Il quarto uomo del delitto Moro

L’introduzione dell’ultimo libro di Sergio Flamigni, pubblicato da Kaos Edizioni, che il parlamentare del PCI dal 1968 al 1987, nonché membro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, sulla P2 e Antimafia, ha dedicato all’enigma del brigatista Germano Maccari.

“La II Commissione parlamentare d’inchiesta sul delitto Moro (2014-2017) ha accertato tre dati di fatto di estrema gravità sul sequestro e l’uccisione del presidente della DC.
Il primo è che subito dopo la strage di via Fani, la mattina del 16 marzo 1978, i terroristi in fuga con l’ostaggio si rifugiarono in uno stabile di via Massimi 91 di proprietà dello IOR (la banca vaticana). Dunque non ci furono trasbordi del rapito in piazza Madonna del Cenacolo, né la successiva tappa nel sotterraneo del grande magazzino Standa dei Colli Portuensi, e men che meno l’approdo finale nel covo-prigione di via Montalcini, come sostenuto dalla menzognera versione ufficiale dei terroristi assurdamente avallata dalla magistratura.
Il secondo dato accertato dalla II Commissione parlamentare Moro è che anche le modalità dell’uccisione del presidente DC raccontate dai terroristi – all’interno del box auto di via Montalcini, nel baule dell’auto Renault 4 rossa, con 11 colpi, alle ore 6-7 del mattino – sono una sequela di menzogne. Le vecchie e le nuove perizie hanno infatti definito improbabile il luogo, ben diverse le modalità, e falso l’orario del delitto indicato dalla versione brigatista.
Il terzo dato di fatto è che la “verità ufficiale” sulla prigionia e sull’uccisione di Moro in via Montalcini – originata dal “memoriale Morucci”, poi confermata da altri ex brigatisti, e avallata da un paio di magistrati – è stata confezionata in carcere con la regia del servizio segreto del Viminale (SISDE) e la fattiva collaborazione di settori della DC. Si è trattato cioè di una vera e propria operazione politica e di intelligence, dopo la quale gli ex terroristi hanno ottenuto i promessi benefici penitenziari e la semilibertà. In proposito, le risultanze della Commissione parlamentare sono inequivocabili: «Il memoriale [Morucci] presenta le caratteristiche formali e compositive di un elaborato interno agli apparati di sicurezza, che dunque non possono essere ritenuti a priori estranei alla composizione del testo… La costruzione della verità giudiziaria sulla vicenda Moro appare legata all’azione di una pluralità di soggetti, che operarono attorno al percorso dissociativo di Morucci: i giudici istruttori Imposimato e Priore, il SISDE, alcune figure di rilievo della politica e delle istituzioni».
Del resto, i particolari rapporti del SISDE col terrorista dissociato Valerio Morucci, supportati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con la benedizione dell’allora Presidente del Senato e poi Presidente della Repubblica Francesco Cossiga (già ministro dell’Interno durante il sequestro Moro), erano finalizzati proprio a confezionare una versione di comodo per coprire quelle “verità indicibili” di connivenze e complicità all’interno dei servizi di sicurezza e dei poteri occulti, nazionali e esteri, che hanno accompagnato la preparazione e l’attuazione del delitto Moro. Non a caso Morucci, anni dopo la detenzione, verrà assunto da una società privata di intelligence (la G Risk srl) di proprietà dell’ex colonnello dei Carabinieri e ex dirigente dei Servizi segreti Giuseppe De Donno, e amministrata dal generale dei Carabinieri Mario Mori ex capo del SISDE – plastica saldatura fra un ex capo brigatista e gli ex vertici dei Carabinieri e dei Servizi.
Il procuratore generale della Corte d’appello del Tribunale di Roma, Enrico Ciampoli, con la requisitoria dell’11 novembre 2014 aveva già smentito la versione del duo Morucci-Moretti circa la dinamica dell’agguato e della strage. Secondo la versione brigatista, i terroristi in via Fani avrebbero sparato tutti e solo da sinistra, mentre per la Procura generale «il caposcorta dell’on. Moro [maresciallo Oreste Leonardi, nda] fu ucciso inequivocabilmente da destra, come d’altronde conferma la perizia balistica. Quindi, oltre ai 4 brigatisti di cui parlano Morucci e Moretti…, c’era necessariamente un quinto sparatore. Un killer solitario, posizionato a destra, la cui presenza, con alta probabilità, non fu neppure percepita dal caposcorta dell’on. Moro, se è vero che il suo cadavere venne ritrovato “in posizione rilassata e serena”».
I tre dati di fatto accertati dalla II Commissione parlamentare, in pratica, smentiscono la versione ufficiale del delitto Moro dall’inizio (la fuga con l’ostaggio fino in via Montalcini) alla fine (l’uccisione del prigioniero nel box auto di via Montalcini con trasporto del cadavere nel centro di Roma), e confermano che il sequestro del Presidente della DC è rimasto un delitto senza verità. Infatti non c’è nessuna certezza sul luogo (o i luoghi) dove Moro fu tenuto segregato per quasi due mesi, né si sa chi, come e perché lo abbia ucciso. E si tratta di tre questioni – Moro nella fantomatica prigione di via Montalcini, le modalità della sua uccisione, e il castello di menzogne confezionato dal quartetto Morucci-Moretti-destra DC-SISDE – che delineano il contesto in cui si colloca l’enigmatica figura del brigatista Germano Maccari.
Secondo l’ex capo brigatista Moretti, Maccari sarebbe stato presente nel covo di via Montalcini con lo pseudonimo di “Luigi Altobelli” come finto marito dell’intestataria dell’appartamento-covo Anna Laura Braghetti. A detta del trio Faranda-Morucci-Moretti, Maccari sarebbe stato uno dei carcerieri di Moro durante tutti i 55 giorni della prigionia, avrebbe collaborato all’uccisione dell’ostaggio, e avrebbe partecipato poi al grottesco trasporto del cadavere fino in via Caetani la mattina del 9 maggio 1978. La vera identità dell’Altobelli di via Montalcini restò coperta per un quindicennio, fino all’estate del 1993: cioè fino a quando l’ex capo brigatista Mario Moretti, nel ruolo di delatore interessato, decise di permettere l’individuazione e l’arresto di Maccari.
La vicenda che ha avuto come protagonista Germano Maccari è un compendio delle ambiguità, delle menzogne, delle omertà, delle oscurità, del criminale cinismo e delle “verità indicibili” che hanno caratterizzato le sanguinarie BR morettiane e che hanno scandito la strage di via Fani e il delitto Moro. Ed è una vicenda che rende vieppiù inverosimile la versione brigatista, assurdamente avallata dalla magistratura, sulla prigionia e sull’uccisione dello statista democristiano.”

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L’omicidio di Olof Palme

Mentre in Svezia la stampa formula accuse circostanziate all’apparato di sicurezza nazionale, riproponiamo al riguardo il video dell’inchiesta datata 1990 dell’allora giornalista RAI Ennio Remondino (come riproposta da Maurizio Torrealta) e un recente articolo di remocontro.it, nella cui redazione figura lo stesso Remondino.

Svezia, nuova inchiesta omicidio Palme e ancora P2

La Svezia si prepara a riaprire l’inchiesta sull’assassinio irrisolto del carismatico premier Olof Palme, avvenuto 30 anni fa. Il procuratore capo di Stoccolma, Krister Petersson, sarà a capo della nuova indagine. Palme fu colpito nel 1986 da un ignoto sparatore mentre usciva da un cinema di Stoccolma con la moglie e morì dissanguato sul marciapiede. A seguito dell’assassinio del leader socialdemocratico furono interrogate 10mila persone. In 134 sostennero di aver ucciso Palme. Il compito di Petersson si preannuncia erculeo: il dossier Palme occupa 250 metri di scaffale. L’inchiesta sull’omicidio Palme riaprirà a febbraio [2017 – ndc] e Petersson ha dichiarato alla stampa svedese che tenterà di risolvere l’omicidio e che è ottimista. “Mi sento onorato e accetto la missione con grande energia” ha detto in una nota.

La pista italiana, 1990
“L’ ipotesi di un coinvolgimento di Licio Gelli nell’ omicidio di Olof Palme, il premier svedese assassinato a Stoccolma alcuni anni fa, è stata avanzata dal quotidiano Dagens Nyheter. Nell’ articolo, firmato da un giornalista molto noto in Svezia, Olle Alsén, si ricorda l’ esistenza di un telegramma che parrebbe compromettere il capo della P2. Alsen riferisce, inoltre, che l’ FBI starebbe indagando sull’ omicidio Palme e attribuisce l’ informazione ad una ex collaboratrice di Ronald Reagan, Barbara Honegger. Nel suo articolo, Alsen ricorda che la Honegger ha scritto, in un libro intitolato ‘October Surprise’, di avere saputo che Gelli il 28 febbraio 1986, tre giorni prima dell’ assassinio, aveva inviato un telegramma a un esponente dell’ amministrazione americana in cui si affermava: “Dite al vostro amico che l’ albero svedese sarà abbattuto”. Un portavoce della commissione d’inchiesta ha commentato che la pista italiana è di estrema rilevanza”.

