Nuove bombe nucleari USA per la Germania

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A partire dalla seconda metà del 2015, l’aviazione statunitense si appresta a trasferire nuove testate nucleari B-61 presso la base militare di Buchel, secondo il canale televisivo tedesco ZDF.
La base, situata nella regione della Renania-Palatinato nella Germania occidentale, ospita i caccia multiruolo Panavia Tornado dell’aviazione tedesca capaci di trasportare le testate nuclari USA che vi sono conservate. A partire dal 2007, quando sono state rimosse le testate conservate nella base di Ramstein, quella di Buchel è rimasta l’unica base in territorio tedesco dove siano presenti testate nucleari statunitensi, 20 per la precisione.
Il nuovo modello di testata B-61, n. 12, sarà tecnologicamente più avanzato rispetto ai modelli n. 3 e n. 4 attualmente dislocati in Europa; oltre che in Germania, anche in Belgio, Olanda, Turchia ed Italia, che peraltro è l’unico Paese nel continente ad ospitare due basi nucleari (Aviano e Ghedi) e quello con il maggior numero di testate USA dislocate sul proprio territorio.
Il canale televisivo ZDF cita al proposito dei documenti di bilancio di provenienza statunitense che indicano un finanziamento per il futuro stoccaggio delle B-61 mod. 12 e l’ammodernamento dei caccia Tornado incaricati di trasportarle. La fonte ricorda che, nel 2010, il Parlamento tedesco aveva invitato il governo di Angela Merkel ad agire affinché le testate nucleari USA presenti in Germania fossero rimosse, una misura che avrebbe goduto e godrebbe tuttora di ampio sostegno popolare.
D’altro canto, nei piani del governo tedesco c’era anche l’intenzione di ritirare dal servizio la propria flotta di Tornado, senza pensare a sostituirli con altri velivoli in grado di trasportare le testate nucleari. Infatti, i costosi e contestati F-35 sono capaci di assolvere questo compito ma la Germania ha deciso di non acquistarli, scegliendo l’Eurofighter Typhoon quale successore dei Tornado. Nel 2012, altresì, il Berliner Zeitung aveva riferito che il governo tedesco avrebbe deciso senza clamori di mantenere operativi alcuni Tornado sino al 2024.
Le testate B-61 mod. 12 saranno più precise e meno distruttive rispetto alle precedenti, con il rischio che i responsabili militari e politici siano più tentati di utilizzarle, il che potrebbe avere serie ed imprevedibili conseguenze per la sicurezza globale, affermano gli analisti.
L’ex funzionario del ministero della Difesa tedesco Willy Wimmer ha detto che la decisione di ammodernare l’arsenale nucleare di stanza alla base di Buchel conferisce alla NATO “nuove opzioni di attacco contro la Russia” e costituisce “una consapevole provocazione dei nostri vicini russi”.
Dal canto suo, Mosca non ha cessato di tenere in considerazione la presenza di bombe nucleari USA in Europa quando lo scorso anno ha proceduto a riformulare la propria dottrina militare. La Russia rivolge le proprie critiche all’intero programma di condivisione nucleare tra Stati Uniti ed Europa, affermando che esso tradisce lo spirito del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare il quale proibisce il trasferimento di armamenti atomici agli Stati denuclearizzati, mentre Washington sostiene che il Trattato non vieta di mantenere testate in Europa a patto che esse rimangano sotto il controllo delle truppe statunitensi, inviate allo scopo. La preoccupazione russa deriva anche dal fatto che gli Stati Uniti addestrano altresì militari dei Paesi europei, inclusi quelli che non ospitano testate nucleari USA, ad impiegarle. Una situazione, quella dell’uso congiunto delle testate in ambito NATO, che sarebbe una violazione diretta dei primi due articoli del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, configurando un’anormalità che dura da oltre quaranta anni e che per la Russia non sarebbe più accettabile. Tanto probabilmente da spingere Mosca a prendere adeguate contromisure per ripristinare l’equilibrio strategico in Europa, particolarmente attraverso il rafforzamento delle sue difese nell’enclave di Kaliningrad e in Crimea.
Non mancheranno certo gli argomenti di discussione nel faccia a faccia odierno tra Obama e Putin, previsto a New York.
Federico Roberti

