato.
Con la caduta dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’idea dell’Intermarium ha ripreso vigore, rivestendo forme diverse quali il Consiglio di Cooperazione nel Mar Nero, il Partenariato dell’Est e il Gruppo di Visegrád, meno ambiziose e più ridotte rispetto alle varianti del progetto “classico”.
Ma il sistema di alleanze che più si avvicina allo schema dell’Intermarium è quello teorizzato da Stratfor, il centro studi statunitense fondato da George Friedman, in occasione della crisi ucraina. Da parte sua il generale Frederick Benjamin “Ben” Hodges, comandante dell’esercito statunitense in Europa (decorato con l’Ordine al Merito della Repubblica di Polonia e con l’Ordine della Stella di Romania), ha annunciato un “posizionamento preventivo” (“pre-positioning”) di truppe della NATO in tutta l’area che, a ridosso delle frontiere occidentali della Russia, comprende i territori degli Stati baltici, la Polonia, l’Ucraina, la Romania e la Bulgaria. Dal Baltico al Mar Nero, come nel progetto iniziale di Piłsudski.
Il 6 agosto 2015 il presidente polacco Andrzej Duda ha preconizzato la nascita di un’alleanza regionale esplicitamente ispirata al modello dell’Intermarium. Un anno dopo, dal 2 al 3 luglio 2016, nei locali del Radisson Blue Hotel di Kiev ha avuto luogo, alla presenza del presidente della Rada ucraina Andriy Paruby e del presidente dell’Istituto nazionale per la ricerca strategica Vladimir Gorbulin, nonché di personalità politiche e militari provenienti da varie parti d’Europa, la conferenza inaugurale dell’Intermarium Assistance Group, nel corso della quale è stato presentato il progetto di unione degli Stati compresi tra il Mar Baltico e il Mar Nero.
Nel mese successivo, i due mari erano già diventati tre: il 25-26 agosto 2016 il Forum di Dubrovnik sul tema “Rafforzare l’Europa – Collegare il Nord e il Sud” ha emesso una dichiarazione congiunta in cui è stata presentata l’Iniziativa dei Tre Mari, un piano avente lo scopo di “connettere le economie e infrastrutture dell’Europa centrale e orientale da nord a sud, espandendo la cooperazione nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni digitali e in generale dell’economia”. L’Iniziativa dei Tre Mari, concepita dall’amministrazione Obama, il 6 luglio 2017 è stata tenuta a battesimo da Donald Trump in occasione della sua visita a Varsavia. L’Iniziativa, che a detta del presidente Duda nasce da “un nuovo concetto per promuovere l’unità europea”, riunisce dodici paesi compresi tra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico e quasi tutti membri dell’Alleanza Atlantica: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria.
Sotto il profilo economico, lo scopo dell’Iniziativa dei Tre Mari consiste nel colpire l’esportazione di gas russo in Europa favorendo le spedizioni di gas naturale liquefatto dall’America: “Un terminale nel porto baltico di Świnoujście, costato circa un miliardo di dollari, permetterà alla Polonia di importare Lng statunitense nella misura di 5 miliardi di metri cubi annui, espandibili a 7,5. Attraverso questo e altri terminali, tra cui uno progettato in Croazia, il gas proveniente dagli USA, o da altri Paesi attraverso compagnie statunitensi, sarà distribuito con appositi gasdotti all’intera ‘regione dei tre mari’” .
Così la macroregione dei tre mari, essendo legata da vincoli energetici, oltre che militari, più a Washington che non a Bruxelles ed a Berlino, spezzerà di fatto l’Unione Europea e, inglobando prima o poi anche l’Ucraina, stringerà ulteriormente il cordone sanitario lungo la linea di confine occidentale della Russia.”

Da Il cordone sanitario atlantico, editoriale di Claudio Mutti del n. 4/2017 di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.

Il presidente “buono” e quello “cattivo”

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Barack Obama fu «santo subito»: appena entrato alla Casa Bianca fu insignito preventivamente nel 2009 del Premio Nobel per la pace grazie ai «suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli». Mentre la sua amministrazione già preparava segretamente, tramite la Segretaria di Stato Hillary Clinton, la guerra che due anni dopo avrebbe demolito lo Stato libico, estendendosi poi alla Siria e all’Iraq tramite gruppi terroristici funzionali alla strategia USA/NATO.
Donald Trump è invece «demone subito», ancor prima di entrare alla Casa Bianca. Viene accusato di aver usurpato il posto destinato a Hillary Clinton, grazie a una malefica operazione ordinata dal Presidente russo Putin.
Le «prove» sono fornite dalla CIA, la più esperta in materia di infiltrazioni e colpi di stato. Basti ricordare le sue operazioni per provocare e condurre le guerre contro Vietnam, Cambogia, Libano, Somalia, Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria; i suoi colpi di Stato in Indonesia, El Salvador, Brasile, Cile, Argentina, Grecia. Milioni di persone imprigionate, torturate e uccise; milioni sradicate dalle loro terre, trasformate in profughi oggetto di una vera e propria tratta degli schiavi. Soprattutto bambine e giovani donne, schiavizzate, violentate, costrette a prostituirsi.
Tutto questo dovrebbe essere ricordato da chi, negli USA e in Europa, organizza il 21 gennaio la Marcia delle donne per difendere giustamente quella parità di genere conquistata con dure lotte, continuamente messa in discussione da posizioni sessiste come quelle espresse da Trump.
Non è però questa la ragione per cui Trump è messo sotto accusa in una campagna che costituisce un fatto nuovo nella procedura di avvicendamento alla Casa Bianca: questa volta la parte perdente non riconosce la legittimità del presidente neoeletto, ma tenta un impeachment preventivo.
Trump viene presentato come una sorta di «Manchurian Candidate» che, infiltrato alla Casa Bianca, verrebbe controllato da Putin, nemico degli Stati Uniti. Gli strateghi neocon, artefici della campagna, cercano in tal modo di impedire un cambio di rotta nelle relazioni degli Stati Uniti con la Russia, che l’amministrazione Obama ha riportato a livello di Guerra Fredda.
Trump è un «trader» che, continuando a basare la politica statunitense sulla forza militare, intende aprire un negoziato con la Russia, possibilmente anche per indebolire l’alleanza di Mosca con Pechino. In Europa temono un allentamento della tensione con la Russia anzitutto i vertici NATO, cresciuti d’importanza con l’escalation militare della nuova Guerra Gredda, e i gruppi di potere dei paesi dell’Est – in particolare Ucraina, Polonia e Paesi baltici – che puntano sull’ostilità alla Russia per avere un crescente appoggio militare ed economico da parte della NATO e della UE.
In tale quadro, non possono essere taciute nelle manifestazioni del 21 gennaio le responsabilità di quanti hanno trasformato l’Europa in prima linea del confronto, anche nucleare, con la Russia.
Dovremmo manifestare non come sudditi statunitensi che non vogliono un presidente «cattivo» e ne chiedono uno «buono», ma per liberarci dalla sudditanza verso gli Stati Uniti che, indipendentemente da chi ne sia Presidente, esercitano la loro influenza in Europa tramite la Nato; per uscire da questa alleanza di guerra, per pretendere la rimozione delle armi nucleari USA dai nostri Paesi.
Dovremmo manifestare per avere voce, come cittadine e cittadini, nelle scelte di politica estera che, indissolubilmente legate a quelle economiche e politiche interne, determinano le nostre condizioni di vita e il nostro futuro.
Manlio Dinucci

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Spagna, la nuova portaerei della NATO

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La Spagna si è trasformata fino al prossimo 6 novembre nel più grande teatro di operazioni militari della NATO dalla fine della Guerra Fredda, per ospitare gigantesche manovre che mobilitano più di 30.000 soldati, 20.000 dei quali spagnoli, con armamenti di ultima generazione.

La fase attiva del Trident Juncture 2015 è iniziata il 3 ottobre scorso, ma il governo conservatore di Mariano Rajoy non ha ancora spiegato né i costi di queste esercitazioni, né la nuova politica di avvicinamento militare agli Stati Uniti, né quali saranno i benefici per la Spagna di questa pericolosa strategia.
Lo stesso ministro spagnolo della Difesa, Pedro Morenés, ha definito quest’estate le attuali manovre della NATO come le “più potenti, più importanti e di maggior entità qualitativa e quantitativa dell’Alleanza dai tempi dell’operazione in Afghanistan”.
Le esercitazioni della NATO in Spagna serviranno secondo le parole del responsabile della Difesa spagnolo a “dare visibilità” a questa regione “come un settore chiave” per l’Alleanza Atlantica.
Ma questo stretto rapporto della Spagna con NATO e USA non porta alcun beneficio agli Spagnoli, quanto piuttosto il contrario, perché a seguito dell’attuale escalation militare tra Washington e Mosca, anche la Spagna si convertirà in un obiettivo da colpire. Continua a leggere

Un giorno non avremo più un’America di cui doverci preoccupare?

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“Invece di collassare in silenzio, gli Stati Uniti hanno deciso di fare a botte con la Russia. Sembra che abbiano già perso l’incontro, ma rimane un problema: quante altre Nazioni dovranno ancora distruggere gli Stati Uniti prima che si rendano finalmente conto della loro inevitabile sconfitta e disintegrazione?
Come Putin disse la scorsa estate, parlando al Forum per la Gioventù di Seliger, “Ho la sensazione che qualunque cosa tocchino gli americani, finisca come la Libia o l’Irak”. Indubbiamente gli americani ci si sono messi d’impegno a distruggere una Nazione dopo l’altra. L’Irak è stato smembrato, la Libia è un non-Stato, la Siria un disastro umanitario, l’Egitto una dittatura militare con un programma di detenzioni di massa. L’ultimo fiasco è quello dello Yemen, dove di recente è stato rovesciato il governo filo-americano e dove i cittadini americani, che erano rimasti intrappolati, hanno dovuto aspettare che i Russi e i Cinesi li liberassero e li riportassero a casa. Ma è stato il precedente fallimento della politica estera americana in Ucraina che ha indotto i Russi, insieme ai Cinesi, a dichiarare apertamente che gli Stati Uniti si sono spinti troppo oltre e che ogni loro ulteriore mossa porterà ad una escalation automatica della situazione.
Il piano russo è quello di prepararsi, insieme a Cina, India e buona parte del mondo, alla guerra con gli Stati Uniti, ma di fare il possibile per evitarla. Il tempo è dalla loro parte, perché, ogni giorno che passa, essi diventano più forti, mentre l’America diventa più debole. Mentre questo processo fa il suo corso, l’America potrebbe però “toccare” alcuni altri Stati, facendoli diventare come la Libia o l’Irak. E’ la Grecia la prossima in lista? E che cosa ne dite di buttare sotto l’autobus gli Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), che sono attualmente membri della NATO (leggi: agnelli sacrificali)? L’Estonia è a poche ore di macchina dalla seconda in grandezza delle città russe, San Pietroburgo, una grossa percentuale della sua popolazione è russa, la capitale è a maggioranza russa e ha un governo ferocemente anti-russo. Di questi quattro fattori solo uno è incongruo. Viene preparata all’autodistruzione? Anche alcune Repubbliche centro-asiatiche, nel ventre molle della Russia, potrebbero essere pronte per una “toccatina”.
Non c’è il minimo dubbio che gli americani continueranno a far danni in giro per il mondo, “toccando” Nazioni vulnerabili e sfruttabili fino a che saranno in grado di farlo. Ma c’è anche un’altra domanda che merita di essere fatta: gli americani “toccheranno” se stessi? Perchè se lo faranno, i prossimi candidati ad essere ristrutturati a forza di bombe, potrebbero essere gli stessi Stati Uniti. Consideriamo questa opzione.”

Il tallone d’Achille dell’America di Dmitry Orlov continua qui.

