La spaventosa sorte di Abou Elkassim Britel

Quando incontrai la signora Khadija Anna L. Pighizzini, tre anni fa, e mi raccontò la sua storia inaudita, mi si spezzò il cuore. Viveva una vita serena e tranquilla fino a quando, nel novembre 2001, fu improvvisamente assalita da ondate di giornalisti che, dopo aver diffuso ripetute menzogne, con lo scopo di associare suo marito al terrorismo, pretendevano sue dichiarazioni. Avevano ripreso quelle menzogne provenienti da servizi segreti, da un articolo di Guido Olimpio, giornalista al Corriere della Sera.
Fu l’inizio di un calvario tutt’ora in atto.
Era il periodo in cui ordinari cittadini che frequentavano la moschea, venivano sospettati, calunniati da giornalisti legati a servizi segreti, la cui missione era di diffondere notizie false nel quadro della guerra di propaganda contro l’Islam. Si trattava di preparare l’opinione pubblica a percepire come utile la guerra contro l’Islam.
Da allora, Khadija, una signora dolce e discreta, cresciuta in una stimata famiglia italiana di Bergamo, è stata costretta a lottare per difendere l’onore della sua famiglia e far conoscere la spaventosa sorte di suo marito Abou Elkassim Britel, una persona rispettabile ingiustamente associata al terrorismo, e mantenuto in prigione senza nessuna colpa.
Rapito nel 2002 da agenti della CIA, Abou ElKassim Britel, ha subito la sorte terrificante di migliaia di musulmani nell’ambito di quelle attività segrete e illegali chiamate “extraordinary rendition”, denunciate sin dal 2004 dal senatore svizzero Dick Marty.
Imprigionato e torturato in un luogo segreto in Pakistan, Abou ElKassim Britel è stato in seguito trasportato da agenti della CIA in Marocco, consegnato ai servizi segreti marocchini per essere di nuovo torturato e mantenuto in segreto nella sede dei servizi di intelligence a Témara. Sottoposto a trattamenti violenti e umilianti per oltre 8 anni, Abou Elkassim Britel ha intrapreso lunghi e rischiosi scioperi della fame per rivendicare la sua innocenza e il diritto di essere trattato umanamente.
Sua moglie, vive con sempre maggiori difficoltà la realtà crudele che colpisce il suo sposo incarcerato in Marocco, un paese assai attraente per i turisti che ignorano tutte le violazioni commesse dal Regno. Di ritorno dalla sua ultima visita al marito in prigione racconta:
“(…)
Mio marito è cittadino italiano, ma non ha mai avuto alcun sostegno decisivo dal nostro governo. Io sono qui in Italia, devo lavorare per mantenere lui e me e per andarlo a trovare ogni tre mesi. Sono preoccupata, nulla è certo in Marocco.
Il Console d’Italia, che aveva incontrato mio marito dopo il trasferimento e aveva visto com’era ridotto, mi ha accompagnato alla prima visita ed è riuscito a strappare un permesso di visita giornaliero, spero che continuerà ad aiutarci. Ora si è reso conto della gravità della situazione, che non sfugge nemmeno ai responsabili delle carceri. Gli scioperi della fame di coloro che sono incarcerati con mio marito – i cosiddetti “islamisti”, musulmani radicali – continuano; come pure le proteste dei loro familiari.
Oltre un centinaio di prigionieri “islamisti”, fra i quali mio marito, sono stati deportati da sei diverse prigioni e rinchiusi in questo nuovo reparto, costruito proprio per loro. Sembra che lo stato marocchino pretenda delle ammissioni di responsabilità prima di liberarli, o voglia provocare reazioni forti per poi tenerli ancora in carcere.
