USAID aumenta i finanziamenti alle ONG e ai media dei Paesi della CSI per ridurre l’influenza russa

È improbabile che Washington riesca a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se falsamente descriverà alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo.

Di Ahmed Adel, ricercatore di geopolitica ed economia politica che fa base a Il Cairo, per South Front, 5 dicembre 2022

L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha finanziato nella seconda metà del 2022 il cosiddetto “sostegno alla democrazia” per un importo di 248 milioni di dollari nei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). In confronto, i “falchi umanitari”, come l’amministratore dell’USAID Samantha Power descrive l’agenzia, investirono solo 243 milioni di dollari nell’intero 2021.
La CSI, che comprende gli ex Stati sovietici quali Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakhistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan, è un blocco di Paesi per il quale gli Stati Uniti si sono a lungo sforzati per espandere al loro interno la propria influenza e il proprio soft power. Per questa ragione, l’USAID ha significativamente aumentato i suoi investimenti nella regione, con Armenia, Georgia e Moldavia, Stati periferici della CSI, che risultano essere i più grandi beneficiari delle nuove sovvenzioni, specialmente per quelle riguardanti le Ong e i media.
L’USAID ha stanziato 15 milioni di dollari a scopi educativi per la sola Georgia nella seconda metà di quest’anno, con un’enfasi particolare posta sulla necessità di abolire la presunta discriminazione di genere. Gli Americani intendono plasmare l’istruzione georgiana secondo il loro stampo, riqualificando gli insegnanti; per questo motivo fu assegnata una sovvenzione di 250.000 dollari a professori di giornalismo provenienti dalle università locali che soddisfano i loro criteri. Nel 2021, l’USAID lanciò un programma quinquennale in Georgia del costo di 330 milioni di dollari.
Nella seconda metà del 2022, l’USAID ha concesso due sostanziose sovvenzioni – rispettivamente del valore di 120 e 4 milioni di dollari – per lo “sviluppo della democrazia” e l'”indipendenza dei media” in Armenia. Questo aiuto è stato criticato perché non fornisce l’assistenza umanitaria necessaria per assistere 100.000 Armeni sfollati a causa della guerra del Nagorno-Karabakh del 2020.
Il fatto stesso che nella seconda metà del 2022 siano stati concessi 124 milioni di dollari di aiuti, un importo considerevole per un Paese che nel 2021 aveva un PIL di 13,86 miliardi di dollari, per influenzare i media e la società civile invece di assistere gli sfollati armeni, dimostra la volontà di mantenere quella situazione, o in effetti che l’amplificazione del necessario grado di retorica antirussa nei mass media locali è uno degli obiettivi principali del lavoro dell’USAID nei Paesi post-sovietici.
Comunque, in Moldavia e nei Paesi dell’Asia centrale, l’agenzia americana pone particolare enfasi sul finanziamento dell’economia. Ovvero, stanno cercando di indebolire i legami economici che questi Paesi hanno con la Russia e di riorientare i flussi di merci e i flussi finanziari. Nell’ultimo semestre, l’USAID ha stanziato 50 milioni di dollari per la Moldavia, la maggior parte dei quali si presume saranno spesi per espandere il commercio con l’Unione Europea e creare un’adeguata infrastruttura di trasporti e logistica.
A ottobre USAID annunciò che intende investire 15,2 milioni di dollari nel commercio in Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, poiché Washington vuole “aiutare la regione ad abbandonare la dipendenza” da Mosca.
“Ridurre la dipendenza dell’Asia centrale dai mercati e dalle rotte di esportazione russe, fornendo alternative, era una priorità a lungo termine, ma ora è una necessità impellente e un’opportunità dato che cerchiamo di aiutare la regione ad allontanare la dipendenza dalla Russia”, diceva il documento di USAID
Secondo il documento dell’USAID, la guerra in Ucraina e le sanzioni anti-russe hanno un “enorme impatto” sull’economia dell’intera regione. Le sanzioni e il ritiro delle aziende occidentali dalla Russia “hanno portato a una contrazione dell’economia russa, che probabilmente continuerà a lungo termine”, ma da cui risulterà anche una diminuzione delle importazioni russe dall’Asia centrale.
“Le aziende della regione hanno urgentemente bisogno di trovare nuovi mercati per le loro esportazioni, sia di beni che di servizi”, aggiungeva il documento.
Il programma è pensato per “rispondere alle conseguenze economiche” causate dalla guerra in Ucraina, come il calo delle rimesse, il deflusso dei lavoratori immigrati dalla Russia, la svalutazione della moneta, l’inflazione e la perdita di rotte e mercati di esportazione. Si spera che ai Paesi della regione verrà fornito un “supporto tecnico” per incrementare il commercio sui mercati internazionali e per aiutare le imprese nelle questioni logistiche.
In precedenza, il vicedirettore dell’USAID, Anjali Kaur, affermava che l’obiettivo della politica statunitense dovesse essere la separazione delle economie dell’Asia centrale e della Russia. In questo modo, Washington non cerca nemmeno di nascondere le sue nefaste azioni anti-Russia in una regione che è forse una delle più lontane dal continente nordamericano, e non solo in termini geografici, ma anche per cultura, tradizioni e storia.
Incrementando i finanziamenti alle Ong e ai media in Moldavia, Georgia e Armenia, l’USAID cerca di trovare qualche successo. Tale successo sarebbe per la maggior parte da attribuire alla vicinanza di questi Paesi all’Europa occidentale e alla loro comune identità cristiana, rendendo così molto più facile la penetrazione dell’influenza liberale dell’Occidente.
Tuttavia, è estremamente improbabile che Washington riuscirà a sganciare l’Asia centrale dalla Russia, anche se rappresenterà falsamente alcune iniziative commerciali come grandi successi o come qualcosa di molto innovativo. Questo perché la Russia è una grande potenza economica e militare da cui l’Asia Centrale non ha alcun buon motivo per separarsi.

La nuova cortina di ferro

La Lettonia sta costruendo una recinzione metallica di 90 km, alta 2,5 metri, lungo il confine con la Russia, che sarà ultimata entro l’anno. Sarà estesa nel 2019 su oltre 190 km di confine, con un costo previsto di 17 milioni di euro. Una analoga recinzione di 135 km viene costruita dalla Lituania al confine col territorio russo di Kaliningrad. L’Estonia ha annunciato la prossima costruzione di una recinzione, sempre al confine con la Russia, lunga 110 km e alta anch’essa 2,5 metri. Costo previsto oltre 70 milioni di euro, per i quali il governo estone chiederà un finanziamento UE. Scopo di tali recinzioni, secondo le dichiarazioni governative, è «proteggere i confini esterni dell’Europa e della NATO».
Esclusa la motivazione che essi debbano essere «protetti» da massicci flussi migratori provenienti dalla Russia, non resta che l’altra: i confini esterni della UE e della NATO devono essere «protetti» dalla «minaccia russa». Poiché la recinzione costruita dai Paesi baltici lungo il confine con la Russia ha una efficacia militare praticamente nulla, il suo scopo è fondamentalmente ideologico: quello di simbolo fisico che, al di là della recinzione, c’è un pericoloso nemico che ci minaccia. Ciò rientra nella martellante psyop politico-mediatica per giustificare la escalation USA/NATO in Europa contro la Russia. In tale quadro, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato in Lettonia due volte, la prima in luglio in un giro di visite nei Paesi baltici e in Georgia. Al pranzo ufficiale a Riga, il presidente della Repubblica italiana ha lodato la Lettonia per aver scelto la «integrazione all’interno della NATO e dell’Unione Europea» e aver deciso di «abbracciare un modello di società aperta, basata sul rispetto dello Stato di diritto, sulla democrazia, sulla centralità dei diritti dell’uomo». Lo ha dichiarato al presidente lettone Raymond Vejonis, il quale aveva già approvato in aprile il disegno di legge che proibisce l’insegnamento del Russo in Lettonia, un Paese la cui popolazione è per quasi il 30% di etnia russa e il russo è usato quale lingua principale dal 40% degli abitanti. Una misura liberticida che, proibendo il bilinguismo riconosciuto dalla stessa Unione Europea, discrimina ulteriormente la minoranza russa, accusata di essere «la quinta colonna di Mosca». Due mesi dopo, in settembre, il presidente Mattarella è tornato in Lettonia per partecipare a un vertice informale di Capi di Stato dell’Unione Europea, in cui è stato trattato tra gli altri il tema degli attacchi informatici da parte di «Stati con atteggiamento ostile» (chiaro il riferimento alla Russia). Dopo il vertice, il Presidente della Repubblica si è recato alla base militare di Ᾱdaži, dove ha incontrato il contingente italiano inquadrato nel Gruppo di battaglia schierato dalla NATO in Lettonia nel quadro della «presenza avanzata potenziata» ai confini con la Russia. «La vostra presenza è un elemento che rassicura i nostri amici lettoni e degli altri Paesi baltici», ha dichiarato il Presidente della Repubblica. Parole che sostanzialmente alimentano la psyop, suggerendo l’esistenza di una minaccia per i Paesi baltici e il resto dell’Europa proveniente dalla Russia. Il 24 settembre arriverà in Lettonia anche Papa Francesco, in visita nei tre Paesi baltici. Chissà se, ripetendo che si devono «costruire ponti non muri», dirà qualcosa anche sulla nuova cortina di ferro che, dividendo la regione europea, prepara le menti alla guerra. Oppure se a Riga, deponendo fiori al «Monumento per la libertà», rivendicherà la libertà dei giovani Lettoni russi di imparere e usare la propria lingua.
Manlio Dinucci

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Le promesse infrante della NATO: il tempo di ammettere che l’Occidente ha gravi responsabilità per le tensioni nell’Europa dell’Est

Danielle Ryan per rt.com

La questione se i leader occidentali abbiano promesso all’Unione Sovietica che la NATO non si sarebbe allargata verso Est è stata dibattuta per anni. Documenti recentemente declassificati dimostrano ciò che molti funzionari e studiosi occidentali hanno negato: una promessa è stata infranta.

I ricercatori del National Security Archive della George Washington University hanno elaborato 30 documenti che dimostrano che al leader sovietico Mikhail Gorbachov fu data “una serie di assicurazioni” che la NATO non avrebbe marciato verso Est.
Funzionari di alto profilo e studiosi di think tank hanno ripetutamente negato che tali assicurazioni fossero mai state fatte facendo sottintendere che i leader russi hanno dato libero sfogo alla fantasia e che la loro rabbia per la continua espansione della NATO fosse ingiustificata. Di recente, l’anno scorso, l’ex ambasciatore americano a Mosca, Michael McFaul, ha definito “un mito assoluto” il fatto che tali promesse fossero mai state fatte.
Non sono solo le informazioni appena declassificate a dare credito alla versione russa degli eventi. Gran parte delle informazioni che confermano la posizione della Russia è stata pubblica per anni. Semplicemente non è stata resa universalmente nota. Tuttavia, ci sono state persone che hanno esaminato le prove con un occhio imparziale.
La rivista tedesca Der Spiegel ha concluso fin dal 2009, basandosi sul proprio esame dei documenti e delle conversazioni con gli interessati, che: “… non c’era dubbio che l’Occidente ha fatto tutto il possibile per dare ai Sovietici l’impressione che l’appartenenza alla NATO era fuori questione per Paesi come la Polonia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia”.
Per capire come tutto questo fosse così importante per Mosca e come abbia contribuito alle recenti tensioni in Europa, è importante capire il contesto storico. Continua a leggere

Russia: chiamare bene il bene e male il male

index“Dopo la preparazione molto prolissa, vorrei prendere in considerazione il Dharma. La condotta dell’attuale dirigenza russa nel coltivare buoni valori morali (e mantenere il male lontano dalle giovani generazioni), che è nella natura di tutti gli esseri umani, mostra chiaramente che la leadership russa è composta da persone in cui i principi del Dharma sono ben stabiliti. In contrasto con i “valori occidentali” moderni che chiamano bene il male e male il bene e operano in antitesi a tutte le leggi della natura e di Dio, possiamo vedere chiaramente che la leadership russa vive all’interno di principi Dharmici.
In realtà, io sono probabilmente non qualificato per discutere sul Dharma. Se si desidera ottenere una maggiore comprensione, vi consiglio la Bhagavad Gita, il dialogo tra Krishna e Arjuna sul campo di battaglia di Kurukshetra durante la guerra del Mahabharata. Vorrei far notare che una traduzione può non essere perfetta, ma si dovrebbe comprendere che stiamo parlando di principi universali.
La verità è un principio fondamentale del Dharma, che sia la ricerca della verità nell’universo o semplicemente dire la verità, essa è priva del carattere della menzogna. Putin, vediamo chiaramente, dice la verità. Dice quello che fa. La sua squadra allo stesso modo segue questo principio.
Ahimsa è un termine sanscrito molto abusato da Mohan Das Gandhi. Ahimsa non significa ‘non-violenza’, significa la minor quantità possibile di violenza.
Dharma non vuol dire fuggire dal male e dall’ingiustizia, non significa sacrificare la propria nazione per amore della ‘non-violenza’ o dei ‘valori democratici’ o dei ‘diritti umani’, come definiti dalle potenze occidentali e dai loro lacchè. Ahimsa significa intraprendere l’azione che comporta la minor quantità di violenza. Da quando l’attuale leadership della Federazione Russa è andata al potere, essa ha rigorosamente e coscienziosamente aderito a questa linea di principio, sia in Cecenia, che Georgia, in Ucraina e in Siria.
Un altro principio del Dharma è evitare di acquisire ricchezze illegittime. Basta guardare agli stili di vita degli ex funzionari del servizio di sicurezza del gruppo dirigente russo per vedere che essi non indulgono in corruzione o acquisizione di ricchezze illecite. Questo è fuori discussione, nonostante tutte le accuse della stampa e dell’establishment occidentale, che non hanno alcuna statura morale.
Un principio chiave del Dharma è quello di stabilire e mantenere il controllo sui sensi. In altre parole, non indulgere eccessivamente nei piaceri dei sensi, che si tratti di cibo, alcool, attività sessuali o altre attività che coinvolgono i sensi. Questo non vuol dire che uno deve essere un asceta e ritirarsi in montagna, ma significa mantenere l’equilibrio e non lasciare che i sensi dominino la persona. Vediamo dalla condotta, sia pubblica che privata, dei membri della leadership russa, che la disciplina dei sensi è stabilita in profondità nel loro carattere. Si spera che la prossima generazione sia della stessa forgia.
Un altro principio del Dharma è quello della purezza nel pensiero, nella parola e nell’azione. In termini semplici, questo significa evitare di coltivare cattivi pensieri. Essere buoni dentro e fuori e non pensare male degli altri. Avidità o invidia o altre emozioni negative non devono avere un posto stabile nel proprio essere. Anche se non siamo in grado di entrare nelle teste della leadership russa, siamo in grado di vedere i loro comportamenti esteriori che si presume riflettano un ordine interno. Per quanto riguarda Putin, possiamo vedere chiaramente il calore genuino e i sentimenti umani di quest’uomo. In particolare, ricordo un documentario in cui, sul tatami, veniva atterrato da un giovane judoka giapponese. Tale condotta mostra che siamo in presenza di un uomo dall’ego sotto controllo.
Ci sono molti altri principi del Dharma, come il rendere servizio ad altri, evitare l’avidità e l’egoismo e il considerare tutto il mondo e tutte le persone come una unica grande famiglia. Lascio a voi prendere in considerazione questi e altri principi Dharmici nella valutazione della leadership della Federazione Russa.
Assumo che le valutazioni occidentali sulla leadership russa sono irrilevanti, perchè la leadership occidentale e i suoi vari livelli di autorità di controllo sono privi di autorità morale perché sono fondamentalmente di natura A-dharmica. Pertanto, lasciamo che i popoli di tutto il mondo rifiutino questa autorità morale falsa. Lasciate che tutte le persone, comprese le persone comuni all’interno delle potenze occidentali, considerino i loro antichi santi e guru più moralmente autorevoli di questi demoni Adharmici che si autodefiniscono autorità morali.”