La Russia nel mirino della NATO globale

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Intervista di RT a Rick Rozoff, curatore di Stop NATO e dell’omonimo sito
(traduzione e collegamenti inseriti sono nostri)

RT: Quale è il problema se la NATO svolge più esercitazioni militari? Viviamo in un mondo pericoloso e l’esercizio rende efficienti, non è così?
Rozoff: Certo, dobbiamo contestualizzare le questioni. Se stiamo parlando delle più recenti esercitazioni militari della NATO sul Mar Baltico, le cosiddette operazioni o esercitazione Steadfast Jazz 2013. Dobbiamo considerare che si tratta della più vasta esercitazione militare congiunta svolta dalla NATO negli ultimi sette anni. Ed è stata tenuta in due Paesi che condividono i propri confini con la Russia -Lettonia e Polonia- con l’esplicito obiettivo di compattare la cosiddetta NATO Response Force, che è una forza militare globale di intervento. Si è inoltre svolta su larga scala: 6.000 soldati, con componenti aeree e navali così come di terra e fanteria in Paesi confinanti con la Russia. Non è un fatto di tutti i giorni, come i vostri commenti possono suggerire. Se qualcosa di analogo succedesse al confine americano, a dire in Messico e Canada, e soldati provenienti da 40 Paesi, tutti membri della NATO, e una serie di Paesi partner della NATO dovessero impegnarsi in esercitazioni militari congiunte sul confine americano, si sentirebbe qualcosa da Washington, ve lo assicuro. Peraltro non si tratta di un innocuo affare quotidiano di una o due nazioni che svolgono esercitazioni militari; si tratta del più grande blocco militare nella storia, onestamente parlando, con 24 Paesi membri, con oltre 70 Paesi partner nel mondo, che è oltre un terzo delle nazioni al mondo, e nell’ONU, ad esempio. Questa rappresenta un’ulteriore indicazione che il blocco militare guidato dagli USA, la NATO, ispira, prima di tutto, lo svolgimento di quelle che potrebbero essere interpretate come incaute e forse anche pericolose esercitazione militari vicino ai confini della Russia e allo stesso tempo progetta di sviluppare ulteriormente e dare una veste all’attivazione della propria forza internazionale di intervento.

RT: Queste esercitazioni non sono a buon mercato comunque – e molte nazioni europee non sono finanziariamente nella migliore forma. Ne vale davvero la pena per loro?
Rozoff: Certo che no, è un fantasma, una minaccia immaginaria che è stata contestata. Vale la pena notare che il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen e altri funzionari dell’Alleanza Atlantica incluso il vice Segretario Generale Alexander Vershbow, che è l’ex ambasciatore statunitense in Russia, hanno precisato che le esercitazioni militari svolte in Lettonia e Polonia erano dirette a consolidare i risultati conseguiti negli ultimi dodici anni in Afghanistan, dove la NATO, attraverso la missione ISAF, ha consolidato – sono le sue parole – l’operatività di forze militari provenienti da 50 diverse nazioni. I popoli europei, i cittadini dei rispettivi 26 Stati membri in Europa possono comprendere questo genere di stravaganza? No, certamente non possono. Così ciò che resta da credere è che gli Stati Uniti trovano il pretesto per utilizzare la NATO e sono pronti a sostenere la maggior parte dei costi derivanti dalle esercitazioni o dalla creazione delle installazioni militari, per rafforzare i propri interessi geopolitici in Europa e nel mondo.

RT: La NATO ha appena terminato le esercitazioni in Polonia e negli Stati baltici. C’è qualche ragione per la scelta di queste precise collocazioni?
Rozoff: Se vi riferite alla forza di risposta rapida, che è un dispositivo dell’Alleanza utilizzato presumibilmente per interferire quando la NATO interviene militarmente, come fa negli ultimi quattordiici anni fuori dalla sua area di responsabilità, l’autodichiarata zona di protezione dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Stiamo parlando ovviamente di una seria azione militare, seria come lo è la guerra, infatti. Quattordici anni fa nell’Europa sud-orientale, nella ex Jugoslavia, per gli ultimi dodici anni in Afghanistan, in Asia, e due anni fa in Libia e Nord Africa, poi hanno scelto un così delicato posizionamento di fronte alla Russia – gli Stati baltici, il confine nord-occidentale della Federazione Russa – a me sembra quasi come una provocazione. Ma la spiegazione ufficiale della NATO è che, essendosi ormai configurata come una forza militare internazionale per missioni che possono essere condotte in Africa, Medio Oriente, nel Golfo di Aden, nell’Oceano Indiano, in Asia Meridionale e Centrale, adesso deve ristabilire la propria capacità di difendere gli Stati membri. Chi altri se non la Russia può essere presa di mira quando gli Stati NATO, e, nel caso di Lettonia e Polonia – devono essere in grado di difendere i nuovi Stati membri dell’Alleanza come Lettonia, Estonia, Lituania a Polonia – nessuna altra nazione potrebbe essere il potenziale aggressore in quel contesto se non la Russia. Perciò questa è un’aperta provocazione nei confronti della Russia.

RT: L’anno prossimo la NATO terminerà la sua missione di combattimento in Afghanistan, che è durata oltre un decennio. Che cosa faranno tutte queste truppe dopo il ritiro del 2014?
Rozoff: Ci sarà un periodo di riposo e recupero per le attuali forze terrestri. E considerate che i comandanti NATO in Afghanistan e i comandanti militari USA hanno discusso circa il mantenimento in territorio afghano di un numero tra gli 8.000 e i 14.000 soldati statunitensi e di altri Paesi NATO per un futuro indefinito. E ciò si aggiunge certamente all’intenzione statunitense di mantenere e forse anche espandere la propria presenza e la propria capacità bellica nelle grandi basi aeree che gli Stati Uniti hanno migliorato a Shandan, Kandahar, e le basi terrestri fuori dalla capitale Kabul, e così via. Pertanto ciò che la NATO evidentemente intende fare, e gli USA in primo luogo, è la compiuta integrazione delle strutture militari di oltre 50 Paesi – un evento molto importante, non c’è nulla di anche lontanamente paragonabile che sia avvenuto prima nella storia. Bisogna essere onesti riguardo ciò. In nessuna guerra, neanche nella Seconda guerra mondiale, c’è stata la presenza di personale militare da 50 Paesi, tanto meno da una sola delle parti in conflitto, tanto meno in un solo teatro di guerra e in un sola nazione. Perciò quello che la NATO ha fatto è stato usare i dodici anni di incerto impegno bellico in Afghanistan al fine di mettere in piedi una NATO globale, nei fatti. E una volta concluso questo percorso con il vertice dell’Alleanza svoltosi a Chigago, lo scorso vertice NATO del Maggio 2012, l’Alleanza ha annunciato la nascita di un altro programma di partenariato. E questo sarà il primo che non è geograficamente connotato, diversamente da quelli che riguardano il Golfo Persico, il Mediterraneo, la regione del Medio Oriente o l’Europa Orientale, il Caucaso, l’Asia centrale. Quest’ultima iniziativa della NATO comprende inizialmente otto nazioni appartenenti alla più grande regione dell’Asia-Pacifico: Iraq, Pakistan, Afghanistan, Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Corea del Sud e Mongolia. La Mongolia anche, come il Kazakhistan, che è un membro del programma NATO Partenariato per la Pace, confina sia con la Russia che con la Cina. Ciò cui stiamo assistendo è che a dispetto di tutti i suoi sforzi per convincere il mondo che è diventata un’aggiunta all’ONU, o che costituisce in qualche modo un apparato per il mantenimento della pace, la NATO si è in realtà trasformata in una forza militare globale. Essa può avere una limitata capacità di allargamento, almeno non fino al punto che vorrebbe. Ma le sue intenzioni sono chiare. Il nuovo quartier generale della NATO in costruzione a Bruxelles, che costerà più di un miliardo di dollari, sarà concluso a breve. Bene, la NATO non ha intenzione di accettare un’altra limitazione al bilancio e altri fattori che possano giustificare il suo ridimensionamento, le sue ambizioni al contrario sono più grandiose di quanto siano mai state prima.

RT: Che cosa riserva il futuro per l’Organizzazione in generale? Come può continuare a contare ed essere una forza importante nel mondo?
Rozoff: Lo scopriremo al prossimo vertice di Berlino l’anno a venire, nel 2014. Ciò che sappiamo è che al vertice di Chigago dell’anno scorso, una delle più importanti fra le decisioni prese riguarda il cosiddetto sistema di missili intercettori con approccio adattativo graduale -inizialmente progettato dai soli Stati Uniti sotto l’amministrazione di George W. Bush e ora pienamente integrato con la NATO sotto l’amministrazione di Barack Obama – ha raggiunto la capacità operativa iniziale, con piani per installare infine centinaia di missili intercettori a raggio intermedio e medio a terra in Paesi come Romania e Polonia, e anche su cacciatorpedinieri e altri tipi di unità navali nel Mediterraneo. Alla fine, sospetto, nel Mar Baltico e nel Mar Nero, poichè gli Stati Uniti stanno usando ancora la NATO come un cavallo di Troia, per controllare non solo militarmente ma anche politicamente l’intera Europa Orientale, dal Mar Baltico al Mar Nero. Ogni singolo membro di quello che era il Patto di Varsavia, con l’eccezione della Russia, è ora parte a pieno titolo della NATO. Metà degli Stati appartenenti alla ex Repubblica di Jugoslavia sono adesso membri a pieno titolo della NATO. Vediamo quindi che gli Stati Uniti usano la NATO per estendersi militarmente da Berlino, al termine della Guerra Fredda fin fino al confine russo. E la cosa più allarmante ultimamente è che hanno intensificato i propri sforzi per incorporare l’Ucraina, che possiede un rilevante confine con la Russia, quale importante partner della NATO. L’Ucraina sta per unirsi alla forza di risposta rapida, così come Georgia, Finlandia e Svezia. La Svezia è l’unico fra questi Paesi a non avere un confine con la Russia. Finlandia, Ucraina e Georgia possiedono confini rilevanti. Quello cui assistiamo è che la NATO in un modo o nell’altro sta continuando la spinta verso i confini della Russia e di fatto l’accerchiamento militare della Federazione Russa.

CYBERCOM

Lo scorso 21 Maggio, il segretario alla Difesa Robert Gates ha annunciato l’attivazione del primo comando informatico del Pentagono.
CYBERCOM (acronimo di U.S. Cyber Command), inizialmente approvato il 23 giugno 2009, dopo undici mesi ha raggiunto la cosiddetta capacità operativa iniziale e dovrebbe diventare pienamente funzionante entro la fine dell’anno in corso.
Esso, pur se posto sotto il cappello di STRATCOM (U.S. Strategic Command), il comando collocato presso la base aerea di Offutt nel Nebraska ed incaricato della militarizzazione dello spazio così come del progetto di scudo antimissile globale, ha trovato sede a Fort Meade nel Maryland insieme alla segretissima agenzia di intelligence National Security Agency (NSA). Il capo di quest’ultima, Keith Alexander, tenente generale dell’esercito degli Stati Uniti all’alba del 21 Maggio, è stato promosso generale a-quattro-stelle in occasione del lancio di CYBERCOM, divenendone contemporaneamente suo comandante.
Nella testimonianza scritta presentata al Senato prima che questo lo confermasse nella sua nuova posizione, Alexander ha specificato che il nuovo Comando, oltre alla difesa dei sistemi e delle reti informatiche, dovrebbe prepararsi per condurre anche “operazioni offensive”. Secondo l’AP, egli avrebbe inoltre sostenuto che gli Stati Uniti sono determinati a capeggiare lo sforzo globale indirizzato ad utilizzare le tecnologie informatiche “per dissuadere o sconfiggere i nemici”.
Il giorno in cui Alexander ha assunto il suo nuovo comando, il vice segretario alla Difesa William Lynn ha definito la creazione di CYBERCOM come “una pietra miliare nella capacità statunitense di condurre operazioni a spettro completo in un nuovo dominio” aggiungendo che “per l’apparato militare degli Stati Uniti il dominio cibernetico è importante come quelli terrestre, marittimo, aereo e spaziale e che proteggere le reti militari è un fattore cruciale per il successo sul campo di battaglia”.
James Miller, un altro esponente della “Difesa”, dal canto suo era persino giunto a dichiarare che il Pentagono, nel caso di un attacco informatico agli Stati Uniti, dovrebbe prendere in considerazione una risposta di carattere militare. Si delinea quindi un quadro in cui, ponendo la sicurezza informatica, compresa quella del settore civile, sotto un comando del Pentagono, si procede verso l’adozione di un approccio di natura militare rispetto a questioni più propriamente criminali o anche semplicemente commerciali o relative a brevetti, attrezzandosi per una risposta decisamente non-virtuale nei contenuti.
Il Pentagono e la NSA non sono da soli nello sforzo di creare ed attivare il primo comando nazionale di guerra cibernetica al mondo. Come sempre, Washington sta ricevendo un sostegno incondizionato da parte della NATO.
La rivendicazione di una capacità di guerra cibernetica emerse tra esponenti di spicco statunitensi ed atlantici durante ed immediatamente dopo una serie di attacchi ai sistemi informatici dell’Estonia, verificatisi nella primavera del 2007. Il Paese baltico, che aveva aderito alla NATO tre anni prima, accusò all’epoca pirati informatici russi degli attacchi alle sue reti governative e private, e l’accusa fu rilanciata in Occidente aggiungendovi l’insinuazione che ad ispirarli fosse il governo dell’allora presidente della Russia Vladimir Putin.
Tre anni più tardi le accuse non risultano ancora provate ma sono comunque servite allo scopo di inviare in Estonia tecnici della NATO esperti di guerra cibernetica ed istituire, a maggio del 2008, un centro di eccellenza per la Cooperative Cyber Defence nella capitale Tallin.
A marzo di quest’anno, il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, in Finlandia per promuovere il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza, ha affermato che non è sufficiente “allineare soldati, carri ed equipaggiamenti militari lungo i confini”, riferendosi implicitamente alla clausola di mutua difesa stabilita dall’articolo 5 del Trattato istitutivo dell’Alleanza, ma che la NATO deve “affrontare la minaccia alle radici, e potrebbe essere nel cyberspazio”: lì, “il nemico potrebbe apparire ovunque”.
Si converrà che, per la loro natura, le questioni relative alla sicurezza informatica sono le più amorfe, nebulose ed eteree minacce che possano essere prospettate (ed inventate) così come sono caratterizzate da un’applicabilità quasi universale e dall’effettiva impossibilità di essere smentite.
Ciò che di meglio il Pentagono e la NATO potrebbero trovare per giustificare i propri interventi militari in giro per il mondo.