F-35: è il momento di uscirne

FELLINI AIR FORCE“Se l’F-35 diverrà davvero operativo e manterrà le promesse circa caratteristiche e prestazioni, le capacità di cui tanto si parla saranno quelle di mettere le nostre forze armate per i prossini 50 anni in condizione di totale sudditanza e dipendenza dagli Stati Uniti. Una superpotenza che mai come oggi opera su scala globale contro gli interessi dell’Italia e dell’Europa come è apparso chiaro negli ultimi anni a chiunque non sia cieco o in mala fede guardando al ruolo di Washington dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina all’Iraq.
Se all’acquisizione degli F-35 aggiungiamo poi la volontà della Marina di equipaggiare i nuovi “pattugliatori d’altura” (ma non sarebbe meglio chiamarli con il più realistico anche se meno “dual use” termine di cacciatorpediniere?) con il sistema antimissile americano Aegis (radar SPY-1 e missili Standard) il tentativo di far diventare le nostre forze armate una succursale di quelle statunitensi è evidente. Ovviamente i costi li paghiamo noi mentre gli americani incasseranno le commesse di prodotti “made in USA” e risparmieranno in termini di dispiegamento di forze oltremare. Come abbiamo più volte ribadito gli interessi italiani, strategici e industriali, si tutelano completando la commessa degli Eurofighter Typhoon che sono perfettamente in grado di compiere operazioni di attacco come ben sanno tutte le aeronautiche che lo impiegano tranne la nostra, che finge di non saperlo e dice di considerarlo solo un caccia ma poi gli imbarcherà sopra il missile da crociera Storm Shadow, arma strategica per l’attacco a lungo raggio contro obiettivi terrestri che non entra nella stiva dell’F-35 progettata (ma guarda un po’) per imbarcare solo armi americane.
(…)
Restando in Italia basta invece dare un’occhiata al bilancio della Difesa dei prossimi anni per rendersi conto che l’F-35 non possiamo permettercelo.
A Roma si riempiono la bocca con le “Linee guida” del Libro Bianco ma è tutto fumo perché non ci sono e non ci saranno risorse per mantenere l’attuale struttura militare già alla paralisi, figuriamoci se potremmo permetterci qualcosa di meglio o forze aeree basate su due macchine da combattimento costose come il Typhoon e l’F-35. Basta leggere la tabella riportata nel Documento Programmatico Pluriennale del Ministero della Difesa (che sarà oggetto di un prossimo approfondimento) per rendersi conto che nei prossimi anni i fondi per la Funzione Difesa scenderanno sotto i 14 miliardi annui.
La percentuale del PIL dedicata alla Difesa calerà dall’attuale 0,87 allo 0,80 nel 2016 e ben difficilmente il governo Renzi dedicherà la necessaria attenzione alle forze armate, forse considerate utili per i buonismi da Mare Nostrum ma non percepite come strumento per la tutela degli interessi nazionali dall’approccio da boy-scout che caratterizza l’attuale esecutivo.
Ricordate le tante belle chiacchiere sulla riforma Di Paola e i “miracoli” derivanti dalla riduzione del personale da 183 mila a 150 mila effettivi? Un’iniziativa definita necessaria a liberare risorse per Esercizio e Investimenti migliorando l’efficienza delle forze armate.