Molti di loro, arrestati nel 2003, sono quasi al termine della pena. Queste persone, trattenute arbitrariamente sono per la maggior parte assolutamente innocenti. È un’ingiustizia. I processi sono stati iniqui, come denunciano i militanti che si battono da allora per la loro liberazione. Lo dicono e lo ripetono le organizzazioni nazionali e internazionali, ci sono molte prove.
È una denuncia impressionante che descrive gli stessi metodi brutali e fuori dalla legge toccati a mio marito e a tanti altri.
Sono otto anni di torture per i prigionieri e le loro famiglie. Il Marocco ha rifiutato ogni richiesta di dialogo e di revisione; anzi da anni prima delle occasioni di grazia reale compare la solita notizia “smantellata cellula terroristica”, spesso poi non se ne sa più nulla. Non so cosa aspettarmi.
Mio marito è uno delle decine di migliaia di persone rapite da agenti della Central Intelligence Agency (CIA) dopo l’11 Settembre cui è toccata questa dura sorte. Alcuni sono spariti per sempre; altri sono rientrati a casa distrutti, dopo anni rinchiusi a Guantanamo.
A noi manca il sostegno italiano, mai nessun governo ha chiesto con forza la liberazione di questo cittadino incensurato che è mio marito. Avrebbero dovuto farlo; la loro indifferenza mi ha fatto capire l’utilizzo che si fa dell’attività di servizi segreti che hanno inventato menzogne, che hanno mentito per fare di mio marito un criminale. La sorte di cittadini italiani di religione musulmana non ha nessun valore per loro.
Temo per la vita di mio marito e mi sento impotente. Ogni giorno mi chiedo se e come tornerà a casa.
Nonostante tutto insisto. In rete comunico le informazioni che i giornali non danno, contatto le ONG. Ma mi sento molto sola e non vedo una soluzione. Quello che manca è la presa di posizione esplicita di qualche personalità conosciuta; penso a esperti nel capo del diritto e dei diritti umani in particolare, qualcuno che possa aiutarmi a comunicare con lo Stato italiano.
È assurdo che di fronte al pericolo di vita che mio marito corre ogni giorno, all’ingiustizia che lo tiene detenuto da quasi nove anni, l’azione della diplomazia italiana si limiti a un colloquio con il direttore del carcere.
Questa esperienza ci ha molto provato. Mio marito è completamente innocente. Si è trovato coinvolto, senza ragione, solo perché di religione musulmana, quando gli Stati Uniti volevano accreditare l’idea di una minaccia terroristica. Il Pentagono doveva fornire un certo numero di persone da definire “terroristi”. È così che vennero incriminati uomini innocenti come lui.”
Questa vicenda terrificante, che ha distrutto la vita di queste brave persone, ha fatto emergere il ruolo inquietante di giornalisti “esperti in terrorismo”, “esperti in servizi segreti” che, a volte all’insaputa dei giornali che pubblicano i loro articoli, sono in realtà agenti la cui principale attività à di diffondere notizie false, far regnare la paura fondata sulla falsa minaccia dell’Islam, in modo da far accettare come necessarie per la “sicurezza” le guerre più crudeli e sanguinose contro i musulmani.
Gli Stati in guerra si sono sempre serviti di giornalisti come copertura per i loro agenti segreti. Ma da quando alcuni giornalisti sono stati identificati e denunciati dalle vittime delle loro menzogne, è nostro dovere portare alla luce fatti così gravi e dolorosi.