CyberNATO

Sette Paesi della NATO (Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Spagna), insieme all’Allied Command Transformation dell’Alleanza, con sede a Norfolk negli Stati Uniti, hanno creato nella capitale estone Tallin un centro di eccellenza per la Cooperative Cyber Defence che avrà come obiettivo di addestrare i tecnici degli Stati membri contro possibili “minacce informatiche” .
Il centro sarà operativo nel corso del 2009, con un gruppo di trenta esperti già al lavoro per condurre ricerche e corsi di addestramento sui più recenti rischi informatici. L’accordo è stato stipulato nella primavera del 2008, ad un anno di distanza dal maggior cyber attacco che abbia colpito istituzioni pubbliche e private del Paese baltico: nel maggio 2007, infatti, uno sciame di DDoS (Denial of service attack) della durata di tre settimane riuscì a paralizzare quasi completamente l’infrastruttura informatica nazionale.
L’attacco avvenne dopo che le autorità estoni avevano deciso di rimuovere dal centro della capitale un monumento sovietico che ricordava i caduti dell’Armata Rossa morti durante la seconda guerra mondiale. Trasferimento che provocò violente proteste e culminò in un’offensiva telematica di hackers russi. Fu in quel caso evidente la vulnerabilità delle reti informatiche di un Paese che, d’altro canto, è uno dei primi al mondo ad aver introdotto e-government e voto elettronico e che per la sua fiorente industria hi-tech ha meritato il soprannome di “E-stonia”.
Negli stessi giorni, a Bonn si è svolto un incontro tra settanta esperti tra militari, ricercatori e funzionari governativi provenienti da sedici Paesi europei della NATO, che ha affrontato il problema di superare il divario esistente tra esigenze militari nel settore della robotica e le potenzialità acquisite in campo civile. Sono stati quindi individuati due filoni.
Nel primo pacchetto, quello di come utilizzare sin da adesso le tecnologie disponibili, sono state identificate le cinque più importanti esigenze militari, nell’ordine: ricognizione e sorveglianza di sostegno tattico alle forze di terra; sminamento postconflitti; scorte e rifornimenti; controllo di veicoli e persone per la ricerca di armi ed esplosivi; trasporto degli equipaggiamenti. Nel secondo, riguardante gli sviluppi futuri, sono stati delineati sei campi d’azione: comunicazioni, piattaforme robotiche, sensori e modellistica, navigazione e pianificazione delle missioni, interazione uomo/robot, sistemi multirobot.
In questa prospettiva, l’esercitazione svoltasi lo scorso autunno in Sardegna, con grande dispiegamento di mezzi e uomini, denominata Trial Imperial Hammer.

Una nuova Irlanda per fermare la NATO

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La scorsa settimana, a Bruxelles presso la sede della NATO, si sono riuniti i Capi di Stato Maggiore di più di 60 Paesi, membri dell’alleanza o semplicemente associati in uno dei vari accordi di partenariato che la stessa ha instaurato. Il cosiddetto “Incontro Autunnale” del Comitato Militare della NATO è stato presieduto dall’ammiraglio Giampaolo Di Paola e, fra i tanti argomenti all’ordine del giorno, si è occupato anche della cooperazione militare fra l’Alleanza Atlantica e l’Ucraina; al proposito, l’ammiraglio Di Paola si è congratulato con il rappresentante ucraino, generale Serhiy Kyrychenko [vedi foto], affermando che “non c’è nessun partner della NATO che dia un contributo così forte a tutte le missioni ed operazioni dell’alleanza come l’Ucraina”.
Questa sottolineatura giunge soltanto pochi giorni prima dello svolgimento del cruciale Consiglio Nord Atlantico a livello di Ministri degli Esteri che si terrà il 2 e 3 dicembre. In tale occasione, si riuniranno anche le commissioni bilaterali NATO-Georgia e NATO-Ucraina per decidere se offrire ai due Paesi ex sovietici l’ingresso nell’alleanza, attraverso la sottoscrizione di un apposito Membership Action Plan (MAP).
Casca quindi a fagiolo l’arguto commento dell’ex Primo Ministro slovacco, Jan Carnogursky. Egli richiama il no irlandese al Trattato di Lisbona, che, in ambito di Unione Europea, avrebbe dato alla burocrazia comunitaria il potere di prendere decisioni chiave per il futuro dei popoli del Continente, abolendo il diritto di veto da parte dei singoli Paesi. L’affossamento del Trattato ad opera del referendum d’Irlanda ha quindi permesso che l’UE continui ad operare ancora oggi sulla base del principio di unanimità quando chiamata a deliberare su questioni decisive.
Secondo Carnogursky, la situazione si sta ripetendo in modo identico riguardo l’espansione della NATO. Gli Stati Uniti stanno spingendo Georgia ed Ucraina ad entrare nell’alleanza e, come per il Trattato di Lisbona, dal sistema informativo globale è ritenuto politicamente corretto sostenere la piena adesione allo schieramento atlantico di questi due Paesi. Carnogursky ricorda però come l’espansione della NATO sia avvenuta contraddicendo platealmente le promesse che – prima Ronald Reagan, poi Bush senior – fecero all’epoca a Mikhail Gorbaciov. I capi sovietici furono così “ingenui e creduloni” da non pretendere che tali impegni venissero messi nero su bianco. Alcuni anni dopo effettivamente fu adottato un “Atto Fondamentale sulle relazioni comuni, la cooperazione e la mutua sicurezza tra la NATO e la Russia”, ma in esso ci si limitava ad una generica raccomandazione secondo la quale le parti non avrebbero mai dovuto intraprendere azioni che potessero minacciare la sicurezza europea, senza prima consultarsi con l’altra per ottenerne l’approvazione. L’ulteriore espansione ad est della NATO è ormai storia.
In vista dell’imminente incontro dei Ministri degli Esteri NATO, l’ex premier slovacco ritiene che molti Paesi europei siano convinti che né l’Ucraina né la Georgia (tantomeno dopo l’aggressione all’Ossezia del Sud della scorsa estate) soddisfino i criteri per l’adesione, ma che nessuno l’abbia detto alto e forte. Ad osare di bloccare l’ingresso degli aspiranti membri, a dare il proprio voto negativo in ambito NATO potrebbe essere la Slovacchia, con il consenso della maggioranza dei propri cittadini. Si eviterebbero così ulteriori problemi per l’Europa e, favorendo una ripresa della declinante fiducia russa verso le istituzioni europee, la Slovacchia potrebbe diventare “un autorevole mediatore tra l’Europa occidentale e quella sudorientale”.
Ma ci vuole coraggio, conclude Carnogursky rivolgendosi ai connazionali.

IMPORTANTE AGGIORNAMENTO:
colti da un soprassalto di coraggio (?!), pare che Francia, Germania ed altri Paesi Europei, alla vigilia del Consiglio Nord Atlantico a livello di Ministri degli Esteri NATO dei prossimi 2 e 3 dicembre, abbiano comunicato al Segretario di Stato USA Condoleezza Rice il proprio disaccordo riguardo l’avanzamento del processo di adesione di Georgia ed Ucraina all’Alleanza Atlantica.
Qui la notizia come riportata dall’agenzia di stampa RIA Novosti.

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Gli abitanti di Sebastopoli, città ucraina della Crimea con il 97% dellla popolazione di etnia russa, hanno espresso il loro gradimento all’ingresso nella NATO ed alle campagne propagandistiche intraprese dal governo.

“Un’altra questione spinosa che grava sul futuro della NATO è quella del suo immediato vicinato, ed in particolare il vasto e variegato spazio post-sovietico. È ormai escluso che la riunione di dicembre si concluda con l’offerta del MAP a Georgia e Ucraina. L’amministrazione Bush stessa sembra aver ripiegato sul compromesso detto del “MAP without MAP”: un progresso sostanziale nella cooperazione attraverso le Commissioni NATO-Georgia e NATO-Ucraina in vista di un futuro ingresso dei due Paesi nell’Alleanza, senza che il MAP sia formalmente attivato. Anche il raggiungimento di questo compromesso, tuttavia, non è assicurato. La Germania, ad esempio, insiste che una decisione sul MAP debba comunque essere presa prima o poi e si oppone insieme alla Francia a “scorciatoie” per l’ingresso nell’Alleanza.
Forse più decisiva di ogni altra considerazione, tuttavia, rimane la situazione interna dei due Paesi, che pare molto lontana da quella ideale per procedere speditamente verso la membership. In Ucraina l’instabilità politica è crescente e la posizione pro-occidentale ed atlantista del presidente Yushchenko sembra sempre più isolata. In Georgia, il contenzioso su Abkhazia e Ossezia del Sud rimane un macigno enorme sulla strada dell’adesione. A livello politico, poi, la posizione di Saakashvili si è sensibilmente deteriorata all’interno per l’esito catastrofico della guerra mentre la sua leadership pare sempre più screditata anche in Occidente, in particolare a seguito delle accuse di corruzione e le ombre crescenti sul suo ruolo nello scatenamento della crisi di agosto.”
Tratto da Tanti punti interrogativi sulla torta di compleanno della NATO, di Emiliano Alessandri, consulente alla ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma.

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Tbilisi, 28 novembre – Il presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha respinto le critiche che gli sono state rivolte per aver deciso di attaccare l’Ossezia meridionale lo scorso agosto. Ha giustificato il provvedimento dicendo che era necessario per la sicurezza nazionale. ”Sì, abbiamo deciso di intraprendere azioni militari a Tskhinvali”, ha detto Saakashvili prima di testimoniare davanti alla commissione parlamentare sul conflitto. ”E’ stato difficile prendere una decisione simile – ha continuato il presidente – ma qualsiasi governo l’avrebbe fatto per non mettere in pericolo i propri cittadini”.
(ASCA-AFP)

Tre giorni dopo…
Bruxelles, 2 dicembre – Il presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha esortato l’Occidente a non normalizzare i rapporti con la Russia se prima non si saranno accertate le responsabilità e le cause della guerra di agosto. Saakashvili, in un’intervista al Wall Street Journal, ha ribadito che l’esercito georgiano si limitò a rispondere all’aggressione della Russia.
(AGI)

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Mosca, 3 dicembre – Il rappresentante russo alla NATO, Dmitry Rogozin, ha affermato in un’intervista che per la NATO avere buoni rapporti con la Russia è molto più importante dell’ammissione di Georgia e Ucraina nell’Alleanza. I membri della NATO ”credo che non dimenticheranno la Georgia e l’Ucraina, ma ritengono necessario risolvere le questioni con la Russia ora”, ha detto Rogozin. ”La NATO è molto interessata a portare avanti operazioni in collaborazione con la Russia, la cui riuscita è di vitale importanza”, ha aggiunto Rogozin riferendosi al supporto logistico dispensato da Mosca per la missione dell’Alleanza in Afghanistan. Ha poi supposto che la NATO ritirerà gradualmente l’idea di ammettere nel Trattato la Georgia e l’Ucraina, prospettiva ”non acclamata da nessuno dei Paesi membri”. ”Ovviamente non potranno cambiare idea e far vedere che hanno agito in questa direzione perchè messi sotto pressione da Mosca – ha spiegato il rappresentante russo – per cui scriveranno dei comunicati di cortesia, faranno altre promesse a Georgia e Ucraina, forse parlando del loro futuro nell’Allenza. Non verranno però prese decisioni radicali”.
(ASCA-AFP)

Qui altri dettagli dell’intervista rilasciata al quotidiano Kommersant.

Avvistato famigerato mostro a Bruxelles!
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Da sinistra a destra: Eka Tkeshelashvili (Ministro degli Affari Esteri, Georgia) a colloquio con Kinga Goncz (Ministro degli Affari Esteri, Ungheria) ed il Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer.