Da L’attuale leadership dello Stato russo valutata sui principi del Dharma, di Student.

Basta guerre!

è questa la vs democrazia
Il fantasma di M. Gheddafi: “Mmmhhh… è questa la vostra democrazia?”.

L’Italia, dopo aver occupato, depredato e massacrato la Libia con l’invasione colonialista del 1911; dopo averla nuovamente bombardata , distrutta e ridotta al miserevole stato attuale nel 2011 nell’ambito dell’operazione imperialista e neo-colonialista programmata da USA, Francia, NATO e Qatar, oggi è già di fatto entrata per la terza volta , ancora sotto comando USA, e sotto l’egida della NATO, in una nuova guerra contro il Paese nordafricano.
Già partono infatti dalla base siciliana di Sigonella i droni statunitensi che colpiscono la Libia, in attesa che truppe di terra, anche italiane, raggiungano i reparti francesi ed inglesi che già operano sul terreno.
La precedente aggressione della sedicente “comunità internazionale” aveva ridotto una nazione prospera e pacifica in un ammasso di rovine, lacerato da cento fazioni, percorso da bande di predoni, tutti impegnati a depredare i Libici delle loro risorse petrolifere e idriche. Oggi, dopo aver utilizzato, come pretesto per le loro aggressioni, la scusa di voler liberare i popoli da presunti “dittatori” (in realtà dirigenti antimperialisti ed antisionisti come Gheddafi ed Assad), ora i Paesi della NATO fingono di voler combattere il jihadismo terrorista dello Stato Islamico o di Al Queda, da loro stessi creato e diffuso dall’Africa al Medio Oriente, dall’Asia all’Europa, in una spaventosa escalation di crimini di guerra e contro l’umanità.
Il parossismo bellico degli USA e della NATO, e dei loro alleati, come Turchia, Qatar e Arabia Saudita, con la regia occulta di Israele, tende alla frantumazione degli ultimi Stati della regione che non accettano la dittatura neo-colonialista, come anche l’Iraq e la Siria, dove è stata raggiunta, nel momento in cui scriviamo, una fragile tregua parziale solo grazie alle vittorie riportate dall’esercito nazionale siriano con l’aiuto determinante della Russia. Dopo aver finto per anni di combattere lo Stato Islamico ed altri gruppi terroristi, rifornendoli segretamente di armi attraverso la Turchia, gli USA e alleati chiedono ora un cessate il fuoco in Siria per «ragioni umanitarie». Ciò perché le forze governative siriane, sostenute dalla Russia, stanno liberando crescenti parti del territorio occupate dalle formazioni jihadiste, che arretrano anche in Iraq.
Il doppiogiochismo di USA e NATO è dimostrata anche dalla decisione della stessa NATO di dispiegare nel mar Egeo, con la motivazione ufficiale di controllare il flusso di profughi (frutto delle stesse guerre USA/NATO), le navi da guerra del Secondo Gruppo Navale Permanente , che ha appena concluso una serie di operazioni con la marina turca.
Contemporaneamente la NATO, sotto comando degli USA, ha riaperto il fronte orientale, accusando la Russia di «destabilizzare l’ordine della sicurezza europea», e trascinandoci in una nuova Guerra Fredda, per certi versi più pericolosa della precedente, voluta soprattutto da Washington per spezzare i rapporti Russia-UE dannosi per gli interessi statunitensi.
Mentre gli USA quadruplicano i finanziamenti per accrescere le loro forze militari in Europa, viene deciso di rafforzare la presenza militare «avanzata» della NATO nell’Europa orientale. La NATO, dopo aver inglobato tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia e tre della ex URSS, prosegue la sua espansione a est, preparando l’ingresso di Georgia e Ucraina, spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia.
Questa strategia rappresenta anche una crescente minaccia per la democrazia in Europa. L’Ucraina, dove le formazioni neonaziste sono state usate dalla NATO nel putsch di piazza Maidan, è divenuta il centro di reclutamento di neonazisti da tutta Europa, i quali, una volta addestrati da istruttori USA, vengono fatti rientrare nei loro Paesi con il «lasciapassare» del passaporto ucraino. Si creano in tal modo le basi di una organizzazione paramilitare segreta tipo la vecchia «Gladio».
È il tentativo estremo degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo nel quale l’1% più ricco della popolazione possiede oltre la metà della ricchezza globale, ma nel quale emergono nuovi soggetti sociali e statuali che premono per un nuovo ordine economico mondiale.
Il governo italiano ci rende corresponsabili di questo immenso oceano di sangue. Le guerre d’aggressione sono il massimo crimine contro l’umanità e la nostra Costituzione (Articolo 11) le rifiuta. Dopo la guerra in Jugoslavia nel 1994-95 e nel 1999, in Afghanistan a partire dal 2001, in Iraq dal 2003, in Libia ed in Siria dal 2011, accompagnate dalla formazione dello Stato Islamico ed altri gruppi terroristi funzionali alla stessa strategia, ora è già iniziata una nuova aggressione in Libia. L’Italia, imprigionata nella rete di basi USA e di basi NATO sempre sotto comando USA, è stata trasformata in ponte di lancio delle guerre USA/NATO sui fronti meridionale ed orientale. Per di più, violando il Trattato di Non-Proliferazione, l’Italia viene usata come base avanzata delle forze nucleari statunitensi in Europa, che stanno per essere potenziate con lo schieramento delle bombe B61-12 per il first strike nucleare.
Mentre si prospetta l’apocalisse di una nuova conflagrazione mondiale, un apparato mediatico bugiardo, legato alle centrali del bellicismo imperialista e alle sue industrie delle armi, sostiene una serie ininterrotta di aggressioni nel segno di un nuovo e più letale colonialismo che distrugge Stati, stermina popoli, provoca l’immensa tragedia dei rifugiati, volge in distruzione e morte quanto viene sottratto a ospedali, scuole, welfare.
Per uscire da questa spirale di guerra dagli esiti catastrofici, è fondamentale costruire un vasto e forte movimento contro la guerra imperialista di aggressione, per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per un’Italia libera dalla presenza delle basi militari statunitensi e di ogni altra base straniera, per un’Italia sovrana e neutrale, per una politica estera basata sull’Articolo 11 della Costituzione, per una nuova Europa indipendente che contribuisca a relazioni internazionali improntate alla pace, al rispetto reciproco, alla giustizia economica e sociale.
Vincenzo Brandi

Fonte

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L’espansione NATO trascina l’Europa alla guerra

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Comunicato del Comitato No guerra No NATO

La decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare i colloqui di accesso per divenire il 29° membro dell’Alleanza, getta benzina su una situazione già incandescente. Tale decisione conferma che la strategia USA/NATO mira all’accerchiamento della Russia.
Il Montenegro, l’ultimo degli Stati nati dallo smantellamento della Federazione Jugoslava con la guerra NATO del 1999, ha, nonostante le sue piccole dimensioni, un importante ruolo geostrategico nel Balcani. Possiede porti utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo e grandi bunker sotterranei che, ammodernati, permettono alla NATO di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese armi nucleari.
Il Montenegro è anche candidato a entrare nell’Unione Europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla NATO sotto comando USA. Nonostante che perfino l’Europol (l’Ufficio di polizia della UE) abbia messo sotto inchiesta il governo di Milo Djukanovic, perché il Montenegro è divenuto il crocevia del traffico di droga dall’Afghanistan all’Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco.
Dopo aver inglobato dal 1999 al 2009 tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Unione Sovietica e due della ex Federazione Jugoslava, la NATO vuole ora impadronirsi del Montenegro per trasformarlo in base della sua strategia aggressiva. Si avvale a tal fine della complicità del governo Djukanovic, che all’interno reprime duramente la forte opposizione democratica all’entrata del Montenegro nella NATO.
La NATO mira oltre. Si prepara ad annettere Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina e altri Paesi, per espandersi, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, sempre più a ridosso della Russia.
In questa gravissima situazione, in cui l’Europa viene trascinata nella via senza uscita della guerra, il Comitato No Guerra No NATO

  • chiama alla più ampia mobilitazione per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per un’Italia neutrale e sovrana che si attenga all’Art. 11 della Costituzione;
  • chiama i movimenti europei anti-NATO a unire le forze in questa battaglia decisiva per il futuro dell’Europa;
  • esprime la sua solidarietà ai movimenti e alle persone (politici, giornalisti e altri) che, in Montenegro, si battono coraggiosamente contro la NATO per la sovranità nazionale.

Catania, 5 dicembre 2015

You stink: protesta popolare o destabilizzazione “colorata” a Beirut?

you_stink_birthday_card-rf4bea26ce3ac4912beeaae8d6251a14b_xvuat_8byvr_512Da settimane la capitale del Libano è sconvolta da manifestazioni antigovernative. Il pretesto iniziale per queste manifestazioni, che appaiono ben organizzate e coinvolgono una media di 20.000 o 25.000 persone, è la mancata raccolta dei rifiuti che ha causato indubbiamente disagi alla cittadinanza. Ma è credibile che per un motivo del genere vada avanti da settimane una protesta politica che ora chiede le dimissioni del governo e nuove elezioni? E’ possibile che solo per questo i manifestanti invochino una “rivoluzione” che sconvolga gli equilibri faticosamente raggiunti con gli accordi di Taez tra le fazioni che posero fine alla guerra civile degli anni ’70?
Il Libano è da molti mesi bloccato dal fatto che i due principali schieramenti contrapposti non riescono ad accordarsi sulla nomina del nuovo Presidente che per costituzione deve essere un cristiano. Lo schieramento definibile come “progressista” che aveva finora governato  è quello che fa capo ai partiti sciiti Hezbollah e Amal, ed ai cristiani nazional-progressisti del generale Aoun. Questo schieramento è su posizioni antisioniste e filo-siriane.
Le agguerrite milizie di Hezbollah, sostenute dall’Iran, dopo aver clamorosamente costretto Israele a ritirarsi dal Libano nel 2000 e dopo aver frustrato nel 2006 l’ultimo tentativo di Israele di invadere il Libano, combatte ora a fianco dell’esercito siriano e si oppone ai tentativi dei jihadisti provenienti dalla Siria (come l’ISIS o Al Nusra) di fare irruzione anche in Libano. Lo schieramento opposto è quello che fa capo al partito sunnita legato all’Arabia Saudita, egemonizzato dalla potente famiglia Hariri. Suoi alleati sono i cristiani di estrema destra (già responsabili del massacro di Sabra e Chatila del 1982), ora guidati dal famigerato fascistoide Geagea. Questo schieramento appoggia i cosiddetti “ribelli” siriani e flirta con Israele e con gli USA.
A questo punto non è difficile intravvedere nei disordini in corso un nuovo tentativo di “rivoluzione colorata”  come quelli già attuati nel colpo di stato contro il governo di Milosevic in Jugoslavia tramite il gruppo pseudo-rivoluzionario e studentesco “Otpor”;  in Ucraina con la “rivoluzione arancione” che portò al potere Yuschenko e la Timoschenko e poi, dopo il fallimento di questa “rivoluzione”, con il colpo di Stato di piazza Maidan; in Georgia con la “rivoluzione delle rose”, ecc. Anche le cosiddette “primavere arabe” rientrano in questo schema: sono state mandate in piazza persone inizialmente attratte da parole d’ordine formalmente “progressiste”, che poi si sono trasformate in incubi jihadisti appoggiati dall’esterno, come in Libia o in Siria, o hanno portato al potere la “Fratellanza musulmana” come in Egitto.
Anche a Beirut i manifestanti, organizzati presumibilmente dalle solite ONG “umanitarie” internazionali che in realtà sono iscritte nel libro paga della CIA, esibiscono slogan “progressisti” come quello di richiedere che il sistema elettorale non si basi più sulle tre confessioni principali (musulmani sciiti o sunniti, e cristiani) ma diventi laico. Dietro questi paraventi ideologici atti a sedurre settori della gioventù borghese progressista si intravvedono però le mire dei monarchi oscurantisti dell’Arabia Saudita e degli altri emirati feudali del Golfo, e dei loro alleati come USA, Turchia, Francia e Gran Bretagna. In questa fase i disordini servirebbero solo a destabilizzare il governo libanese che finora, anche perché spaventato dalla prospettiva di un’estensione della ribellione jihadista anche al Libano, ha di fatto sostenuto il governo di Bashar Al-Assad che resiste ai jihadisti in Siria.
Anche lo slogan assunto dai manifestanti testimonia dell’attenta programmazione della protesta che certamente gode del supporto di abili agenzie pubblicitarie come già le precedenti “rivoluzioni colorate”. A Belgrado lo slogan unificante era “Resistenza!”, a Kiev “E’ ora!”, a Tiflis “Basta!”. A Beirut è “You stink!”, ovvero “Voi puzzate!” rivolto al governo libanese (giocando sulla presenza della spazzatura in strada, fenomeno “normale” per un napoletano, come chi scrive). La strategia del caos in tutto il Vicino Oriente portata avanti dagli USA va avanti inesorabilmente. Ma il Libano degli Hezbollah è un osso duro, così come la Siria di Bashar Al-Assad che resiste ostinatamente da 4 anni e mezzo ad una potente coalizione internazionale (cosiddetti “Amici della Siria”, oggi “Gruppo di Londra”) che vorrebbe fare a pezzi il Paese, come già riuscito in Libia e – parzialmente – in Irak.
Vincenzo Brandi

Psicosi di massa in Ucraina

La testimonianza di Marcus Godwyn, docente inglese residente per dieci anni in Russia.