Da Marocco: la realtà crudele di musulmani imprigionati e torturati, di Silvia Cattori.
[grassetto nostro]

Madrid, 11 marzo 2004

0311

Tutto suggerisce che la versione ufficiale degli attacchi dell’11 Marzo 2004 a Madrid, secondo cui si sarebbe trattato di un attacco esterno dell’islamista Al-Qaida, sia una bufala. Ciò solleva la questione dei veri colpevoli. Un’indagine approfondita dovrebbe adottare un approccio sistematico: elenco completo delle piste, e quindi seguire ogni ricerca di indizi e moventi. Lo scopo di questo articolo, è quello di esaminare una di queste ipotesi: che l’operazione sia una montatura sotto falsa bandiera dei servizi segreti atlantisti. Prima di ciò, introdurremo brevemente tutte le piste che dovrebbero essere esplorate, se l’inchiesta sarà riaperta.
L’opinione pubblica conosce, in genere, due ipotesi circa gli autori dell’attacco: Al-Qaida, incriminata nei discorsi ufficiali, e l’ETA, che Jose Maria Aznar accusava per giustificare la sua politica basca. La stampa spagnola ha esplorato almeno quattro altre piste, sui servizi segreti che avrebbero montato l’operazione sotto falsa bandiera.
(…)
Un primo collegamento tra l’attacco e gli Stati Uniti appare alla fine di marzo 2004, con una foto misteriosa della bomba della borsa di Vallecas. E’ l’unico scatto conosciuto fino ad oggi, dalla centrale delle indagini, oggetto di molte controversie. Nella notte dell’11/12 marzo 2004, un agente della polizia scientifica era andato nei luoghi dove gli sminatori avevano disinnescato la bomba di Vallecas, al fine di realizzare un dossier fotografico, conformemente alla procedura. La bomba non era ancora stata neutralizzata, e rimase a distanza, consegnò la sua macchina fotografica a un artificiere e vide diversi flash. Una volta che l’ordigno è stato disattivato, ha cercato di avvicinarsi con la sua macchina fotografica, ma con suo stupore, gli artificieri gli preclusero l’accesso. Quindi un alto funzionario della polizia gli ha chiesto di consegnare la pellicola, di cui non si ha alcuna traccia.
Nel marzo 2004, nessuna foto della bomba di Vallecas è stata mai resa nota. Questa incertezza è stata rafforzata da spiegazioni contraddittorie, fornite dai media, sulla non esplosione della bomba. Si disse che i terroristi avevano dimenticato di attivare la carta SIM, poiché si erano sbagliati programmando l’esplosione alle 7 e 30 di sera, e non del mattino, o che anche l’energia elettrica fornita dal telefono fosse insufficiente per attivarla; tutte versioni smentite successivamente. La spiegazione più incredibile, che è stata poi avanzata per l’arresto di Jamal Zougam, il solo presunto attentatore che sia stato incarcerato. La cornetta del telefono è stata scheggiata, e il piccolo pezzo di plastica mancante è stata trovato a casa sua. Per quanto riguarda la composizione della bomba, la maggior parte dei media parlava, allora, del modello Triumph della Motorola, e non di un Trium della Mitsubishi, che alla fine verrà mantenuta nella versione ufficiale.
Il 30 marzo, la televisione americana ABC News, manda in onda la sola foto della bomba conosciuta fino ad oggi, adottata da tutti i media spagnoli, senza metterla in discussione. Aveva riempito il vuoto lasciato dalla scomparsa della pellicola della polizia scientifica, e ridiede credibilità a questa prova acquisita in modo oscuro. Ma lo scatto pone nuove questioni, che non hanno ancora una risposta. Chi ha preso questa foto? In quali circostanze? E perché è apparsa negli Stati Uniti, lontano dai media spagnoli, che hanno seguito il caso da vicino? Incuriosito, Luis del Pino ha chiesto ai corrispondenti dell’ABC in Spagna, di chi fosse lo scatto, ma negarono di essere gli autori, e dissero di non sapere come la direzione della rete statunitense l’avesse ottenuta.
Il 6 Maggio 2004, gli sguardi si volsero di nuovo negli Stati Uniti, quando “Newsweek” ha rivelato che un avvocato statunitense, Brandon Mayfield, era stato arrestato nello Stato dell’Oregon, pochi giorni prima. Le sue impronte digitali sono state trovate sulle confezioni dei detonatori trovati nella Kangoo, che i terroristi avrebbero dovuto utilizzare, secondo l’accusa. Per tutto il mese di maggio, e di fronte ai dubbi pubblicati dal New York Times, il settimanale menzionò fonti della polizia, garantendo l’attendibilità delle prove. Così, il 17 maggio, “Un alto responsabile degli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo, ha detto a Newsweek che l’identificazione delle impronte digitali è inconfutabile”. L’FBI aveva identificato l’impronta poco dopo l’attentato, ed allora Mayfield fu messo sotto sorveglianza. Fu la paura di fughe di notizie che fu costretto a eseguire un arresto discreto. Ma con un colpo di scena, il 20 maggio la polizia spagnola ha annunciato che, a sua volta, aveva individuato l’impronta digitale in quella di Ouhnane Daoud, un algerino che viveva in Spagna. Le autorità degli Stati Uniti ne presero atto, e lo stesso giorno Mayfield fu rilasciato, con rare pubbliche scuse da parte dell’FBI, e un risarcimento. Per quanto riguarda Daoud, egli è ancora latitante a tutt’oggi, il che rende impossibile valutare l’affidabilità dell’identificazione.
Si deve notare l’opportunità dell’identificazione di Daoud, passato inosservato nei due mesi successivi all’attentato, ma che fu identificato nelle settimana successiva all’arresto di Mayfield. Il profilo di quest’ultimo suscita egualmente sospetti. Avvocato discreto e senza grandi attività, convertito all’Islam, aveva difeso in un caso di diritto di famiglia, un americano accusato in seguito di terrorismo. Ma è il suo rapporto con i militari USA, che attira ulteriore attenzione: Mayfield è un ufficiale della riserva, dopo aver trascorso 8 anni nelle forze armate, tra cui almeno un anno in una unità dell’intelligence.
(…)