Bruxelles, 3 dicembre – La NATO è pronta a dialogare sulla sicurezza europea, ma ”è escluso che possa negoziare la propria dissoluzione”: lo ha detto il segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer, interpellato sulla proposta lanciata dal presidente russo Dmitri Medvedev per una nuova architettura europea ”condivisa” che dovrebbe superare il ”NATO centrismo”.
Nel merito della proposta – lanciata dal presidente russo ad Evian l’ottobre scorso – Scheffer ha fatto notare che ”sono necessari molti chiarimenti” per capire cosa esattamente si intende.
‘Se Medvedev concorda che l’OSCE è il forum giusto per discutere di tutto questo, noi siamo pronti a farlo, ma apprezzeremmo più sostanza”, ha sottolineato Scheffer.
In ogni caso, la NATO ”è piuttosto contenta dell’architettura di sicurezza esistente in Europa” e ritiene che questa architettura ”debba restare intatta”.
(ANSA)

Helsinki, 4 dicembre – (…) Intanto secondo gli USA “le proposte di Mosca di un nuovo patto di sicurezza in Europa sono ridondanti e sono un tentativo di indebolire la NATO”. Lo ha detto il vice-segretario di stato, Mattew Bryza. “Non c’è bisogno di una nuova architettura e questo è alquanto trasparente”, ha detto.
(AGI)

Niente NATO? Addio poltrona
Tbilisi, 5 dicembre – Rimpasto di governo in Georgia. A quattro mesi dalla devastante guerra con la Russia, il premier georgiano, Grigol Mgaloblishvili, ha annunciato di aver rimosso il ministro della Difesa, David Kezerashvil, e quello degli Esteri, Eka Tkeshelashvili [a sinistra nella foto sopra, solo due giorni fà… – ndr].
(AGI)

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“Similmente dovrebbe essere considerato il lungo cammino dell’Ucraina verso la NATO e le speranze degli attuali dirigenti ucraini di entrare a far parte del blocco atlantico. Qui esiste una seria contraddizione nella legislazione del Paese. La Costituzione ucraina indica che il Paese è uno Stato pienamente indipendente ed è proibita la collocazione di basi militari straniere sul proprio territorio. Tuttavia, nei progetti principali del Governo ucraino c’è la prossima integrazione Euro-Atlantica. “La NATO è al centro della comunità trans-Atlantica. Utilizziamola e facciamone buon uso”, ha dichiarato pochi giorni orsono Jaap de Hoop Scheffer al “Deutsche Welle”. Il discorso del Segretario Generale della NATO rappresenterebbe una spinta per tutti i programmi NATO in Ucraina. Come gli Stati Uniti e molto più che tutti gli altri componenti dell’Alleanza, il Segretario della NATO è favorevole ad un pronto ingresso di Ucraina e Georgia nella NATO. Ma le sue parole non rappresentano semplicemente la posizione delle rappresentative occidentali.
(…)
L’aspetto più importante è la volontà del popolo. Secondo i dati provenienti da una ricerca di sociologia, meno del 20% dei cittadini dell’Ucraina appoggiano l’entrata del proprio Paese nella NATO. Esiste anche il rischio che l‘ingresso nella NATO non venga discusso nei termini di un referendum nazionale, come è avvenuto in alcuni paesi dell’Europa Centrale, oppure è possibile che le modalità o i risultati di questo referendum vengano manipolati, come è accaduto diverse volte nelle elezioni.”
Tratto da La marcia dell’Ucraina verso la NATO si è arrestata, di Andrej Kovalenko.

hillaryclinton

ROMA, 11 dicembre – ”L’imminente passaggio dei poteri presidenziali a Barack Obama negli Stati Uniti è scandita dai dibattiti dei vertici della NATO e dell’Unione Europea di questi giorni. Non si decide nulla, ma iniziano ad emergere le grandi linee della politica”, rileva in una nota Enrico Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici.
”Alla NATO, la settimana scorsa, l’ultimo affondo dell’Amministrazione Bush per l’ammissione dell’Ucraina e della Georgia si è scontrato con una opposizione generale, cortese ma non per questo meno ferma. Dal futuro Presidente ci si può attendere un atteggiamento più conciliante che non irriti ulteriormente i russi. Ma il suo Segretario di Stato designato, Hillary Clinton, ci può presentare qualche sorpresa.
(…)
”La Commissione Europea ha fatto anch’essa il suo ultimo inopportuno affondo. Ha proposto di allargare ulteriormente ad una dozzina di Stati dell’Est europeo, tra cui le riottose repubbliche del Caucaso, le relazioni privilegiate con Bruxelles. Un’altra spina nel fianco del Cremlino, che si aggiunge alle sempre più pressanti rivendicazioni dei Paesi baltici, esercitate sul drappello dei futuri collaboratori del Presidente americano eletto.
”L’altro ieri, un grande inserto a pagamento di un quarto di pagina pubblicato sul New York Times e i principali giornali d’oltreoceano ha chiesto niente meno che lo stazionamento di truppe NATO e la diaspora forzata in altri Paesi del milione e 500 mila russi attualmente in Lettonia ed Estonia. ”Se questi governi baltici non stanno attenti, possono subire una reazione di Mosca che farà loro male. E noi, che li abbiamo accolti nella NATO e nella UE – conclude Jacchia – dovremo correre ai ripari”.
(ANSA)

Buffone inNATO

Tbilisi, 8 agosto – Il presidente della Georgia, il filo-occidentale Mikhail Saakashvili, ha accusato la Russia di condurre una “operazione su larga scala” contro il suo Paese, costretto a fare fronte a un massiccio “intervento militare” dall’esterno dopo che caccia-bombardieri russi Sukhoi-24 avrebbero bombardato i villaggi georgiani di Kareli e Gori, poco a sud del territorio dell’Ossezia del Sud, provincia autonoma ribelle in lotta per le secessione da Tbilisi con il beneplacito del Cremlino. “Sollecito la Federazione Russa a cessare i bombardamenti sulle pacifiche città georgiane”, ha sottolineato il capo dello Stato nel corso di un discorso alla Nazione, trasmesso in diretta alla televisione. Saakashvili ha rivendicato la “liberazione” dalla presenza degli insorti della “maggior parte del territorio dell’Ossezia del Sud”, compresa la capitale Tskhinvali, circondata e bombardata da terra e dal cielo; ma ha nondimeno proclamato la “mobilitazione generale”, riguardante “migliaia” di riservisti. “Vi chiedo di non aver paura degli attacchi in atto”, ha aggiunto il presidente georgiano, rivolgendosi ai connazionali. “Tutti debbono presentarsi ai posti di reclutamento”.
(AGI)

Washington, 8 agosto – Il presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha detto che il mondo sarà ”nei guai” se la Russia ”la farà franca” dopo gli attacchi avvenuti nel proprio Paese. ”Assomiglia all’attacco dell’Afghanistan, nel 1979. E’ come quando i carri armati russi e sovietici sono entrati in Cecoslovacchia”, ha detto il leader alla CNN. Se Mosca ”la farà franca in Georgia – ha aggiunto Saakashvili – il mondo sarà nei guai”.
(ASCA-AFP)

Washington, 8 agosto – Il presidente georgiano Mikhail Saakashvili ha accusato la Russia “di combattere una guerra sul nostro territorio” e ha chiesto in un’intervista alla Cnn l’intervento degli Stati Uniti, grandi sponsor di Tbilisi. Saakashvili ritiene sia ora interesse dell’America intervenire: “Non è più solo una questione georgiana. Si tratta dell’America e dei suoi valori. Noi siamo una nazione amante della libertà che ora si trova sotto attacco”. Da Mosca intanto il ministero della Difesa ha confermato di aver inviato rinforzi, “carri armati e truppe”, alle truppe di interposizione in Ossezia del Sud.
(AGI)

Pechino, 8 agosto – George W. Bush ha ribadito il sostegno degli Stati Uniti a Tbilisi “in difesa dell’integrità territoriale georgiana e chiede un immediato cessate il fuoco”. Ne ha dato notizia la portavoce della Casa Bianca Dana Perino sottolineando che il presidente a Pechino dove si trova per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi è costantemente informato degli sviluppi della crisi in Ossezia del Sud. A margine dell’inaugurazione il presidente Usa aveva incontrato il premier russo Vladimir Putin con il quale aveva discusso della crisi nella regione separatista.
(AGI)


President George W. Bush waves to the crowd as he and Georgian President Mikhail Saakashvili review military troops during President Bush’s visit to the Georgian Parliament in Tbilisi Tuesday, May 10, 2005. White House photo by Eric Draper

“E’ accaduto. Saakashvili non ha nemmeno cercato di nascondere la mano armata con cui colpiva. Non ha nemmeno fatto finta. Ha detto alla televisione che voleva “ristabilire l’ordine” nella repubblica ribelle. Un “ordine” che non esisteva dal 1992, cioè da 16 anni. Perché adesso? Qual era l’urgenza? Forse che Tbilisi era minacciata di invasione da parte degli ossetini?
La risposta è una sola. Saakashvili ha agito perché si è sentito coperto da Washington, in prima istanza, essendo quella capitale la capitale coloniale della attuale Georgia “indipendente”. E, in seconda istanza si è sentito coperto da Bruxelles. Queste cose non si improvvisano, come dovrebbe capire il prossimo commentatore di uno dei qualunque telegiornali e giornali italiani. Col che si è messo al servizio della strategia che tende a tenere la Russia sotto pressione: in Georgia, in Ucraina, in Bielorussia, in Moldova, in Armenia, in Azerbajgian, nei paesi baltici. Insomma lungo tutti i suoi confini europei. Saakashvili ha un suo tornaconto: alzare la tensione per costringere l’Europa a venire in suo sostegno, contro la Russia; ottenere il lasciapassare per un ingresso immediato nella Nato e, subito dopo, secondo lo schema dell’allargamento europeo e dell’estensione dell’influenza americana sull’Europa, l’ingresso in Europa.
Secondo piccione: chi muove Saakashvili conta anche sul fatto che questo atteggiamento dell’Europa finirà per metterla in rotta di collisione con la Russia. Perfetto! Con l’ingresso della Georgia nella Nato e in Europa gli Stati Uniti avranno un altro voto a loro favore in tutti i successivi sviluppi economici, energetici e militari che potrebbero vedere gli interessi europei collidere con quelli americani.
Javier Solana ha la capacità di sviluppare questo elementare ragionamento? Ovviamente ce l’ha. Solo che non vuole e non può perchè ha dietro di sé, alle sue spalle, governi che non osano mettere in discussione la strategia statunitense, o che la condividono.”

Brano tratto da Quella bandiera europea dietro le spalle del bandito di Giulietto Chiesa.
Per leggere l’intero articolo cliccare qui.