Olof Palme, un caso ancora aperto
La ricostruzione su ‘Il Fatto’ del 27 febbraio 2013, di Enrico Fedrighini. «Washington, 25 febbraio 1986, martedì. Philip Guarino, esponente del Partito Repubblicano molto vicino a George Bush senior, rilegge il messaggio che gli è stato appena recapitato; un telegramma inviato da una località remota del Sud America, una sorta di codice cifrato: «Tell our friend the Swedish palm will be felled». La firma è di un italiano, Licio Gelli, vecchia conoscenza di Guarino; alcuni anni prima, avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona. “Informa i nostri amici che la palma svedese verrà abbattuta”. Curioso: in Svezia non crescono le palme». Il telegramma attribuito a Gelli sarebbe stato in realtà inviato dal Sud America da Umberto Ortolani anche al gran Maestro della loggia massonica P2 Licio Gelli. Il testo parla di ‘palme’, che è una dizione popolare di ‘albero’, con un possibile doppio significato evidente.

‘L’albero svedese sarà abbattuto’
In quel 1986 l’ONU aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. Una guerra sanguinosa e sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte. l’Iran sta ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico/militare USA; i proventi servono anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua. Ma c’è qualcosa di più grave che sta emergendo, di più spaventoso: la rete che fornisce armi all’Iran sembra agire ed avere strutture operative ramificate all’interno di diversi Paesi dell’Europa Occidentale. Anche nella civilissima Scandinavia. Quella sera del 28 febbraio 1986, Palme è a Stoccolma, all’uscita dei cinema dove era andato con la moglie, quando un’ombra nel buio si avvicina alla coppia e spara due colpi alla schiena dell’ex primo ministro.

Il colpevole che non convince
Per l’omicidio Palme viene condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Petterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Il 15 settembre 2004, Petterson contatta Marten Palme, il figlio dell’ex premier ucciso: desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre. Il giorno dopo, Petterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza. Nell’aprile 1990 il quotidiano svedese Dagens Nyheter rivela la notizia del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Tante, troppe vicende oscure attorno a quel delitto che aveva colpito il mondo.

L’inchiesta CIA-P2 del TG1
Ancora Enrico Fedrighini. «Contattando i colleghi svedesi un giornalista del TG1, Ennio Remondino, rintraccia e intervista le fonti, due agenti della CIA che confermano la notizia del telegramma, rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi Paesi dell’Europa occidentale denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare” (la ‘strategia della tensione’ detta in linguaggio più elaborato). L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, viene trasmessa dal TG1 nell’estate 1990 e provoca la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del TG1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».

Quella dannata estate 1990
Fonte, Repubblica luglio 1990. «I carabinieri nella redazione del TG1 in via Teulada non c’erano mai stati. Sono arrivati alle 13,30 di ieri. Accompagnavano l’ inviato speciale del telegiornale Ennio Remondino. Il giornalista stringeva nelle mani un decreto di sequestro, appena firmato dal giudice istruttore Francesco Monastero, per la documentazione raccolta in un secondo viaggio negli Stati Uniti. Per tutto il pomeriggio il giornalista ha svuotato i suoi armadi, firmato uno ad uno, i fogli (circa un migliaio) che, secondo l’ ex-agente della Central Intelligence Agency Richard A. Brenneke, dovrebbero confermare quel che ha dichiarato proprio a Remondino in un’ inchiesta del TG1 sull’ omicidio di Olof Palme».

Cossiga – Andreotti
Sempre Repubblica. «Fin da venerdì, con una telefonata di un ufficiale dei carabinieri del Nucleo antiterrorismo, il magistrato aveva convocato a Palazzo di Giustizia il giornalista. Alle 10,30 in punto, Remondino era nell’ ufficio del giudice istruttore, dove, alla presenza del pubblico ministero Elisabetta Cesqui, è stato interrogato per tre ore. Ha spiegato tutti i passaggi, gli incontri, i contatti avuti negli Stati Uniti in un secondo viaggio che doveva ulteriormente confermare le conclusioni delle prime quattro puntate dell’ inchiesta del TG1 mandata in onda tra gli ultimi giorni di giugno e i primi di luglio. Una inchiesta che è diventata arroventato terreno di una polemica politica che ha visto scendere in campo adirittura il presidente della Repubblica. Cossiga, in una lettera ad Andreotti, ha chiesto o l’accertamento di verità così clamorose o la punizione dei responsabili di un’informazione intemerata».

Fonte

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Moby Prince, la verità resta avvolta dal fumo

483413_463206637058810_820754601_nChissà che storia, Bruno e Giuseppina, dopo il viaggio di nozze. Chissà che urla, Liana, al campo di pallavolo e chissà che occhi: li aveva scelti anche il cinema, una volta. Chissà che racconti, Giovanni Battista: ingigantiti, ma solo un po’, racconti di marinai. Chissà, comandante Chessa, che orgoglio i due figli medici, dopo aver speso metà della vita a tagliare onde e appoggiare navi sui fianchi delle città. E chissà che emozione, Sara, aver compiuto trent’anni. Sara, una delle due bambine a bordo del Moby Prince. L’altra, Ilenia, era sua sorella e aveva appena cominciato a camminare. Sara e Ilenia sono rimaste bambine per sempre, quando la nave che le portava dai nonni, in Sardegna, si trasformò. Non più il luna park con il mare sotto, i corridoi di moquette e la cuccetta stretta dove dormire tutti vicini. Piuttosto un buco spaventoso, i rumori, il caldo, le lacrime, la tosse, che neanche Angelo e Alessandra – babbo e mamma – sapevano far smettere.
Dopo 25 anni il Moby Prince continua a girare in tondo come la sera che andò a fuoco portandosi via 140 vite piene di futuro, a qualche colpo di remo dal lungomare di Livorno, il 10 aprile 1991. Le sue fiamme sono diventate eterne: un processo e due inchieste non hanno dato al disastro navale più grave della storia italiana una ricostruzione e ipotesi alternative alla storia della nebbia, che qualcuno vide e altri no.
Da qualche mese una commissione d’inchiesta del Senato tenta di dare pace alla nave fantasma. L’hanno pretesa i familiari delle vittime. Stremati, hanno ricominciato a ascoltare file audio, a rivedere vecchi filmati e foto ingiallite, a raccogliere carte perse o mai cercate, a chiedere perizie. L’ultimo sforzo di un impegno civile coperto dal silenzio.
Il silenzio è l’enorme fondale sul quale sono finite molte verità sul disastro che nessuno ricorda: un traghetto Moby Livorno-Olbia con 66 membri dell’equipaggio e 75 passeggeri, appena uscito dal porto, si schianta contro la cisterna di greggio di una petroliera all’ancora, la Agip Abruzzo, armatore Snam, cioè lo Stato. Fu subito silenzio: dal flebile mayday che nessuno sentì allo shock di chi ascoltò la sentenza che assolveva tutti, nel 1997. Il silenzio del comandante della Capitaneria, Sergio Albanese, capo di soccorsi mai arrivati, che uscì in mare e non disse una parola alla radio: “Assentivo” dirà, sfidando il ridicolo. Il silenzio rimasto su navi con nome in codice o in incognito. Il silenzio dei due dipendenti della Navarma (ora Moby Lines, guidata ora come allora da Vincenzo Onorato) che non spiegarono perché manomisero il timone del relitto. Il silenzio del capitano dell’Agip, Renato Superina, che al processo non rispose alle domande. Il silenzio delle prove dimenticate o scomparse. Il silenzio della politica, infine, che ficcò la testa sotto terra. “La verità non sarà mai appagante per nessuno” disse il presidente della Repubblica Francesco Cossiga mentre ancora si contavano i morti.
La commissione del Senato ha l’occasione di riscattare gli anni in cui l’Italia del Moby Prince se n’è fregata: di sicuro ha già capito com’è fatta questa storia. Maria Sammarco e Grazia D’Onofrio, due giudici del collegio che assolse tutti, non hanno risposto. I senatori le hanno quasi pregate: vogliamo capire se potete dirci qualcosa di utile. Ma le magistrate lo hanno ripetuto sei volte: conta la sentenza. Il terzo del collegio era Germano Lamberti, poi condannato per corruzione. La commissione ha ascoltato Mauro Valli, ormeggiatore che salvò l’unico superstite del traghetto (il mozzo Alessio Bertrand). Urlò alla radio: “Il naufrago ci dice che ci sono altri naufraghi da salvare”. E’ registrato, ma Valli ha raccontato di non averlo mai detto.
Una storia ignorata, sottovalutata, da subito. La commissione ora potrà chiedere i tracciati radar agli USA: Camp Darby – la base più grande del Mediterraneo – è a due passi e Livorno quella sera era “assediata” da navi tornate dall’Iraq. Li chiese la Procura e la risposta fu che nessun satellite guardava Livorno. Il pm andò da Giulio Andreotti per chiedere aiuto: uno dello staff di Palazzo Chigi gli rispose che gli USA non potevano darli perché “spiare era vietato dalla NATO”. Ma ci sono 140 morti, ribatté il magistrato. “Fanno le guerre, figuriamoci cosa gli interessa” si sentì rispondere. L’Ustica del mare, l’hanno chiamata. Con la differenza che tutti sanno cos’è Ustica.
E’ una cicatrice che Livorno dovrebbe portare sul volto, mentre quella città sempre pronta a scaldarsi per battaglie di civiltà ha cercato di dimenticare subito una storia che gettava una luce obliqua sul porto, cioè sul proprio cuore. Nessun sindaco si è incatenato. Nessun parlamentare si è battuto. “Neanche a me – dice l’ex pm De Franco – tornava il fatto che non si riuscissero a trovare persone che potevano dirci della nebbia in una serata di aprile”. E’ una storia italiana, trattata come gli italiani sanno fare. Inquinamenti e depistaggi, sciatteria e impreparazione, sottovalutazione. I soccorsi disastrosi furono non solo il centro, ma l’icona. Una “baraonda straordinaria” li definì la Procura quando archiviò nel 2010. A quella conclusione c’era arrivato il capo delle capitanerie, l’ammiraglio Giuseppe Francese. “Un coordinamento efficace dei soccorsi si realizzò 6 ore dopo la collisione”. Ma il pm del 1991 l’ha scoperto da un’audizione in Senato. Un mese fa.
Diego Pretini