Ebbene, le spese per il Personale aumenteranno da 9,55 miliardi di quest’anno a 9,78 negli anni 2015 e 2016 raggiungendo il 70 per cento dello stanziamento per la Funzione Difesa. Se poi si tiene conto che l’aumento di questa voce di spesa risulta contenuto dal pagamento con ritardi biblici di ogni forma di straodinario e indennità d’impiego e soprattutto dal blocco degli stipendi dei militari e di quasi tutti i pubblici dipendenti in atto ormai da quattro anni appare chiaro come ogni ipotesi di riformare lo strumento militare con le risorse oggi disponibili risulti del tutto inattendibile.
Dovremmo rassegnarci all’idea che la Difesa si inginocchi agli ordini del Pentagono, compri 90 (o 65) F-35 ma continui a non adeguare gli stipendi dei militari e a ritardare all’infinito il pagamento di indennità e straordinari?
(…)
Forze armate che hanno budget tripli ai nostri, come quelle di Germania e Francia, configurano le flotte di aerei da combattimento su un solo velivolo (Typhoon e Rafale) e noi italiani vogliamo averne due? Come Analisi Difesa ha più volte ribadito se anche riuscissimo a comprare un numero deguato di F-35 non avremo i soldi per fare il pieno di carburante e per la manutenzione che sarà molto più costosa di quanto previsto inizialmente. Il governo spagnolo ha appena respinto con realismo l’ipotesi di acquistare una ventina di F-35B per rimpiazzare gli Harrier imbarcati che verranno aggiornati per prolungarne la vita utile. Una strada che dovrebbe forse percorrere anche la nostra Marina per gestire meglio le magre risorse e perché l’AV-8B ammodernato sarà ancora a lungo sufficiente a colpire con efficacia ogni nostro potenziale nemico.
Il Programma F-35 non è quindi un buon affare per noi sotto nessun punto di vista: azzera la sovranità nazionale, pone la nostra industria alle dipendenze di Lockheed Martin e azzoppa definitivamente le forze aeree con un velivolo che non riusciremo a gestire. Sul piano dei ritorni industriali la situazione non è migliore: produrremo poche ali (l’unico contratto firmato finora da Alenia Aermacchi riguarda una ventina di ali per 140 milioni di dollari contro le 1.200 ali promesse) e qualche “bullone” realizzato da una quarantina di piccole e medie imprese. Nulla di sofisticato e non avremo ritorni nel campo del know-how dal momento che le tecnologie avanzate del velivolo verranno trattare solo da personale statunitense in aree “US Only” (ma pagate dai contribuenti italiani) dello stabilimento di Cameri. Persino il numero di aerei che verranno assemblati alla FACO è talmente ridotto da rendere lo stabilimento improduttivo: l’Italia scenderà da 131 esemplari a 90 o ancor meno e l’Olanda è già scesa da 85 a 37 la cui manutenzione verrà forse effettuata in Gran Bretagna.
(…)
Rivendiamo agli Stati Uniti o ad altri Paesi gli aerei già acquisiti, trattiamo con Lockheed Martin la vendita o l’affitto della FACO per la manutenzione dei jet delle forze americane in Europa o di altri Paesi alleati. Anche indennizzando le piccole e medie imprese italiane già coinvolte nel programma e completando la commessa del Typhoon ad Alenia Aermacchi otterremmo un forte risparmio, guadagneremmo in autonomia strategica e industriale e potremmo rilanciare quella cooperazione europea di cui da anni tutti i politici vanno blaterando. E poi, quale migliore occasione del semestre di presidenza dell’Unione Europea per annunciare l’uscita dell’Italia dal programma americano più costoso e (per ora) fallimentare della storia?”

