La geopolitica vaccinale strumento di controllo USA sull’Europa

“La geopolitica vaccinale, con il dominio semi-monopolistico del gruppo Pfizer (amministrato da un “good friend” di Joe Biden, l’ebreo “greco” Albert Bourla) sull’Occidente, al pari del colpo di Stato atlantista in Ucraina nel 2014, si è dimostrata uno strumento assai efficace per riaffermare il controllo nordamericano sull’Europa. E lo stesso avvento al potere in Italia (tra il giubilo della quasi totalità della classe politica e del mondo dell’informazione generalista) dell’ex banchiere di Goldman Sachs Mario Draghi (già in ottimi rapporti con l’avanguardia politico-economica dell’atlantismo, il Gruppo Bilderberg creato da CIA ed MI6) deve necessariamente essere interpretato alla luce di questi fatti. Il suo ruolo è sì quello di “curatore fallimentare” di uno Stato in evidente sfacelo socioeconomico ed ormai privo di qualsiasi autonomia strategica. Tuttavia, allo stesso tempo, questo “curatore” deve fare in modo che le rimanenti risorse italiane vengano (s)vendute in modo corretto; e che tale (s)vendita avvenga in modo controllato e concentrando l’attenzione dell’opinione pubblica sull’invasività dell’evento pandemico con tutte le sue sfaccettature: dal certificato verde al corollario di scienziati (o pseudo tali) che dicono tutto ed il contrario di tutto, fino alla sterilissima polemica novax/provax che evita scientemente di rimarcare il portato geopolitico dell’affermazione di un modello di capitalismo della sorveglianza che si presenta come naturale evoluzione del modello occidentale (quello impiantato in Europa dopo il 1945) e non come instaurazione di un qualcosa ad esso estraneo.

Non sorprende che, dal momento del suo insediamento, il governo Draghi (spinto anche dal ministro ultratlantista della Lega Giancarlo Giorgetti) abbia utilizzato lo strumento del Golden Power ben tre volte per evitare l’acquisizione da parte di gruppi cinesi di aziende italiane che operano in specifici settori. L’ultimo caso è quello della Zhejiang Jingsheng Mechanical, alla quale è stato impedito di acquisire il ramo italiano di Applied Materials, azienda che opera nel settore dei semiconduttori. Nel marzo del 2021, sempre nel settore dei microchip, aveva impedito l’acquisizione del 70% di Lpe da parte del gruppo Shenzen Invenland Holding, mentre ad ottobre il Golden Power era stato esercitato per impedire gli sforzi del colosso agrochimico Syngenta per assumere la guida del gruppo agroalimentare romagnolo Verisem.

Al contempo, il governo italiano non ha palesato nessuna particolare preoccupazione di fronte al tentativo di acquisizione di TIM da parte del fondo nordamericano KKR & Co. Cofondatore del gruppo è l’ebreo statunitense Henry Kravis, ben inserito nel già citato Gruppo Bilderberg (insieme ai proprietari dell’importante gruppo editoriale italiano GEDI). Non c’è da stupirsi se al KKR fa riferimento anche l’Axel Springer Group, che possiede i giornali tedeschi (apertamente anticinesi) Die Welt e Bild. Inoltre, non è da dimenticare il ruolo che all’interno dello stesso KKR ha avuto l’ex generale e direttore della CIA David Petraeus e la partecipazione del gruppo al programma Timber Sycamore di finanziamento e assistenza logistica dei “ribelli” siriani.

Così come non vi è stato nessun particolare sussulto di orgoglio nel momento in cui Fincantieri, fermata da un patto anglo-australiano che ha fatto da apripista al più celebre (ed allargato agli USA) AUKUS, ha perso una commessa di 23 miliardi per la fornitura di fregate Fremm alla Royal Australian Navy.

Il ruolo di Draghi come agente degli interessi atlantisti in Europa è di lunga data. Quando era guida della BCE, il suo compito fu quello di contrastare la potenza della più grande banca centrale europea, la Bundesbank. L’obiettivo, neanche troppo velato, era quello di porre un freno al “problema” del surplus commerciale tedesco che costituiva un fattore indesiderato di non poco rilievo nel progetto di riaffermazione dell’egemonia nordamericana sull’Europa. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’appoggio statunitense alla creazione di una moneta unica europea venne garantito proprio dalla speranza che costringere la Germania a rinunciare al Marco potesse impedirne un eccessivo rafforzamento. Al contrario, Berlino è stata comunque capace di creare un enorme ed integrato blocco manifatturiero che include tutte le regioni industriali vicine ai confini tedeschi. Ha approfittato e tratto vantaggi notevoli dai cambi depressi rispetto all’Euro vigenti nei Paesi dell’est ed ha scaricato su di essi e sull’area mediterranea il costo della moneta unica, favorendo al contempo le esportazioni tedesche.