Fonte – i collegamenti inseriti sono nostri

Matteo Renzi e il suo consigliere per la politica estera

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“Da Ledeen a Renzi e ritorno a Tel Aviv. Le stragi non vanno mai in prescrizione anche sotto governi telecomandati dall’estero. Quei 20 chilogrammi di esplosivo che il 2 agosto 1980 fecero saltare in aria la stazione di Bologna provocando 85 morti e 200 feriti non c’entrano niente con il terrorismo palestinese, né tanto meno con il terrorista Carlos. Il giudice per le indagini preliminari di Bologna Bruno Giangiacomo ha recentemente archiviato in via definitiva le indagini a carico dei terroristi tedeschi, Thomas Kram e Margot Christha Frohlich che erano finiti indagati dalla Procura nel filone della pista palestinese soffiata dal Mossad. Dopo 35 anni, tuttavia, la magistratura italiana non ha ancora individuato i mandanti e gli esecutori materiali.
Si trattò di un eccidio anomalo, perché avvenne in una situazione politica stabilizzata; perciò la strage assume la caratteristica di un tentativo di cancellare dalla città, dall’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica, dal dibattito politico, dall’indagine dei magistrati la precedente strage di Ustica.
Il Dc-9 Itavia ammarato il 27 giugno 1980 al largo di Ustica, mentre volava da Bologna a Palermo con 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, non esplose in volo e nelle vicinanze c’era almeno un altro aereo che lo attaccò, quasi certamente con un missile, lasciando una traccia radar che per anni era stata scambiata per i rottami del Dc-9 stesso. Lo afferma uno studio del Dipartimento di ingegneria aerospaziale dell’Università di Napoli consegnato ai legali dei familiari di alcune vittime. Gli ingegneri dell’Università Federico II, a distanza di anni dalle ultime indagini tecniche promosse dalla magistratura, sono giunti alla fine del 2014, a queste conclusioni rielaborando con nuove tecnologie gli stessi dati che erano stati acquisiti subito dopo il disastro.”

La strage di Bologna per occultare quella di Ustica, di Gianni Lannes continua qui.

Governare è far credere

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Con tempestività e grande visibilità, poche ore dopo gli attentati di Parigi, venne diffusa la notizia che i responsabili erano stati identificati, ma non per la fervente attività delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, dei confronti internazionali… NO! L’identificazione era avvenuta grazie alla carta di identità che i fratelli attentatori avevano graziosamente lasciato o smarrito nell’auto usata per la fuga.
Veramente non proprio di fuga si è trattato, perché ci hanno mostrato uno spezzone di film dove i due, per niente eccitati, anzi chiaramente sotto effetto di droghe calmanti, predicavano pubblicamente le ragioni del loro gesto, quindi saltati in macchina sono partiti… ma, c’è sempre un “ma” che complica le cose, perché la macchina dei fuggitivi, appena compiuti pochi metri, si ritrovò bloccata da una macchina della polizia; i due fratelli elegantemente cominciano a sparare, mentre l’auto della polizia, poco elegantemente, ingranò la retromarcia, preferendo evitare un dibattito, diciamo, piuttosto acceso.
Ma non desidero soffermarmi sui singoli fatti che vanno emergendo, piuttosto su ciò che, particolarmente, non mi convince.
Nel “Manuale dei giovani terroristi” a pag. 1, cap. 1, primo rigo sta scritto che i terroristi in azione non debbono portare alcunché possa tornare utile alla loro identificazione; se l’attentato va a buon fine (secondo il loro punto di vista), allora la carta di identità, vera o fasulla, la ritroverebbero nel covo prestabilito, altrimenti sia in caso di cattura che di morte, non debbono risultare identificabili, anche per non fornire informazioni che potrebbero portare ai complici. I due fratelli, non solo ebbero cura di portarsi appresso la carta d’identità, ma addirittura, pur senza essere stati catturati, di lasciarla nella macchina che avrebbero abbandonato.
La cosa che mi intriga parecchio è il silenzio assordante su tale carta d’identità ritrovata; nessuno ne parla più, come se un tardivo pudore cercasse di nascondere altre possibili versioni che non siano quelle predisposte e fornite agli organi di informazione del mondo intero.
Si tratta di una forma di depistaggio già in uso, ma con risultati deludenti.
Come quando si volle far credere al mondo, atterrito, preoccupato e attirato nell’attenzione da versioni ufficiali, che un aereo, vero gigante dell’aria, con una apertura alare di 20 mt., schiantandosi su un importante fabbricato super sorvegliato, a 300 km/h. abbia lasciato un forellino di soli sei metri, senza danneggiare il restante; non solo, ma i due motori di sette tonnellate cadauno, sparirono come per magia; neanche a Napoli sarebbero stati capaci di sottrarre due motori di tal genere in così breve tempo; o ancora, un altro aereo, dirottato, in mano a terroristi decisi a schiantarsi sul più importante edificio delle Istituzioni, passò di mano e cadde sotto il controllo dei passeggeri, il pilota non cambiava rotta, allora i passeggeri, non più atterriti, decisero di far cadere l’aereo, sacrificando se stessi, ma non senza, prima dell’impatto fatale, che un passeggero telefonasse alla moglie per avvertirla che… non sarebbe rientrato per cena. “Ma cosa accade?” chiede la moglie e l’uomo-passeggero a spiegare di trovarsi su un aereo dirottato e di avere deciso di far cadere l’aereo, la moglie conclude la telefonata: “Stai attento, sii prudente!”.
Tutto ciò fa parte delle brillanti deduzioni di una commissione parlamentare, che ha messo un deciso punto alle critiche, diffidando di ogni altra più credibile interpretazione.
E’ intervenuto Cossiga, a suggerire una svolta che nessuno ha voluto verificare.
Così si è espresso Cossiga in una intervista al Corriere della Sera, della quale accludo il link per facilitare una lettura integrale.
“Da ambienti vicini a Palazzo Chigi, centro nevralgico di direzione dell’intelligence italiana, si fa notare che la non autenticità del video è testimoniata dal fatto che Osama Bin Laden in esso ‘confessa’ che Al Qaeda sarebbe stato l’autore dell’attentato dell’11 Settembre alle due torri in New York, mentre tutti gli ambienti democratici d’America e d’Europa, con in prima linea quelli del centrosinistra italiano, sanno ormai bene che il disastroso attentato è stato pianificato e realizzato dalla CIA americana e dal Mossad con l’aiuto del mondo sionista per mettere sotto accusa i Paesi arabi e per indurre le potenze occidentali ad intervenire sia in Irak sia in Afghanistan. Per questo – conclude Cossiga – nessuna parola di solidarietà è giunta a Silvio Berlusconi, che sarebbe l’ideatore della geniale falsificazione, né dal Quirinale, né da Palazzo Chigi né da esponenti del centrosinistra!”
Governare è far credere, e per imporre la linea progettata, ogni anno ce lo ricordano con commemorazioni varie.
Abbiamo così una ulteriore commemorazione annuale, durante la quale tutti diremo “Je suis Charlie”, con tutto il rispetto per le vittime, incolpevoli di essere diventate un mezzo per disegni sovversivi.
Rosario Amico Roxas