Da Limitiamo i danni e rinunciamo ora all’F-35, di Gianandrea Gaiani.

I costi occulti dell’atlantismo italiano

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Eurofighter italiani a difesa dello spazio aereo dell’Islanda fino a luglio!
“Lo scopo della missione, che nasce a seguito del ritiro degli assetti aerei USA permanentemente stanziati in Islanda, e in considerazione del fatto che la stessa Islanda non possiede Forze Armate, è quello di assicurare il servizio di sorveglianza dello spazio aereo islandese, alla luce degli impegni che l’Italia ha assunto in ambito NATO.”
Non contenti di ciò, scopriamo: “L’Aeronautica Militare, oltre alla missione in Islanda, sta partecipando alla sicurezza aerea e alla difesa aerea di Slovenia e Albania ormai da anni.”
Triplo evviva!!!

I dettagli sono qui.

Misteri di una Repubblica a sobrietà variabile

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“Mauro è riuscito a parlare di un bombardiere concepito per l’attacco preventivo, o meglio per il “first strike” (anche nucleare) sul territorio nemico nel quale dovrebbe penetrare invisibile ai radar, senza mai usare parole che potrebbero far pensare alla guerra. Uno sforzo lessicale teso a cancellare ogni forma di trasparenza che fa sorridere tenuto conto che pure i bambini sanno che il JSF rimpiazzerà Tornado, Harrier e Amx, guarda caso gli stessi jet che hanno lanciato oltre 700 bombe e missili sulla Libia più molte altre in passato su Kosovo, Bosnia, Iraq e più recentemente sull’Afghanistan. Non sarebbe stato più serio e trasparente affermare che quei velivoli ci servono per bombardare il nemico insieme ai nostri alleati, o meglio bombardare quei nemici che la “comunità internazionale” ci indicherà? Forse no perché a ben riflettere i libici che bombardammo nel 2011 non erano nostri nemici ma bensì alleati ai quali eravamo legati persino da un trattato militare. E poi il termine “nemico” indica inequivocabilmente la guerra che la nostra Costituzione ripudia almeno parzialmente: per questo l’abbiamo ribattezzata “missione di pace”.
Cercare di spacciare l’acquisto degli F-35 con la “necessità di avere mezzi efficienti di altissimo livello che servono a garantire la pace, ad evitare effetti collaterali” come ha ribadito il ministro della Difesa a Uno Mattina è tendenzioso e fuorviante sia perché i danni collaterali i nostri piloti sono riusciti a evitarli (o a limitarli) anche senza gli F-35, sia a fronte dei costi che dovremo affrontare per acquisire i jet statunitensi e tenerli in linea nei prossimi decenni. Costi incompatibili con le risorse che la Difesa assegna (e presumibilmente assegnerà anche nell’immediato futuro) all’Esercizio, cioè alla parte del bilancio adibita alla gestione di mezzi e infrastrutture e all’addestramento. Che non ci siano alternative all’F-35 è poi quanto meno discutibile dal momento che i tedeschi (che non acquistano l’F-35) impiegano i loro Eurofighter Typhoon anche per l’attacco al suolo.
Cosa che potrebbe fare anche l’Italia e che farà dal momento che armi come il missile da crociera Storm Shadow che oggi equipaggiano i Tornado verranno imbarcati in futuro sui Typhoon… anche perché non entrano nella stiva degli F-35. Il Typhoon del resto è un cacciabombardiere idoneo a svolgere operazioni contro altri velivoli come contro bersagli a terra e come tale viene impiegato anche dai britannici. Se vogliamo parlare di sprechi chiediamoci piuttosto perché stiamo cercando di svendere sul mercato dell’usato 24 Typhoon della prima serie, velivoli ancora nuovi, per ridurre il numero di quei jet in forza all’Aeronautica da 96 a 72 e ”fare posto “ a 75 F-35.
Se avessimo mantenuto la commessa prevista di 121 Typhoon, aggiornando i primi esemplari, avremmo già i velivoli necessari a tutte le esigenze dell’Aeronautica con un forte risparmio generale, dal costo di acquisizione a quello logistico determinato dal disporre di un solo aereo da combattimento e col vantaggio di puntare su un prodotto europeo nel quale la nostra industria è progettista, produttrice ed esportatrice. Curioso che un europeista convinto come il ministro Mauro si accodi alla lunga fila di coloro che ci vogliono mettere tecnologicamente e sul piano industriale e strategico nelle mani degli Stati Uniti.”

Da Se l’F-35 diventa “di pace”, di Gianandrea Gaiani.