Fotografia dal villaggio di Khetagurovo, Ossezia del Sud.
Qui altre eloquenti immagini, astenersi deboli di stomaco.
Una dimostrazione della volontà di dialogo e della “ampia autonomia” offerta da Saakashvili.
Notare che questo individuo, ieri in conferenza stampa, appariva a fianco della bandiera dell’UE, invitando la controparte ad “evitare spargimenti di sangue”…

Arrivano “i nostri”?
Bruxelles, 9 agosto – Il segretario del consiglio per la sicurezza nazionale georgiano, Alexander Lomaya, non ha escluso che Tbilisi chieda aiuto militare esterno nel conflitto con la Russia in Ossezia del Sud. ”Non escludo la possibilità che la Georgia chieda alla comunità internazionale un’assistenza militare diretta”, ha detto Lomaya nel corso di una videoconferenza con i giornalisti a Bruxelles. ”Tuttavia, le nostre truppe stanno combattendo gli invasori russi in maniera coraggiosa”, ha sottolineato, aggiungendo che ”ovviamente le risorse non sono uguali”.
(ASCA-AFP)

Tbilisi, 9 agosto – La Georgia “deve fronteggiare un’invasione da parte della Russia”, e dunque necessita di “aiuto internazionale”: è l’appello lanciato dal ministro degli Esteri di Tbilisi, Eka Tkeshelashvili. “Abbiamo bisogno di aiuto urgente, veramente urgente”, ha dichiarato il capo della diplomazia di Tbilisi, collegato in tele-conferenza stampa con i giornalisti stranieri. “Dobbiamo fermare l’invasione russa sul territorio georgiano”.
(AGI)

I camerieri europei si mobilitano
Stoccolma, 9 agosto – La Svezia ha tirato in ballo Adolf Hitler per denunciare la Russia, che, secondo Stoccolma, sta portando avanti in Georgia un”’aggressione incompatibile con il diritto internazionale”. ”Abbiamo dei motivi per ricordare come Hitler, poco più di mezzo secolo fà, abbia utilizzato una dottrina del genere per attaccare zone considerevoli dell’Europa centrale”, afferma in un comunicato il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt. Il capo della diplomazia svedese respinge le argomentazioni di Mosca a favore di un intervento militare in Ossezia del Sud, spiegando che non c’è alcuna giustificazione per attaccare un altro Stato con il pretesto di voler proteggere dei cittadini, chiunque essi siano. Secondo Bildt, ”l’offensiva russa contro la Georgia è un’aggressione incompatibile con il diritto internazionale e i principi di base della sicurezza e della cooperazione in Europa”. ”Le conseguenze di questo attacco – conclude il ministro svedese – si faranno sentire per noi e per la Russia per lungo tempo”.
(ASCA-AFP)

Varsavia, 9 agosto – I Paesi baltici membri dell’Ue – Lettonia, Lituania, Estonia e Polonia – hanno chiesto all’Unione Europea e alla Nato di opporsi alla politica ”imperialista” della Russia nei confronti della Georgia. ”L’UE e la Nato devono prendere l’iniziativa e opporsi alla politica imperialista e revisionista nell’est dell’Europa”, affermano i leader dei quattro Paesi in un comunicato congiunto, aggiungendo che ”condannano fermamente” le azioni di Mosca in Ossezia del Sud.
(ASCA-AFP)

Loro sì che se ne intendono di proporzioni!
Washington, 9 agosto – Per gli Stati Uniti la Russia in Ossezia del Sud ha fatto ricorso a un uso “sproporzionato” della forza contro le truppe georgiane. Ora deve immediatamente ritirare le sue forze accettando l’offerta di un cessate il fuoco avanzata da Tbilisi. Questa la posizione di Washington espressa da un alto funzionario del dipartimento di Stato. “La risposta è stata di gran lunga sproprozionata rispetto a qualsivoglia minaccia citata dalla Russia. Chiediamo un immediato cessato il fuoco e il ritiro di tutte le truppe”, ha detto in una conferenza telefonica con la stampa.
(AGI)

Secondo Fabrizio Vielmini, collaboratore dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), esperto dell’area caucasica, si tratta di “una situazione esplosiva, piena di rischi, visto che la Russia ha lanciato diversi avvertimenti ed ora rischia di perdere la faccia se non agisce”. Lontana quindi dall’essere una questione meramente interna, secondo Vielmini, gli scontri odierni attengono “al discorso fra la Russia e quel dispositivo che gli Stati Uniti e la Nato hanno messo in atto ai suoi danni”. Bisogna infatti ricordare che la Georgia è uno dei Paesi candidati ad entrare nell’Alleanza atlantica. A questo proposito il ricercatore dell’ISPI si è detto molto contrariato in quanto probabilmente è una delle ragioni che ha spinto la Georgia a comportarsi in questo modo.
“Non si può dire – ha spiegato – che i georgiani siano stati spinti direttamente dagli Stati Uniti, perché molto probabilmente ci hanno messo del loro, però è indubbio che hanno iniziato le ostilità sapendo di avere alle spalle l’appoggio di Washington e della Nato”.
Un appoggio che si è concretizzato “nel versamento di ingenti somme da parte dell’occidente utilizzate dalla Georgia per potenziare il proprio apparato militare”. Gli stessi dati forniti dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) mostrano come negli ultimi anni le spese per la difesa georgiane siano cresciute notevolmente. Mentre nel 2004 solamente l’1,4% del Pil veniva utilizzato a fini militari (anche se il dato, secondo lo stesso Sipri, potrebbe essere sottostimato, ndr) nei due anni successivi il valore è cresciuto prima al 3,3% e poi al 5,2%.
Commento rilasciato l’8 agosto u.s.

Michele, hai esagerato!
Washington, 9 agosto – La responsabilità del conflitto in Ossezia del Sud non ricade solo su Mosca o sui separatisti osseti ma, “in parte”, anche sulla Georgia. Lo ha detto un alto funzionario del dipartimento di Stato americano, che non nasconde l’irritazione per il comportamento del presidente Mikhail Saakhashvili, grande alleato di Washington: “In tutto questo periodo abbiamo insistentemente e vigorosamente fatto pressione sul governo georgiano affinché mostrasse misura e evitasse qualsiasi escalation. Su questo siamo stati piuttosto chiari”, ha dichiarato il diplomatico dietro condizione di anonimato.
(AGI)

Intanto arrivano i loro, trasportati da “i nostri”
Half of Georgia’s 2,000 troops in Iraq plan to leave the country by Monday to join the fight against separatists in the breakaway province of South Ossetia, with the rest following as soon as possible, their commander said.
“First of all we need to remove 1,000 guys from here within 96 hours, after that the rest of the guys,” Colonel Bondo Maisuradze told The Times this morning.
“The US will provide us with the transportation,” he added.
Deborah Haynes da Baghdad, 9 agosto

Era un vecchio sogno?
Da una delle nostre fonti preferite (che riporta anche una significativa ipotesi di manipolazione mediatica), riprendiamo la notizia che nel febbraio del 2006 il ministro della Difesa georgiano, Okruashvili, si impegnò a dimettersi se non fosse riuscito a riportare l’Ossezia del Sud sotto il controllo georgiano entro la fine dell’anno. Voleva festeggiare l’arrivo del 2007 a Tskhinvali, disse.
Si dimise a novembre accusando Saakashvili di corruzione, incompetenza e violazione dei diritti umani. Poi passò all’opposizione e adesso sta in Francia, che gli ha concesso l’asilo politico.
Nel settembre 2007 Okruashvili rivelò il suo piano per riprendersi l’Ossezia del Sud: “un’operazione su piccola scala che avrebbe causato solo numero minimo di vittime”. Precisò che non avrebbe comportato uno scontro militare su vasta scala.
“Lo sapevano solo quattro persone: io, Saakashvili, Merabishvili e Adeishvili” disse Okruashvili. “Forse anche Giga Bokeria, ma non ne sono certo”.

Dall’Italia, alta diplomazia
Roma, 10 agosto – ”Il presidente Berlusconi è evidentemente molto preoccupato, ma certamente il suo stato d’animo è che se non si fermano le armi sarà impossibile riprendere a parlare”. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a Sky Tg24 commentando la drammatica situazione di Georgia ed Ossezia.
(ADNKRONOS)


Georgian soldiers are seen past U.S. and Georgian flags during the opening ceremony of “Immediate Response 2008” at the Vaziani military base, outside Tbilisi, July 15, 2008.
Forces from the U.S., Armenia and Georgia will take part in the international military exercise. REUTERS/David Mdzinarishvili (GEORGIA)

“Nella cronologia dei fatti che precedono l’aggressione c’è un aspetto che merita particolare attenzione: il 31 luglio si è conclusa l’esercitazione militare congiunta di Georgia e Stati Uniti chiamata “Immediate Response 2008”, durante la quale gli istruttori statunitensi hanno addestrato le forze armate georgiane a compiere “operazioni di pulizia” contro i terroristi in zone residenziali. Le esercitazioni comprendevano attività come ripulire i villaggi dei terroristi (presumibilmente in vista dell’impiego dei soldati georgiani in Iraq) e mettere in sicurezza la popolazione civile. Le atrocità perpetrate dalle forze georgiane a Tskhinvali sono frutto dell’addestramento ricevuto dagli istruttori occidentali sotto la cinica copertura della “lotta contro il terrorismo”. I veri obiettivi sono naturalmente completamente diversi. L’ex-ministro degli Esteri georgiano Salome Zurabishvili, che è di certo persona bene informata, ha detto che la presenza degli Stati Uniti in Georgia comprende una vasta gamma di attività, tra cui l’addestramento delle forze armate georgiane e il controllo del corridoio di grande importanza strategica che passa attraverso il Caucaso: l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan ne fa parte. Secondo Zurabishvili l’obiettivo principale dell’attuale conflitto con la Russia è rafforzare la lealtà della Georgia verso gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e garantire loro il controllo del paese e di conseguenza del Caucaso Meridionale.
Va notato che l’intensificazione del conflitto ai confini con la Russia ha coinciso con le tensioni nella regione autonoma cinese dello Xinjiang, dove nei giorni delle Olimpiadi è stato compiuto un altro attacco terroristico. Pochi giorni prima a Bishkek, la capitale del Kirghizistan, è stato scoperto un deposito illegale di armi presso il quale si trovavano dieci militari statunitensi e diversi diplomatici dell’ambasciata americana nel paese. L’aggressione della Georgia contro l’Ossezia del Sud è una guerra nell’interesse di altri, una guerra in cui i georgiani sono destinati al ruolo di carne da cannone. Se all’aggressione contro la piccola regione del Caucaso non verrà posta immediatamente fine, saranno inevitabili altri conflitti regionali molto più estesi di questo.”
L’articolo di Andrej Arešev, analista della Fondazione per la Cultura Strategica, può essere letto per intero qui.

Da quale pulpito
New York, 10 agosto- L’ambasciatore russo all’Onu Vitaly Ciurkin ha definito ‘completamente inaccettabili’ le accuse degli Stati Uniti alla Russia. ‘E’ completamente inaccettabile – ha dichiarato Ciurkin – soprattutto dal rappresentante di un Paese di cui conosciamo i comportamenti in Irak, Afghanistan e Serbia’.
(ANSA)

E a noi no?
Pechino, 11 agosto – Il presidente americano George Bush ha oggi definito “inaccettabile” la violenza in Georgia da parte della Russia. “Ho detto che questa violenza inaccettabile, non l’ho detto soltanto a Vladimir Putin (il primo ministro russo), l’ho detto anche al presidente del paese Dimitry Medvedev ha dichiarato oggi Bush in un’intervista concessa da Pechino alla rete televisiva Nbc.
(ADNKRONOS/DPA)


Vignetta. L’ordine del giorno di Saakashvili:
ore 3.00 attacco
6.00 blitzkrieg
7.00 colazione
12.00 vittoria
17.00 richiesta di aiuto.
(grazie Mirumir!)

“Mikhail Saakashvili ha quarantuno anni, ha studiato alla Columbia University di New York, ha sposato una simpatica signora olandese, parla con l’accento americano il linguaggio della democrazia e ha lanciato segnali che gli Stati Uniti hanno prontamente raccolto. Dopo avere ricevuto trionfalmente Bush a Tbilisi nel maggio 2005, ha chiesto e ottenuto l’assistenza militare dell’America (un migliaio di istruttori), ha presentato la candidatura del suo Paese alla Nato, sa di essere appoggiato da Washington e quattro mesi fa ha restituito la visita del suo protettore mettendo piede nello studio ovale della Casa Bianca. Dopo essere tornato in patria ha innestato la pericolosa partita delle provocazioni reciproche. Non è necessario dire molto di più per capire la crisi che è scoppiata in questi giorni. È facile comprendere perché un ambizioso e spericolato giocatore d’azzardo georgiano abbia deciso, per meglio sottrarsi alla tutela moscovita, di buttare sul tavolo la carta dell’amicizia americana. È più difficile comprendere perché gli Stati Uniti gli abbiano permesso di farlo così rumorosamente.”
Commento di Sergio Romano su Il Corriere della Sera del 10 agosto.

Servi d’Italia
(Da un’intervista a Pier Ferdinando Casini)
D: Figuriamoci, però, se Putin si lascia convincere dal governo italiano.
R: «Sicuramente no.  Abbiamo tutti il senso del limite, non possiamo sperare di ottenere molto. Tuttavia è utile farsi sentire e sottolineare alcuni episodi veramente riprovevoli come il teatrale atterraggio di Putin sul territorio dell’Ossezia. Un’ostentazione che aveva il sapore di un’inutile umiliazione ».
D: In realtà, perfino Bush, nonostante minacci complicazioni nei rapporti con Mosca, sa che non può impedire a Putin di lanciare i suoi carri armati contro la Georgia.
R: «Purtroppo è vero. E siccome bisogna essere onesti nell’assegnazione dei torti, dico che i georgiani hanno sottovalutato la situazione. I russi mettevano da tempo in atto provocazioni in Ossezia. La Georgia alla fine ha reagito offrendo il pretesto a Mosca per intervenire. I governanti di Tblisi confidavano un po’ ingenuamente nell’amicizia con gli Stati Uniti. Ma cosa può fare Washington?».
D: Forse Putin è irritato coi georgiani proprio per i loro buoni rapporti con gli americani.
R: «Può darsi. Però è spaventosa la sua reazione. Assolutamente spropositata. Se la Russia vuole essere una grande potenza deve anche manifestare senso di responsabilità. Deve cercare di limitare al minimo l’intervento. Mentre Putin ha mostrato una totale irresponsabilità. Invece di contenere gli attacchi ha cercato di allargare il conflitto coinvolgendo anche l’altra regione autonoma, l’Abkhazia. Come un bullo di quartiere che sfascia tutto».
Onorevole Casini, ci permetta almeno un suggerimento: forse ha bisogno di qualche ripetizione in geografia, ché Vladimir Putin, l’altro giorno, è atterrato sì in Ossezia, ma in quella del nord, esattamente a Vladikavkaz, capitale di una repubblica autonoma che fa parte, a tutti gli effetti, del territorio russo.


