L’assolato avamposto di Camp Lemonnier

Una base statunitense isolata al centro di operazioni segrete
di Craig Whitlock

Gibuti Città (Gibuti) – Notte e dì, circa 16 volte al giorno, i droni decollano o atterrano qui, a una base militare statunitense, lo snodo per le guerre antiterrorismo dell’amministrazione Obama nel Corno d’Africa e nel Medio Oriente.
Alcuni degli aeroplani senza pilota sono destinati alla Somalia, lo Stato imploso il cui confine si trova proprio 10 miglia a sud-est. La maggior parte dei droni armati, comunque, fanno rotta a nord attraverso il Golfo di Aden verso lo Yemen, un altro Paese instabile ove vengono utilizzati in una guerra sempre più mortale contro una componente di al-Qaeda che ha preso di mira gli Stati Uniti.
Camp Lemonnier, un assolato avamposto nel Terzo Mondo fondato dalla Legione Straniera francese, iniziò come campo temporaneo di addestramento per Marines statunitensi alla ricerca di un punto d’appoggio nella regione un decennio fa. Nel corso degli ultimi due anni, l’esercito statunitense lo ha surrettiziamente trasformato nella più trafficata base per Predator all’esterno della zona operativa afgana, un riferimento per combattere una nuova generazione di gruppi terroristi.
L’amministrazione Obama ha fatto ricorso a misure straordinarie per nascondere i dettagli legali e operativi del suo programma di uccisioni mirate. A porte chiuse, scrupolose discussioni precedono ogni decisione di posizionare qualcuno al centro del mirino nella guerra perpetua degli Stati Uniti contro al-Qaeda ed i suoi alleati.
Sempre più, gli ordini di trovare, pedinare o uccidere queste persone vengono presi a Camp Lemonnier. Praticamente tutti i 500 acri della base sono dedicati all’antiterrorismo, rendendola l’unica installazione di questo tipo nella rete globale di basi del Pentagono. Continua a leggere

Desert Dusk 2011

“Giochi di guerra nel deserto del Negev per i cacciabombardieri dell’aeronautica militare italiana. Lo scorso 16 dicembre si è conclusa l’esercitazione “Desert Dusk 2011” a cui hanno partecipato venticinque velivoli da guerra delle forze aeree italiane ed israeliane. Due settimane di duelli, inseguimenti e lanci di missili e bombe, protagonisti gli “Eurofighter” e i “Tornado” dell’AMI e gli F-15 ed F-16 israeliani schierati per l’occasione nello scalo meridionale di Uvda, utilizzato dai charter che trasportano i turisti diretti a Eilat (mar Rosso). L’esercitazione rientra nel programma di collaborazione e coordinamento tra le due aeronautiche finalizzato ad affinare le procedure e le tecniche di azione in missioni di controllo delle crisi (Crisis Response Operations). In Israele sono stati impegnati 150 militari italiani, mentre i cacciabombardieri dell’AMI hanno svolto più di un centinaio di missioni di volo. Alle operazioni hanno pure partecipato alcuni velivoli KC-767A del 14° Stormo di Pratica di Mare (Roma) e C130J della 46ª Brigata Aerea di Pisa.
A fine ottobre erano stati i cacciabombardieri israeliani a sorvolare i grandi poligoni della Sardegna nell’ambito dell’esercitazione “Vega 2011”, a cui hanno partecipato pure le aeronautiche militari di Italia, Germania e Olanda. Per l’occasione, due squadroni con F-15 ed F-16 ed un velivolo radar di nuova produzione “Eitam” erano stati trasferiti dalle basi aeree di Nevatim e Tel Nof allo scalo di Decimomannu (Cagliari), centro di comando e coordinamento dell’intero ciclo addestrativo. “Gli obiettivi delle attività di Vega 2011 sono stati il rafforzamento dell’interoperabilità dei reparti impegnati, il miglioramento della capacità di cooperazione e lo svolgimento di attività tattiche grazie ad operazioni in aree di media scala in un ambiente ad alta minaccia”, hanno riferito le autorità italiane. L’esercitazione in Sardegna è stata seguita con particolare interesse dalla stampa di Tel Aviv: le spericolate missioni di volo sarebbero state finalizzate infatti a simulare un attacco agli impianti nucleari iraniani.”