Il nEUROn a Perdasdefogu-Salto di Quirra

The nEUROn

“La questione è tornata alla ribalta a dicembre sulla base aerea francese di Istres in occasione dei primi voli ufficiali del nEUROn di Dassault Aviation, primo dimostratore tecnologico di UCAV a vedere la luce al di qua dell’Atlantico, al cui sviluppo e costruzione – per un costo complessivo (finanziato in gran parte dall’industria) di circa 420 milioni di euro – hanno contribuito i costruttori di Svezia, Italia (con uno share del 22%), Spagna, Svizzera e Grecia [!!! – ndr]. A Istres Alenia Aermacchi ha fatto sapere di voler partecipare al programma Future Combat Air System (FCAS) scaturito dalla “Entente cordiale” nella Difesa raggiunta nel 2010 da Londra e Parigi, un programma che dopo una prima fase di studi dovrebbe portare entro il 2020 ai collaudi di un vero e proprio prototipo di Unmanned da attacco. La nostra industria non vuole – aggiungiamo non deve – perdere anche questo treno. Ma la strada, resa accidentata anche dalle traversie di Finmeccanica e incerta del futuro politico del Paese, è tutta in salita.
(…)
A breve il nEUROn si sposterà a Bruz, vicino a Rennes (Bretagna), presso il Centre d’essais d’electronique della Diréction Générale de l’Armament francese, per sottoporsi a un primo ciclo di verifiche della sua “furtività”. Attraverso il suo ente di ricerca aerospaziale ONERA la Francia sta mettendo a punto nuove metodologie per la determinazione della segnatura radar, che potranno consentire ai radar di scoperta maggiore velocità e precisione di calcolo. A queste prove faranno seguito test in volo con i radar della difesa aerea francese e voli con manovre “join up” in formazione con un caccia Rafale. Poi nEUROn si trasferirà sul poligono svedese di Visel, dove anni fa aveva già operato nelle mani di test pilot italiani il dimostratore Alenia Aeronautica Sky-X, primo UAV europeo di classe superiore a una tonnellata, dotato di caratteristiche di autonomia di gestione del volo e teso a sviluppare gli aspetti peculiari dell’integrazione fra stazione di controllo a terra e velivolo, oltre che le manovre “join up” con velivoli pilotati. In Svezia il nEUROn effettuerà missioni di attacco in modo automatico e semi-automatico e voli di verifica con il caccia svedese Gripen. Nel 2015 approderà infine in Italia, a Perdasdefogu, per sottoporsi a test di tiro reali e a nuove prove di verifica della stealthness.”

Da Alenia Aermacchi fa il punto sull’ UCAV nEUROn e il Typhoon multiruolo, di Silvio Lora Lamia (i collegamenti inseriti sono nostri).
Il nEUROn è un UCAV, acronimo di Unmanned Combat Aerial Vehicle, cioé velivolo da combattimento senza pilota.
Trattasi di aeromobile dotato di caratteristiche di invisibilità o, meglio, di bassa visibilità, che nelle intenzione dei progettisti dovrebbe servire principalmente a effettuare missioni “first strike” contro le difese anti-aeree nemiche, in modo tale da eliminarle aprendo corridoi attraverso i quali i caccia da superiorità e da attacco al suolo possano successivamente operare con minore pericolo. Si paventa persino la possibilità che, fra 15-20 anni, gli UCAV possano cominciare a sostituire i velivoli da combattimento con pilota a bordo anche nei ruoli della superiorità aerea.
Paradigma, quindi, di una forza aerea sempre meno impiegata a difesa di territorio e confini nazionali ma sempre più proiettata in “missioni di pace”, a migliaia di chilometri da casa.
A tal riguardo, è significativo anche il fatto -riferito nel prosieguo dell’articolo in questione- che l’Eurofighter Typhoon nei prossimi cinque anni sarà oggetto di un “sostanziale intervento di adeguamento… alle esigenze dei nuovi scenari”, “cioé l’aggiunta -con interventi nell’hardware ma massimamente nel software- di nuove capacità nell’aria-aria ma soprattutto nell’aria-suolo”.
“E’ una crescita considerevole, priva di compromessi capaci di penalizzare gli scopi per cui l’aereo era stato progettato e realizzato, che erano assolutamente diversi” conclude l’autore.
A buon intenditore poche parole.