Il caso Moro

In questi giorni si sta rievocando sui media il “caso Moro”. Si ricorda cioè il rapimento e l’uccisione del leader della DC, ufficialmente rapito ed assassinato dalle “Brigate Rosse”.
Non mi ha mai convinto la versione ufficiale. Né tutto il polverone, i depistaggi, le balle spaziali, le carriere esplose o finite del sottobosco di potere che si agitò in quel periodo. E dopo.
E mi sono fatta un’idea mia. Assolutamente pazza e fuori dal coro. Ma che alla mia zucca ha il pregio di stare in piedi. Oltretutto ha una logica.
Vediamo un po’.
Aldo Moro è la testa pensante della D.C. Ed ha un progetto: aggregare il P.C.I. nella gestione del potere. Per due motivi essenziali: “fagocitarlo” politicamente e avviare una democrazia dell’alternativa che l’osservanza sovietica dei trinariciuti impediva. Non sto a dare giudizi di valore: ognuno la pensi come vuole.
Però il P.C.I. era forte sostenitore di Assad, il dittatore della Siria, padre dell’attuale leader siriano, fortemente sostenuto dall’U.R.S.S..
La Siria era uno dei maggiori nemici di Israele, col quale già aveva fatto guerre e guerricciole.
Il premier di Israele era Rabin, antico terrorista durante il pasticciaccio della creazione dello Stato ebreo.
Rabin quindi non vedeva di buon occhio l’ascesa del P.C.I. nella gestione del potere, visti anche i buoni rapporti con gli arabi che da sempre ha avuto l’Italia, fino ad arrivare a Mussolini, la Spada dell’Islam.
Quindi Rabin si rivolge ad un altro ebreo, Kissinger, allora Segretario di Stato USA (ministro degli esteri), potentissimo personaggio, che molti hanno definito “criminale”.
Kissinger chiama Moro a Washington e gli dà una lavata di testa memorabile. Tanto che al ritorno Aldo Moro ha un attacco di cuore, e lo curano due cardiologi (ricordate questo particolare, vedremo poi).
Però Moro va avanti nel suo progetto catto-comunista.
Ed allora i padroni israeloamericani decidono di intervenire: eliminare Moro, utilizzando i sicuri lacché presenti nel governo: Andreotti e Cossiga, da sempre filo (leggi: servi) USA.
E chi deve fare il lavoro sporco? Continua a leggere

Non si deve dire ma si deve sapere

misteri d'italia

“Bisogna distinguere tra valore di verità e giustificazione di una credenza, quando si tratta di argomenti come i Misteri d’Italia. Nel caso Moro appare esserci stato almeno un altro caso di giustificazione falsa di una verità. Cossiga diceva che lui e i DC avevano ucciso Moro; intendendo di avere causato la morte di Moro indirettamente, come effetto collaterale previsto ma non voluto, e per una scelta autonoma di difesa dello Stato; mentre fu una responsabilità di tipo diretto, e in esecuzione di volontà esterne. L’affermazione di Cossiga, anch’essa una risposta alle accuse, nella sua arrogante ambiguità ha alcune somiglianze con quella di Scelba a Catanzaro.
Non va dimenticato d’altra parte che se i dettagli non sono ricostruibili con certezza, il quadro generale è abbastanza chiaro. Personalmente non ho bisogno di studi interminabili per comprendere che coloro che occupano le istituzioni dello Stato sono corrotti e venduti a forze sovranazionali: lo vedo coi miei occhi ogni giorno. Bisogna anche evitare che, come tendono a fare accademici e magistrati, venga sabotata l’accuratezza in nome della precisione; cioè che si neghi il quadro generale perché alcuni particolari vengono periodicamente messi in discussione e corretti.
Oltre che un depistaggio, le rivelazioni false che indicano la verità e la loro successiva demolizione possono essere una forma di intimidazione, e hanno un effetto demoralizzante. Col conseguente procedimento per calunnia il paradosso intimidisce il pubblico dal profferire ciò che d’altro canto gli si lascia capire. Una nota, questa del negare e mostrare, presente in tutta la vicenda Moro. Sembra anzi che faccia parte della strategia del terrore il far intravedere chi sono i veri mandanti, prima ai politici e alla classe dirigente, ora al pubblico generale; dando così un esempio e lanciando una minaccia. E rivelando quindi il senso di un’operazione altrimenti folle, oltre che scellerata; di una “follia” che apparentemente pervase anche la risposta dello Stato.
Gli atti terroristici del potere, come ho potuto apprezzare a Brescia, hanno, dopo la frazione di secondo dell’esplosione, o della penetrazione del proiettile, un lungo fall-out di corruzione e di degrado, che dura anni e decenni. Con Moro si può ancora intimidire il popolo e addestrarlo alla sottomissione. Pochi giorni prima dell’indagine per calunnia, Pieczenik, emissario di Kissinger presso il governo italiano in veste di consulente per il caso Moro, intervistato da Minoli ha affermato, similmente a quanto aveva fatto negli anni precedenti, che vi era un interesse USA a eliminare Moro, e che egli agì in questo senso; attribuendo a sé stesso “il sacrificio” di Moro, come un merito. Con un discorso simile nella struttura formale a quello di Cossiga.
Appare che vi sia la volontà di imporre, mediante ammissioni parziali e distorte da un lato e smentite e minacce giudiziarie dall’altro, una forma di omertà particolarmente umiliante, che si può chiamare “manzoniana”, descritta nella sua perversità da Manzoni, a proposito della dominazione spagnola sull’Italia (v. epigrafe): non si deve dire ma si deve sapere. Così il mostro può circolare liberamente nelle menti ma non nel discorso pubblico. Già nell’agorà la convinzione privata dell’omicidio di Stato in esecuzione di ordini sovranazionali diviene un argomento poco maneggevole e opinabile, al quale vengono affibbiate connotazioni da chiacchiera da bar, complici la diffusa vigliaccheria e il diffuso atteggiamento ruffiano verso il potere. E nelle assemblee ufficiali la terribile accusa di essersi venduti agli stranieri nel partecipare a un assassinio politico non entra se non per essere condannata come una calunnia, che getta fango sui fieri rappresentanti di un popolo fiero.”

Da L’omertà manzoniana su Moro, di Francesco Pansera.

Imposimato, giudice bendato

14029337-illustration-of-lady-with-blindfold-holding-scales-of-justice-with-american-stars-and-stripes-flag-sA proposito del caso Imposimato, è certo che questo magistrato condusse istruttorie giudiziarie gravemente manchevoli, anche di circostanze visibilissime agli occhi di tutti, sull’assassinio della sua scorta, il rapimento di Aldo Moro e la sua successiva eliminazione, 16 Marzo-9 Maggio 1978: come progettato nel 1976, da carte già declassificate del Foreign Office, dal nazista e razzista Henry Kissinger, feroce anti-cristiano ancora adesso (è tra i più accaniti sostenitori, con gli ashke-nazisti Shimon Peres e Benjamin Netanyahu, dell’attacco alla romana Siria di Paolo apostolo… E coi beduini di Wall Street loro colleghi, la cosiddetta Famiglia ‘Reale’ saudita, i bidelli dei pozzi di petrolio USA del Golfo Persico: stella uncinata&scimitarra wahabita unite contro la croce di nostro signore Gesù Cristo, e del suo Popolo, peraltro niente affatto più disarmato, come era ai tempi di Aldo Moro…).
Ma per tornare a Imposimato.
Grazie alle gravi lacune delle sue inchieste, che “istruirono” secondo un preciso indirizzo, “negazionista” di ogni pista estrinseca ai quattro sfigati dei suoi carcerieri-assassini tra cui l’ancora “ignoto” assassino, Imposimato venne cooptato nell’aeropago eurocomunista del P.C. B.R.linguerinnegato e anti-nazionale, asservato a stelle-strisce, tanto da diventare parlamentare inamovibile per ben tre legislature consecutive alla Camera e al Senato, prima di ritornare giudice di Cassazione (!).
Immaginate quanto equanime.
La commissione d’inchiesta del Congresso USA sull’11 Settembre si è ispirata al suo metodo, detto “dei quattro sfigati”, nel concludere che i soli responsabili della strate delle Twin Towers, 3.000 morti, era stato un quartetto di pastori erranti per l’Asia, casualmente nei cieli di Manhattan alla guida di due jumbo-jet!!!
Grazie ancora alle sue manchevoli indagini Imposimato è diventato fortunato ‘dietrologo’ best-sellerista, proprio dei “misteri del caso Moro”, con numerosi libri a carico… sostenendo tesi contrarie a quanto da egli stesso “giudicato” negli anni degli interminabili processi-Moro!!!
Con un’ultima piroetta scandalistica, egli attribuisce, figuratevi voi che serietà, a una fonte pseudonima (tale “Puddu”, invece Ladu), di notizie inviate “via post-el”, le balle esposte nel suo ultimo libello: dove mischia abilmente verità inconfessabili (=Cossiga assassino consapevole di Aldo Moro) con palesi menzogne (Andreotti, che invece subì tutta la vicenda venendo pure estromesso dal governo che presiedeva, sei mesi dopo “il fatto”, e proprio dal vincitore Enrico B.R.linguer: mentre Cossiga suo cugino diretto, divenne Presidente del Qui-orinale, da allora totalmente massonizzato).
Perché questi sono “fatti evidenti”, e non dietrologie fumiste.
Incredibilmente un magistrato invece di indagare “per calunnia di organi dello Stato”, l’autore Imposimato, firmatario e pubblicante le notizie false con nome e cognome, inquisisce invece il privatissimo pseudonimo estensore di alcune “post-el”, il detto Ladu-Puddu…!!!
Tutto ciò a quale scopo? Quello di vanificare i risultati della sconvolgente intervista di Giovanni Minoli a Steve Pieczenik, il “consulente” inviato a Roma-Viminale direttamente da Washington, durante il colà soggiorno dell’attuale Bresidende Sir George Nazolitano, ossia proprio durante il sequestro di Aldo Moro, che confessa candidamente il suo scopo: assicurare che Aldo Moro fosse ucciso. Intervista che avrebbe richiesto una immediata riapertura delle indagini, per fatti nuovi occorsi, e di grande evidenza.
Ora non c’è più alcun pericolo: caso Moro? Calunnia!!!
Imposimato, come giudice, bendato.
Ma come agente confusionario, veramente abilissimo.
Gianni Caroli