Segna per noi, mitico Gorby!
Mosca, 11 agosto – L’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov è convinto che Tbilisi aveva l’appoggio degli Usa per cominciare una guerra in Ossezia del sud. ‘Senza l’appoggio degli Stati Uniti Tbilisi non si sarebbe azzardata a cominciare la guerra’, ha detto Gorbaciov, a quanto riferisce l’agenzia Itar-Tass. ‘Le azioni della Russia sono totalmente adeguate e non è invece adeguata la reazione dell’Occidente’, ha aggiunto.
(ANSA)

Arrivano i “nostri”
Mosca, 11 agosto – Vladimir Putin accusa gli Stati Uniti. Washington, ha detto il premier russo, sta cercando di intervenire nelle operazioni russe in Georgia trasferendo per via aerea soldati georgiani nella zona del conflitto. “Di fatto alcuni dei nostri partner non ci aiutano, ma tentano di ostacolarci – ha sottolineato Putin – mi riferisco ai soldati georgiani di stanza in Irak, trasferiti a bordo di aerei statunitensi direttamente nell’area del conflitto”. Erano circa mille i militari georgiani impegnati in Irak. Già nelle prime ore del conflitto in Ossezia del sud, Tbilisi aveva chiesto aiuto a Washington per il loro rientro in patria.
(AGI)
In verita i militari georgiani in Irak sono circa duemila, per ora gli altri mille rimangono in loco in attesa di sviluppi…

Un barlume di luce
Roma, 11 agosto – Per quanto riguarda il nostro Paese, il ministro degli Esteri Franco Frattini, in un’intervista con La Stampa, ha spiegato che ”l’Italia ritiene che non si possa creare una coalizione europea anti-russa, e in questo siamo vicini alla posizione di Putin. Ma Mosca deve comprendere che il peacekeeping oggi affidato esclusivamente alle sue forze militari dovrà essere discusso con la comunità internazionale”.
(ASCA-AFP)


Soldati ceceni delle forze speciali russe, unità Vostok, a Tskhinvali.
(REUTERS/Denis Sinyakov)

La Georgia ha reclutato mercenari?
Il presidente dell’Ossezia del sud, Eduard Kokoity, denuncia la presenza di soldati mercenari nell’offensiva georgiana contro la repubblica separatista. Egli ha affermato che sono stati coinvolti ucraini, baltici e persone provenienti da altri Paesi. Ha quindi precisato che, al termine della battaglia svolta vicino alla scuola n. 12 di Tskhinvali, sono stati ritrovati i corpi di diversi uomini di pelle nera ed altri con gli occhi a mandorla, tipici delle popolazioni di origine asiatica.
Un funzionario di alto livello dell’intelligence russa, citato dall’agenzia di stampa RIA Novosti, ha parlato invece di tremila mercenari, addestrati da esperti militari americani, che stanno combattendo al fianco della parte georgiana.
Qui la notizia dal sito di Russia Today e qui il servizio video della stessa emittente.

Un’italiano racconta
Roma, 11 agosto – “Moltissimi georgiani hanno trovato stupida l’aggressione di Tblisi” contro l’Ossezia del Sud, “la situazione adesso è drammatica e se i raid russi continueranno la Georgia corre il rischio di tornare indietro di 15 anni”. Gaetano Di Gesù, architetto italiano a capo di una serie di progetti nella repubblica caucasica, è appena rientrato da Mosca e racconta le impressioni sugli eventi delle ultime ore, eventi che sono arrivati “in modo abbastanza inatteso”. “Io lavoro in Georgia da tre anni – dice l’architetto – e posso dire che nulla lasciava presagire che le cose sarebbero precipitate in questo modo”.
(ADNKRONOS)

A chi vogliamo credere?
Roma, 11 agosto – La Russia ha preparato l’operazione militare in corso in questi giorni in Georgia da settimane ed è da anni che fa di tutto per accenderne la scintilla. In un’intervista, l’analista americano David Smith, ora direttore del think tank di Tbilisi Georgia Security Analysis Center, un passato nei palazzi dell’amministrazione a Washington, fra l’altro di negoziatore capo per gli Stati Uniti nei colloqui con Mosca sulla difesa e lo spazio e responsabile della politica estera e di difesa per la campagna elettorale di Robert Dole, afferma che non è per niente chiaro cosa stia accadendo sul terreno, perchè i militari russi abbiano voluto oltrepassare i confini dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia.
(ADNKRONOS)

Tbilisi, 11 Agosto – Le truppe russe occupano ormai ‘la maggior parte del territorio’ georgiano. Lo ha detto il presidente della Georgia Mikhail Saakashvili. Intanto il ‘ministro degli Esteri’ della Georgia Iekaterina Tkieshelashvili non sarà domani a Bruxelles all’incontro con il segretario della Nato Jaap de Hoop Scheffer in seguito ‘all’aggravarsi della situazione in Georgia’ con l’ingresso delle truppe russe nel Paese. Lo ha riferito l’Ambasciata georgiana a Bruxelles.
(ANSA)
Riusciranno “i nostri eroi” a coinvolgere nel conflitto la NATO? Parrebbe ormai l’ultima spiaggia.

A proposito di NATO
“La sua incauta incursione in Ossezia del Sud ha seriamente compromesso le possibilità della Georgia di entrare nella NATO. Presentando con successo la Russia come un aggressore militare, Saakashvili ha dimostrato ai leader occidentali che se la Georgia entrasse nella NATO, i membri dell’alleanza potrebbero dover mandare le loro forze a combattere una guerra esiziale contro la Russia. I leader dell’Europa occidentale, a questo punto, faranno qualsiasi cosa per evitare un coinvolgimento con la Georgia”.
Commento di Alexander Khramchikhin, ricercatore capo presso l’Istituto di Analisi Politiche e Militari, per RIA Novosti.

Ora tocca all’Abkhazia
Tbilisi, 12 agosto – Soldati e mezzi corazzati provenienti dalla repubblica separatista dell’Abkhazia hanno attaccato questa mattina le forze georgiane nella gola di Kodori, secondo quanto riferisce il governo di Tbilisi. La gola di Kodori era l’unica parte della repubblica separatista dove erano ancora attestate forze georgiane e ieri era giunto un ultimatum da parte russa perchè si ritirassero.
(ADNKRONOS/DPA)

Come lui nessuno
Washington, 12 agosto – ‘La Georgia non si arrenderà mai’, ha detto il presidente Michail Saakashvili, in collegamento da Tbilisi con la CNN a Washington. ‘Noi combattiamo per la nostra libertà – ha continuato – e il prezzo da pagare tornando indietro sarebbe troppo alto. Vorrebbe dire la perdita della libertà, un sentimento che i georgiani hanno conosciuto per decenni e che non possono sopportare’.
(ANSA)
 
Campagne mediatiche: dopo la Cina tocca alla Russia
“Col passare delle ore è andato scomparendo il nucleo essenziale degli eventi: l’attacco annunciato in diretta TV dell’esercito georgiano contro l’Ossezia del Sud. E l’attenzione si è spostata unicamente sulle azioni da parte russa. Nei telegiornali il filtro è stato perfezionato da servizi di appoggio a quelli provenienti dai corrispondenti, fino a giungere al capovolgimento esatto della notizia che ha trovato emblematica attuazione nell’intervista di Gianni Riotta al TG1 della sera del 9 agosto: infatti alla domanda sul perché secondo lui tutto questo fosse successo proprio nel primo giorno delle Olimpiadi, ha risposto che Putin ha voluto dare in tal modo un segnale al mondo. E’ stato sufficiente sostituire un cognome quello di Saakahsvili con quello di Putin e il gioco era stato compiuto: l’assalto militare in pompa magna della truppe georgiane era scomparso; o meglio l’assalto c’era stato ed era ovviamente russo”.
Giuseppe Iannello su Megachip.

In mezzo alla tragedia, spuntano alcuni episodi comici
Tipo la sceneggiata di Saakashvili a Gori, che i media occidentali davano per pesantemente bombardata dai russi, mentre nel video non si vede alcuna distruzione.
Il Rambo di Tbilisi, aria da vero duro con pistola e giubbotto antiproiettili, non appena sente il rumore di un aereo russo (inudibile dal video) si precipita al sicuro tirando con sé il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner. Come dire, visto che ci sono i cattivi anche qui?

Quello che ci insegna la Georgia
“Si dice che i russi potrebbero imporre un nuovo governo in Georgia. Probabilmente è così, ma i russi hanno già raggiunto i loro obiettivi principali. Hanno fatto capire ai loro vicini che una relazione con l’Occidente non garantisce alcuna sicurezza se gli interessi della Russia sono a rischio. Hanno fatto capire all’Occidente che ignorare la volontà della Russia ha un prezzo. E infine hanno fatto capire a tutti che la macchina militare russa, che cinque anni fa era in condizioni catastrofiche, è stata rimessa abbastanza in sesto da riuscire a condurre un’operazione complessa con componenti terrestri, aeree e navali. Certo, è stata un’operazione contro un paese piccolo, ma tante cose potevano andare storte. Non è successo. La Russia non è una superpotenza, ma di certo non è più menomata sul piano militare. Trasmettere questo messaggio, in fin dei conti, potrebbe essere stata la cosa più importante per la Russia.”
Commento di Stratfor, agenzia privata di intelligence statunitense.
Qui l’articolo integrale.

Il grande gioco Usa: accerchiare la Russia
“Tutto facile, troppo facile. Può un Paese grande come la Russia e con un passato imperiale arrendersi senza reagire? Ovvio che no, tanto più che il Cremlino si scopre ricco, grazie al petrolio e al gas. Putin, fino a quel momento amico di Bush, reagisce. È offeso e al contempo terrorizzato. Offeso per lo scippo dell’Ucraina, progenitrice e sorella della Grande Russia. Terrorizzato, perché convinto che Washington stia complottando una rivoluzione colorata a Mosca per rovesciarlo. E allora parte la controffensiva. Mosca destabilizza il regime arancione a Kiev, richiama all’ordine il Kazakhstan, il Tagikistan e l’Uzbekistan, che si riavvicinano a Mosca, allentando il legame con gli Usa. Poi si occupa della pratica georgiana. Si schiera al fianco dei secessionisti osseti e abkhazi. Attende l’occasione propizia. Saakashvili gliela offre l’8 agosto con il suo improvvido blitz. Le truppe russe entrano in Georgia. È la prima, grande rivincita di Mosca. Washington è avvertita.”
Marcello Foa su Il Giornale.


Università di Tskhinvali, Ossezia del Sud.
Sopra, 11 agosto 2008.
Sotto, 1 luglio 2008.
(Grazie Luca!)

Come lui nessuno, 2° puntata (e promette di continuare)
Tblisi, 12 agosto – “Il Davide georgiano vincerà contro il Golia russo”. Il presidente della Georgia Mikhail Saakashvili continua a non mostrare segni di cedimento e ribadisce che Tblisi mai si arrenderà a Mosca, parlando davanti a 70 persone riunite nella capitale per protestare contro l’intervento militare russo nella repubblica caucasica.
“La Georgia è il brillante più prezioso della corona dell’impero russo”, ha rivendicato ancora Saakashvili, parlando davanti alla folla che innalzava striscioni con scritto “Stop alla Russia”, “Liberateci dalla guerra russa”. “Se noi cadremo – ha avvertito il presidente – ci saranno problemi per tutto il mondo civilizzato. Siamo in prima linea, dopo di noi cadranno l’Ucraina e i Paesi baltici”.
(ADNKRONOS)
Una folla di 70 persone?!