“I paraocchi mi erano finalmente caduti durante i mesi di Febbraio e Marzo 2014. La propaganda antirussa dei media principali aveva raggiunto dei livelli mai visti di isteria rabbiosa e razzista, fatta coincidere con i Giochi Olimpici Invernali di Sochi. Nello stesso momento a Kiev, Ucraina, dopo l’uccisione di numerosi manifestanti e poliziotti da parte di misteriosi cecchini, la folla prendeva possesso di Piazza Maidan, ribaltando un accordo ratificato solo il giorno prima, ed il presidente Yanukovich fuggiva per salvarsi la vita. Secondo alcuni, anche questo avvenimento era stato fatto coincidere con le Olimpiadi Invernali di Sochi.
Sono stato in mezzo ai russi per trent’anni e ho vissuto in Russia per dieci, sono stato per vent’anni anche con gli ucraini e conosco bene le tensioni e le divisioni interne insite in quella nazione fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Conosco bene anche le caratteristiche del nazionalismo ucraino. In ogni modo, al principio avevo una certa simpatia per la protesta di Maidan, per le ragioni dette prima e poi perché gli amici ucraini mi avevano perfettamente informato degli incredibili livelli raggiunti qui dalla corruzione, anche se trovavo ridicolo da parte degli ucraini incolpare la Russia di tutti i loro problemi, argomentazione questa che ritenevo priva di ogni serietà. Magari l’Unione Sovietica, e di quei tempi poi, poteva avere qualche colpa, ma la Russia moderna non era l’Unione Sovietica ed ero preoccupato nel vedere come alcuni amici ucraini non facessero assolutamente distinzione fra Impero Russo, URSS e Federazione Russa. Secondo loro tutto si riduceva alla Russia e questo era stato, ed era, un male per l’Ucraina. Mi metteva poi sempre più a disagio il livello di sostegno politico che la protesta di Maidan andava ricevendo dai politici occidentali e dai leader, nominati ma non eletti, dell’Unione Europea, gente che non si era mai impressionata troppo per i disordini di piazza nei loro rispettivi Paesi. Non capivo perché l’UE stesse forzando l’Ucraina a fare una netta scelta di campo. Non mi sembrava scienza atomica lasciare gli europeisti ai loro interessi e affari con l’Occidente e permettere la stessa cosa a tutti quelli con interessi verso la Russia. Mi sembrava anche poco intelligente cercare di staccare completamente l’Ucraina dalla Russia, visti i profondi legami familiari, culturali, storici ed economici fra le due nazioni.
Ucraina e Russia sono molto più unite di quanto lo siano Scozia e Inghilterra, anche se alcuni nazionalisti ucraini occidentali rifiutano di accettare questo fatto solo perché questa non è la storia scritta da loro. Inoltre, le differenze visibili fra molti ucraini e russi sono molto meno marcate di quelle che ci possono essere fra gente dell’Essex e dello Yorkshire, per esempio.
“Se questa tensione continua, ci sarà una guerra civile!” Questo dicevo a volte a me stesso e agli altri. Sicuramente i nostri capi lo sanno. Hanno consiglieri ed esperti, o no? Mi ricordavo poi come nel 2008, al tempo della guerra in Georgia, avessi visto, incredulo, il Ministro degli Esteri inglese Milliband volare a Kiev per “creare un fronte antirusso”, come disse la BBC, nonostante il fatto che mezza Ucraina fosse ampiamente russofona e che la Russia non avesse fatto nulla per arrivare a quello stato di cose. In retrospettiva erano solo le prove generali di ciò che stava accadendo. Inoltre, in tutta l’Ucraina centrale e occidentale, gli edifici governativi, le stazioni di polizia e i depositi di armi venivano occupati, come potevo vedere online, da gruppi di nazionalisti bene armati e bene organizzati, anche se questi episodi non venivano mai riportati dai media occidentali. Sui social media notavo come amici russi ed ucraini cominciassero a dividersi in campi opposti, pro o anti Maidan, e non secondo la nazione di appartenenza.
Al cambio di regime a Kiev fece seguito la riunificazione della Crimea con la Russia e l’isterica canea da parte dei nuovi padroni di Kiev, Washington, Londra e Bruxelles. “Putin deve essere fermato”, “E’ il nuovo Hitler”, “Arriverà ai porti della Manica in qualche settimana, se non facciamo qualcosa”. Certo i resoconti delle proteste di Maidan sono stati di parte, ma non completamente. C’è stato “qualche” accenno al fatto che la metà della nazione che aveva votato per Yanukovich non voleva né l’UE, né la NATO e preferiva rimanere ancora di più nella sfera di influenza russa. C’è stata “qualche” allusione sul coinvolgimento di forze dell’ultradestra nelle proteste e anche di una interferenza da parte americana. Non è molto, ma è già qualcosa. Però, appena fu evidente che Russia e Crimea avrebbero negato l’accesso alla penisola alle formazioni paramilitari nazionalistiche ucraine, e che si stava organizzando un referendum lampo sul ritorno della Crimea in seno alla Russia, la stampa occidentale (personalmente seguivo quella inglese, americana e francese) e, per inciso, tutti i media occidentali, passarono in massa ed al momento giusto alla totale demonizzazione di Putin e della sua nazione ed a una egualmente totale adulazione del nuovo governo di Kiev, in vero stile totalitario. In massa! Come è possibile in nazioni libere, indipendenti e con dei mezzi di informazione che si suppone liberi? La brutale risposta a questa domanda è che, se questo è possibile , allora significa che non viviamo in nazioni libere ed indipendenti e che i nostri mezzi di informazione non sono liberi e indipendenti.
Il ventunesimo secolo iniziò effettivamente a Kiev in una delle 48 ore che vanno dal 20 al 22 febbraio 2014, quando i cecchini cominciarono a sparare a Maidan causando poi il rovesciamento del governo ucraino. Esattamente cento anni dopo che il diciannovesimo secolo era scomparso nella deflagrazione della prima guerra mondiale e della rivoluzione, aprendo le porte al vero ventesimo secolo, nel 2014 abbiamo visto il nostro mondo andare a gambe all’aria quasi alla velocità della luce. Proprio come cento anni fa, i problemi e le motivazioni di questi avvenimenti esistevano e si erano incancreniti da lungo tempo. La loro improvvisa comparsa nel mondo reale sembra abbia colto di sorpresa molti di noi. Non so cosa ne pensiate voi, ma questo ventunesimo secolo di sicuro a me non piace!
In Ucraina stiamo assistendo al più grande episodio di psicosi di massa, proprio nel cuore dell’Europa, dalla morte di Stalin e dai raduni di Norimberga. Invece di cercare di circoscrivere quello che è un fenomeno di enorme potere distruttivo, gli USA, l’UE e la NATO hanno continuamente buttato benzina sul fuoco, hanno cinicamente alimentato le fiamme e usato l’inferno che ne è uscito per presentare una versione dei fatti completamente diversa da quelli che sono i veri interessi dell’Occidente. Stiamo parlando della radicalizzazione di centinaia di migliaia di ucraini, specialmente i giovani, proprio come succede con i fondamentalisti islamici, solo che questa volta vengono convertiti ad un nazionalismo totalmente russofobo. La causa può avere un nome diverso ma il processo mentale e psicologico è identico. Anche il risultato! Questo lo sanno bene i governi occidentali che sostengono Kiev. Come si riconosce un ucraino vittima della psicosi di massa? Questa è la cartina di tornasole: se cominciano a dire che “L’Ucraina è totalmente unita in un’unica nazione. Tutti quelli che si oppongono al nuovo governo scaturito dal Maidan non sono ucraini ma spie di Putin, effettivi delle forze speciali Specnaz, e combattenti russi infiltrati allo scopo di uccidere tutti gli ucraini.” Parlano di questi definendoli “aggressori”, ma in realtà si riferiscono alla Russia intera. Sono in preda ad una psicosi di massa. Non bisogna essere profondi conoscitori dell’Ucraina per capire la follia di tutto ciò. La tua stessa nazione è completamente unita? Lo è la tua città? La tua famiglia? Sei unito con te stesso? L’Ucraina, anche prima dell’indipendenza dall’URSS era una delle nazioni meno unite della Terra! Rimasi perplesso quando un amico ucraino me lo disse per la prima volta. Poi cominciai a sentirlo dire con sempre maggior regolarità da amici, conoscenti e da interviste sui media. La stessa identica frase, sempre pronunciata in fretta e ripetuta in continuazione. Se una situazione del genere la calassimo nella politica degli Stati Uniti, sarebbe come se il Partito Repubblicano improvvisamente incominciasse a dire che in America non ci sono i democratici. “L’America è totalmente unita con noi”. Infatti tutti i cosiddetti “democratici” sono in realtà spie e soldati cubani mandati oltre il confine ad uccidere tutti gli americani. I repubblicani potrebbero poi procedere con una “operazione antiterrorismo”, bombardando e cannoneggiando i distretti democratici nei vari stati allo scopo di assoggettarli o spazzarli via!
È veramente pauroso vedere persone intelligenti, ben istruite, finora lucide, alcune delle quali sono miei stretti amici, e con cui era possibile avere fino ad un anno fa una conversazione razionale sul futuro dell’Ucraina, spegnere una dopo l’altra la loro luce interiore volontariamente, o almeno così sembra, e saltare dentro il distorcente nero fossato dello stupore di massa.
Uno dei risultati più ovvi di tutto questo è che i politici ed i portavoce del regime di Kiev, sostenuto dagli Stati Uniti, sono bugiardi patologicamente illusi; eppure tutto quello che dicono è riportato dalla stampa occidentale come se fosse la verità rivelata, senza nessun esame dettagliato.
Questa è anche la ragione principale per cui l’esercito ucraino si è rivelato così inefficiente in battaglia. La loro intera ragion d’essere è basata su fondamenta totalmente false, su false credenze e su vuoti slogan, mentre i combattenti per l’autodifesa del Donbass, pur se alcuni sono attaccati alle vecchie illusioni della loro infanzia (l’ammirazione per Lenin e talvolta per Stalin, ecc.), rimangono lucidi sulla situazione attuale e sanno esattamente cosa stanno combattendo e perché.
Riportare indietro alla coscienza gli individui radicalizzati è un affare costoso, delicato, lungo e la storia recente mostra che non tutti riescono a tornare indietro. In questa situazione non riesco a vedere niente di buono uscir fuori dall’Ucraina per un periodo molto lungo, indipendentemente da ciò che succederà sul terreno.
Il nazionalismo estremo è semplicemente una ricetta per privazione, disintegrazione, povertà e, alla fine, distruzione e morte, dovunque nel mondo, in qualunque periodo storico. È stato sempre così, così sarà sempre.”

Da La NATO attraverso lo specchio: un viaggio personale dall’ingenuità alla lucidità.

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La Russia nel mirino della NATO globale

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Intervista di RT a Rick Rozoff, curatore di Stop NATO e dell’omonimo sito
(traduzione e collegamenti inseriti sono nostri)

RT: Quale è il problema se la NATO svolge più esercitazioni militari? Viviamo in un mondo pericoloso e l’esercizio rende efficienti, non è così?
Rozoff: Certo, dobbiamo contestualizzare le questioni. Se stiamo parlando delle più recenti esercitazioni militari della NATO sul Mar Baltico, le cosiddette operazioni o esercitazione Steadfast Jazz 2013. Dobbiamo considerare che si tratta della più vasta esercitazione militare congiunta svolta dalla NATO negli ultimi sette anni. Ed è stata tenuta in due Paesi che condividono i propri confini con la Russia -Lettonia e Polonia- con l’esplicito obiettivo di compattare la cosiddetta NATO Response Force, che è una forza militare globale di intervento. Si è inoltre svolta su larga scala: 6.000 soldati, con componenti aeree e navali così come di terra e fanteria in Paesi confinanti con la Russia. Non è un fatto di tutti i giorni, come i vostri commenti possono suggerire. Se qualcosa di analogo succedesse al confine americano, a dire in Messico e Canada, e soldati provenienti da 40 Paesi, tutti membri della NATO, e una serie di Paesi partner della NATO dovessero impegnarsi in esercitazioni militari congiunte sul confine americano, si sentirebbe qualcosa da Washington, ve lo assicuro. Peraltro non si tratta di un innocuo affare quotidiano di una o due nazioni che svolgono esercitazioni militari; si tratta del più grande blocco militare nella storia, onestamente parlando, con 24 Paesi membri, con oltre 70 Paesi partner nel mondo, che è oltre un terzo delle nazioni al mondo, e nell’ONU, ad esempio. Questa rappresenta un’ulteriore indicazione che il blocco militare guidato dagli USA, la NATO, ispira, prima di tutto, lo svolgimento di quelle che potrebbero essere interpretate come incaute e forse anche pericolose esercitazione militari vicino ai confini della Russia e allo stesso tempo progetta di sviluppare ulteriormente e dare una veste all’attivazione della propria forza internazionale di intervento.

RT: Queste esercitazioni non sono a buon mercato comunque – e molte nazioni europee non sono finanziariamente nella migliore forma. Ne vale davvero la pena per loro?
Rozoff: Certo che no, è un fantasma, una minaccia immaginaria che è stata contestata. Vale la pena notare che il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen e altri funzionari dell’Alleanza Atlantica incluso il vice Segretario Generale Alexander Vershbow, che è l’ex ambasciatore statunitense in Russia, hanno precisato che le esercitazioni militari svolte in Lettonia e Polonia erano dirette a consolidare i risultati conseguiti negli ultimi dodici anni in Afghanistan, dove la NATO, attraverso la missione ISAF, ha consolidato – sono le sue parole – l’operatività di forze militari provenienti da 50 diverse nazioni. I popoli europei, i cittadini dei rispettivi 26 Stati membri in Europa possono comprendere questo genere di stravaganza? No, certamente non possono. Così ciò che resta da credere è che gli Stati Uniti trovano il pretesto per utilizzare la NATO e sono pronti a sostenere la maggior parte dei costi derivanti dalle esercitazioni o dalla creazione delle installazioni militari, per rafforzare i propri interessi geopolitici in Europa e nel mondo.

RT: La NATO ha appena terminato le esercitazioni in Polonia e negli Stati baltici. C’è qualche ragione per la scelta di queste precise collocazioni?
Rozoff: Se vi riferite alla forza di risposta rapida, che è un dispositivo dell’Alleanza utilizzato presumibilmente per interferire quando la NATO interviene militarmente, come fa negli ultimi quattordiici anni fuori dalla sua area di responsabilità, l’autodichiarata zona di protezione dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Stiamo parlando ovviamente di una seria azione militare, seria come lo è la guerra, infatti. Quattordici anni fa nell’Europa sud-orientale, nella ex Jugoslavia, per gli ultimi dodici anni in Afghanistan, in Asia, e due anni fa in Libia e Nord Africa, poi hanno scelto un così delicato posizionamento di fronte alla Russia – gli Stati baltici, il confine nord-occidentale della Federazione Russa – a me sembra quasi come una provocazione. Ma la spiegazione ufficiale della NATO è che, essendosi ormai configurata come una forza militare internazionale per missioni che possono essere condotte in Africa, Medio Oriente, nel Golfo di Aden, nell’Oceano Indiano, in Asia Meridionale e Centrale, adesso deve ristabilire la propria capacità di difendere gli Stati membri. Chi altri se non la Russia può essere presa di mira quando gli Stati NATO, e, nel caso di Lettonia e Polonia – devono essere in grado di difendere i nuovi Stati membri dell’Alleanza come Lettonia, Estonia, Lituania a Polonia – nessuna altra nazione potrebbe essere il potenziale aggressore in quel contesto se non la Russia. Perciò questa è un’aperta provocazione nei confronti della Russia.