In questa operazione di controllo della Germania (sia in termini di eccessivo potere all’interno dell’Europa che in termini di aspirazioni alla costruzione di un rapporto privilegiato con la Russia) deve essere inserito anche il recente Trattato del Quirinale tra Francia e Italia sotto la supervisione del Segretario di Stato USA Antony Blinken. A questo proposito è bene sottolineare il fatto che il ruolo di ago della bilancia tra Germania e Francia era stato storicamente riservato alla Gran Bretagna. Nel corso dei secoli, il Regno Unito si è alleato a seconda della propria convenienza con l’una o l’altra sempre al preciso scopo di impedire una reale unificazione continentale: ciò che le potenze talassocratiche (Regno Unito prima e Stati Uniti poi) hanno sempre considerato come una minaccia esistenziale nei confronti dei rispettivi disegni egemonici.

Oggi, dopo la Brexit (nonostante la Gran Bretagna continui ad esercitare il suo nefasto ruolo in diversi teatri, dalla Polonia all’Ucraina), si è voluto attribuire questo compito all’Italia di Mario Draghi, che, assieme alla Francia, eserciterà anche un ruolo di controllo all’interno del Mediterraneo per fare in modo che l’egemone reale possa concentrare i propri sforzi nel contenimento della Cina (sempre più capace di intervenire anche nel “cortile interno” degli USA, come dimostrato dall’interruzione delle relazioni diplomatiche tra Taiwan e Nicaragua). Nell’articolo 2 del Trattato si legge: “le Parti s’impegnano a promuovere le cooperazioni e gli scambi sia tra le proprie forze armate, sia sui materiali di difesa e sulle attrezzature, e a sviluppare sinergie ambiziose sul piano delle capacità e su quello operativo ogni qual volta i loro interessi strategici coincidano. Così facendo, esse contribuiscono a salvaguardare la sicurezza comune europea e rafforzare le capacità dell’Europa della Difesa, operando in tal modo anche per il consolidamento del pilastro europeo della NATO”.

Di fatto, il Trattato del Quirinale altro non è che l’ennesima biforcazione interna alle strutture di potere dell’atlantismo.”

Da Geopolitica del draghismo, di Daniele Perra.