La base di Comiso fu un enorme affare

A trent’anni di distanza, si inizia a fare chiarezza sui retroscena degli assassinii di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
E sul fatto che la possibilità di schierare i missili a Comiso fu garantita dal controllo della mafia sul territorio…

“I giganteschi lavori cominciarono, per adattare ai missili lo sgangherato e vecchio aeroporto Magliocco di Comiso. Negli anni tra finanziamenti nazionali e statunitensi furono migliaia di miliardi, il cui ammontare definitivo non è calcolabile. Gli appalti per la base furono conferiti direttamente dalle autorità statunitensi col benestare della loro intelligence. Il consenso del Pci fu negoziato direttamente cogli Usa? Il dibattito sugli Euromissili – acceso dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt – cominciò a primavera del 1977. Giorgio Napolitano guidò la delegazione del Pci a Washington per garantire l’affidabilità atlantica del Pci, meno d’un anno dopo. Il tentativo della Democrazia Cristiana di far negare il visto da Washington alla delegazione del Pci fu un clamoroso fallimento. L’ambasciata statunitense a Roma, d’intesa col dipartimento di Stato, garantì il visto. Individuò evidentemente un preciso tornaconto.
La base di Comiso fu un enorme affare in forniture militari ma anche una cuccagna di appalti e di traffici illeciti d’ogni genere. Claudio Fava scrisse anni dopo: “Tutto questo, naturalmente, non è passato su Comiso e dintorni senza lasciare traccia: anzi; si è probabilmente avverata nel corso degli ultimi tre anni la “profezia” di Pio La Torre, il deputato comunista ucciso dalla mafia: «…Si vedrà presto a Comiso lo scatenarsi della più selvaggia speculazione, dal traffico di droga al mercato nero, alla prostituzione, con il degrado più triste della nostra cultura e della nostra tradizione»”. Dalla relazione di minoranza (fra cui il Pci) della Commissione antimafia nel 1984 «(la base NATO di Comiso) rappresenta un elemento che accelera in modo impressionante i processi di degenerazione e di inquinamento della vita sociale e politica». Tutto vero e anche tutto prevedibile: sia mentre il Pci approvava la “doppia decisione della NATO”, sia quando, pochi mesi dopo, l’irriducibile Pio La Torre ricoprì la carica di segretario del Pci siciliano. La guerra per posizionarsi opportunamente per affondare le mani nelle montagne di miliardi cominciò tempestivamente e coinvolse molte parti. Riguardò la politica, la mafia e l’imprenditoria e quanti nelle rispettive organizzazioni avevano i contatti giusti in Italia e negli Usa.
Riguardò anche i servizi europei e statunitensi, senza escludere quelli sovietici. Quando le cifre sono da capogiro ogni accordo è possibile, ogni corruzione è probabile, ogni tradimento è giocabile.”

Da Comiso, la vera trattativa Stato-Mafia di Piero Laporta.

Segreto di Stato: la strage di Bologna

Di Giancarlo Chetoni

L’anniversario della strage alla Stazione di Bologna anche quest’anno è stata la fotocopia di una manifestazione ormai collaudata da 27 anni, da quando il grande orologio esterno della stazione si fermò alle 10.25 del 2 agosto ‘80 per segnare l’ora del più grave attentato registrato nella storia della Repubblica con un bilancio di 85 morti ed oltre 200 feriti.
A distanza di 48 ore da quel massacro, con una tempistica più che sospetta, la stessa che adotterà l’Amministrazione Bush l’11 settembre 2001, il presidente del Consiglio Francesco Cossiga dichiarerà a Montecitorio e a Palazzo Madama che gli autori della carneficina andavano cercati nell’area neo-fascista, dando il via a una gigantesca campagna mediatica che avrà, di fatto, nei mesi successivi il potere di influenzare gli atti istruttori della magistratura locale e qualche anno più tardi il dibattimento nel primo e nel secondo grado di giudizio in Corte di Assise, rispettivamente l’11 luglio 1988 e il 12 luglio 1990.
Una pressione finalizzata ad indirizzare, a furor di popolo, le indagini della magistratura in una direzione “precostituita”. Continua a leggere

Lotta Continua e la “pratica” Feltrinelli&Calabresi

Nel 40° del suo assassinio, opera di un ‘commando’ dei servizi militari di Lotta Continua, al comando del cugino-genero di Enrico Berlinguer – ossia Luigi Manconi, marito del direttore del TG più ‘stelle-strisce’ della RAI, e figlia del medesimo Ras della costa catalana di Sardegna allorché ‘ei fu’ – il Commissario Luigi Calabresi non è stato minimamente ricordato sui giornali.
Addirittura, in occasione dell’attentato al dirigente Ansaldo Finmeccanica, dieci giorni fa, nelle pagine dedicate alla nascita del terrorismo degli anni Settanta, in Italia come interfaccia del Libano, sia il Corriere, che La Repubblica, che La Stampa, fra i tanti esempi addotti anche con foto e articoli dedicati, ignoravano l’attentato a Calabresi!
Evidentemente, lo sbirro ficcanaso, nella vicenda di Piazza Fontana; in quelle, ugualmente oscurissime al profano, della ‘nascita delle Brigate Rosse a stelle–strisce’; come in quelle dell’assassinio dell’editore anti-imperialista Giangiacomo Feltrinelli, due mesi prima del suo (15 Marzo-17 Maggio 1972) è tuttora un convitato di pietra troppo ingombrante per poter fare i conti col medesimo da parte degli stessi terroristi-assassini che oggi, in Italia e in Europa, per investitura del SuperStato Federale d’Oltremare, governano totalitariamente la comunicazione mediatica ufficiale, di tutti i tele&giornali, privati e di Stato.
Invece è tutto molto semplice. Continua a leggere

CIA, P2 e l’omicidio di Olof Palme

N.B.: il codice penale svedese prevede un limite di 25 anni per lo svolgimento dell’istruttoria processuale per omicidio, ovvero fino al 2011, dopodiché il caso dovrà essere archiviato.
L’arma del delitto non è mai stata trovata.

In memoria di “un vero patriota”

Roma, 17 agosto – ”Con Francesco Cossiga scompare un grande italiano. La sua profonda fede cristiana cattolica non gli impedì, anzi, lo spinse a grande apertura verso le altre confessioni, in particolare con i valdesi che incontrò nel 1989 a Torre Pellice”.
Lucio Malan (Pdl), segretario di Presidenza del Senato ricorda Francesco Cossiga. ”E’ stato un vero patriota e lo dimostrò nella sua forte difesa di Stay Behind, conosciuta anche come Gladio, l’organizzazione segreta militare che, come negli altri paesi NATO, avrebbe dovuto entrare in azione in caso di invasione sovietica. Uno dei modi migliori per ricordarlo sarebbe approvare il suo Ddl n. 230, firmato da dieci altri senatori, per riconoscere lo status di militari a chi servì la Patria in Gladio, gratuitamente, in segreto e poi accusati in pubblico di essere golpisti”.
Cossiga ”ebbe il coraggio di difendere la loro causa, proponendo di concedere l’onore di fregiarsi di un distintivo specifico, e con un comma specifico propose di estendere l’onore anche a sè in quanto, a suo tempo, sottosegretario ‘specificatamente incaricato a compiti o funzioni collegate a Stay Behind”’.
(ANSA)

Roma, 17 agosto – ”Iofcg”: non è la sigla di un missile intercontinentale, ma il codice da radioamatore di Francesco Cossiga. Una delle sue tante passioni.
L’ex presidente della Repubblica è sempre stato ”malato” di tecnologia. La passione per la radio nacque dopo un brutto incidente stradale: ”Sono uscito fuori strada a 200 chilometri all’ora. Di notte non dormivo e ho iniziato a fare l’ascoltatore. Poi ho voluto fare il radioamatore attivo”, raccontava agli amici. Ma la passione di Cossiga è stata per ogni tipo di tecnologia possibile ed immaginabile.
La sua casa romana, nel quartiere Prati, è completamente coperta da più segnali wi-fi a banda larghissima ed è un mix tra un avveniristico centro di controllo di telecomunicazioni ed un museo della telefonia e dell’informatica aggiornato non all’oggi ma al domani. Nel suo studio un apparato radio che si collegava, oltre che con le frequenze normali, anche con quelle dell’Esercito e delle Forze dell’Ordine, ed il suo telefono era connesso, oltre che con un numero imprecisato di linee di varie compagnie telefoniche, con i centralini di Palazzo Chigi, del Viminale, del Senato e dei comandi generali di Carabinieri e Guardia di Finanza. Fino a qualche tempo fa c’era anche una linea del Quirinale, ma è stata dismessa nel 2007, quando Cossiga rinunciò a tutti i diritti e i privilegi che gli competevano come ex capo dello Stato.
Per non parlare delle ricetrasmittenti di ogni portata e dimensione e, soprattutto, dei telefonini; quelli Cossiga li aveva tutti, e sempre prima che uscissero sul mercato. Nessuno, forse neppure lui, sapeva quanti cellulari avesse. Li provava, li usava, li conosceva funzione per funzione ed era in condizione di consigliarli o sconsigliargli agli amici sottolineandone pro e contro. Stessa cosa per i personal computer, fissi e portatili: anche in questo caso non si sa quanti ne abbia avuti, ma arrivavano prima a lui che ai negozi, dagli USA o dalla Cina, tutti con i software più all’avanguardia ed aggiornatissimi e con i quali navigava diverse ore al giorno su internet.
(ANSA)