Toghe atlantiche in rampa di lancio
L’Aia, 12 agosto – Il Tribunale penale internazionale, che si occupa di crimini di guerra e contro l’umanità, potrebbe aprire un’inchiesta preliminare sul conflitto russo-georgiano. Lo ha annunciato l’ufficio del procuratore capo, Luis Moreno Ocampo. ”Per il momento non abbiamo ricevuto alcuna istanza ma i georgiani ci hanno chiesto un incontro”, ha aggiunto. ”L’apertura di una inchiesta preliminare è una possibilità”, ha spiegato in una nota l’ufficio del procuratore.
(ASCA-AFP)

NATO avanti tutta + un misterioso pacchetto regalo
Bruxelles, 12 agosto – Il conflitto con la Russia per l’Ossezia del Sud non ha modificato la prospettiva di una futura adesione della Georgia alla Nato. E’ quanto ha dichiarato il segretario generale dell’Alleanza Jaap de Hoop Scheffer al termine di un incontro straordinario del Consiglio Atlantico a Bruxelles, dedicato interamente alla crisi caucasica.
(ADNKRONOS/AKI)

Tbilisi, 12 agosto – Gli Stati Uniti stanno preparando la spedizione di un pacchetto di sostegno economico da destinare alla Georgia al fine di mantenere la stabilità del Paese dopo l’esplosione del conflitto con la Russia. Lo ha riferito un alto ufficiale statunitense. ”Stiamo lavorando con il Primo ministro georgiano ed il governo tutto, così come con le istituzioni finanziarie internazionali, per mettere insieme un pacchetto di sostegno economico che possa costruire la capacità di ripresa dell’economia georgiana”, ha detto da Tbilisi il vice assistente del segretario di Stato Usa, Matthew Bryza. ”Non stiamo fornendo alcun dettaglio e stiamo lavorando in fretta su questo”, ha aggiunto il funzionario.
(ASCA-AFP)


La risposta russa in immagini.

Conflitti sotto rete
Pechino, 13 agosto – Georgia e Russia non trovano pace neppure a Pechino, dove è polemica dopo la sfida olimpica di beach volley donne, vinta dalle georgiane. Le russe hanno perso 2-1 contro una coppia di atlete brasiliane naturalizzate georgiane e si sono lamentate: ‘Abbiamo giocato contro il Brasile, queste non conoscono nemmeno il nome del presidente georgiano’, ha esclamato la russa Shiryaeva. E il presidente della federazione georgiana di pallavolo ha replicato con durezza: ‘Russian go home’.
(ANSA)

Questa prospera e fiduciosa comunità internazionale…
Washington, 13 agosto – La presenza russa nelle istituzioni internazionali è a rischio dopo l’azione militare in Georgia: lo ha detto Condoleezza Rice. ‘I russi – ha detto la Rice – hanno detto di voler far parte di questa prospera e fiduciosa comunità internazionale e, francamente, credo che stiano facendo un gran danno alla loro possibilità di integrarvisi’. Ma, ha aggiunto, ‘hanno ora molte possibilità di invertire il corso degli eventi e dimostrare di comportarsi secondo i principi del XXI secolo’.
(ANSA)


A volte tornano… e parlano (bene)
Berlino, 13 agosto – Il presidente georgiano Mikhail Saakashvili ha commesso un grave errore nell’attaccare l’Ossezia del Sud, da cui poi è scaturito l’intervento militare russo nella Repubblica caucasica: lo afferma il predecessore di Saakashvili ed ex ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevardnadze, in un’intervista concessa al quotidiano tedesco ‘Bild’. “Da noi la tradizione vuole che nei momenti di crisi anche l’opposizione si allinei con il presidente, senza attaccarlo alle spalle”, spiega l’ex braccio destro di Mikhail Gorbaciov, “ma la Georgia non avrebbe dovuto attaccare Tskhinvali in maniera tanto impreparata. E’ stato un grave errore”. L’ex presidente georgiano, rovesciato nel 2003 dalla ‘Rivoluzione delle Rose’ guidata proprio da Saakashvili, accusa poi gli Stati Uniti di voler tornare a un clima da Guerra Fredda, anche se la Georgia non sarebbe il vero ‘casus belli’. Secondo Shevardnadze, “gli Usa hanno già creato da tempo un clima da nuova Guerra Fredda, ma non a causa della Georgia, bensì mediante il cosiddetto ‘scudo antimissile’ americano in Polonia e nella Repubblica Ceca”. “Quando ero ministro degli Esteri dell’Urss”, prosegue, “ho lavorato con successo, come ha dimostrato la fine della Guerra Fredda, alla distruzione delle armi nucleari e dei missili convenzionali che potevano colpire gli Usa. Adesso però sono gli Stati Uniti che hanno avviato una nuova corsa al riarmo nucleare”.
(AGI)

Come lui nessuno, 3° puntata: “Il Pacifista”
Washington, 13 agosto – Il presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha dichiarato alla Cnn che le prime reazioni degli Stati Uniti riguardo l’inizio dell’azione militare russa in Ossezia del Sud sono state ”troppo morbide”.
(ASCA-AFP)

Pace?
Tbilisi, 13 agosto – Il Presidente americano George W. Bush ha voluto dire che porti e aeroporti georgiani saranno posti sotto controllo militare americano. Lo ha dichiarato il Presidente della Georgia, Mikhail Saakashvili poco dopo la dichiarazione in cui Bush ha reso noto di aver deciso di inviare aiuti umanitari in Georgia impiegando unità navali e aeree.
(ADNKRONOS)
Temiamo seriamente di dover rimandare la chiusura di questo post…

Per favore, mettetevi d’accordo!
Washington, 13 agosto – Il Pentagono ha smentito che l’esercito statunitense prenderà il controllo dei porti e degli aeroporti georgiani come affermato dal presidente Mikheil Saakashvili. ”Non abbiamo bisogno né intendiamo prendere il controllo di alcun porto o aeroporto per fornire assistenza umanitaria alle persone colpite dal conflitto”, ha dichiarato il portavoce Geoff Morrell, aggiungendo che ”semplicemente non è un’esigenza di questa missione e non è qualcosa che intendiamo fare”.
(ASCA-AFP)

Michel Chossudovskj, paventando un blocco navale ai danni dell’Iran da parte di unità statunitensi, britanniche e francesi già nel Golfo Persico o in procinto di arrivarvi, avanza un’ipotesi nient’affato peregrina:
“Nel contesto dei piani bellici diretti contro l’Iran, gli Stati Uniti sono intenti ad indebolire gli alleati iraniani, precisamente Russia e Cina. Nel caso della Cina, Washington sta cercando di intralciare i legami bilaterali di Pechino con Tehran così come l’avvicinamento dell’Iran all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che ha il suo quartier generale a Pechino.
L’attacco georgiano all’Ossezia del Sud mira ad indebolire la Russia, che costituisce un significativo potere militare di contrappeso ed è alleata dell’Iran.
L’obiettivo finale è di isolare l’Iran, tagliarlo fuori dai suoi potenti alleati: Cina e Russia.
Nella mente di Washington, gli eventi in Georgia insieme con la propaganda mediatica possono essere utilmente applicati per screditare ed indebolire la Russia prima dell’imposizione di un blocco navale all’Iran nel Golfo Persico, che potrebbe condurre ad una guerra a tutto campo.
Questa in qualche modo rozza linea di ragionamento tende, comunque, a trascurare le difficoltà e le debolezza dell’apparato militare statunitense così come gli enormi rischi che potrebbero derivare all’America ed al mondo da una contrapposizione intensa e duratura con la Russia.
Nella prospettiva della situazione che si evolve in Georgia e degli impegni militari di Mosca nel Caucaso, gli analisti militari ritengono che la Russia non proteggerà l’Iran e non si opporrà ad un’operazione a guida statunitense contro l’Iran, preceduta da un blocco navale”.


Il campione georgiano di lotta greco-romana Kvirkelia Manucher festeggia dopo aver battuto, nella finale olimpica della categoria fino a 74 chilogrammi, l’atleta cinese Chang Yongxiang.
Notare il simbolo che appare sul fianco della sua tuta da gara, vi ricorda qualcosa?

Come lui nessuno, 4° puntata: “Vittima della Retorica Occidentale”
Washington, 14 agosto – I leader occidentali devono inviare forze di pace in Georgia subito, altrimenti i loro ideali democratici sembreranno falsi.
E’ quanto afferma il presidente georgiano Mikheil Saakashvili in un fondo pubblicato dal Washington Post. ”Solo forze di pace occidentali possono mettere fine alla guerra”, scrive Saakashvili, spiegando di aver ”affidato il destino del mio Paese alla retorica occidentale sulla democrazia e la libertà”. ”Dopo che i georgiani sono stati attaccati, dobbiamo chiederci: se l’Occidente non è con noi, con chi è? Se la linea non viene tracciata ora, quando sarà tracciata?”, si chiede il leader georgiano, secondo il quale ”l’invasione russa delle Georgia colpisce al cuore dei valori occidentali e del nostro sistema di sicurezza del ventunesimo secolo”.
”Se la comunità internazionale permette alla Russia di distruggere il nostro stato democratico e indipendente, darà carta bianca a governi autoritari in altre parti del mondo”, osserva Saakashvili. ”La Russia intende distruggere non solo un Paese, ma un’idea”, continua il presidente georgiano, definendo il regime di Mosca ”crudele” e inaffidabile.
(ASCA-AFP)
Oltre che alla retorica, Saakashvili ha affidato il destino della Georgia anche alle armi ed agli istruttori militari occidentali. Quelli statunitensi ora se ne stanno al sicuro in un albergo nel centro di Tbilisi, in attesa di sviluppi.

Condooleezza Rice, medaglia d’argento
In conferenza stampa presso il Dipartimento di Stato, ella ha dichiarato:
“Non è come il 1968 e l’invasione della Cecoslovacchia, quando la Russia poteva minacciare un Paese vicino, occuparne la capitale, rovesciarne il governo e farla franca”.
Condy, do you remember Iraq? And Panama?

Brutti, cattivi ed antipatici
Washington, 14 agosto – Le forze armate russe stanno sabotando e mettendo fuori uso le installazioni militari georgiane nella loro avanzata all’interno del Paese. A dichiararlo è un funzionario americano. ”Quando i russi entrano in una installazione militare georgiana abbandonata, non la lasciano così come l’hanno trovata”, ha detto il funzionario celatosi dietro condizione di anonimato. ”Le rendono meno efficienti”, ha aggiunto.
(ASCA-AFP)


Cittadini israeliani sventolano bandiere georgiane ed israeliane durante una manifestazione presso l’ambasciata russa a Tel Aviv.
Foto: Gali Tibbon/AFP/Getty Images

Dalla padella allo… Scudo
Varsavia, 14 agosto – Accordo raggiunto tra Polonia e Stati Uniti sull’installazione della base americana per lo scudo antimissile. Gli Usa hanno accettato la richiesta di Varsavia di rinforzare la cooperazione militare fra i due paesi e di installare sul territorio polacco in modo stabile almeno una batteria di missili Patriot. Ieri il presidente polacco Lech Kaczynski aveva fatto appello al governo di Donald Tusk perchè arrivasse presto all’accordo con Washington.
(ANSA)

Varsavia, 14 agosto – Il primo ministro polacco Donald Tusk ha confermato l’avvenuto accordo con Washington sullo scudo anti missilistico. “Abbiamo attraversato il Rubicone”, ha detto Tusk alla rete televisiva Tvn.
(ADNKRONOS/DPA)

Riportiamo integralmente – pur con qualche perplessità – l’intervento del generale Fabio Mini su La Repubblica di giovedì 14 agosto.
“E’ ancora presto per capire chi ha veramente vinto o perso in Georgia. E alla fine non è neppure importante. Per adesso la politica internazionale fa registrare soltanto interventi cosmetici.
Gli Stati Uniti pagano con un’altra batosta d’immagine un avventurismo ad est che hanno cercato di mascherare dietro la Nato. Non si sa bene chi di questa agonizzante amministrazione statunitense abbia dato il via libera al presidente georgiano: i servizi segreti, il Pentagono e il Dipartimento di Stato si staranno rimbalzando la palla come sempre. Eppure uno di loro ha autorizzato la sciagurata operazione georgiana magari con l’intenzione di creare uno dei soliti fatti compiuti.
Il petrolio è un buon motivo ma non l’unico: l’espansione ad est della potenza americana, diretta o tramite altri, è un altro e il controllo sulla Russia e perfino sul’Iran un altro ancora.
Ogni buon motivo non giustificava però né l’istigazione a delinquere dei georgiani né la trappola per i russi e gli osseti.
Se poi il presidente georgiano avesse fatto di testa sua sarebbe ancora peggio: gli Stati Uniti e la Nato avrebbero dimostrato al mondo di non avere il controllo su qualcuno e qualcosa che hanno creato dal nulla. La Russia, che canta vittoria, non è riuscita a dare un’immagine di potenza veramente forte e matura. Ha reagito come avrebbe fatto Stalin (che era georgiano) e questo ha un prezzo sul piano internazionale. La Georgia e il suo leader, soltanto per aver posto in atto un disegno così sciocco e scellerato, dovrebbero essere banditi dal consesso internazionale. A questo punto la Nato dovrebbe rivedere seriamente e profondamente la sua politica di allargamento: i paesi guidati da avventurieri o, peggio, da vassalli volenterosi ma miopi dovrebbero essere cancellati dal novero degli aspiranti all’alleanza.
L’Unione Europea ancora una volta non riesce a far valere una sua politica regionale.
Il fatto è che non ce l’ha e ogni volta si deve affidare ai funambolismi di leader che non hanno il mandato di promettere e, meno che mai, di mantenere quello che promettono.
L’impegno personale profuso dai vari leader con mitiche telefonate è apprezzabile ma esautora e svilisce ancor di più le istituzioni.
Come sempre ora si tenta di passare la mano alle cosiddette operazioni di pace. Ma anche qui le idee sono poche e confuse. Si dovrebbero mandare forze in grado di controllare sia i russi sia gli osseti e i georgiani. Ci vorrebbe una interposizione su una interposizione, ma si parla già di smarcarsi dall’impegno con qualche vascello alla fonda nel mar Nero o con una missione di osservatori. I primi non interverrebbero su niente e i secondi non hanno mai risolto niente.
Anzi sono sempre stati i precursori di altre guerre e destabilizzazioni.
Per quanto riguarda l’Italia, la figura che rischiamo è pessima. Abbiamo forze e professionalità per contribuire ad una buona operazione di pace.
Il fatto che possiamo fare poco perché siamo impegnati su altri fronti è una scusa: la verità è che la politica di sicurezza internazionale sembra essere la prima vittima dei tagli ai finanziamenti.
Non si fa politica o si finge di farla a forza di messaggi promozionali e massaggi estetici perché non c’è più un euro. E se ci fosse dovrebbe servire ad altro.”