11m

Continuiamo la nostra analisi, aggiungiamo due elementi che confermano che l’attacco è opera di una organizzazione militare e non di una banda di criminali. Innanzitutto, le 10 bombe erano state probabilmente attivate da sistemi di telecomando radio, e non erano state programmate in anticipo con la funzione di allarme dei telefoni cellulari, come sostiene la versione ufficiale. Infatti, 3 treni sono esplosi mentre erano fermi nelle stazioni di Atocha, El Pozo e Santa Eugenia, il quarto è esploso all’esterno di Atocha, dove ha atteso la partenza del primo treno. A meno di vedere una coincidenza straordinaria, si può concludere che i terroristi volevano farli saltare nelle stazioni. Ma questo risultato è estremamente difficile da ottenere, programmando in anticipo l’ora di attivazione. In primo luogo, perché i telefoni cellulari che sarebbero stati utilizzati, non consentono la messa a punto dell’orologio e della sveglia: è possibile impostare i minuti, ma non i secondi. E in secondo luogo, perché i treni dei pendolari non sono puntualissimi. Nel caso del ritardo di alcuni treni, quel giorno, a El Pozo si ebbe “un paio di minuti di ritardo“, secondo la testimonianza del conducente. Le esplosioni non sono state programmate in anticipo, ma innescato “in diretta“. I mezzi di trasmissione radio suggeriscono che si trattasse di una operazione sofisticata, al di là della portata della piccola banda di criminali, indicata dalla versione ufficiale. Ciò detto, perché volevano che i treni esplodessero nella stazione? La ragione potrebbe essere che così fossero più facilmente accessibili e discreti, cosa che corrobora l’ipotesi delle due “bombe finte” introdotte dopo le esplosioni.
In secondo luogo, vi sono indicazioni che le bombe erano cariche di esplosivi militari, “che tagliano”, e non di dinamite per cave, “che mordono“, come è stato dimostrato nel precedente articolo. Nella sua spiegazione al giudice, il capo degli artificieri di Madrid menziona anche l’esplosivo militare C4.
(…)
Dopo aver dimostrato che elementi non identificati dell’apparato statale avevano falsificato le prove, per portare l’inchiesta sulla strada sbagliata, coprendo una operazione di stile militare, è legittimo ritenere che gli attentati di Madrid siano stati commessi da un servizio segreto militare.
Secondo l’ex ufficiale dei servizi segreti per la U. S. Army Eric H. May: “Il modo più semplice di attuare un attentato false flag è con l’organizzazione di una esercitazione militare che simula proprio l’attentato che vogliamo commettere”. Come negli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, e quelli del 7 luglio 2005 a Londra, gli attentati di Madrid sono coincisi con un attacco terroristico simulato. Dal 4 al 10 marzo 2004, la NATO ha realizzato la sua esercitazione annuale per la gestione delle crisi, intitolata CMX 2004, e la mattina dell’11 marzo, vere bombe sono esplose a Madrid.
Lo scenario sviluppato quell’anno dall’Alleanza Atlantica era proprio un grande attacco terroristico di Al-Qaida in Occidente. In Spagna, la presidenza del governo, il Dipartimento della Difesa e la CNI (servizi segreti), hanno preso parte all’esercitazione. Non sappiamo ancora se le manovre includevano esercitazioni nella capitale spagnola, in quanto i dati pertinenti sono riservati. In una delle poche evocazioni della stampa di questa simulazione, El Mundo ha scritto: “La somiglianza dello scenario elaborato dalla NATO con i fatti di Madrid è agghiacciante, e ha impressionato i diplomatici, militari e servizi segreti che hanno partecipato all’esercitazione poche ore prima”. I dettagli di CMX 2004 sono classificati, purtroppo non sappiamo dove finisce la somiglianza.