L’F-35 va alla deriva

Ad Aprile 2009, titolando “L’F-35 è “invisibile”? No, è un bel bidone!“, demmo un conto, molto sommario, delle motivazioni tecniche che avrebbero impedito al cacciabombardiere Joint Strike Fighter Lightning II della Lockheed Martin, propagandato come “stealth“, di diventare un vettore con una penetrazione di mercato in linea con quella ottenuta dal suo diretto predecessore: l’F-16 Fighting Falcon della General Dynamics. Entrato in servizio nell’Agosto del 1978 con l’US Air Force e successivamente adottato da 26 Paesi con un numero di esemplari prodotto in numero superiore a 4.500 unità in dieci versioni successive, si distinguerà per longevità operativa, flessibilità di impiego ed efficienza bellica.
L’ultimo lotto di cento F-16I è stato consegnato ad “Israele“ che riceve a titolo gratuito, come si sa, annualmente 2.850 milioni di dollari di materiale militare USA.
Con “residuati accantonati“ Washington sta inoltre cedendo al Pakistan con eguali modalità 18 F-16 C/D per tentare di alleggerire l’appoggio della potente Inter Services Intelligence (ISI) alle formazioni pashtun nel conflitto che coinvolge ISAF ed Enduring Freedom nel pantano dell’Afghanistan.
Donazione finalizzata anche a contrastare la crescente influenza politica e militare di Pechino nell’area asiatica e l’opzione per l’acquisto fatta dall’ex Presidente Musharraf di 36 cacciabombardieri J-10 Chengdu (made in China) e la licenza di fabbricazione del caccia JF-17 Thunder. Una verità tenuta rigorosamente nascosta nell’intento di favorire Benazir Bhutto, sponsorizzata da Bush nella scalata alla presidenza del Pakistan, danneggiando l’allora Capo dello Stato, presentato dalla stampa occidentale, al contrario, come un lacchè della Casa Bianca.
Una scelta – quella di acquistare i J-10 Chengdu – che segnala, meglio di qualche resoconto giornalistico che riporta la dizione Af-Pak, il nuovo corso imboccato da Islamabad nei suoi rapporti con la (ex) Potenza Globale.
Le attuali continue violazioni dello spazio aereo del Pakistan con gli UAV Predator, i bombardamenti “mirati“, gli inseguimenti a caldo di pattuglie di rangers e marines nelle Regioni Autonome per catturare od eliminare nuclei appartenenti ad “Al Qaeda“ ed il ripetersi di continui, gravi “incidenti“ di confine, stanno lì a dimostrare il crescente gelo che è calato tra gli Stati Uniti ed il suo ex alleato durante l’occupazione russa del Paese delle Montagne.
Le recentissime rivelazioni di Wikileaks sulle pressioni esercitate dagli Stati Uniti per costringere il Pakistan a rinunciare al suo armamento nucleare od in subordine a chiudere le centrali di produzione del plutonio di cui dispone, per evitare fughe di tecnologia atomica nella Regione, sono il sintomo, se ce ne fosse bisogno, del crescente stato di tensione che si va manifestando tra Washington ed Islamabad.
Nel mese di Ottobre scorso, il Pakistan ha concesso l’uso del suo spazio aereo ad una formazione di Sukhoi-27 e Mig-29 di Pechino per raggiungere la Turchia via Iran, dopo che il governo di Ankara ha annullato la partecipazione USA alle esercitazioni “Aquila dell’Anatolia“.
Per la prima volta, velivoli militari della Repubblica Popolare di Cina hanno raggiunto il Vicino Oriente atterrando nella base di Konyia alla presenza di un rappresentante del governo Erdogan, dopo essersi riforniti in Iran presso la base di Gayem al Mohammad nel Khorassan (posizionata a 55 km di distanza da Herat), accolta dal generale comandante dell’aviazione iraniana Ahmad Mighani.
In quell’occasione, è circolata con insistenza la notizia che durante il trasferimento Cina-Turchia le squadriglie del Dragone abbiano lasciato sull’aeroporto militare dell’Iran due cacciabombardieri J-10 Chengdu, i cui piloti sarebbero stati rimpatriati su un cargo in partenza dal porto di Bandar Abbas con destinazione Shangai, per mandare un chiarissimo segnale politico agli USA sull’intenzione della Cina di mantenere ottimi rapporti politici, economici e militari con Teheran, aprendo contemporaneamente alla Turchia con cui ha stretto un’intesa per raggiungere nel corso di cinque anni un interscambio di 110 miliardi (in dollari, per ora) con pagamenti nelle rispettive valute. Decisione già adottata, tra l’altro, da due colossi dell’America indiolatina (Brasile-Argentina) e dell’Asia (Russia-Cina) per sostituire la moneta americana come unico riferimento di scambio nelle transazioni internazionali.
Accordi che limano un po’ alla volta l’influenza USA a livello planetario e ne aggravano la crisi politica e finanziaria. Persa ogni capacità di ingerenza per Washington anche in Libano, dopo la visita del primo ministro Hariri a Damasco ed a Teheran, viaggio che mette alla berlina il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e l’Europa a 27.
La visita di Erdogan nelle stesse capitali ha aperto un altro fronte nella politica estera di Washington, dopo le rivelazioni sugli aiuti che l’Amministrazione Bush ha offerto al PKK e che quella di Obama conferma con Biden per la creazione, al momento giudicato idoneo, di una repubblica separata dall’Iraq, allargata a territori attualmente appartenenti a Siria, Iran e Turchia: il “grande Kurdistan”.
D’intesa con il presidente Assad, Ankara ha inoltre sminato i confini di Stato tra Turchia e Siria, rafforzato le relazioni bilaterali a livello politico, commerciale e culturale con Damasco. Il terreno di confine liberato dall’esplosivo è stato assegnato ad una società mista turco-siriana per la piantumazione di ulivi e la produzione e la commercializzazione di prodotti agricoli. Un altro “messaggio“ fatto recapitare questa volta ad “Israele“.
Qualche flash, così a caso, in questo quadrante del mondo, tanto per non farci sommergere da dosi massicce di informazione spazzatura o da secchiate di cloroformio al “delitto di Avetrana“.
E ora l’argomento che ci interessa: l’F-35. Continua a leggere