RT: L’anno prossimo la NATO terminerà la sua missione di combattimento in Afghanistan, che è durata oltre un decennio. Che cosa faranno tutte queste truppe dopo il ritiro del 2014?
Rozoff: Ci sarà un periodo di riposo e recupero per le attuali forze terrestri. E considerate che i comandanti NATO in Afghanistan e i comandanti militari USA hanno discusso circa il mantenimento in territorio afghano di un numero tra gli 8.000 e i 14.000 soldati statunitensi e di altri Paesi NATO per un futuro indefinito. E ciò si aggiunge certamente all’intenzione statunitense di mantenere e forse anche espandere la propria presenza e la propria capacità bellica nelle grandi basi aeree che gli Stati Uniti hanno migliorato a Shandan, Kandahar, e le basi terrestri fuori dalla capitale Kabul, e così via. Pertanto ciò che la NATO evidentemente intende fare, e gli USA in primo luogo, è la compiuta integrazione delle strutture militari di oltre 50 Paesi – un evento molto importante, non c’è nulla di anche lontanamente paragonabile che sia avvenuto prima nella storia. Bisogna essere onesti riguardo ciò. In nessuna guerra, neanche nella Seconda guerra mondiale, c’è stata la presenza di personale militare da 50 Paesi, tanto meno da una sola delle parti in conflitto, tanto meno in un solo teatro di guerra e in un sola nazione. Perciò quello che la NATO ha fatto è stato usare i dodici anni di incerto impegno bellico in Afghanistan al fine di mettere in piedi una NATO globale, nei fatti. E una volta concluso questo percorso con il vertice dell’Alleanza svoltosi a Chigago, lo scorso vertice NATO del Maggio 2012, l’Alleanza ha annunciato la nascita di un altro programma di partenariato. E questo sarà il primo che non è geograficamente connotato, diversamente da quelli che riguardano il Golfo Persico, il Mediterraneo, la regione del Medio Oriente o l’Europa Orientale, il Caucaso, l’Asia centrale. Quest’ultima iniziativa della NATO comprende inizialmente otto nazioni appartenenti alla più grande regione dell’Asia-Pacifico: Iraq, Pakistan, Afghanistan, Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Corea del Sud e Mongolia. La Mongolia anche, come il Kazakhistan, che è un membro del programma NATO Partenariato per la Pace, confina sia con la Russia che con la Cina. Ciò cui stiamo assistendo è che a dispetto di tutti i suoi sforzi per convincere il mondo che è diventata un’aggiunta all’ONU, o che costituisce in qualche modo un apparato per il mantenimento della pace, la NATO si è in realtà trasformata in una forza militare globale. Essa può avere una limitata capacità di allargamento, almeno non fino al punto che vorrebbe. Ma le sue intenzioni sono chiare. Il nuovo quartier generale della NATO in costruzione a Bruxelles, che costerà più di un miliardo di dollari, sarà concluso a breve. Bene, la NATO non ha intenzione di accettare un’altra limitazione al bilancio e altri fattori che possano giustificare il suo ridimensionamento, le sue ambizioni al contrario sono più grandiose di quanto siano mai state prima.

RT: Che cosa riserva il futuro per l’Organizzazione in generale? Come può continuare a contare ed essere una forza importante nel mondo?
Rozoff: Lo scopriremo al prossimo vertice di Berlino l’anno a venire, nel 2014. Ciò che sappiamo è che al vertice di Chigago dell’anno scorso, una delle più importanti fra le decisioni prese riguarda il cosiddetto sistema di missili intercettori con approccio adattativo graduale -inizialmente progettato dai soli Stati Uniti sotto l’amministrazione di George W. Bush e ora pienamente integrato con la NATO sotto l’amministrazione di Barack Obama – ha raggiunto la capacità operativa iniziale, con piani per installare infine centinaia di missili intercettori a raggio intermedio e medio a terra in Paesi come Romania e Polonia, e anche su cacciatorpedinieri e altri tipi di unità navali nel Mediterraneo. Alla fine, sospetto, nel Mar Baltico e nel Mar Nero, poichè gli Stati Uniti stanno usando ancora la NATO come un cavallo di Troia, per controllare non solo militarmente ma anche politicamente l’intera Europa Orientale, dal Mar Baltico al Mar Nero. Ogni singolo membro di quello che era il Patto di Varsavia, con l’eccezione della Russia, è ora parte a pieno titolo della NATO. Metà degli Stati appartenenti alla ex Repubblica di Jugoslavia sono adesso membri a pieno titolo della NATO. Vediamo quindi che gli Stati Uniti usano la NATO per estendersi militarmente da Berlino, al termine della Guerra Fredda fin fino al confine russo. E la cosa più allarmante ultimamente è che hanno intensificato i propri sforzi per incorporare l’Ucraina, che possiede un rilevante confine con la Russia, quale importante partner della NATO. L’Ucraina sta per unirsi alla forza di risposta rapida, così come Georgia, Finlandia e Svezia. La Svezia è l’unico fra questi Paesi a non avere un confine con la Russia. Finlandia, Ucraina e Georgia possiedono confini rilevanti. Quello cui assistiamo è che la NATO in un modo o nell’altro sta continuando la spinta verso i confini della Russia e di fatto l’accerchiamento militare della Federazione Russa.

Scongiuri, teste rotte e ubriachi fradici

Mentre Obama tenta di esorcizzare il declino statunitense di fronte ai preoccupati britannici, peraltro raccontando la barzellletta secondo la quale i Paesi emergenti si starebbero sviluppando in virtù dell’adesione ai “principi di mercato” che loro hanno sempre usato – sì, come arma di distruzione di masse popolari e sovranità nazionali, salvo poi ricorrere al denaro pubblico quando, nel 2008, si trattava di salvare dal collasso i rispettivi sistemi finanziari – e conferma l’impegno occidentale nel diffondere la luce (provocata dall’esplosione delle bombe intelligenti) in tutta la regione che va dal nord Africa all’Asia centrale, in Georgia l’amico Misha si diletta a disperdere l’opposizione scesa in piazza. In tal caso, però, morti, feriti e arresti paiono accettabili, perché sono manifestazioni orchestrate dall’orso (anzi, orco) russo.
Nel Bel Paese intanto fa notizia, ma non troppo, il “comportamento inappropriato” dei piloti della RAF, dispiegati da Sua Maestà presso la base NATO di Gioia del Colle, in provincia di Bari, per le operazioni militari contro la Libia. A due mesi di distanza – evviva la trasparenza! – emerge che due di loro vennero rimpatriati dopo esser stati scoperti completamente ubriachi.
Più che per l’ennesima conferma del tragico attaccamento alla bottiglia, meglio: alla pinta, da parte degli albionici, l’occasione è utile per apprendere che in circa 700, tra avieri e personale d’appoggio, se la spassano fra alberghi di lusso e complessi turistici della zona, al costo presunto di 40.000 sterline al giorno, ossia 1.2 milioni al mese.
E che le strutture ospitanti sono prenotate fino a tutto il mese di settembre…

La fondamentale partita geopolitica sotto i nostri occhi

In caso di attacco, infatti, gli aerei diretti verso l’Iran non potrebbero fare a meno di entrare, in un modo o nell’altro, nel raggio d’intercettazione degli S-300 dislocati in Abkhazia, il che rappresenta un ulteriore deterrente all’avventurismo israeliano che già gli Stati Uniti non erano più tanto entusiasti di avallare.
Da bravi giocatori di scacchi, i russi sono riusciti ancora una volta a prendere due o tre piccioni con una fava: rendere assai più difficile un’aggressione contro l’Iran – aggressione che avrebbe avuto tra i principali obiettivi quello di aprire il territorio iraniano al gasdotto americano Nabucco, pregiudicando le sorti dei gasdotti russi North e South Stream – senza peraltro fornire all’avito rivale iraniano sistemi militari di cui avrebbe potuto avvantaggiarsi per consolidare la propria posizione nella regione; e senza fornire all’Occidente ulteriori pretesti di demonizzazione ostentando in modo troppo diretto una distensione dei rapporti con il “satanico” governo di Ahmadinejad. Del resto, lo stesso generale Zelin, nelle sue dichiarazioni, ha lasciato comprendere, in modo implicito ma piuttosto lampante, che gli S-300 in Abkhazia non servono soltanto per la difesa locale: “Il loro ruolo sarà quello di fungere da difesa per i territori di Abkhazia e Ossezia del Sud, in cooperazione con i sistemi di difesa aerea dell’esercito”, ha detto. Ma ha subito aggiunto: “Il compito di questi sistemi di difesa antiaerea non sarà soltanto quello di difendere i territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia, ma anche quello di impedire violazioni dei confini aerei di questi stati. […] Il loro scopo è distruggere qualsiasi oggetto volante che penetri in questi territori, quale che sia il suo obiettivo di volo”.
Non è un caso che il governo di Tbilisi abbia subito capito l’antifona, dichiarando che lo schieramento degli S-300 russi dovrebbe preoccupare non tanto la Georgia, quanto la NATO.
(…)
Il sito Debkafile, notoriamente vicino ai servizi segreti israeliani, ha compreso anch’esso benissimo le implicazioni delle manovre russe. Spiega che le sofisticate batterie antiaeree russe sarebbero state disposte come contrappeso alle navi da guerra della Sesta Flotta che incrociano nel Mediterraneo e nel Mar Nero e alle grandi basi americane presenti sulle rive dello stesso Mar Nero: la base aerea Mikhail Kogalniceanu, vicino a Costanza, in Romania, e la base di Bezmer , utilizzata dalla USAF e situata vicino Yambol, in Bulgaria. La decisione dei russi sarebbe stata presa dopo l’incidente avvenuto lo scorso 26 luglio ad un elicottero israeliano CH-53, schiantatosi sui Carpazi con sette persone a bordo. Il silenzio imbarazzato mantenuto da Israele sull’episodio aveva reso evidente che l’elicottero era impegnato in esercitazioni miranti ad individuare ed attaccare i siti nucleari che gli iraniani hanno costruito in luoghi inaccessibili, sui fianchi di montagne scoscese. I russi hanno così capito che la data dell’attacco stava avvicinandosi e hanno preso le opportune contromisure (tra parentesi, per capirlo gli sarebbe bastato dare un’occhiata all’incarognirsi della propaganda anti-iraniana sui media occidentali, a suon di Nede e Sakineh). Ora i missili antiaerei russi saranno in grado di intercettare i voli americani in partenza dalle basi bulgare e rumene che osassero sorvolare la Georgia o l’Azerbaijan per dirigersi verso l’Iran. E’ grazie a questa rassicurante presa di posizione dei russi che Teheran ha potuto rompere ogni indugio e annunciare in pompa magna, lo scorso 21 agosto, l’apertura del suo primo impianto nucleare a Busher. Per quanto ambigue possano essere le relazioni tra Mosca e Teheran (i russi temono, essi per primi, l’eventualità che l’Iran possa dotarsi di armi nucleari), le nuove strategie geopolitiche hanno imposto ancora una volta la necessità di premunirsi contro i progetti di riposizionamento israelo-americano in oriente e fare quadrato contro la permanenza dei vecchi rapporti di forza che l’emergere del multipolarismo sta rapidamente spazzando via. Tanto Mosca quanto Teheran si stanno rivelando due attori di primissimo piano nella fondamentale partita geopolitica che si sta giocando sotto i nostri occhi e della quale noi europei, salvo improbabili reviviscenze di senso dell’orgoglio nazionale, rischiamo di essere solo distratti ed inutili spettatori.

Da Paura di volare, di Gianluca Freda.

Il nuovo Concetto Strategico della NATO

Di Andrej Fedjašin, per RIA Novosti.

La NATO sviluppa un nuovo Concetto Strategico una volta ogni dieci anni, come un bimbo che abbandona i suoi vestiti vecchi e necessita di acquistarne di nuovi. Il grande paradosso di questi cambiamenti regolari è il fatto che l’originale “zona di ostilità” della NATO negli ultimi 20 anni si è ristretta geograficamente, mentre la sua zona di attività ha continuato ad espandersi. Infatti, tutti i Concetti NATO del passato fornivano semplicemente una formale motivazione per ciò che si doveva fare comunque nel corso di pochi anni, anche se questo superava i compiti ufficiali della NATO.
Tutto ciò costituisce veramente un superamento del limite. A volte le alleanze militari devono adattarsi a tempi mutevoli in un modo che i loro fondatori non avrebbero potuto prevedere. Comunque, è necessario sapere distinguere tra una singola deviazione dalla missione originaria ed una politica di costante espansione della propria autorità.
La NATO corrisponde certamente al secondo caso. I “saggi” guidati dall’ex Segretario di Stato Madeleine Albright hanno recentemente reso note le loro indicazioni per gli obiettivi strategici della NATO nel prossimo decennio. Il documento dovrà essere sottoposto ai 28 governi membri ed approvato al vertice di Lisbona che si terrà a Novembre. Il Concetto Strategico 2010 sostituirà quello del 1999.
Il documento, intitolato “NATO 2020: Sicurezza assicurata: Impegno dinamico”, raccomanda appunto un impegno dinamico della NATO con i Paesi e le organizzazioni poste oltre la regione Euro-atlantica, ovvero ciò che è effettivamente avvenuto negli ultimi 20 anni. Esiste anche la proposta di includere le forze della NATO in una più ampia struttura militare delle Nazioni Unite, che permetterebbe alla NATO di condurre operazioni in ogni parte del mondo, eventualmente in cooperazione con altri Stati (Russia, Cina). Ma ogni possibile intesa sarà chiaramente sbilanciata verso la leadership NATO.
È stato fatto osservare che le raccomandazioni della Albright avrebbero cambiato la rotta della NATO da quando la sua squadra, composta da dozzine di esperti del mondo militare e civile dei settori pubblici e privati, ha iniziato il proprio lavoro l’estate scorsa. L’unico interrogativo era in che misura la trasformazione della NATO in una organizzazione politico-militare globale sarebbe stata (a dispetto del suo Trattato fondativo) istituzionalizzata. La risposta, adesso lo sappiamo, è: in gran parte. Continua a leggere

La tecnica del “colpo di stato colorato”

La tecnica di un colpo di stato, a cui più di recente si fa riferimento anche con “rivoluzione colorata”, trova riscontro delle sue origini in una ricca letteratura che ci fa risalire agli inizi del XX secolo. È stata applicata con successo dai neo-conservatori statunitensi per preparare il terreno a “cambiamenti di regime” in una serie di repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Comunque, la tecnica ha avuto un effetto contrario a quello desiderato quando è stata tentata in ambienti culturali diversi (Venezuela, Libano, Iran).
John Laughland, che per il Guardian ha scritto articoli su alcune di queste operazioni, accende una nuova luce su questo fenomeno.

Potete leggere il suo breve saggio qui.

Questo è becero complottismo!