Un’altra coincidenza inquietante è lo scalo, in Spagna, che hanno avuto degli aerei clandestini della CIA. Questi aerei sono divenuti famosi dopo lo scandalo dei sequestri di persona e delle prigioni segrete in Europa, che gli americani utilizzavano nel programma “extraordinary renditions”. Il Boeing 737 immatricolato N313P, atterrò il 9 Marzo 2004 all’aeroporto di Palma, nell’isola spagnola di Maiorca, e se ne andò il 12 marzo, il giorno dopo l’attentato. Questo velivolo è il più grande tra quelli utilizzato per tali voli segreti, e l’aereo più importante citato nella relazione del Consiglio d’Europa nel 2006. Palma è a sua volta descritta come una “piattaforma-cerniera del programma delle renditions della CIA.”
Premiati per le loro indagine sul voli della CIA, i giornalisti del quotidiano locale “El Diario de Mallorca” furono sentiti sulle onde radio della Cadena SER, la più ascoltata in Spagna. Concludendo l’intervista, avvisarono: “L’11 marzo 2004, il Boeing 737 della CIA fu a Palma. Il giorno dopo partì in fretta, perché aveva cambiato il suo orario di decollo. Aveva annunciato di recarsi in Svezia, ma si recò a Baghdad”. A cosa era dovuta questa partenza affrettata, a solo poche ore dall’episodio della scoperta della famosa borsa di Vallecas? Oltre a questa fretta, è la presenza stessa del velivolo in territorio spagnolo, al momento dell’attacco, che attira l’attenzione. Secondo la commissione del Parlamento europeo sui voli della CIA, 125 voli dell’agenzia di intelligence USA sono passati su un aeroporto spagnolo, dal 2001 al 2005 (un periodo di circa 1.500 giorni). Questi scali erano di solito di uno o due giorni, la simultaneità dei due eventi è una coincidenza degna di nota.
(…)
Il comando USA in Europa (EUCOM) e la NATO controllano in Spagna la base navale e d’intelligence di Rota e la base aerea di Moron. Infine, il Comando Sud della NATO stava installando il quartier generale delle sue truppe di terra a Madrid, al momento degli attentati.
È interessante notare che i servizi segreti della Marina e dell’Aeronautica USA, rispettivamente, NCIS e OSI, hanno goduto durante il periodo che ci interessa, di strabiliante libertà di azione in Spagna.
Nell’aprile 2002, Jose Maria Aznar e George W. Bush riformulavano l’accordo bilaterale della difesa tra i due paesi. Questo accordo legalizzava, per la prima volta, la presenza in Spagna di due dei servizi segreti USA, dotati anche di poteri di polizia. La redazione volutamente confusa del testo, ha dato loro un grande margine di manovra, “le autorità competenti dei due Paesi dovrebbero stabilire norme che regolano la condotta in Spagna di NCIS e OSI”. Nel febbraio 2006, il “Caso Pimienta” portava alla luce la mancanza di norme regolamentari. L’NCIS aveva rapito in territorio spagnolo Federico Pimienta, disertore dei Marines, senza alcun controllo da parte della polizia o delle autorità giudiziarie spagnole. Solo dopo le polemiche generate da questa flagrante violazione della sovranità spagnola, verranno elaborate le norme su “l’accreditamento previo dei membri di NCIS e OSI dalle autorità spagnole” e “la comunicazione alle autorità della Spagna, di qualsiasi operazione”.
(…)