Il super prezzo del “super” caccia

Il costo del cacciabombardiere F-35 Lightning II è lievitato da 50 a 113 milioni di dollari per aereo: ne dà notizia Il Sole 24 Ore (18 marzo). Non è uno scoop: un anno fa avevamo scritto su il manifesto (15 aprile 2009) che «il caccia verrà a costare più del previsto». Lo provava già allora il fatto che, per acquistarne 131, il governo italiano aveva deciso di stanziare 12,9 miliardi di euro.
Ora la Corte dei conti USA conferma che il costo è quasi raddoppiato e, di fronte un ritardo di due anni e mezzo sui tempi previsti, il Pentagono chiede alla Lockheed di modificare il contratto e trasformarlo a prezzo fisso. Il Congresso dovrà riapprovare il programma, il più costoso della storia militare USA (323 miliardi di dollari per 2.457 aerei), «benché nessuno si aspetti un suo ridimensionamento».
Nel Parlamento italiano invece tutto tace, grazie al fatto che la partecipazione al programma dell’F-35 è sostenuta da uno schieramento bipartisan.
(…)
Intanto l’aeronautica italiana continua a ripetere che «vuole il caccia F-35» e lo stesso fa la marina. Intervistato dal Sole 24 Ore (5 febbraio), il gen. Giuseppe Bernardis, nuovo capo di stato maggiore dell’aeronautica, ha detto che «i soldi per l’acquisto di nuovi velivoli sono sufficienti», ma scarseggiano quelli per l’addestramento.
Per far tornare i conti, l’aeronautica vuole limitare l’acquisto del caccia Eurofighter Typhoon (costruito da un consorzio europeo) a 96 aerei anziché 121, e cerca di vendere una ventina di Typhoon di seconda mano alla Romania e altri paesi. Si dà quindi priorità al caccia della Lockheed, superiore (garantisce Il Sole 24 Ore) per la sua «invisibilità e la sua capacità di attacco». Una scelta non solo militare ma politica, che lega l’Italia ancora più strettamente al carro da guerra del Pentagono.

Da F-35, del super caccia per ora decolla solo il costo, di Manlio Dinucci.