Inutile sottolineare il coro unanime di cordoglio, assolutamente bipartisan, che accompagna la dipartita del più strenuo difensore dell’allineamento atlantico dell’Italia… chi è causa del suo male pianga se stesso:

Washington, 18 agosto – ”Uno statista coraggioso e impegnato. Per tutta la vita un amico degli Stati Uniti d’America”. Così il Dipartimento di Stato, ”a nome del governo americano”, ha espresso ”le sue più sentite condoglianze ai familiari di Francesco Cossiga e a tutto il popolo italiano”.
Il comunicato diffuso da Philip J. Crowley, portavoce del Dipartimento di Stato, definisce il presidente emerito della Repubblica ”un convinto sostenitore della NATO”, che ”ha lavorato con diverse amministrazioni americane per preservare e difendere la causa della libertà in Europa”.
(ANSA).

Noi allocchi Italiani

Un dossier avvelenato su Antonio Di Pietro gira da giorni per le redazioni dei giornali e il circuito politico romano. Si tratta di alcune fotografie che accusano l’ex PM di essere stato un agente della CIA e aver agito come tale all’epoca di Mani Pulite. E’ lo stesso leader dell’Italia dei Valori a denunciare dal suo blog l’esistenza di questo dossier e di uno “strano personaggio” che va in giro a proporlo, tanto che sarebbe stato acquistato “dal solito giornale”. Di Pietro ha dichiarato di aver già depositato una denuncia alla magistratura.
“Il copione è il solito – dice Di Pietro – Questa volta il ‘bidone’ che il solito giornale sta costruendo è davvero sporco e squallido: quello di voler far credere, utilizzando alcune foto del tutto neutre, che io sia o sia stato al soldo dei servizi segreti deviati e della CIA per abbattere la Prima Repubblica perché così volevano gli americani e la mafia. Certo che ce ne vuole di fantasia… e anche di arroganza per ritenere che gli italiani siano tutti così allocchi da bersi una panzana del genere”.
(…)

Fonte: repubblica.it

Un perfetto cretino
E ora capisco anche perché il Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, ha sempre ritenuto Don Tonino un perfetto cretino. Il democristiano sardo ha più volte spiegato che con gli americani si doveva per forza trattare, essi erano il perno della NATO e la superpotenza che teneva insieme tutta l’area occidentale contro il pericolo rosso proveniente da est. Ma questo non implicava, in maniera assoluta, che agli americani si dovesse sempre rispondere sissignore poiché costoro sarebbero inevitabilmente passati a considerare l’Italia da alleato strategico, con una propria identità nazionale, a semplice propaggine dell’impero, senza sovranità (nemmeno limitata). Cito testualmente dal libro di Cossiga “Italiani sono sempre gli altri”: Nelle relazioni con gli Stati Uniti d’America non bisogna mai oltrepassare due limiti. Il primo passare dall’amicizia all’accondiscendenza. Il secondo sottovalutarli e adottare un atteggiamento arrogante nei loro confronti.
Di Pietro è stato un cretino (Cossiga dixit) per questo: si è prestato alla loro trama con accondiscendenza e servilismo e li ha sottovalutati quando ha preso autonomamente la decisione di lasciare la toga e di entrare in politica. Pare che qualcuno, in quei giorni tesi in cui il Pm molisano si apprestava ad abbandonare la magistratura per tentare la fortuna parlamentare, lo abbia visto in lacrime proprio per la freddezza dimostrata dagli americani nei confronti di quella sua iniziativa. Certo, Di Pietro temeva delle ritorsioni senza alcuna copertura istituzionale ma, per sua buona sorte, gli statunitensi hanno, successivamente, cambiato idea avvallandone le richieste e accelerando la sua carriera politica. Probabilmente, data la sua facile manovrabilità, gli statunitensi avranno pensato che un utile idiota è sempre meglio averlo a disposizione per eventuali future manipolazioni. Il ruolo giocato oggi da Di Pietro, contro il Berlusconi amico della Russia e di Putin, conferma la loro intuizione. Ma adesso vi raccomando la lettura degli articoli che seguono:
La Parenti sicura: “E’ nei servizi segreti”
Mistero Di Pietro: quei viaggi negli USA

Da Wath’s America?, di Gianni Petrosillo.

Camorrista NATO, atto quarto

porto-di-napoli

NL/FP: “Avvocato Lauro, in questa chiave di liberazione dei luoghi “pagani” dalla camicia di forza che ne inibiscono il potente messaggio sensuale, lei fu, esattamente dieci anni fa nel 1999, quale Presidente del Porto (da poco diventato “Azienda” da “Ente Pubblico” che era), colui che seppe abbattere la frontiera che dal dopoguerra lo separava dall’ambiente urbano….Fu buttato giù il Muro, che ne impediva l’accesso….. Perché la sua politica di integrazione urbano-portuale fu abbandonata?
FSL: “Fu un evento storico. Venne abbattuta la Cancellata di Ferro che, dai tempi che i Savoia occuparono Napoli, e ancor pù gli Alleati, aveva sempre separato “la bocca” della città (cioè il Porto stesso), dalla sua popolazione. Si tornò alla libertà dei Re Borbone. Ma gli anglo-americano non gradirono: perciò il piano di “integrazione” urbano-portuale non è più andato avanti. Eppure, alla cerimonia di abbattimento del Muro di Ferro, era il ’99, decennale di Berlino “liberata”, convenne tutta la grande stampa internazionale, dal “Monde” (non ancora in Rotschild), al “Mundo”, dal “Figaro” alla “Welt” e alla “Frankfuerter”. Tranne i giornali inglesi, sul momento non capivo perché.
Poi fui defenestrato: entrò in carica il governo di Massimo D’Alema, nominato apposta, da Cossiga&c., per fare la guerra in Jugoslavia, ed il porto di Napoli da allora divenne una struttura di servizio per la illusoria “conquista dei Balcani”, tipo Mussolini 1940, fatto fesso da Churchill. Con postille servitorie aggiuntive rispetto a quelle precedenti, ed ancora più coattive.”

NL/FP: “Chi subentrò al suo posto, a gestire l’infrastruttura?”
FSL: “Roberto Nerli, un uomo-Montepaschi, pedina del Governo Balcanico di Massimo D’Alema. Fu sotto la sua Presidenza che le banchine commerciali si ridussero in percentuale quasi del 50%, per fare posto alle navi militari USA, a scopo di controllo del Mediterraneo. Da allora questa percentuale è enormemente cresciuta… il Porto di Napoli è ormai una base navale USA, fuori degli stessi patti-NATO, che impedisce i commerci con l’Oriente ed il Mediterraneo, come era scritto nella sua natura.”

NL/FP: “Che destino potrà avere una simile struttura?”
FSL: “Nessuna: invece che la tariffe portuali, per ciascun naviglio vi approdi, il Porto di Napoli dipende totalmente ed esclusivamente dal miserabile canone d’affitto che gli USA (neppure la cosiddetta NATO che ne è la maschera, n.d.r.), pagano per occuparlo interamente coi loro ordigni.”

NL/FP: “E’ questa una spiegazione della eterna crisi di Napoli? Economica, sociale, culturale, antropologica, spirituale perfino?”
FSL: “Lascio a voi il giudizio. Con una sola avvertenza: non crediate che i traffici militari impediscano del tutto gli arricchimenti di alcuni ceti. Per esempio: droga e armi, ne sono enormemente avvantaggiati, rispetto alle normali mercanzie. Ne circolano in enorme quantità, nelle stive delle fregate e degli incrociatori alleati. E raggiungono sempre la destinazione programmata… Lei crede si guadagni più con una tonnellata di prodotti tessili, o con un solo mitra “di contrabbando” diretto ai Casalesi di John Loran Perham, del resto finanziati da Sviluppo Italia, cioè dallo Stato a massimi livelli?
Finché al Porto di Napoli prevarrà l’economia di guerra, strettamente militare, e droga inclusa, il popolo-mercante di “normali” prodotti, troverà lì sempre strada-sbarrata…”

NL/FP-“ E la città verrà privata della sua naturale fonte di ricchezza….”
FSL: “Lo avete detto voi.”

Da Porto di Napoli e servitù militari. Ecco perché non produce ricchezza per la città, intervista di Franco Palese all’avvocato Francesco Saverio Lauro, ex Presidente dell’Azienda Autonoma “Porto di Napoli”.