Con la fine del 2009, anno di sconfitte strategiche per gli USA, si sta assistendo a una probabile ondata colorata nelle capitali europee: Roma, Parigi, Atene sono le prime piazze. Sicuramente altre se ne aggiungeranno: Madrid, Berlino, Bucarest; manifestazioni coloratissime che seguiranno di pari passo il tracciato dei gasdotti Southstream e Northstream, con altrettanti capetti piazzaioli che, edotti dalla famelica lettura di riviste di tecnologia bellica, decideranno dove compiere, di volta in volta, le loro prodezze antisistema: oggi a Roma, punita anche per i suoi recenti colpi di testa geopolitici. Infatti, come dice il sito statunitense di studi strategici Stratfor, in una recente valutazione della marina iraniana, ‘le Guardie Rivoluzionarie hanno esteso le loro capacità militari negli ultimi anni, grazie a navi e tecnologie provenienti dalla Cina, Corea del Nord e Italia e ora implementate su alcune delle imbarcazioni più veloci della regione. Ciò dovrebbe comportare minare lo Stretto di Hormuz e gli stretti canali di navigazione del Golfo Persico’. L’impatto ‘Sarebbe immediato e drammatico … L’effetto sui prezzi del petrolio sarebbe grave.’ L’Italia, così, si mette sotto una pessima luce, agli occhi del suo potente patron d’oltreatlantico e del suo amichetto occupante ‘Galilea e Samaria’.
Domani, già avvertono i trombettieri delle giubbe viola, toccherà a Parigi, dove Sarkozy ha deciso di vendere a Mosca alcune unità navali per operazioni anfibie, della classe ‘Mistral’.
Ovviamente i nostri ‘coloured bloc’ si affannerebbero a leggere anche cartine geografiche e quotidiani economici, con la speranza di rilevare accordi economico-commerciali tra nascenti ‘imperialismi’. Come, appunto, nel caso dei gasdotti volti a scavalcare quel muro yankee posto a oriente dell’Europa. Un muro formato dai governi filo-statunitensi del Baltico, di Polonia, Ucraina, Georgia, Albania…
Notare come in Grecia, oggi, dopo tre giorni di scontri e manifestazioni, tra i mille fermi e i 150 arresti causati delle dimostrazioni, e che il sistema mediatico atlantista definisce, certo disinteressatamente, la ‘prima rivolta locale a livello mondiale’, vi siano centinaia di giovani di 26 paesi di quattro continenti, i cui più attivi e presenti sono albanesi, seguiti da georgiani e ucraini,… poi italiani, tedeschi, finlandesi, inglesi, e… bulgari, lettoni e polacchi. Il virus rivoluzionario, anarcoide e anticapitalista ha già infettato le ex-repubbliche del Blocco Orientale? E tutti costoro, casualmente, si sono scoperti ferventi nemici del capitalismo non a casa propria, ma ad Atene. Già, Atene, altra coincidenza, la Grecia negli ultimi anni ha acquistato notevoli quantità di materiale bellico. Materiale proveniente dalla Federazione Russa: hovercraft d’assalto anfibio, blindati, cingolati e i famigerati missili S-300, venduti a Cipro, via Atene. È questo il vero motivo della presenza di albanesi, bulgari, ucraini e georgiani, cioè di tizi provenienti, casualmente, da nazioni che hanno subito le rivoluzioni colorate finanziate dalle fondazioni di Mr. Soros?
La calata dei coloured-bloc, succedanei ai black-bloc nordeuropei, è stata determinata solo dalla crisi economica che colpisce Atene, crisi causata dalle politiche neoliberiste e monetariste imposte anche dal succitato miliardario genocida George Soros? Oppure c’entra abbondantemente, anzi decisamente, il fatto che la ‘Seconda Roma’, stringendo la mano alla ‘Terza Roma’, abbia irritato i soliti notissimi circoli dominanti presenti allo SHAPE, a Bruxelles, o schierati lungo il ‘braccio di mare’ che si estende tra Londra e New York (il cosiddetto Atlantismo)?
Questo è becero complottismo! Direbbero diverse categorie di presunti ‘antimperialisti’ e di ancor più presunti ‘marxisti-leninisti’ colorati di viola e guidati da duci come il ‘Vecchio Forcone’, il ‘Giovane Forcaiolo’ e la ‘Forchetta Ululante’… Forse è così, ma rimarrebbe da spiegare l’ampia presenza per le strade di Atene di scalmanati casseur, provenienti da ‘casuali’ paesi poveri, dai servizi costosi e dai bassi redditi, quali l’Albania, l’Ucraina e la Georgia.
Una differenza salta subito agli occhi: ad Atene si testa la versione hard del tele-sovversivismo colorato, quello armato di mazze e violento. A Roma, e prossimamente a Parigi, si utilizza la versione soft, da ‘indiani-colorati-metropolitani’, da ‘società civile’, per portare avanti l’agenda dei notissimi burattinai. Le società di marketing avranno fatto le dovute ricerche, analizzando la società in cui operare, per spacciare e vendere il ribellismo sociale preconfezionato dalle ‘Ditte’ dedite alla ‘Democracy Export’. Nero black-bloc ad Atene, Viola moralista a Roma. Ma non è detto che le suddette aziende non pensino di somministrare la ricetta ateniese anche al resto dell’Europa, a quella ‘civilizzata’, mitteleuropea e occidentale. Dipenderà da quanto persisteranno il Papi, Sarkò e friends nel volere allacciare scandalosi rapporti con una Noemi da Mosca o con una Patrizia da Ankara. Rapporti non graditi presso i notissimi rotary di Washington-London-Telaviv, e ritenuti vergognosissimi presso i kiwanis salottieri di Roma, Torino e Ginevra…
Lì, sono più graditi i ‘sani’ rapporti intimi con la ‘Brenda’ di Chicago, citofonare al 1600 di Pennsylvania Avenue, o con la ‘Natalì’ che riceve al N°10 di Downing Street…
Di certo, queste professioniste ci stanno preparando, assistite dai loro pusher, magnaccia e dal gramsciano ‘popolo di scimmie’, dei ‘giochetti’ niente male per il 2010.

P.S.: Fa specie che personaggi della cosiddetta controinformazione, pretesi amici della Russia, (ma chi frequenta Gorbachov e la sua fondazione, in fondo, quanto è amico della Russia?) nonostante sappiano benissimo cosa si cela dietro le kermesse colorate, si schierino a fianco delle tele-rivolte, che possono solo sfociare in governi ‘tecnici’, pronti ad attuare riforme di strutture e politiche internazionali dettate dalla City e dal Pentagono. Tanto per essere chiari: saccheggio del risparmio delle famiglie, conservato nel sistema bancario nazionale, e abbandono di ogni accordo con il cerbero Putin-Gheddafi-Erdogan, magari sostituendo il gas di questi ’orchi’, con quello israeliano, così elegantemente sottratto a Gaza, proprio un anno fa.

Coloured-Bloc, di Alessandro Lattanzio.
[grassetto nostro]

Bulgaria e Romania avamposti strategici sul Mar Nero

bulgaria

romania

Bulgaria e Romania fecero il loro formale ingresso nella NATO nel 2004, in occasione del vertice di Istanbul, e da allora sono diventati gli ultimi – forse in entrambi i sensi della parola: i più recenti ed i finali – membri dell’Unione Europea.
Precedentemente, entrambi i Paesi avevano negato alla Russia l’uso del loro spazio aereo per trasportare rifornimenti alle truppe russe dislocate in Kosovo nel 1999.
Qualche anno dopo, nel 2002, la Romania aveva permesso agli Stati Uniti di usare la propria base aerea di Mikhail Kogalniceanu per i preparativi all’invasione dell’Iraq del successivo marzo 2003.
Nel dicembre 2005, il Segretario di Stato USA Condoleezza Rice si recò a Bucarest per firmare un accordo che prevedeva l’utilizzo – o meglio: la presa di possesso – di quattro basi militari: quella prima menzionata di Mikhail Kogalniceanu ed i campi di tiro ed addestramento a Babadag, Cincu e Smardan. La spiegazione all’epoca fu che gli Stati Uniti avrebbero usato le quattro basi per l’addestramento, comprese esercitazioni congiunte e multilaterali, ed il transito di rifornimenti verso l’Afghanistan e l’Irak. Ed il territorio romeno ha servito questi scopi fin da allora.
Nell’aprile dell’anno seguente, 2006, gli Stati Uniti firmarono un accordo analogo con la vicina Bulgaria per l’utilizzo di tre delle sue più grandi basi militari, quella aerea di Bezmer, il campo d’addestramento di Novo Selo ed il campo di volo di Graf Ignatievo.
Entrambe gli accordi prevedono una durata iniziale di dieci anni. Agli USA viene consentito di stazionare truppe in quantità variabile tra le 5.000 e 10.000.
Questi sette siti sono le prime basi militari americane nel territorio di quello che era il Patto di Varsavia.
La base aerea bulgara di Bezmer è una grossa infrastruttura simile nello scopo a quella romena di Mikhail Kogalniceanu. Secondo un quotidiano locale che ne scriveva due anni fà, essa acquisterà lo status di insediamento militare strategico come le basi di Incirlik in Turchia ed Aviano in Italia, divenendo una delle sei nuove basi aeree con tale connotazione fuori dai confini degli Stati Uniti.
Strategica perché, sotto il comando della Joint Task Force East insediata a Mikhail Kogalniceanu, a partire da essa potrebbero essere dispiegate truppe in zone di guerra nel Vicino Oriente e nell’Asia centrale e sudoccidentale.
Gli accordi stretti dagli USA con Bulgaria e Romania – come di consueto in questi casi – sono suscettibili di essere estesi alla NATO in quanto i tre firmatari sono tutti membri dell’Alleanza Atlantica. Secondo un articolo del Sofia Echo del gennaio 2008, la NATO avrebbe ottenuto la disponibilità della vecchia base di una brigata corazzata bulgara presso la città di Aitos per trasformarla in un deposito logistico.
A Graf Ignatievo, base aerea vicino la città di Plodviv, invece saranno trasferiti alcuni velivoli di stanza ad Aviano, sosteneva un’altra fonte bulgara nell’ottobre 2007. Trasferimento temporaneo, precisava, ma con la possibilità di diventare definitivo.
La severità e l’urgenza della minaccia percepita dalla Russia era tale che il generale Vladimir Shamanov, consigliere del Ministero russo della Difesa, ebbe a dichiarare: “Punteremo i nostri missili sulle infrastrutture militari USA in Bulgaria e Romania”. Apprensioni che certo non potevano essere fugate dalle affermazioni dell’allora Ministro degli Esteri bulgaro Solomon Passy il quale auspicava che il dispiegamento di forze terrestri, aeree e navali americane fosse seguito dall’installazione di missili.
Ad un anno di distanza dalla firma dell’accordo Stati Uniti-Bulgaria, un commento di stampa sottolineava come le nuove basi nell’Europa orientale facessero parte di un ambizioso piano per spostare le brigate combattenti facenti capo all’Comando Europeo delle Forze Armate USA (EUCOM) dall’Europa occidentale – prevalentemente la Germania – ad insediamenti avanzati prossimi al Caucaso, al Vicino Oriente ed all’Africa. Quando questo processo di riposizionamento fosse completato, due terzi delle forze di manovra dell’EUCOM saranno insediate nell’Europa meridionale ed in quella orientale.
Riferendosi specificatamente alle basi in Romania, nel luglio 2007 lo Stars and Stripes – organo ufficiale dell’esercito statunitense – riferiva la possibilità che truppe di altri Paesi vi svolgessero periodi di addestramento e che le forze USA lì situate potessero trasferirsi in brevi missioni di addestramento in Paesi confinanti quali Georgia ed Ucraina. Nel successivo mese di agosto vennero svolte delle esercitazioni per inaugurare con più enfasi possibile i nuovi insediamenti.
Per quanto riguarda le basi in Bulgaria, notizie di stampa dell’estate 2008 riferivano dei nuovi alloggiamenti costruiti presso Novo Selo per 500 rangers statunitensi e le loro famiglie, che vi saranno insediati in modo permanente, con una spesa prevista di 62 milioni di dollari nei successivi due anni. Altri 2.500 soldati si alterneranno nelle altre basi secondo un principio di rotazione.

L’espansione militare USA/NATO nella regione del Mar Nero si protende secondo quattro direttive. A spiegarlo in maniera concisa ma esauriente è stato Vakhtang Maisaia, presidente dell’Associazione per la Politica Estera della Georgia, sul Georgian Times del 2 aprile 2008:
“Il Mar Nero è una vitale area geostrategica per l’Alleanza Atlantica in combinazione con la missione ISAF in Afghanistan, le operazioni di carattere logistico in Darfur, la missione di addestramento NATO in Irak e le operazioni per il mantenimento della pace in Kosovo…”.

L’esempio dell’Ucraina

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Uno sguardo più attento all’evolversi della situazione nelle aree interessate, dovrebbe indurre a maggiore prudenza molti entusiasti sostenitori di una presunta “vocazione” della nuova amministrazione USA alla composizione dei conflitti tuttora in corso con la Russia e con altri protagonisti della scena internazionale, i quali danno per scontata la sua accettazione incondizionata di un nuovo orizzonte multipolare delle relazioni internazionali, in cui non ci sia posto per le scelte avventurose che hanno caratterizzato la precedente presidenza Bush.
Se ci limitiamo, ad esempio, ad esaminare alcuni sviluppi degli avvenimenti in Ucraina, il grande paese europeo considerato da sempre strategico per gli interessi USA e oggetto, da lunghi anni, di pressioni e condizionamenti esterni, possiamo trarre la conclusione che il tentativo di “forzare i tempi” della sua integrazione nell’orbita occidentale non si è certo definitivamente arrestato, che le speranze di un’accelerazione dei progetti di “colonizzazione” e asservimento militare a suo tempo intrapresi continuano ad essere coltivate, approfittando anche della profonda crisi economica in cui versa l’ex repubblica sovietica, sull’orlo della bancarotta.
Anche il notevole sviluppo del movimento anti-NATO (per iniziativa, in particolare, del Partito Comunista di Ucraina e di altre forze di sinistra), a cui si è assistito in questi ultimi giorni, con grandi manifestazioni in diverse parti del paese (in particolare in Crimea, scenario potenziale di un pericoloso scontro tra le forze navali di Mosca e di Washington), sta lì a dimostrare che la consapevolezza del pericolo di definitivo assoggettamento al “carro americano” è ben presente in larghi strati dell’opinione pubblica ucraina, che non ha certo abbassato la guardia, neppure dopo l’avvento di Obama alla presidenza.
Rivelatrice dell’incertezza di un futuro di “distensione” della politica USA in quest’area, appare, ad esempio, l’intervista al quotidiano francese Le Figaro, in cui, nei giorni scorsi, il principale ispiratore della politica estera “democratica” verso il mondo ex sovietico, Zbigniew Brzezinski, si è espresso per l’apertura di “sedi di dialogo” con Mosca, ma ha anche precisato che l’approccio negoziale deve avvenire nel contesto di una concezione delle relazioni con la Russia e gli stati dell’ex URSS, che non lascia spazio a dubbi interpretativi: “L’inizio del dialogo con la Russia non può avvenire a costo di limitare le aspirazioni di quei paesi che vogliono aderire alla NATO – come l’Ucraina e la Georgia – soprattutto perché l’Ucraina, in quanto membro della NATO, spianerebbe la strada alla democratizzazione della Russia”. Ancora una volta, Ucraina, Georgia (e altri stati dell’ex URSS) dirette da elite fedeli ai valori di “missione di civiltà” della potenza USA, integrate militarmente nel blocco imperialista, e garanti degli interessi USA contro una Russia ricondotta a più miti consigli e disposta a trattare (o meglio, a collaborare) alle condizioni imposte. E’, tra l’altro, non privo di significato che l’intervista sia stata diffusa contemporaneamente al diffondersi di voci circa la nomina del figlio dello stesso Brzezinski ad ambasciatore a Varsavia, capitale di un paese che da secoli nutre velleità egemoniche sugli stati slavi europei limitrofi alla Russia (Bielorussia e Ucraina) e che, più di tutti, ha operato, negli ultimi anni, a favore di una politica aggressiva nei confronti dell’amministrazione russa, in perfetta sintonia con gli orientamenti della politica estera USA.
A metà febbraio, nel corso di una visita in Georgia, il portavoce del Dipartimento di Stato USA, Robert Wood, pur con toni meno aggressivi di quelli che caratterizzavano l’era Bush, richiesto di un parere circa un possibile cambiamento dell’atteggiamento della nuova amministrazione Obama nei confronti dell’adesione di Georgia e Ucraina all’Alleanza Atlantica, ha risposto che gli Stati Uniti “sono ancora impegnati nel migliorare e rafforzare le relazioni della NATO” con i due paesi. E ha concluso: “A quanto ne so, non c’è stato alcun cambiamento della posizione rispetto alla dichiarazione di Bucarest (dei leader della NATO, in aprile 2008): è evidente che questi due paesi saranno membri della NATO”.
(…)
Nel frattempo, prosegue incessante la stretta collaborazione degli USA con il governo di Kiev (peraltro alle prese con una drammatica crisi di credibilità presso l’opinione pubblica del proprio paese) per garantire, come sottolinea il 21 febbraio l’analista politico ucraino Viktor Pirozhenko nel sito russo del Fondo di Cultura Strategica, “un’adesione silenziosa, non formale alla NATO dell’Ucraina”, che viene considerata “membro de facto dell’alleanza, anche in assenza di una formalizzazione giuridica”. A tal scopo, sottolinea Pirozhenko, è previsto un drastico incremento del numero degli osservatori statunitensi e una sostanziosa crescita dell’appoggio finanziario da parte USA a innumerevoli organizzazioni non governative ucraine (quelle, tanto per intendersi, che hanno svolto un ruolo decisivo nella vittoria della “rivoluzione arancione” alla fine del 2004).
In effetti, pur non essendo formalmente membro della NATO, con la presidenza di Juschenko, l’Ucraina assolve praticamente agli stessi obblighi previsti per i membri a pieno titolo dell’alleanza militare. Ad esempio, lo spiegamento ai confini della Russia di parte consistente delle formazioni militari di Kiev, ha rappresentato, come ha dichiarato, nel dicembre 2008, il Capo di Stato Maggiore S. Kirichenko, “il rafforzamento delle frontiere della NATO, fino alla linea di confine ucraino-russa” . Un altro passo che sancisce l’adesione di fatto alla NATO si è registrato con l’accordo, siglato dal ministro della difesa Jekanurov, che permette il transito e la dislocazione delle forze e del personale dell’alleanza su tutto il territorio nazionale.
Un altro esempio viene dalla ratifica, il 18 febbraio, da parte del parlamento ucraino dei “protocolli aggiuntivi” al “Memorandum di intesa” siglato dal governo e dalla NATO, che prevede l’installazione di un “Centro di Informazione e Documentazione della NATO” e la dislocazione in tutto il paese di ufficiali di collegamento del blocco militare.
“Se l’Ucraina continuerà ad adempiere fedelmente agli obblighi previsti per tutti i paesi membri della NATO, pur continuando a stare fuori dall’alleanza” – conclude l’analisi di Pirozhenko – “alla fine, i partners europei (riluttanti) degli Stati Uniti si convinceranno che l’Ucraina dovrà essere ammessa, senza osservare le procedure normalmente richieste, ma semplicemente legittimando la situazione esistente”.