Alleanza militare aerea tra Italia e Israele di Antonio Mazzeo continua qui.

Un’Apache a stelle e strisce

L’ AH-64 Apache è la versione a stelle e strisce più vicina per profilo all’elicottero d’attacco “tricolore” A-129 Mangusta, che supera in potenza di fuoco.
In tandem si stanno lavorando per conto di Enduring Freedom/ISAF – con “intensi cicli operativi” sia in perlustrazione che in attacco – le provincie di Herat e di Farah, dove le popolazioni sedentarie e nomadi locali parlano il farsi e hanno radicate tradizioni culturali e religiose in comune con l’Iran.
L’ambasciatore di Teheran in Italia, Mustafà Doolatyr, ha dichiarato il 27 Febbraio u.s. a La Repubblica che in sette anni il traffico d’oppio che passa per il suo Paese, nonostante la deterrenza della pena capitale per i trasportatori, è aumentato da 200 kg ad 8 tonnellate e che i profughi assistiti dal governo iraniano sono attualmente più di 2 milioni, per lo più provenienti dalle aree di confine dell’Afghanistan. Numero in vertiginosa crescita anche per i ripetuti attacchi aerei che USA/NATO effettuano sugli insediamenti locali per “desertificare” il territorio e provocare un esodo di massa verso l’Iran.
Il dott. Ishaqzai, che collabora con la Croce Rossa Internazionale, lo scorso 5 maggio ha riferito all’agenzia Pajhook Afghan News che nel suo villaggio una sola famiglia ha perso sotto i bombardamenti 23 componenti mentre 65 perdite sono state registrate tra anziani, donne, uomini e bambini ad Agha Saiban. Imprecisato il numero dei feriti e degli amputati.
Al contrario del Mangusta impiegato anche in missioni di appoggio tattico (scorta armata a pattuglie blindate di polizia ed esercito di Kabul) anche nelle provincie di Bagdis e Ghor, l’ AH-64 è il perno del dispositivo militare integrato di Enduring Freedom che copre Kabul e l’intero Paese delle Montagne, con un impiego particolarmente esasperato nelle zone di confine tra Afghanistan e Pakistan.
Gli A-129 presenti in cinque unità presso l’aereoporto del West Rac di Herat, inquadrati in ISAF, integrano su richiesta del Comando USA le operazioni “attacca e distruggi” condotte dagli AH-64, dalle cannoniere volanti C-130, dagli A-10 e dai cacciabombardieri F-15 e F-16 contro formazioni di nuclei “ribelli”.
Oltre agli attacchi intenzionali su obiettivi valutati di prioritario interesse militare, molti raids vengono effettuati il più delle volte in condizioni di visibilità gravemente insufficienti per repentini cambiamenti luce-ombra-nuvole, vento, sabbia e polvere in sospensione in zone collinari, portando a ripetute e gravi perdite anche tra gli abitanti dei villaggi di fondovalle.
In varie occasioni, il comando italiano ha confermato la pertecipazione degli A-129 Mangusta ad “azioni di fuoco” USA contro formazioni di “terroristi” nell’area di Herat e Farah, senza accennare alle perdite inflitte al “nemico” che si suppone ingenti.
La spaventosa cadenza di fuoco e la potenza delle mitragliatrici in calibro 7, 62, 12.7 e 20 mm in dotazione sia agli AH-64 che agli A-129 dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che USA e NATO non sono in Afghanistan per portare pace e piani di ricostruzione ma la guerra.
Una guerra di lunga durata che ha per obiettivo strategico l’ annientamento di qualsiasi opposizione politica e militare organizzata.