Criminali si nasce, spie della CIA si diventa

giustizia per abu omar

Milano, 23 settembre – Gli agenti della CIA a processo per il sequestro dell’ex imam di Milano, Abu Omar, “sono criminali e, come tali, vanno puniti”.
Con questa esortazione, il procuratore aggiunto, Armando Spataro, ha concluso la prima parte della sua requisitoria, che proseguirà mercoledì prossimo, davanti al giudice Oscar Magi. Armando Spataro ha supportato questa considerazione citando l’ex responsabile dei sequestri illegali avvenuti in Europa per la CIA, il quale, facendo mea culpa in un libro, ha scritto: “Se non avessero compiuto tali operazioni illegali, questi agenti avrebbero rapinato delle banche”.
(AGI)

Si leggano anche:
Abu Omar, sospeso il processo
Abu Omar, la CIA e la sovranità italiana

Abu Omar, USA vogliono giurisdizione su ufficiale NATO
Gli Stati Uniti si sono mossi formalmente oggi per la prima volta per opporre l’immunità dalle imputazioni a beneficio di uno dei 26 americani sotto processo a Milano per il rapimento dell’ex imam Abu Omar. Lo ha riferito oggi un funzionario americano.
Washington ha invocato la tutela dal processo del colonnello Joseph Romano, in base a un accordo NATO che si applica ai presunti reati commessi oltreoceano da personale militare “nello svolgimento del proprio servizio”, ha detto a Reuters il portavoce del Dipartimento della Difesa, comandante Bob Mehal.
E’ la prima volta che gli Stati Uniti intervengono formalmente per tutelare uno degli americani imputati nel processo. “Quest’azione è stata presa ora perché il processo si sta avviando verso una sentenza. Sembra che tutti gli sforzi per una soluzione diplomatica o legale siano falliti”, ha detto Mehal.
Mehal ha detto che il giudice di Milano ha inizialmente respinto la richiesta dell’avvocato di Romano oggi di far cadere le accuse nei confronti dell’ufficiale dell’aeronautica, in ottemperanza all’accordo “Status of Forces Agreement” della NATO, noto come “SOFA”.
“Stiamo rivedendo questa decisione, ma speriamo e ci aspettiamo che il governo italiano ottemperi ai suoi obblighi previsti dal trattato e rispetti il nostro richiamo alla giurisdizione secondo il SOFA della NATO”, ha detto.
Romano, promosso colonnello nel 2007 e attualmente in Texas, era comandante delle forze di sicurezza della base aerea di Aviano ai tempi della scomparsa di Abu Omar. Mehal ha detto che la decisione di invocare la tutela giurisdizionale “non è un commento nel merito del processo in Italia o sulla validità delle accuse”.
Gli altri sospetti americani non dovrebbero poter beneficiare dell’accordo NATO in quanto questo si applica solo ai militari.
Uno degli imputati, l’ex capostazione della CIA di Milano Robert Seldon Lady, ha detto in un’intervista a un quotidiano italiano a giugno che stava solo eseguendo gli ordini e si è descritto come un soldato nella guerra contro il terrorismo.
Oggi a Milano si è svolta la prima parte della requisitoria, durante la quale il procuratore aggiunto Armando Spataro ha definito gli agenti della CIA dei “criminali”. Sotto processo a Milano, vi sono in totale 33 imputati, fra i quali l’ex direttore del SISMI Nicolò Pollari e 26 agenti americani della CIA, che non sono in Italia e per i quali gli USA hanno escluso l’estradizione.
La requisitoria si concluderà mercoledì prossimo con le richieste di condanna da parte dei pm – oltre a Spataro, Ferdinando Pomarici – al giudice Oscar Magi.
Phil Stewart per Reuters

kossiga

L’avvertimento del Presidente emerito
Milano, 30 settembre – Dalla politica è arrivato “un tentativo di intimidazione per cercare di impedire che il pm eserciti la sua funzione”.
Al processo sul rapimento di Abu Omar, ormai alle battute finali, interviene in aula a Milano il pm Ferdinando Pomarici e porta la sua “solidarietà personale dell’intero ufficio al collega” in seguito ad una serie di interpellanze parlamentari successive all’avvio, la settimana scorsa, della requisitoria dell’accusa nei confronti dei numerosi agenti CIA e funzionari ed ex funzionari del SISMI imputati per il rapimento dell’ex imam. Pomarici si augura poi che “le sguaiate polemiche che fino ad oggi sono rimaste fuori dall’aula” continuino a non influenzare il giudizio in corso.
(Adnkronos)

Roma, 30 settembre – ”Il procuratore aggiunto Pomarici dovrebbe avere il coraggio di citarmi nominalmente, dato che io lo conosco bene e altrettanto lui me; e invece di chiamare ‘intimidazioni’ normali atti di sindacato e indirizzo, dovrebbe forse spiegarci che cosa in realtà è successo anni fa a via Montenevoso in Milano”. Lo afferma il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.
”Comunque, agli insulti suoi e del suo amico Spataro – sostiene – io rispondo dando a lui e al suo collega un consiglio: si tengano alla larga dagli Stati Uniti e dai territori da essi controllati perché la CIA e l’FBI non sono l’Aise dell’ammiraglio De Pinto e del colonnello dei Carabinieri Damiano”.
(ANSA)

Milano, 30 settembre – Il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro ha preannunciato oggi che chiederà l’assoluzione di tre ex funzionari del SISMI nel processo per il sequestro dell’ex imam Abu Omar, lasciando intendere che chiederà la condanna dell’ex direttore del SISMI Nicolò Pollari e degli altri imputati, tra i quali 26 agenti americani della CIA.
Spataro, parlando durante la sua requisitoria in aula, ha detto che chiederà l’assoluzione di Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia, e Luciano Di Gregorio perché la Corte Costituzionale ha escluso l’utilizzabilità di alcuni atti coperti dal segreto di Stato e, sulla base della sentenza della Corte, non può chiederne la condanna.
Su Pollari, Spataro ha detto che “nessuna direttiva” avrebbe potuto indurre l’ex direttore del SISMI “ad omettere la denuncia di un ordine illegittimo quale era quello di eseguire un sequestro di persona”, tanto più che Pollari “aveva l’opportunità di discutere l’ordine” perché era il direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare.
In un altro passaggio, Spataro ha detto che “non si può pensare che la Corte Costituzionale abbia detto che è possibile coprire col segreto di stato una condotta criminale”.
“Nessun segreto di stato può coprire il reato di sequestro di persona”.
(Reuters)

cossigapollari

Milano, 30 settembre – Il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro ha chiesto oggi 13 anni per Nicolò Pollari, ex numero uno del SISMI, e 26 condanne — tra 10 e 13 anni — per ex agenti della CIA, nella requisitoria al processo per il sequestro dell’ex imam Abu Omar.
“Si è trattato di un insopportabile strappo alla legalità e ai diritti fondamentali, inaccettabile neppure nell’interesse della sicurezza”, ha detto oggi Spataro.
Il pm di Milano ha poi parlato di “ineluttabili prove di responsabilità per Pollari e per Marco Mancini”, l’ex numero due del SISMI per il quale sono stati chiesti 10 anni di reclusione.
“E’ impensabile che il SISMI abbia eseguito il sequestro senza che Pollari sapesse”, ha aggiunto Spataro.
Nella requisitoria il pm ha detto anche che “le democrazie si fondano su principi irrinunciabili anche nei momenti di emergenza. Se rinunciassimo a questa visione la lotta al terrorismo sarebbe persa in partenza”.
Il processo per il rapimento del religioso vede imputate 33 persone, tra ex funzionari dei servizi segreti italiano e USA, con l’accusa di aver rapito nel 2003 Abu Omar – imputato a Milano per terrorismo internazionale in un altro procedimento – e di averlo poi inviato in una cosiddetta operazione di “rendition” in Egitto, dove il religioso sostiene di aver subito torture durante la detenzione.
Tra le altre richieste avanzate dal pm, c’è quella a 13 anni di reclusione per Jeff Castelli, ex capo della CIA a Roma e quella a 12 anni per Robert Seldon Lady, ex capo della stazione CIA di Milano.
Per Pio Pompa e Luciano Seno — ex funzionari del SISMI accusati di favoreggiamento — Spataro ha chiesto 3 anni.
Inoltre, come preannunciato stamani, Spataro ha chiesto l’assoluzione degli ex funzionari del SISMI Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia e Luciano Di Gregorio perché la Corte Costituzionale ha escluso l’utilizzabilità di alcuni atti coperti dal segreto di Stato.
(Reuters)