Da Attentati di Madrid: l’ipotesi atlantista, di Mathieu Miquel.

Criminali si nasce, spie della CIA si diventa

giustizia per abu omar

Milano, 23 settembre – Gli agenti della CIA a processo per il sequestro dell’ex imam di Milano, Abu Omar, “sono criminali e, come tali, vanno puniti”.
Con questa esortazione, il procuratore aggiunto, Armando Spataro, ha concluso la prima parte della sua requisitoria, che proseguirà mercoledì prossimo, davanti al giudice Oscar Magi. Armando Spataro ha supportato questa considerazione citando l’ex responsabile dei sequestri illegali avvenuti in Europa per la CIA, il quale, facendo mea culpa in un libro, ha scritto: “Se non avessero compiuto tali operazioni illegali, questi agenti avrebbero rapinato delle banche”.
(AGI)

Si leggano anche:
Abu Omar, sospeso il processo
Abu Omar, la CIA e la sovranità italiana

Abu Omar, USA vogliono giurisdizione su ufficiale NATO
Gli Stati Uniti si sono mossi formalmente oggi per la prima volta per opporre l’immunità dalle imputazioni a beneficio di uno dei 26 americani sotto processo a Milano per il rapimento dell’ex imam Abu Omar. Lo ha riferito oggi un funzionario americano.
Washington ha invocato la tutela dal processo del colonnello Joseph Romano, in base a un accordo NATO che si applica ai presunti reati commessi oltreoceano da personale militare “nello svolgimento del proprio servizio”, ha detto a Reuters il portavoce del Dipartimento della Difesa, comandante Bob Mehal.
E’ la prima volta che gli Stati Uniti intervengono formalmente per tutelare uno degli americani imputati nel processo. “Quest’azione è stata presa ora perché il processo si sta avviando verso una sentenza. Sembra che tutti gli sforzi per una soluzione diplomatica o legale siano falliti”, ha detto Mehal.
Mehal ha detto che il giudice di Milano ha inizialmente respinto la richiesta dell’avvocato di Romano oggi di far cadere le accuse nei confronti dell’ufficiale dell’aeronautica, in ottemperanza all’accordo “Status of Forces Agreement” della NATO, noto come “SOFA”.
“Stiamo rivedendo questa decisione, ma speriamo e ci aspettiamo che il governo italiano ottemperi ai suoi obblighi previsti dal trattato e rispetti il nostro richiamo alla giurisdizione secondo il SOFA della NATO”, ha detto.
Romano, promosso colonnello nel 2007 e attualmente in Texas, era comandante delle forze di sicurezza della base aerea di Aviano ai tempi della scomparsa di Abu Omar. Mehal ha detto che la decisione di invocare la tutela giurisdizionale “non è un commento nel merito del processo in Italia o sulla validità delle accuse”.
Gli altri sospetti americani non dovrebbero poter beneficiare dell’accordo NATO in quanto questo si applica solo ai militari.
Uno degli imputati, l’ex capostazione della CIA di Milano Robert Seldon Lady, ha detto in un’intervista a un quotidiano italiano a giugno che stava solo eseguendo gli ordini e si è descritto come un soldato nella guerra contro il terrorismo.
Oggi a Milano si è svolta la prima parte della requisitoria, durante la quale il procuratore aggiunto Armando Spataro ha definito gli agenti della CIA dei “criminali”. Sotto processo a Milano, vi sono in totale 33 imputati, fra i quali l’ex direttore del SISMI Nicolò Pollari e 26 agenti americani della CIA, che non sono in Italia e per i quali gli USA hanno escluso l’estradizione.
La requisitoria si concluderà mercoledì prossimo con le richieste di condanna da parte dei pm – oltre a Spataro, Ferdinando Pomarici – al giudice Oscar Magi.
Phil Stewart per Reuters

kossiga

L’avvertimento del Presidente emerito
Milano, 30 settembre – Dalla politica è arrivato “un tentativo di intimidazione per cercare di impedire che il pm eserciti la sua funzione”.
Al processo sul rapimento di Abu Omar, ormai alle battute finali, interviene in aula a Milano il pm Ferdinando Pomarici e porta la sua “solidarietà personale dell’intero ufficio al collega” in seguito ad una serie di interpellanze parlamentari successive all’avvio, la settimana scorsa, della requisitoria dell’accusa nei confronti dei numerosi agenti CIA e funzionari ed ex funzionari del SISMI imputati per il rapimento dell’ex imam. Pomarici si augura poi che “le sguaiate polemiche che fino ad oggi sono rimaste fuori dall’aula” continuino a non influenzare il giudizio in corso.
(Adnkronos)

Roma, 30 settembre – ”Il procuratore aggiunto Pomarici dovrebbe avere il coraggio di citarmi nominalmente, dato che io lo conosco bene e altrettanto lui me; e invece di chiamare ‘intimidazioni’ normali atti di sindacato e indirizzo, dovrebbe forse spiegarci che cosa in realtà è successo anni fa a via Montenevoso in Milano”. Lo afferma il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.
”Comunque, agli insulti suoi e del suo amico Spataro – sostiene – io rispondo dando a lui e al suo collega un consiglio: si tengano alla larga dagli Stati Uniti e dai territori da essi controllati perché la CIA e l’FBI non sono l’Aise dell’ammiraglio De Pinto e del colonnello dei Carabinieri Damiano”.
(ANSA)