“Innanzi tutto, Saakašvili è stato destabilizzato. I Georgiani possono pure essere tutti convinti che i Russi siano gli aggressori (per loro l’Ossezia del Sud è territorio georgiano, e dunque quella russa è stata una violazione della loro sovranità), ma non ignorano di certo che la pretesa “aggressione” russa si sarebbe potuta evitare se il loro Presidente non avesse assunto decisioni rischiose al limite dell’azzardo. Saakašvili dovrà dunque convivere con la responsabilità d’aver scatenato un conflitto perduto rovinosamente, anche se egli cercherà di capitalizzare politicamente l’aurea di rappresentante della “patria aggredita”.
In secondo luogo, il prestigio degli USA – ed in subordine dell’UE – nella regione ha subito contraccolpi non trascurabili. I fatti di questi giorni hanno mostrato come nel Caucaso la bilancia della forza militare penda nettamente verso Mosca. Washington ha potuto rispondere all’offensiva russa con la propaganda, con le dichiarazioni infuocate, con la solidarietà a parole, e probabilmente lo farà pure con generosi donativi per la ricostruzione delle infrastrutture georgiane; ma gli USA non hanno potuto inviare un solo uomo a difendere l’alleato georgiano, a loro dire “aggredito”, ed il Cremlino ha terminato l’operazione solo una volta conseguiti i propri obiettivi. Certo la frettolosa chiusura delle operazioni da parte russa sarà sfruttata da Washington e Tblisi per far credere ch’essa sia dipesa dalle pressioni statunitensi, e così salvaguardare il prestigio della Casa Bianca nella regione.
Il terzo successo di Mosca sta nell’allontanamento dell’adesione alla NATO della Georgia. Se la Georgia fosse stata membro della NATO, a quest’ora l’Europa e gli USA avrebbero dovuto o impegnarsi nella terza guerra mondiale, o perdere la faccia di fronte al mondo. Motivo per cui l’ingresso della Georgia nella NATO è sempre stato condizionato alla risoluzione dei problemi abzako e osseto. Ora più che mai questi problemi sono gravi e le loro possibili conseguenze evidenti. Paradossalmente, il solo modo per Tblisi d’entrare nella NATO, oggi come oggi, sembrerebbe l’annessione di Abchazija e Ossezia del Sud da parte della Federazione Russa: come recita il proverbio, “via il dente via il dolore”. Forse è proprio per questo che Mosca continuerà a tergiversare, rimandando alle calende greche la risoluzione delle due questioni.”
Queste sono le conclusioni a cui giunge Daniele Scalea nel dettagliato articolo dedicato a La guerra nell’Ossezia Meridionale.
Dopo una prima parte dove si illustra la storia della Georgia dai tempi remoti fino alla fine dello Stato sovietico ed una seconda che delinea l’ascesa al potere del presidente Saakashvili, nella terza vengono descritte le premesse del conflitto a partire dalla primavera dell’anno in corso e nella quarta, quella finale, se ne tratteggia l’andamento tentando infine di tracciarne un bilancio parziale, sia per quanto riguarda i fattori militari che la valenza strategica degli eventi e del contesto diplomatico.
Lo trovate qui (oppure, scaricabile in versione .pdf, qui).

Come lui nessuno, 5° puntata: “L’Inviato al Fronte”
Mosca, 15 agosto – Il presidente goergiano Mikhail Saakhasvili ha accusato oggi i russi di aver distrutto con l’aviazione la capitale sud osseta, Tskhinvali. Al russo Kommersant, Saakhasvili dice che la città è stata trasformata in un’altra Grozny, la capitale cecena, e ammette che la Georgia ha aperto il fuoco su Tskhinvali l’8 agosto, ma dopo che sono stati uccisi soldati di Tbilisi.
(ANSA)

Indovina indovinello
“Il bullismo e le intimidazioni non sono un modo accettabile di condurre la politica estera nel 21esimo secolo”.
Chi l’ha detto?
Vi diamo un indizio: dopo è partito per una vacanza in Texas. Facile, no?

Come lui nessuno, 6° puntata: “Il Predicatore”
Saakashvili: “Oggi stiamo guardando il diavolo diritto negli occhi”.
(REUTERS)


Saakashvili con i suoi consiglieri militari

Ora che, con la firma dell’accordo per il cessate-il-fuoco apposta da entrambe le parti, la parola sembra tornata alla diplomazia (ma per quanto? è lecito chiedersi), vogliamo riproporvi alcuni brani del documentario Revolution.com di Manon Loizeau, dedicato alle cosiddette “rivoluzioni colorate” patrocinate dagli Stati Uniti d’America nei Paesi nati a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Il documentario è stato trasmesso durante la puntata di Report andata in onda il 3 giugno 2007. Qua trovate quella parte di testo che riguarda più specificatamente la Rivoluzione delle Rose che ha portato al potere in Georgia Mikhail Saakashvili.
Per leggere integralmente la trascrizione del programma, potete andare qui, scorrendo la pagina fino a circa la metà.

“NARRATORE
Il metodo funziona. La conferma la troviamo in Georgia. Da quando è avvenuta la rivoluzione delle rose nel 2003, il paese si è dichiarato filo americano. Nel pomeriggio la capitale Tbilissi, ospiterà la visita del presidente Bush. Ogni anno gli Stati Uniti elargiscono 100 milioni di dollari alla Georgia attraverso vari progetti umanitari. Ma qui il governo statunitense ha anche una base militare strategica, proprio come in Kyrgyzstan. Quest’uomo, il multimiliardario americano e membro del partito democratico George Soros, ha aiutato i leader della rivoluzione delle rose attraverso la sua fondazione Open Society.

EDOUARD SHEVARDNADZE – EX PRESIDENTE GEORGIA
Questo sono io con Bush padre.

NARRATORE
L’ex presidente della Georgia Eduard Shevardnadze è stato destituito. Ha perso tutto, vive con i suoi ricordi e una chiara convinzione…

EDOUARD SHEVARDNADZE – EX PRESIDENTE GEORGIA
I giovani politici che hanno preso il potere sono stati finanziati prevalentemente da George Soros, il famoso miliardario americano. Non so perché volesse rovesciare il governo della Georgia, ma non si è trattato di una rivoluzione, bensì di un colpo di stato!

NARRATORE
Giga Bokeria Leader Movimento kmara è stato uno dei leader di punta nella rivoluzione georgiana. Lo abbiamo conosciuto a Bratislava. Ora lo incontriamo nel palazzo del Parlamento a Tbilissi. Questo trentaquattrenne va e viene da qui ogni volta che vuole, cosa che si può permettere soltanto il primo consigliere del presidente della Georgia. Questa mattina, va all’Hotel Marriott dove incontrerà Anatoli Lebedko, un leader dell’opposizione bielorussia in cerca di consigli su come innescare una rivoluzione nel suo paese.

(…)

ANATOLI LEBEDKO – LEADER OPPOSIZIONE BIELORUSSIA
In questo momento, abbiamo tanto sostegno politico e promesse di aiuto. Il congresso degli Stati Uniti sta deliberando… dovrebbe inviarci diversi milioni di dollari. Ma siamo ancora in attesa. Il grosso problema continua a essere il denaro!

GIVI
Vi aiuteremo noi! Faremo qualcosa per voi. Vi diremo qual’è il modo giusto per prendere il potere.

GIGA BOKERIA – LEADER MOVIMENTO KMARA
Non pensi che sia meglio che spengano le telecamere? Vi dispiace smettere di filmare? E’ meglio.

NARRATORE
Due ore più tardi, nell’atrio della Banca Centrale, Giga ha addosso gli abiti di primo consigliere. Il presidente della Georgia si sta preparando per incontrare i corrispondenti della Casa Bianca, prima dell’arrivo di George Bush.

NARRATORE
Quest’uomo è l’ospite della serata. Il suo nome è Bruce Jackson. Ufficiale dell’esercito statunitense in pensione, ha lavorato anche per i servizi segreti militari e per la Lockheed – una multinazionale che produce aerei militari. Attualmente, gestisce una fondazione “Progetto per le democrazie in transizione”. E’ presente ovunque fermentino nuove rivoluzioni di velluto.

BRUCE JACKSON – PROGETTO PER LE DEMOCRAZIE IN TRANSIZIONE
La Russia ci preoccupa per via della scarsità di democrazia che sta opprimendo il paese. In Georgia, a Riga, a Bratislava e a Kiev sta succedendo quello che ci aspetteremmo di vedere in ogni nuova democrazia. Perciò nel primo caso siamo piuttosto contrariati, nel secondo possiamo definirci entusiasti. Brian posso presentarti il presidente?

NARRATORE
Con i suoi 36 anni, Mikheil Saakashvili è il presidente più giovane del mondo. Si è laureato in legge ad Harvard e ha un grosso debito con gli Stati Uniti… e lui lo sa.

MIKHEIL SAAKASHVILI – PRESIDENTE GEORGIA
Dopo tutti questi anni di scempi, corruzione e malgoverno, credo che la Georgia sia l’esempio vivente di come la democrazia possa funzionare anche in quest’angolo della terra. Crediamo negli stessi valori in cui credono gli americani, e non abbiamo dimenticato quello che hanno fatto per questo paese negli ultimi anni.

NARRATORE
Sapendo di poter contare sul sostegno costante degli Stati Uniti, il giovane presidente georgiano non ha paura di affrontare il suo ex grande fratello sovietico.

MIKHEIL SAAKASHVILI – PRESIDENTE GEORGIA
Abbiamo detto chiaro e tondo che vogliamo le basi russe fuori di qui. Non sto dicendo che vogliamo cacciarli via, ma le truppe siriane hanno lasciato il Libano in due settimane pur essendo quattro volte più numerose dei russi che sono qui. Bisogna capire che l’impero sovietico non esisterà più sotto nessuna forma.

NARRATORE
A pochi passi di distanza dal presidente georgiano, Bruce Jackson ascolta…

MIKHEIL SAAKASHVILI – PRESIDENTE GEORGIA
Ho detto qualcosa di sbagliato?

BRUCE JACKSON – PROGETTO PER LE DEMOCRAZIE IN TRANSIZIONE
No, signore! Lei non dice mai niente di sbagliato. Ma… Perché il presidente non si prende una pausa? Non è neanche riuscito a bere un bicchiere di vino!

INTERVISTATRICE
Un’altra domanda, se non le dispiace. A volte lei viene dipinto come l’uomo “che fa la rivoluzione nell’ombra”.

BRUCE JACKSON – PROGETTO PER LE DEMOCRAZIE IN TRANSIZIONE
No, mi dispiace per quello che dice la stampa francese, ma non è questa la ragione per cui siamo qui. Qui ci sono anche funzionari di governo e dovreste parlare con loro.

NARRATORE
Bruce Jackson se ne va alla chetichella insieme a Giga. Nel centro di Tbilissi, l’atmosfera si riscalda. L’arrivo di George Bush è previsto entro un’ora. Oltre 200 mila persone si sono riunite nell’ex piazza Lenin, oggi ribattezzata Piazza della Libertà.”

Chiuso il 16 agosto 2008