Da Si è arrestata l’espansione della NATO ad est?, di Mauro Gemma.
[grassetto nostro]

Anniversario osseto

saakashvili

Mosca, 4 agosto – A tre giorni dal primo anniversario dalla guerra-lampo tra Russia e Georgia, scoppiata il 7 agosto 2008, continua ad aggravarsi il clima di confronto tra le due Repubbliche ex sovietiche: al punto che il presidente georgiano Mikheil Saakashvili non ha esitato a bollare come “preoccupanti” le manovre militari del Cremlino nella provincia ribelle dell’Ossezia del Sud, ammonendo che “esiste un rischio” di “conflitto imminente”, come del resto lo descriverebbero gli stessi mass media russi.
Dal canto suo il ministero degli Esteri di Mosca ha reso noto che è stato “innalzato lo stato di allerta da combattimento delle truppe e delle guardie di frontiera” di stanza in territorio sud-ossetino: il portavoce ministeriale Andrei Nesterenko ha definito la situazione “molto allarmante”, imputandola alle “incessanti provocazioni georgiane”. Nesterenko ha precisato che per la Russia “al momento l’obiettivo prioritario consiste nel non permettere un aggravamento” della tensione, scongiurando che degeneri “in un confronto peggiore”; e ha sottolineato che il suo Paese “farà di tutto per evitarlo”.
Il vice ministro degli Esteri, Grigory Karasin, dal canto suo ha però accusato apertamente gli Stati Uniti di “ricoprire il ruolo principale nel riequipaggiamento della macchina da guerra georgiana”; e ha ammonito che Mosca non chiuderà più un occhio se gli USA “continueranno ad armare un regime imprevedibile con la scusa di voler rafforzare la giovane democrazia” di Tbilisi.
(AGI)

Se le cose dovessero volgere al peggio, auspichiamo vivamente che l’esercito russo punti diritto su Tbilisi al fine di destituire il buffone inNATO e metterlo così nelle condizioni di non nuocere ulteriormente, prima di tutto al suo Paese.

NATO: breve riassunto delle puntate precedenti, in attesa del Vertice 2009

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A seguito della caduta del Muro di Berlino, nel 1991 la NATO ha stabilito il suo Nuovo Concetto Strategico il cui obiettivo principale era di integrare progressivamente all’interno dell’Alleanza Atlantica tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica, oltre che di edificare quello che sarebbe stato definito il pilastro europeo della NATO.
Con l’aggiornamento di tale Concetto Strategico portato a termine nel 1999, la NATO ha posto il terrorismo come minaccia prioritaria, arrogandosi il diritto di intervenire in prima persona senza alcun mandato assegnato dalle Nazioni Unite.
Nel 2002, il Vertice tenutosi a Praga ha deciso la creazione di una forza militare di intervento rapido sotto l’egida della NATO.
A distanza di quattro anni, nel 2006, il Vertice di Riga ha partorito una Direttiva Politica Globale che confermava e rafforzava l’evoluzione in atto.
La Dichiarazione del Vertice di Bucarest, dello scorso aprile 2008, ha sottolineato la necessità di sviluppare forze capaci di condurre operazioni militari anche al di fuori del territorio dell’Alleanza Atlantica, “alla sua periferia ed a distanza strategica”.
Leggendo i documenti ufficiali della NATO dalla sua fondazione ad oggi, è possibile constatare come la logica geografica di difesa di un territorio, nel rispetto delle decisioni prese all’ONU, è scomparsa lasciando libero campo alla volontà di affermare valori ed interessi comuni – mai esplicitamente delineati – tramite interventi di natura preventiva in ogni angolo del mondo e senza la necessità di uno specifico mandato dell’ONU.
Da scudo, la NATO è divenuta una spada, od anche una lancia.
La Georgia è il caso più recente ed eclatante. Già da qualche anno, il Paese caucasico gode di un accordo individuale di cooperazione con la NATO. Dopo l’attacco dell’estate 2008 all’Ossezia del Sud, che ha causato centinaia di morti fra i civili e distruzioni innumerevoli, l’Alleanza Atlantica ha espresso il suo sostegno alla Georgia addossando la responsabilità dell’offensiva alla Russia e concedendo un sostanzioso aiuto finanziario per il ripristino della capacità militare georgiana. A tal fine, nulla è valso il fatto che la Georgia non faccia (ancora) formalmente parte della NATO.
La collaborazione privilegiata tra la NATO ed Israele, formalizzata lo scorso dicembre con la firma del Programma Individuale di Cooperazione, è dal canto suo un esempio concreto di aggiramento dei limiti geografici imposti dal Trattato fondativo del 1949, in nome di una affinità ideologica, e di una cooperazione sottratta al controllo degli Stati membri.

Tutte le informazioni utili sulle iniziative organizzate a partire da oggi a Strasburgo-Kehl, in coincidenza con il Vertice NATO 2009, le trovate qui.

L’agente Sion

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Riceviamo il seguente comunicato del Comité comprendre et agir contre la guerre di Marsiglia e volentieri pubblichiamo.

Nel confermare a Gaza, nella maniera più bieca, di aver sempre perseguito una politica volta all’eliminazione totale della presenza palestinese nella terra di Palestina, lo Stato sionista rivela al mondo intero la sua natura di stato guerresco, razzista e reazionario. Le sofferenze che esso infligge al popolo palestinese mostrano l’orribile realtà di questa Stato che, fondato dall’ONU, continuamente insulta l’ONU.

Stato guerrafondaio
In guerra permanente, Israele – 6 milioni di abitanti, pari cioè ad un millesimo della popolazione mondiale – è un attore importante del mercato mondiale delle armi: 6° importatore e 12° esportatore. Queste cifre sono da prendere con cautela, perché inficiate dalla profonda interconnessione tra il complesso militar-industriale statunitense ed il suo fratello minore israeliano (interconnessione voluta ed organizzata dal potere statunitense).
Per esempio: General Dynamics, uno dei grandi produttori di armi degli USA, è proprietario al 25% di Elbit, che è il secondo produttore di armi israeliane. Bisogna dunque imputare il 25% delle vendite di armi del primo allo Stato del secondo?
Armi di distruzione di massa: Israele possiede tante armi nucleari quanto quelle dell’India e del Pakistan messe insieme. Dispone, inoltre, di armi chimiche e batteriologiche. Israele consacra il 9% del suo prodotto interno lordo alla guerra: una delle cifre più elevate in tutto il mondo.

Stato reazionario su scala mondiale
Da più di 60 anni in guerra con i Palestinesi e gli Stati vicini, che di volta in volta hanno tentano di sostenerli, Israele ha sviluppato tecnologie ed industrie di guerra che vende al mondo intero. Questa attività permanente e costitutiva dello Stato sionista assume forme diverse:
– vendita di materiali di guerra o di sorveglianza poliziesca o di spionaggio;
– addestramento di personale alla lotta antiguerriglia;
– inquadramento di milizie paramilitari nei Paesi dove il regime al potere è minacciato da rivolte popolari.

Ecco qualche esempio tra i numerosi :
– Colombia: le competenze sioniste sono state messe al servizio del narco-presidente Uribe per aiutarlo a distruggere la guerriglia delle FARC;
– Georgia: i consiglieri militari israeliani hanno addestrato l’esercito georgiano per l’attacco dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia ed hanno installato sul suolo georgiano basi missilistiche che possono attentare la sicurezza dell’Iran;
– Azerbaigian: addestramento di ufficiali in Israele;
– India: Israele è il secondo fornitore di armi dell’India ed i gruppi induisti «fondamentalisti» sono addestrati da agenti israeliani per organizzare azioni di terrorismo contro la popolazione musulmana;
– Pakistan: nell’attuale operazione di destabilizzazione del Paese che ha come obiettivo la distruzione dell’armamento nucleare pakistano, battezzato dai sionisti come «la bomba atomica musulmana», i servizi segreti sionisti giocano un ruolo molto attivo;
– Sri Lanka: consiglieri israeliani aiutano il governo di Colombo nella lotta di sterminio dei ribelli Tamil;
– Sudan: consiglieri israeliani hanno formato i ribelli del Sud del paese per aiutarli a far cadere il regime di Khartum che ha sempre sostenuto i Palestinesi;
– Stati Uniti: la sorveglianza del muro di 3.500 km che separa gli USA dal Messico è assicurata da materiale israeliano.

Spesso accade che Israele, dietro le quinte, faccia il lavoro sporco di vendere le armi a contro-rivoluzionari quando gli USA vogliono «mantenersi le mani pulite». Ci ricordiamo, ad esempio, che nell’operazione segreta «Irangate» alcuni intermediari israeliani fornirono armi statunitensi all’Iran per evitare che l’Irak vincesse la guerra e che con il ricavato della vendita questi intermediari, su richiesta degli USA, consegnarono armi alla controguerriglia nicaraguense.

Questo commercio della morte è tanto più fiorente, quanto questi strumenti e queste tecnologie vengono sperimentate su bersagli palestinesi vivi.
Solo la disfatta dello Stato sionista può mettere fine a questo mercato insanguinato.
Lo Stato sionista non è soltanto il boia del popolo palestinese, esso è anche un ingranaggio importante della contro-rivoluzione mondiale orchestrata dagli USA.
La lotta accanita del popolo palestinese con lo Stato sionista, che essa inizia a far vacillare, è un punto chiave della lotta mondiale contro la catastrofe capitalista in corso.

Una nuova Irlanda per fermare la NATO

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La scorsa settimana, a Bruxelles presso la sede della NATO, si sono riuniti i Capi di Stato Maggiore di più di 60 Paesi, membri dell’alleanza o semplicemente associati in uno dei vari accordi di partenariato che la stessa ha instaurato. Il cosiddetto “Incontro Autunnale” del Comitato Militare della NATO è stato presieduto dall’ammiraglio Giampaolo Di Paola e, fra i tanti argomenti all’ordine del giorno, si è occupato anche della cooperazione militare fra l’Alleanza Atlantica e l’Ucraina; al proposito, l’ammiraglio Di Paola si è congratulato con il rappresentante ucraino, generale Serhiy Kyrychenko [vedi foto], affermando che “non c’è nessun partner della NATO che dia un contributo così forte a tutte le missioni ed operazioni dell’alleanza come l’Ucraina”.
Questa sottolineatura giunge soltanto pochi giorni prima dello svolgimento del cruciale Consiglio Nord Atlantico a livello di Ministri degli Esteri che si terrà il 2 e 3 dicembre. In tale occasione, si riuniranno anche le commissioni bilaterali NATO-Georgia e NATO-Ucraina per decidere se offrire ai due Paesi ex sovietici l’ingresso nell’alleanza, attraverso la sottoscrizione di un apposito Membership Action Plan (MAP).
Casca quindi a fagiolo l’arguto commento dell’ex Primo Ministro slovacco, Jan Carnogursky. Egli richiama il no irlandese al Trattato di Lisbona, che, in ambito di Unione Europea, avrebbe dato alla burocrazia comunitaria il potere di prendere decisioni chiave per il futuro dei popoli del Continente, abolendo il diritto di veto da parte dei singoli Paesi. L’affossamento del Trattato ad opera del referendum d’Irlanda ha quindi permesso che l’UE continui ad operare ancora oggi sulla base del principio di unanimità quando chiamata a deliberare su questioni decisive.
Secondo Carnogursky, la situazione si sta ripetendo in modo identico riguardo l’espansione della NATO. Gli Stati Uniti stanno spingendo Georgia ed Ucraina ad entrare nell’alleanza e, come per il Trattato di Lisbona, dal sistema informativo globale è ritenuto politicamente corretto sostenere la piena adesione allo schieramento atlantico di questi due Paesi. Carnogursky ricorda però come l’espansione della NATO sia avvenuta contraddicendo platealmente le promesse che – prima Ronald Reagan, poi Bush senior – fecero all’epoca a Mikhail Gorbaciov. I capi sovietici furono così “ingenui e creduloni” da non pretendere che tali impegni venissero messi nero su bianco. Alcuni anni dopo effettivamente fu adottato un “Atto Fondamentale sulle relazioni comuni, la cooperazione e la mutua sicurezza tra la NATO e la Russia”, ma in esso ci si limitava ad una generica raccomandazione secondo la quale le parti non avrebbero mai dovuto intraprendere azioni che potessero minacciare la sicurezza europea, senza prima consultarsi con l’altra per ottenerne l’approvazione. L’ulteriore espansione ad est della NATO è ormai storia.
In vista dell’imminente incontro dei Ministri degli Esteri NATO, l’ex premier slovacco ritiene che molti Paesi europei siano convinti che né l’Ucraina né la Georgia (tantomeno dopo l’aggressione all’Ossezia del Sud della scorsa estate) soddisfino i criteri per l’adesione, ma che nessuno l’abbia detto alto e forte. Ad osare di bloccare l’ingresso degli aspiranti membri, a dare il proprio voto negativo in ambito NATO potrebbe essere la Slovacchia, con il consenso della maggioranza dei propri cittadini. Si eviterebbero così ulteriori problemi per l’Europa e, favorendo una ripresa della declinante fiducia russa verso le istituzioni europee, la Slovacchia potrebbe diventare “un autorevole mediatore tra l’Europa occidentale e quella sudorientale”.
Ma ci vuole coraggio, conclude Carnogursky rivolgendosi ai connazionali.