Milano, 30 settembre – Il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro ha preannunciato oggi che chiederà l’assoluzione di tre ex funzionari del SISMI nel processo per il sequestro dell’ex imam Abu Omar, lasciando intendere che chiederà la condanna dell’ex direttore del SISMI Nicolò Pollari e degli altri imputati, tra i quali 26 agenti americani della CIA.
Spataro, parlando durante la sua requisitoria in aula, ha detto che chiederà l’assoluzione di Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia, e Luciano Di Gregorio perché la Corte Costituzionale ha escluso l’utilizzabilità di alcuni atti coperti dal segreto di Stato e, sulla base della sentenza della Corte, non può chiederne la condanna.
Su Pollari, Spataro ha detto che “nessuna direttiva” avrebbe potuto indurre l’ex direttore del SISMI “ad omettere la denuncia di un ordine illegittimo quale era quello di eseguire un sequestro di persona”, tanto più che Pollari “aveva l’opportunità di discutere l’ordine” perché era il direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare.
In un altro passaggio, Spataro ha detto che “non si può pensare che la Corte Costituzionale abbia detto che è possibile coprire col segreto di stato una condotta criminale”.
“Nessun segreto di stato può coprire il reato di sequestro di persona”.
(Reuters)

cossigapollari

Milano, 30 settembre – Il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro ha chiesto oggi 13 anni per Nicolò Pollari, ex numero uno del SISMI, e 26 condanne — tra 10 e 13 anni — per ex agenti della CIA, nella requisitoria al processo per il sequestro dell’ex imam Abu Omar.
“Si è trattato di un insopportabile strappo alla legalità e ai diritti fondamentali, inaccettabile neppure nell’interesse della sicurezza”, ha detto oggi Spataro.
Il pm di Milano ha poi parlato di “ineluttabili prove di responsabilità per Pollari e per Marco Mancini”, l’ex numero due del SISMI per il quale sono stati chiesti 10 anni di reclusione.
“E’ impensabile che il SISMI abbia eseguito il sequestro senza che Pollari sapesse”, ha aggiunto Spataro.
Nella requisitoria il pm ha detto anche che “le democrazie si fondano su principi irrinunciabili anche nei momenti di emergenza. Se rinunciassimo a questa visione la lotta al terrorismo sarebbe persa in partenza”.
Il processo per il rapimento del religioso vede imputate 33 persone, tra ex funzionari dei servizi segreti italiano e USA, con l’accusa di aver rapito nel 2003 Abu Omar – imputato a Milano per terrorismo internazionale in un altro procedimento – e di averlo poi inviato in una cosiddetta operazione di “rendition” in Egitto, dove il religioso sostiene di aver subito torture durante la detenzione.
Tra le altre richieste avanzate dal pm, c’è quella a 13 anni di reclusione per Jeff Castelli, ex capo della CIA a Roma e quella a 12 anni per Robert Seldon Lady, ex capo della stazione CIA di Milano.
Per Pio Pompa e Luciano Seno — ex funzionari del SISMI accusati di favoreggiamento — Spataro ha chiesto 3 anni.
Inoltre, come preannunciato stamani, Spataro ha chiesto l’assoluzione degli ex funzionari del SISMI Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia e Luciano Di Gregorio perché la Corte Costituzionale ha escluso l’utilizzabilità di alcuni atti coperti dal segreto di Stato.
(Reuters)

Similes cum similibus
Roma, 1 ottobre – ”Le richieste del pm Spataro al processo per il sequestro di Abu Omar sono un insulto ai servizi di informazione e di sicurezza che proteggono la sicurezza del nostro Paese”, afferma Francesco Cossiga in una dichiarazione.
L’ex capo dello Stato esprime ”piena solidarietà” agli ex dirigenti del SISMI Nicolò Pollari, Marco Mancini ”ed anche a Pio Pompa”; solidarietà, inoltre, ai “‘colleghi’ della Central Intelligence Agency che hanno operato in Italia, in Europa e nel mondo per combattere il terrorismo di Al Qaeda”.
Nella sua dichiarazione, Cossiga attacca gli attuali vertici del servizio segreto militare ed invita il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta a sostituirli e a ”trovare una qualche sistemazione a quella brava persona e buon marinaio che è l’ammiraglio Branciforte. Se le mie richieste non saranno soddisfatte – dice l’ex capo dello Stato – mi porrò sotto la protezione degli agenti della CIA che operano in Italia!”.
Cossiga, inoltre, si dice ”certo che con queste richieste il magistrato Spataro (il magistrato che ha avanzato la richiesta di condanna a 13 anni di reclusione per il generale Pollari, ndr) si è guadagnato i ‘galloni’ di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, galloni – conclude il senatore a vita – che otterrà anche grazie alla sua militanza nella corrente di ultrasinistra dell’Anm, ‘testa’ e ‘padrona politica’ del Csm”.
(ANSA)