Generale di quale Paese?

gencamporini

Scrivevamo:
“Il Generale di S.A. Vincenzo Camporini, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica dal Consiglio dei Ministri del governo Prodi il 20 Settembre 2006, per una rotazione prevista tra Aviazione, Marina ed Esercito, è attualmente Capo di Stato Maggiore della Difesa e quindi ai vertici di comando delle Forze Armate. Il suo curriculum dice che a parte un breve periodo di frequenza ad un corso NATO, lontano negli anni, è il primo alto ufficiale italiano che non abbia certificazioni atlantiche, che non ha fatto registrare frequentazioni imbarazzanti e, elemento di per sé significativo, non è stato pataccato, almeno per ora, né dal Congresso né dalle Amministrazioni USA con la “Legion of Merit”, la più alta onorificenza offerta ai militari appartenenti alla NATO. Camporini, quindi, ha alle spalle uno stato di servizio, almeno dal nostro punto di vista, decente. Naturalmente esegue gli ordini che gli impartisce il Ministero della Difesa e perciò lunedì 24 novembre ha fatto partire per l’Afghanistan, delegando l’atto formale al Generale S.A. Daniele Tei, i quattro Tornado del 6° Stormo di Ghedi (…)”.

A proposito di caccia(bombardieri). Ad inizio ottobre, è stata presentata a Roma una ricerca condotta dall’Istituto Affari Internazionali sul programma F-35 Joint Strike Fighter, giusto in tempo per contribuire a spiegare la portata delle scelte che l’Italia è chiamata a compiere nei prossimi mesi. Un caccia strategico per affrontare le sfide di sicurezza del 21° secolo ed un’occasione da non sprecare, con qualche incognita per la sovranità operativa, l’eccessiva protezione del know-how statunitense e la burocrazia italiana. Questo il ritratto che esce dalla ricerca. “Mi sorprende che sia stato necessario produrre questo studio”, ha ironizzato nell’occasione il generale Camporini, tanto è “lampante” l’esigenza di questo “programma assolutamente vitale per la difesa”. Né esiste la possibilità concreta, ha aggiunto Camporini, di sviluppare un’alternativa che non potrebbe arrivare prima di una ventina d’anni. Alla mancanza di alternative contribuirebbero anche il costo di un eventuale nuovo programma ed il fatto che “qualsiasi ritiro sembrerebbe una follia: abbiamo già speso due miliardi sugli 11 previsti“, ha osservato Edmondo Cirielli, presidente della commissione Difesa della Camera. “Non vedo competizione o conflitto tra JSF ed Eurofighter. Questo è stato chiaro per noi sin dall’inizio,” ha infine chiosato Camporini in termini operativi. “L’Eurofighter è concepito per la difesa aerea, compito che svolge benissimo, ma non può svolgere il ruolo di attacco in maniera economicamente sostenibile.
Attacco. Avete capito bene.

Frattanto, dall’altra parte dell’Atlantico, gli analisti militari più avvertiti hanno iniziato a paragonare l’F-35 JSF all’F-22. Lo sviluppo di quest’ultimo è iniziato nel 1986, originalmente con l’idea di produrne più di 700 esemplari per sostituire i vecchi F-15 e F-16. Nel 2000, l’incremento dei costi aveva convinto il Pentagono a ridurre le sue esigenze a 346 velivoli. Ma nel 2005, quasi venti anni e 40 miliardi di dollari più tardi, la richiesta era ulteriormente scesa a 180 unità, come conseguenza dei lunghi ritardi e dell’imprevisto incremento dei costi che hanno fatto lievitare il prezzo per singolo aereo da un’iniziale proiezione di 184 milioni di dollari ad una di 355. Per colmare il vuoto, l’USAF ha quindi iniziato a sviluppare l’F-35 Joint Strike Fighter, che secondo i più critici promette di ripetere il fiasco del F-22. A parere di Winslow Wheeler, direttore del Straus Military Reform Project al Washington’s Center for Defense Information e curatore del testo di prossima uscita America’s Defense Meltdown: Pentagon Reform for President Obama and the New Congress, l’F-22 – descritto come più fragile e meno manovrabile rispetto ai caccia dei tempi della guerra in Vietnam –  “è ridicolmente costoso, ed il suo enorme prezzo impedisce di acquistarne una quantità apprezzabile”.

Che dire? Evidentemente anche Camporini spera di essere nominato a fine mandato presidente di una consociata di Finmeccanica, come succede a tutti i Capi di Stato Maggiore che hanno favorito le lobbies del complesso militar-industriale.