IMPORTANTE AGGIORNAMENTO:
colti da un soprassalto di coraggio (?!), pare che Francia, Germania ed altri Paesi Europei, alla vigilia del Consiglio Nord Atlantico a livello di Ministri degli Esteri NATO dei prossimi 2 e 3 dicembre, abbiano comunicato al Segretario di Stato USA Condoleezza Rice il proprio disaccordo riguardo l’avanzamento del processo di adesione di Georgia ed Ucraina all’Alleanza Atlantica.
Qui la notizia come riportata dall’agenzia di stampa RIA Novosti.

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Gli abitanti di Sebastopoli, città ucraina della Crimea con il 97% dellla popolazione di etnia russa, hanno espresso il loro gradimento all’ingresso nella NATO ed alle campagne propagandistiche intraprese dal governo.

“Un’altra questione spinosa che grava sul futuro della NATO è quella del suo immediato vicinato, ed in particolare il vasto e variegato spazio post-sovietico. È ormai escluso che la riunione di dicembre si concluda con l’offerta del MAP a Georgia e Ucraina. L’amministrazione Bush stessa sembra aver ripiegato sul compromesso detto del “MAP without MAP”: un progresso sostanziale nella cooperazione attraverso le Commissioni NATO-Georgia e NATO-Ucraina in vista di un futuro ingresso dei due Paesi nell’Alleanza, senza che il MAP sia formalmente attivato. Anche il raggiungimento di questo compromesso, tuttavia, non è assicurato. La Germania, ad esempio, insiste che una decisione sul MAP debba comunque essere presa prima o poi e si oppone insieme alla Francia a “scorciatoie” per l’ingresso nell’Alleanza.
Forse più decisiva di ogni altra considerazione, tuttavia, rimane la situazione interna dei due Paesi, che pare molto lontana da quella ideale per procedere speditamente verso la membership. In Ucraina l’instabilità politica è crescente e la posizione pro-occidentale ed atlantista del presidente Yushchenko sembra sempre più isolata. In Georgia, il contenzioso su Abkhazia e Ossezia del Sud rimane un macigno enorme sulla strada dell’adesione. A livello politico, poi, la posizione di Saakashvili si è sensibilmente deteriorata all’interno per l’esito catastrofico della guerra mentre la sua leadership pare sempre più screditata anche in Occidente, in particolare a seguito delle accuse di corruzione e le ombre crescenti sul suo ruolo nello scatenamento della crisi di agosto.”
Tratto da Tanti punti interrogativi sulla torta di compleanno della NATO, di Emiliano Alessandri, consulente alla ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma.

misha

Tbilisi, 28 novembre – Il presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha respinto le critiche che gli sono state rivolte per aver deciso di attaccare l’Ossezia meridionale lo scorso agosto. Ha giustificato il provvedimento dicendo che era necessario per la sicurezza nazionale. ”Sì, abbiamo deciso di intraprendere azioni militari a Tskhinvali”, ha detto Saakashvili prima di testimoniare davanti alla commissione parlamentare sul conflitto. ”E’ stato difficile prendere una decisione simile – ha continuato il presidente – ma qualsiasi governo l’avrebbe fatto per non mettere in pericolo i propri cittadini”.
(ASCA-AFP)

Tre giorni dopo…
Bruxelles, 2 dicembre – Il presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, ha esortato l’Occidente a non normalizzare i rapporti con la Russia se prima non si saranno accertate le responsabilità e le cause della guerra di agosto. Saakashvili, in un’intervista al Wall Street Journal, ha ribadito che l’esercito georgiano si limitò a rispondere all’aggressione della Russia.
(AGI)

rogozin

Mosca, 3 dicembre – Il rappresentante russo alla NATO, Dmitry Rogozin, ha affermato in un’intervista che per la NATO avere buoni rapporti con la Russia è molto più importante dell’ammissione di Georgia e Ucraina nell’Alleanza. I membri della NATO ”credo che non dimenticheranno la Georgia e l’Ucraina, ma ritengono necessario risolvere le questioni con la Russia ora”, ha detto Rogozin. ”La NATO è molto interessata a portare avanti operazioni in collaborazione con la Russia, la cui riuscita è di vitale importanza”, ha aggiunto Rogozin riferendosi al supporto logistico dispensato da Mosca per la missione dell’Alleanza in Afghanistan. Ha poi supposto che la NATO ritirerà gradualmente l’idea di ammettere nel Trattato la Georgia e l’Ucraina, prospettiva ”non acclamata da nessuno dei Paesi membri”. ”Ovviamente non potranno cambiare idea e far vedere che hanno agito in questa direzione perchè messi sotto pressione da Mosca – ha spiegato il rappresentante russo – per cui scriveranno dei comunicati di cortesia, faranno altre promesse a Georgia e Ucraina, forse parlando del loro futuro nell’Allenza. Non verranno però prese decisioni radicali”.
(ASCA-AFP)

Qui altri dettagli dell’intervista rilasciata al quotidiano Kommersant.

Avvistato famigerato mostro a Bruxelles!
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Da sinistra a destra: Eka Tkeshelashvili (Ministro degli Affari Esteri, Georgia) a colloquio con Kinga Goncz (Ministro degli Affari Esteri, Ungheria) ed il Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer.

Bruxelles, 3 dicembre – La NATO è pronta a dialogare sulla sicurezza europea, ma ”è escluso che possa negoziare la propria dissoluzione”: lo ha detto il segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer, interpellato sulla proposta lanciata dal presidente russo Dmitri Medvedev per una nuova architettura europea ”condivisa” che dovrebbe superare il ”NATO centrismo”.
Nel merito della proposta – lanciata dal presidente russo ad Evian l’ottobre scorso – Scheffer ha fatto notare che ”sono necessari molti chiarimenti” per capire cosa esattamente si intende.
‘Se Medvedev concorda che l’OSCE è il forum giusto per discutere di tutto questo, noi siamo pronti a farlo, ma apprezzeremmo più sostanza”, ha sottolineato Scheffer.
In ogni caso, la NATO ”è piuttosto contenta dell’architettura di sicurezza esistente in Europa” e ritiene che questa architettura ”debba restare intatta”.
(ANSA)

Helsinki, 4 dicembre – (…) Intanto secondo gli USA “le proposte di Mosca di un nuovo patto di sicurezza in Europa sono ridondanti e sono un tentativo di indebolire la NATO”. Lo ha detto il vice-segretario di stato, Mattew Bryza. “Non c’è bisogno di una nuova architettura e questo è alquanto trasparente”, ha detto.
(AGI)

Niente NATO? Addio poltrona
Tbilisi, 5 dicembre – Rimpasto di governo in Georgia. A quattro mesi dalla devastante guerra con la Russia, il premier georgiano, Grigol Mgaloblishvili, ha annunciato di aver rimosso il ministro della Difesa, David Kezerashvil, e quello degli Esteri, Eka Tkeshelashvili [a sinistra nella foto sopra, solo due giorni fà… – ndr].
(AGI)

yushchenko

“Similmente dovrebbe essere considerato il lungo cammino dell’Ucraina verso la NATO e le speranze degli attuali dirigenti ucraini di entrare a far parte del blocco atlantico. Qui esiste una seria contraddizione nella legislazione del Paese. La Costituzione ucraina indica che il Paese è uno Stato pienamente indipendente ed è proibita la collocazione di basi militari straniere sul proprio territorio. Tuttavia, nei progetti principali del Governo ucraino c’è la prossima integrazione Euro-Atlantica. “La NATO è al centro della comunità trans-Atlantica. Utilizziamola e facciamone buon uso”, ha dichiarato pochi giorni orsono Jaap de Hoop Scheffer al “Deutsche Welle”. Il discorso del Segretario Generale della NATO rappresenterebbe una spinta per tutti i programmi NATO in Ucraina. Come gli Stati Uniti e molto più che tutti gli altri componenti dell’Alleanza, il Segretario della NATO è favorevole ad un pronto ingresso di Ucraina e Georgia nella NATO. Ma le sue parole non rappresentano semplicemente la posizione delle rappresentative occidentali.
(…)
L’aspetto più importante è la volontà del popolo. Secondo i dati provenienti da una ricerca di sociologia, meno del 20% dei cittadini dell’Ucraina appoggiano l’entrata del proprio Paese nella NATO. Esiste anche il rischio che l‘ingresso nella NATO non venga discusso nei termini di un referendum nazionale, come è avvenuto in alcuni paesi dell’Europa Centrale, oppure è possibile che le modalità o i risultati di questo referendum vengano manipolati, come è accaduto diverse volte nelle elezioni.”
Tratto da La marcia dell’Ucraina verso la NATO si è arrestata, di Andrej Kovalenko.

hillaryclinton

ROMA, 11 dicembre – ”L’imminente passaggio dei poteri presidenziali a Barack Obama negli Stati Uniti è scandita dai dibattiti dei vertici della NATO e dell’Unione Europea di questi giorni. Non si decide nulla, ma iniziano ad emergere le grandi linee della politica”, rileva in una nota Enrico Jacchia, responsabile del Centro di Studi Strategici.
”Alla NATO, la settimana scorsa, l’ultimo affondo dell’Amministrazione Bush per l’ammissione dell’Ucraina e della Georgia si è scontrato con una opposizione generale, cortese ma non per questo meno ferma. Dal futuro Presidente ci si può attendere un atteggiamento più conciliante che non irriti ulteriormente i russi. Ma il suo Segretario di Stato designato, Hillary Clinton, ci può presentare qualche sorpresa.
(…)
”La Commissione Europea ha fatto anch’essa il suo ultimo inopportuno affondo. Ha proposto di allargare ulteriormente ad una dozzina di Stati dell’Est europeo, tra cui le riottose repubbliche del Caucaso, le relazioni privilegiate con Bruxelles. Un’altra spina nel fianco del Cremlino, che si aggiunge alle sempre più pressanti rivendicazioni dei Paesi baltici, esercitate sul drappello dei futuri collaboratori del Presidente americano eletto.
”L’altro ieri, un grande inserto a pagamento di un quarto di pagina pubblicato sul New York Times e i principali giornali d’oltreoceano ha chiesto niente meno che lo stazionamento di truppe NATO e la diaspora forzata in altri Paesi del milione e 500 mila russi attualmente in Lettonia ed Estonia. ”Se questi governi baltici non stanno attenti, possono subire una reazione di Mosca che farà loro male. E noi, che li abbiamo accolti nella NATO e nella UE – conclude Jacchia – dovremo correre ai ripari”.
(ANSA)

Trofei – raccolto epico in Georgia

E’ la la prima volta nella storia moderna che un esercito vittorioso miete un tale raccolto di trofei, sufficienti ad equipaggiare almeno 6.000 soldati. I georgiani hanno lasciato tutti i loro nuovi equipaggiamenti a più affidabili custodi. E non solo gli equipaggiamenti ma anche documenti, video, fotografie, istruzioni tecniche e persino le registrazioni di telefonate riservate…

Autore di questo documentario – qui presentato in tre parti – è Arkadij Mamontov, un giornalista investigativo famoso per i suoi scoop, molti dei quali hanno dimostrato il coinvolgimento dell’Occidente nel Caucaso, nelle rivoluzioni colorate, in Cecenia. Mamontov realizza un programma chiamato “Inviato speciale” su Rossija, una delle due emittenti televisive nazionali russe che copre anche il territorio delle ex repubbliche sovietiche ed è seguita da circa 50 milioni di spettatori.

Il filmato, dunque, viene dalla “aggressiva, autoritaria ed irrilevante” Russia.
Condy dixit.

“La guerra con la Russia era evitabile”

Tbilisi, 29 settembre – Ha deciso di lasciare l’incarico Erosi Kitsmarishvili, finora ambasciatore georgiano a Mosca: lo ha annunciato lui stesso, affermando di non poter più lavorare per il governo del presidente Mikheil Saakashvili, a suo dire colpevole di “non aver fatto nulla per evitare la guerra con la Russia”. Richiamato in patria l’11 luglio scorso, meno di un mese prima dell’inizio delle ostilità, secondo il diplomatico “se la Georgia avesse speso per la prevenzione del conflitto anche solo l’uno per cento dei fondi assegnati alle spese militari, i risultati avrebbero superato le migliori aspettative“.
Al settimanale ‘Kviris Palitra’ l’ex ambasciatore in Russia ha dichiarato che governanti e alti diplomatici occidentali avevano cercato di dissuadere Saakashvili dall’uso della forza per risolvere la disputa con Abkhazia e Ossezia del Sud, ma che gli avvertimenti avevano breve effetto e “la retorica militaristica prendeva sempre il sopravvento”. Stando a Kitsmarishvili, le cose sarebbero inoltre potute andare diversamente se fosse stato ancora vivo Zurab Zhvania, il precedente primo ministro. “Zhvania non è morto per cause naturali, si è trattato di omicidio”, denuncia il diplomatico sul giornale, pur precisando di “non saper dire chi ha beneficiato della sua morte”.
(AGI)

Fabio Mini su Vicenza e dintorni

 

Da un’intervista con Il Giornale di Vicenza:

Allora, che base sarà?
Se l’America non cambia strategia e se mantiene questa visione anacronistica, Vicenza è condannata ad essere una punta avanzata della proiezione militare Usa nel mondo.
Che ruolo giocherà rispetto ai rapporti di politica estera tra Italia e Usa?
Nullo, come nel passato. Sarà la conferma che l’Italia non partecipa al dibattito sulle strategie e sulla sicurezza regionale. Non è una novità.
Cosa pensa del possibile allargamento della NATO fino ai confini della Russia?
Doveva essere uno strumento per aiutare le democrazie deboli e creare un’ampia area di sicurezza e sviluppo in Europa. Per il bene di tutti, e questa volta con la Russia, e non contro. É invece diventato uno strumento col quale la NATO appare provocatoria e aggressiva e gli Stati deboli possono ricattare la NATO. Tutto questo serve soltanto a resuscitare la guerra fredda e non è l’obiettivo che ci si era posti dopo il crollo del Muro.
Come si posiziona la nuova base alla luce degli ultimi conflitti in Georgia?
Come dimostrazione del suo anacronismo. Mentre noi discutiamo a Vicenza su una base militare destinata a soldati pronti al combattimento ovunque e posta al centro di una città d’arte, da cui comunque ci vorranno 24 ore per intervenire in caso di emergenza, tutti i paesi dell’est europeo tentano di convincere amici e alleati a schierarsi militarmente da loro, convinti che i problemi di convivenza con la Russia siano risolvibili solo con le armi. Ci sono altri Paesi, come la Georgia,
che per costringere l’occidente all’azione contro la Russia sono disposti a scatenare un’altra corsa agli armamenti e a distruggere quel poco di sicurezza raggiunta anche grazie agli americani in Europa.
Dobbiamo impedire che questa mentalità impostata sull’intervento armato prevalga e dobbiamo sviluppare un vero soft power in grado di far riflettere prima di agire a vanvera sia gli alleati che i competitori, grandi e piccoli. La dislocazione delle basi americane e NATO deve diventare un elemento di tale soft power e non una nuova minaccia armata. Il problema tuttavia non è soltanto americano. L’Europa potrebbe fare molto, per adesso sta cercando di spacciare per soft power soltanto la propria incertezza. Per questo gli americani si sentono costretti a ricorrere continuamente alla forza in nome e per conto di tutti. Oggi sarebbe il tempo di convincere gli europei ad assumersi qualche responsabilità nella sicurezza continentale e far capire agli americani che i tornei di bocce e i concerti che le basi organizzano per farsi benvolere da tedeschi e italiani sono più utili altrove.”