La fase 2 dell’aggressione alla Libia è imminente

La fase 2, l’attacco con unità di fanteria di marina della NATO, è data per imminente. Francia e Gran Bretagna, con l’Italia in ritardo sui preparativi di invasione della Jamahiryia via terra, hanno già provveduto a rafforzare le “forze speciali” che affiancano da due mesi i mercenari del CNT.
La Russa, dal canto suo, ha già mobilitato il Comsubin di Varignano e allertato il Battaglione S. Marco della Marina Militare, su input del Consiglio Supremo di Difesa, mentre il Comando Operativo Interforze di Centocelle tace e acconsente.
Gli istruttori “tricolori” che operano a Bengasi sono ormai oltre l’organico di una compagnia. Ci sarà tempo e modo per dare una faccia a questi “lavoratori”.
Nel frattempo, svetta l’impegno sul campo della Farnesina portata per mano al macello da un soggetto come Frattini che promette, sul portale del Ministero degli Esteri, “centinaia di milioni di euro” ai suoi “amici” della Cirenaica.
In realtà si tratta, come abbiamo già documentato, di miliardi di dollari in uscita dalle tasche degli italiani.
Millecinquecento milioni di dollari hanno già preso il volo per Abu Dhabi, come fondo di garanzia per il CNT , oltre che per dare fiato alle casse sfondate degli Emirati Arabi Uniti, una monarchia ereditaria del Golfo che – sentite, sentite – sta entrando a far parte dell’ Alleanza Atlantica (Kalifa bin Zayed ha recentemente avviato personali trattative con Rasmussen e Hillary Clinton in funzione anti-Iran).
Un trasferimento finanziario avvenuto nello stesso giorno in cui il boiardo di stato Bono annunciava il licenziamento, diretto, al netto delle perdite nell’indotto, di 2.551 lavoratori di Fincantieri (649 a Castellamare di Stabia, 777 a Sestri Ponente e 1.121 nei rimanenti impianti a mare) per conservare negli Stati Uniti attività produttive navali in devastante perdita finanziaria e tenere aperto un “cantierino” per il rimessaggio di barche d’altura di proprietà di vip del Bel Paese oltre che di deputati, senatori ed establishment USA. Torneremo presto sulla faccenduola Fincantieri Marine System North America e Fincantieri Marine Group, e il clamoroso bidone delle commesse Littoral Combat Ship.
Nelle 48 ore successive il Governo di Tripoli diffondeva l’entità del massacro dall’aria perpetrato sulle città della Repubblica Araba Socialista con 718 morti, 4.067 feriti ed amputati dal 19 Marzo al 26 Maggio. Effetti collaterali dei “bombardamenti chirurgici” che il titolare di Via XX Settembre ci aveva assicurato essere precisi al metro sui targets da oltre 3.5 miglia di quota.
Vediamo ora in dettaglio cosa ha promesso il Bel Paese, per bocca di Frattini, nella sua visita a Bengasi, del 31 Maggio – all’ 8° piano dell’Hotel Tibesti (!) che alloggia il Console Guido de Sanctis e la Rappresentanza dell’Unione Europea – agli “insorti” che si richiamano alla monarchia senussita.
Oltre ad aver firmato un memorandum d’intesa con Mustafà Abdel Jalil, l’ex contabile di casa nostra ha promesso “enormi somme di danaro e enormi quantità di combustibile raffinato” al CNT per mezzo di Unicredit e dell’ENI che terranno a garanzia, tramite Sace, gli assets “congelati” alla Jamahiryia.
Che effetti, politici e commerciali, possano produrre nei rapporti diplomatici tra l’Italia e i Paesi di Africa, Vicino Oriente, America Indiolatina e Asia comportamenti ampiamente criminali come quelli espressi dal Governo Berlusconi è facilmente intuibile.
L’ENI fornirà benzina e gasolio per iniziali 152 milioni di euro mentre Unicredit verserà la prima trance di 475 milioni di euro in contanti al CNT per dare il via all’infrastruttura organizzativa statale e amministrativa della “nuova” Libia.
Parigi e Londra, nel frattempo, hanno già trasferito nella capitale della Cirenaica un numero consistente di elicotteri d’attacco.
“Dobbiamo migliorare, da bassa quota, la nostra capacità di colpire i bersagli a terra con munizionamento di precisione” ha precisato il ministro degli Esteri Alan Juppè, già titolare della Difesa durante la presidenza Chirac, durante un summit NATO, a porte chiuse, a Parigi con gli “omologhi” europei.
Per la Repubblica delle Banane hanno partecipato congiuntamente Frattini e La Russa, due punte di diamante dei Poteri Forti che lavorano fianco a fianco con Mr. NATOlitano.
Un Presidentissimo che ormai sfila sulla “Flaminia” il 2 Giugno, dopo la chiusura dello spazio aereo della capitale, su Via dei Fori Imperiali protetto a vista da centinaia di “tiratori scelti” e da un codazzo di “addetti alla sicurezza” che lo affiancano a passo di corsa, mano alla cintura, lungo il percorso lanciando occhiate preoccupate a destra e manca.
C’è un vecchio proverbio che dice: “Male non fare, paura non avere”. Continua a leggere

Littoral Combat Ship

Annunciato nel novembre 2001 dalla US Navy nell’ambito del Future Surface Combatant Program, il programma militare Littoral Combat Ship (LCS) – fregate leggere destinate a missioni di tipo costiero – deriva da un antico progetto dell’italiana Fincantieri. La scelta del tipo di carena è stata infatti ripresa dal motoscafo veloce Destriero costruito da Fincantieri e poi utilizzato per numerosi traghetti, mercantili e navi militari.
Il programma LCS prevede la costruzione di 55 navi per un valore di circa 19 miliardi di dollari. A realizzarle saranno due consorzi, di cui uno guidato da Lockheed Martin – principale operatore statunitense nel settore militare, nonché azienda appaltatrice del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter – che coinvolge per la parte costruttiva Marinette Marine e Bollinger Shipyards e per la parte ingegneristica Gibbs & Cox.
Gli LCS sono unità di medie dimensioni particolarmente innovative ed adatte ad essere impiegate in diverse tipi di missioni nell’ambito della difesa da minacce di tipo asimmetrico, essendo dotate di tre tipi di moduli da combattimento per un’unica piattaforma nave (superficie, cacciamine, antisommergibile).
Queste navi hanno un dislocamento di 3.000 tonnellate, sono lunghe 115,3 metri e larghe 17,5. Hanno un ponte di volo particolarmente ampio ed un hangar in grado di ospitare due elicotteri H-60. Grazie ad un sistema di propulsione combinato diesel/turbine a gas, possono raggiungere una velocità superiore ai 40 nodi.
Il prototipo della LCS, che ha effettuato le prime prove nel lago Michigan alla fine dello scorso mese di luglio, ha suscitato l’interesse anche di altre marine militari, fra le quali anche quella di Israele con cui la Lockheed Martin ha in corso di finalizzazione un accordo per la realizzazione di un massimo di quattro unità, con valore totale di circa 2 miliardi di dollari.

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