Similes cum similibus
Roma, 1 ottobre – ”Le richieste del pm Spataro al processo per il sequestro di Abu Omar sono un insulto ai servizi di informazione e di sicurezza che proteggono la sicurezza del nostro Paese”, afferma Francesco Cossiga in una dichiarazione.
L’ex capo dello Stato esprime ”piena solidarietà” agli ex dirigenti del SISMI Nicolò Pollari, Marco Mancini ”ed anche a Pio Pompa”; solidarietà, inoltre, ai “‘colleghi’ della Central Intelligence Agency che hanno operato in Italia, in Europa e nel mondo per combattere il terrorismo di Al Qaeda”.
Nella sua dichiarazione, Cossiga attacca gli attuali vertici del servizio segreto militare ed invita il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta a sostituirli e a ”trovare una qualche sistemazione a quella brava persona e buon marinaio che è l’ammiraglio Branciforte. Se le mie richieste non saranno soddisfatte – dice l’ex capo dello Stato – mi porrò sotto la protezione degli agenti della CIA che operano in Italia!”.
Cossiga, inoltre, si dice ”certo che con queste richieste il magistrato Spataro (il magistrato che ha avanzato la richiesta di condanna a 13 anni di reclusione per il generale Pollari, ndr) si è guadagnato i ‘galloni’ di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, galloni – conclude il senatore a vita – che otterrà anche grazie alla sua militanza nella corrente di ultrasinistra dell’Anm, ‘testa’ e ‘padrona politica’ del Csm”.
(ANSA)

Scarronzoni per i “pappafichi”

ISAF soldiers spinning

Per capire le motivazioni ed il significato profondo delle dichiarazioni rilasciate di recente da La Russa a Massimo Caprara sul Corriere della Sera in cui chiede una revisione del codice militare di pace attualmente cogente in Afghanistan per i militari italiani, servirà ricorrere più avanti a Wikipedia ed al “caso“ Calipari. Il nesso tra il funzionario del SISMI ucciso da un marine USA a Baghdad ed il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio morto a luglio per un esplosione che ha coinvolto il Lince su cui prestava servizio in Afghanistan, si presta a più di una similitudine.
Il Ministro della Difesa non ha detto esplicitamente di volere l’introduzione di un codice militare di guerra ma ha fatto capire che quello di pace è di intralcio. Di intralcio a chi? Ce lo faccia capire senza manfrine.
Intervistato da Sky Tg24, La Russa ha fatto sapere all’opinione pubblica del Bel Paese che serve una “terza via“ ed il dissequestro urgente disposto dalla Procura di Roma di tre, dicasi 3, Lince. Volete sapere quanti LMV “bidone“ erano in forza, a gennaio 2009, al Comando Regionale di Herat? Duecentoquarantanove (249). Proprio così. Avete letto giusto.
In Italia, come abbiamo già detto, a disposizione delle Forze Armate ce ne sono la bellezza di 1.270. Con un C-130, in otto-dieci ore, se ne possono far arrivare ad Herat due. Perdiamo efficienza sul terreno avendone operativi da quelle parti 246 anziché 249? Macchè. E allora?
Dal 2002 al 2009, abbiamo movimentato Italia-Afghanistan e ritorno 29.000 tonnellate di logistica e materiali militari; 15, all’ingrosso, in più per rimpiazzare i LMV distrutti che differenza fanno? Semplicemente nessuna.
Il nostro signor Auricchio, quello “piccante“, nasconde altri obbiettivi, anche economici, che potrebbero danneggiare la FIAT Iveco? Non è affatto escluso, anzi, a dirla tutta…
A ben vedere potrebbero esserci profili penali. Che la FIAT Iveco possa vendere ad Inghilterra, Belgio, Croazia, Spagna, Repubblica Ceca, Slovacchia ed Austria degli scarronzoni ed a che costo unitario non è affare che riguarda la Procura di Roma, ma se i Lince rappresentano un pericolo per l’incolumità dei militari italiani la magistratura ha pieni titoli per accertarne i limiti operativi e la pericolosità per chi li ha in dotazione.
O no?
Se la magistratura lo dovesse accertare, gli affaroni della famiglia Elkann subirebbero una battuta d’arresto. E’ questo che non si vuole? A naso sembrerebbe proprio di sì.
La Russa e Cossiga (Giuseppe, figlio di Francesco) sono del mazzo? Mai dire mai. L’ ISTRID non lavora forse per lobby?
Il ministrone auspica, inoltre, un nuovo codice che non sia di pace né di guerra, da rimaneggiare, per azzerare – questo lo diciamo noi con la certezza che questa sia la finalità che si prefigge di raggiungere il Governo – i poteri di indagine della magistratura italiana nel Paese delle Montagne.
Governo e Difesa non tollerano, di fatto, occhi indiscreti sulla “missione di pace“? La risposta anche in questo caso è affermativa. Vogliono conquistarsi forse gli stessi poteri di veto che servirono al Ministro della Giustizia dell’amministrazione Bush per mettere a pagliolo le rogatorie internazionali dei pm Franco Ionta e Pietro Saviotti?
Angelino Alfano non ha forse annunciato che, a settembre, prenderà il via il ridimensionamento per legge dei poteri di indagine della magistratura inquirente? La Russa è uno dei colonnelli di Berlusconi. Allineato e coperto.
Facciamo ora entrare in campo l’enciclopedia abbastanza “libera“ del web, la più affermata e conosciuta per la distribuzione di contenuti su internet, per quel che riguarda il funzionaro del SISMI ucciso dal marine Mario Lozano.
“ …negli Stati Uniti è stata istituita una commissione d’inchiesta ai cui lavori sono stati ammessi osservatori italiani (nessun inquirente legale – nda) nominati dal Governo in carica di centrodestra. In Italia la magistratura ha incontrato impedimenti e difficoltà (eufemismo – nda) nelle svolgimento degli accertamenti a causa del particolare status in cui si sono svolti i fatti che risultava essere territorio dell’Iraq sottoposto a controllo del codice militare USA ed a sovranità, di fatto, assegnata al Segretario alla Difesa; negato anche il permesso di far analizzare a magistrati e tecnici della polizia scientifica italiana il veicolo su cui viaggiava Calipari. I giudici italiani hanno dovuto attendere la conclusione dell’inchiesta USA. Il diniego motivato da esigenze di natura militare ha di fatto provocato lo scadimento del valore probatorio del reperto (leggasi manomissione intenzionale della Toyota Corolla – nda).”

La Procura di Roma dopo la morte del mitragliere Di Lisio ha sequestrato tre Lince per capire come stavano le cose.
Il 9 agosto, il Cocer Esercito ha chiesto per bocca del generale Domenico Rossi – mai fidarsi degli altri gradi! -che i magistrati della Procura di Roma facciano con urgenza sopralluoghi in Afghanistan e tolgano i “sigilli“, senza cercare il pelo nell’uovo. Bel sindacalista, questo signore! Anche lui, come la Russa, chiede un intervento urgente di dissequestro degli Iveco perché servono i “pezzi di ricambio“.
Si potrebbe fare, volendo, le pulci anche a lui.
La sicurezza chi ci sta dentro interessa o no a questo signore? Sembrerebbe poco o nulla. Brunetta il nano cattivo ha previsto di tagliare dall’organico dell’Esercito 50.000 militari definendoli con disprezzo “pappafichi” e “pancioni in esubero”. La guerra della Repubblica Italiana delle Banane in Afghanistan costa sempre di più.
Quanto?
Ne riparleremo.
Giancarlo Chetoni

Uno che se ne intende

kossiga

(…)
Potrebbe non bastare, c’è chi sospetta che l’intrigo abbia ormai dimensioni internazionali.
La questione è seria, ma di un’operazione del genere sarebbero capaci solo pochi Stati. Vediamo: la Francia non può essere stata perché ha bisogno dell’Italia per contrapporsi agli Stati Uniti; la Federazione russa neanche, perché Putin ha un eccellente rapporto con Berlusconi; Israele non ne avrebbe interesse, e comunque non fa operazioni di disinformazione ma solo omicidi mirati…
Dunque, non resta che…
Non resta che l’America. E’ infatti noto che Obama non ama l’Italia e non mi meraviglierei che disertasse pure il G8.
Non amare l’Italia le pare un motivo sufficiente?
Se ha ragioni concrete, sì. La principale riguarda l’evidente asse politico che lega Berlusconi a Putin e l’accordo miliardario appena sottoscritto dall’ENI con Gazprom per la costruzione di un colossale gasdotto che approvvigionerà l’Italia e l’Europa.
Iniziativa che intacca gli interessi americani?
Sì, perché rafforza Putin e penalizza fortemente il gasdotto che passa per l’Ucraina, sul quale gli Stati Uniti hanno una sorta di egemonia di fatto.
Altre ragioni di inimicizia?
Ci sono, e sono sempre legate alla politica estera ed energetica. Ne dico due: Berlusconi è amico di Gheddafi ed ha firmato un trattato in base al quale l’Italia non concederà le proprie basi militari in caso di attacco alla Libia; l’Italia, a differenza degli Stati Uniti, è interessata a mantenere buoni rapporti con l’Iran.
Insomma, abbiamo individuato il burattinaio.
Ma no, affatto. L’avremmo individuato se non fosse che Obama è un noto pacifista e se non avesse ordinato agli agenti della CIA di sospendere l’attività di intelligence per dedicarsi unicamente al gioco del golf e del baseball.

Da Ho spiegato al Premier l’intrigo contro di lui. Intervista a Cossiga: “Pesta i piedi agli USA”, di Andrea Cangini, “Il Giorno/Il Resto del Carlino/La Nazione” di sabato 30 maggio 2009.