Qui un breve resoconto della serata presso il Teatro Astra del capoluogo berico che ha visto lo stesso generale Mini protagonista, lo scorso venerdì 19 settembre.

Sputa il rospo, Jaap!

Bruxelles, 15 settembre – In un’intervista al Financial Times il segretario generale della NATO Jaap De Hoop Scheffer, definisce ”non accettabile” l’accordo siglato tra Unione europea e Russia sul ritiro delle truppe russe dalla Georgia.
In particolare Scheffer ritiene che il dispiegamento di alcune migliaia di soldati russi in Ossezia del Sud ed Abkhazia, le due regioni separatiste georgiane rappresenti una rottura rispetto alla situazione precedente l’inizio della guerra tra Georgia e Russia.
”Se i russi staranno in Ossezia del Sud con così tante forze, non considero ciò un ritorno allo status quo”, ha detto Scheffer citato dal quotidiano. ”L’opzione di tenere le forze russe in Ossezia del sud e Abkhazia non è accettabile”.
La scorsa settimana il ministro degli Esteri russo ha annunciato che 7.600 truppe russe stazioneranno nelle due regioni separatiste. ”Lasciatemi dire che questo è molto difficile da ingoiare”, ha sottolineato Scheffer.
(ANSA)

A partire da oggi, De Hoop Scheffer sarà per una due-giorni in Georgia alla guida di una delegazione composta dai rappresentanti di tutti i ventisei Paesi membri della NATO.
All’ordine del giorno i colloqui con Saakashvili ed alti funzionari governativi per l’ammissione della Georgia al Membership Action Plan (MAP), che dovrebbe traghettare il Paese caucasico verso la piena adesione alla NATO. In programma anche incontri con i partiti di opposizione e le organizzazioni non governative, nonché una visita all’università statale di Tbilisi (erudizione pupi).

Intanto Mahdi Darius Nazemroaya, autore dell’articolo con il quale abbiamo inaugurato il blog, presenta su globalresearch alcune significative fotografie di contractors statunitensi che addestrano i militari georgiani alla preparazione di atti di sabotaggio, come quello avvenuto ieri ai danni di un veicolo per il trasporto di truppe russe in Abkhazia.
Qui le immagini con un commento introduttivo.

Tbilisi, 16 settembre – La strada per la Georgia che conduce alla NATO “è completamente aperta”. Lo ha affermato il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, a Tbilisi per la sua missione di solidarietà al paese. “Non permetteremo ad altri Paesi di rompere i legami tra noi e loro. Il processo di allargamento della NATO continuerà – ha affermato incontrando nel suo secondo giorno di visita avvocati e studenti – e nessun paese metterà il veto”.
Ieri Scheffer insieme al presidente georgiano Mikheil Shakashvili ha istituito ufficialmente la Commissione NATO-Georgia. Scheffer non ha comunque dato il ‘timing’ dell’ingresso della Georgia nell’alleanza. A dicembre i ministri degli Esteri della NATO si riuniranno per esaminare se la Georgia abbia le caratteristiche per aderire alla NATO e farà le sue raccomandazioni. Scheffer ha infine sottolineato l’importanza della scelta di Tbilisi, fatta ad aprile alla riunione di Bucarest, come sede di un Consiglio dell’Alleanza atlantica, decisione, ha detto “che concretizza il sostegno dell’organizzazione al Paese”.
(AGI)

Il punto di vista russo
Mosca, 17 settembre – La visita in Georgia da parte di una delegazione ad altissimo livello della NATO, guidata dal segretario generale Jaap de Hoop Scheffer, ha un carattere “anti-russo” e dimostra la “mentalità da Guerra Fredda” che sussiste in seno all’Alleanza Atlantica: è quanto si afferma in un duro comunicato diramato oggi dal ministero degli Esteri di Mosca.
“Riteniamo che, nelle attuali circostanze, la missione della NATO a Tbilisi sia intempestiva e non assecondi gli interessi di una stabilizzazione nella regione”, recita la nota. “Le decisioni prese in tale occasione hanno confermato come nella NATO siano ancora operanti i riflessi dell’epoca della Guerra Fredda sul genere ‘noi e loro’, oppure ‘amici e nemici'”.
All’Alleanza la Russia imputa inoltre di aver voluto effettuare una stima dei danni di guerra soltanto in territorio georgiano, senza visitare allo stesso scopo l’Ossezia del Sud, provincia ribelle della quale il Cremlino ha unilateralmente riconosciuto l’indipendenza al pari di quella dell’altra entità secessionistica, l’Abkhazia. “Anti-russo”, in particolare, sarebbe stato il sopralluogo compiuto da de Hoop Scheffer nella strategica città di Gori, nel centro della Repubblica caucasica, teatro durante il conflitto dei combattimenti più aspri.
(AGI)

Mai a mani vuote

Washington, 3 settembre – L’amministrazione Bush annuncerà oggi un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari alla Georgia per aiutarla nella ricostruzione dopo il conflitto con la Russia. Lo ha detto un funzionario del governo USA.
L’annuncio sarà fatto stamani dal vicepresidente USA Dick Cheney, che è diretto nelle repubbliche ex sovietiche di Georgia, Azerbaigian e Ucraina, in un viaggio studiato per mostrare l’appoggio di Washington ai suoi alleati nella regione dopo l’intervento di Mosca a favore di due regioni separatiste della Georgia.
Gli aiuti USA saranno spalmati su diversi anni, ha detto il funzionario USA a Reuters.
Cheney inizierà il suo viaggio dall’Azerbaigian, il paese ricco di petrolio sul Mar Caspio, poi andrà in Georgia, quindi a Kiev per incontri con il governo filo-occidentale, che come Tbilisi sta sfidando Mosca chiedendo di aderire alla NATO.
(REUTERS)

Infatti…
Washington, 3 settembre – Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha annunciato un pacchetto finanziario di aiuti per la Georgia per un valore di un miliardo di dollari (690 milioni di euro), 570 milioni dei quali saranno consegnati entro la fine dell’anno. Il denaro servirà ad aiutare Tbilisi in opere di ricostruzione a seguito del suo conflitto con la Russia. Washington ha già fornito all’ex repubblica sovietica quasi 30 milioni di dollari in aiuti umanitari.
(ASCA-AFP)

Tutto il mondo libero, liberale e liberista
Tbilisi, 4 settembre – Il vicepresidente statunitense Dick Cheney ha detto oggi che “l’illegittimo” tentativo della Russia di modificare i confini della Georgia ha creato dei dubbi sull’affidabilità di Mosca come partner internazionale.
“Dopo che la vostra nazione si è guadagnata la libertà con la rivoluzione delle Rose, l’America è venuta in aiuto di questa coraggiosa e giovane democrazia”, ha detto Cheney ai giornalisti in una conferenza stampa congiunta tenuta a Tbilisi con il presidente georgiano Mikheil Saakashvili. “Stiamo facendo la stessa cosa ora che state lavorando per respingere un’invasione del vostro territorio e un tentativo unilaterale di cambiare i vostri confini con la forza, che è stato universalmente condannato da tutto il mondo libero”, ha aggiunto Cheney.
“Le azioni della Russia hanno creato dei gravi dubbi sulle intenzioni della Russia e sulla sua affidabilità come partner internazionale, non solo in Georgia ma in tutta la regione e anche nel sistema internazionale”, ha detto Cheney.
(REUTERS)
Intanto Tsotne Gamsakhurdia, figlio del primo presidente della Georgia indipendente, Sviad, è stato arrestato ieri sera a Tbilisi con l’accusa di aver tentato un golpe nel novembre scorso e di aver avuto contatti con i servizi segreti russi…

A loro quanto?
Kiev, 5 settembre – Il vicepresidente Usa, Dick Cheney, discute oggi della crisi in Georgia con i leader dell’Ucraina, un paese profondamente diviso sull’ingresso nella Nato e alle prese con una crisi di governo. Cheney è atterrato a Kiev al termine di un tour negli stati del Caucaso del sud e del Mar Nero, per portare il sostegno di Washington agli alleati americani dopo la guerra di cinque giorni tra Russia e Georgia.
(…)
Il presidente ucraino, Viktor Yushchenko, ha lanciato un appello per far aderire rapidamente il suo paese alla Nato dopo il conflitto in Ossezia del Sud, una regione separatista della Georgia, ma i suoi rivali politici si sono mostrati freddi, se non contrari, all’ingresso nell’alleanza, visto come un atto ostile verso il grande vicino russo.
(…)
La crisi della Georgia ha allarmato i vicini della Russia e Yushchenko sostiene che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sia un passo necessario per proteggere l’integrità territoriale del suo paese. I paesi dell’alleanza hanno rifiutato lo scorso aprile di riconoscere ad Ucraina e Georgia un Map (Membership action plan) – il primo passo per l’adesione a pieno titolo – ma hanno detto che un giorno entrambi entreranno nella Nato. Ma è probabile che la reticenza di Francia e Germania ad avviare una roadmap per l’ingresso dell’Ucraina si sia rafforzata dopo la crisi georgiana.
Secondo gli analisti, la Crimea – la penisola del sud dell’Ucraina – potrebbe essere usata dalla Russia per destabilizzare il paese. Il porto di Sebastopoli sul Mar Nero ospita la flotta russa e la maggior parte degli abitanti è di etnia russa.
La tensione tra Russia e Georgia è tornata alta lo scorso mese, quando Yushchenko, sostenitore della Georgia, ha imposto rigide regole per i movimenti delle navi da guerra russe dal porto che l’Ucraina ha affittato a Mosca. Yushchenko si è risentito per il fatto che le navi in partenza da Sebastopoli siano state impiegate nel conflitto con la Georgia, dicendo che l’Ucraina è stata coinvolta “passivamente” nella guerra. E ha ricordato che il contratto d’affitto della base, che scadrà nel 2017, non sarà rinnovato.
Malgrado la sua voce grossa, l’ingresso nella Nato rimane molto impopolare in Ucraina e la guerra in Georgia non ha cambiato le cose. I partiti riformisti filo-occidentali sono divisi sulla questione e il leader dell’opposizione Viktor Yanukovich, che raccoglie consensi nelle regione russofone del paese, è apertamente ostile. La visita di Cheney giunge poi nel mezzo di una crisi politica. Yushchenko ha annunciato ieri che il governo di coalizione è morto e ha minacciato di indire elezioni legislative anticipate.
Yushchenko ha preso il potere durante la “rivoluzione arancione” del 2004, promettendo una maggiore integrazione con l’Occidente.
(REUTERS)

Carta igienica, spazzolini e dentifricio… ad alta tecnologia
Tbilisi, 5 settembre – La nave ammiraglia della Sesta Flotta della Marina statunitense, con un carico di aiuti umanitari a bordo, sta per attraccare nel porto georgiano di Poti. A riferirlo è la portavoce del Consiglio di Sicurezza di Tbilisi, Tata Khundadze. ”La USS Mount Whitney arriverà a Poti alle 16 (ora locale) e attraccherà alle 17 per consegnare il carico di aiuti umanitari”, ha detto Khundadze.
Nella foto, le proteste contro l’arrivo a Sebastopoli di un’altra unità della Marina statunitense.
Qui dettagli.

Mosca, 5 settembre – Da parte di Mosca “non ci sarà alcuna reazione militare” all’arrivo della nave da guerra americana “Mount Whitney” nel porto georgiano di Poti, sul mar Nero. Lo ha assicurato il portavoce del ministero degli Esteri russo, Andrei Nesterenko, che è tuttavia tornato a mettere in discussione l’utlizzo di navi da guerra da parte degli Stati Uniti per consegnare aiuti umanitari. “E’ improbabile – ha affermato nel corso di una conferenza stampa – che navi da guerra di questo tipo possano consegnare aiuti umanitari in grandi quantità. Certamente su queste navi ci sono stive, ma nornalmente contengono attrezzatura per l’equipaggio, a parte i beni essenziali che possono essere necessari durante il viaggio. Come è possibile che grandi quantità di aiuti umanitari possano essere consegnati da queste navi?”.
(ADNKRONOS)

Qualcosa da dichiarare?
Sevastopol, September 5 – The Black Sea Fleet source also said the flagship of the U.S. Sixth Fleet was big enough to carry heavy weapons, which – the Russian military believes – is probably the main part of the delivery.
An intelligence source said Russia was scrutinizing the vessel. “Very soon it will be clear, what the ship has really brought to Georgia,” the source said.
(RIA Novosti)

NATO Freedom Consolidation Act 2007

Nel 2006 c’era stato un precedente, con il tentativo da parte del 109° Congresso degli Stati Uniti d’America di approvare una legge a sostegno dell’ulteriore allargamento della NATO e facilitare l’ammissione alla stessa per Croazia, Albania, Macedonia e Georgia.
L’atto, passato in Senato il 16 novembre di quell’anno con codifica S. 4014, prevedeva finanziamenti a favore dei quattro Stati, e precisamente : 3 milioni di dollari per la Croazia, 3,2 per l’Albania, 3,6 per la Macedonia e ben 10 milioni a favore della Georgia.
Il Congresso affermava comunque la propria disponibilità anche nei confronti dell’Ucraina, non appena questa avesse manifestato un interesse concreto ad entrare nell’Alleanza Atlantica.
Tempo neanche tre mesi ed il senatore repubblicano Richard Lugar, il 6 febbraio 2007, presenta ad un rinnovato Congresso la proposta di legge denominata NATO Freedom Consolidation Act 2007. A Lugar si aggiungono in qualità di “cosponsors” Joseph Biden, candidato democratico alla vicepresidenza, e John McCain, il senatore repubblicano in corsa per la Casa Bianca, a configurare un provvedimento in perfetto stile bipartisan.
Esso viene approvato all’unanimità sia dal Senato (il 15 marzo 2007, con un solo emendamento chiarificatore proposto dallo stesso Biden) che dalla Camera dei Rappresentanti il successivo 26 marzo.
Firmata dal presidente Bush il 9 aprile, la legge S. 494 autorizza stanziamenti a partire dal bilancio dell’anno fiscale 2008 “di quegli importi che si rivelassero necessari a fornire assistenza militare” ad Albania, Croazia, Macedonia, Georgia ed, appunto, Ucraina.
Questa volta non vengono specificate le somme erogate a ciascun Paese, ma l’Ufficio del Bilancio del Congresso stima che l’impegno finanziario complessivo ammonterà a 12 milioni di dollari per il 2008 ed a circa 30 milioni per l’intero periodo 2008-2012.
Coloro i quali fossero interessati a conoscere i particolari dell’opera di lobbying che costituiscono il retroscena di tutta questa storia, possono leggere qui. Se ne trae l’impressione di un do ut des dove il governo statunitense finanzia, ad esempio, quello georgiano in funzione antirussa, poi i georgiani con il denaro ricevuto assoldano esperti militari ed acquistano armamenti di produzione yankee…
Molto simile a ciò che succede nei cosiddetti Paesi del Terzo Mondo con i famosi aiuti allo sviluppo.

Chi semina vento…

Roma, 27 agosto – ”La Russia ieri ha riconosciuto l’indipendenza dei territori dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Non è stata una decisione presa alla leggera, anzi, sono state considerate tutte le conseguenze. Ma era impossibile non tenere conto della storia dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, del desiderio d’indipendenza delle loro popolazioni, dei tragici eventi delle scorse settimane e dei precedenti internazionali” (ovvero il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte dell’Occidente). Così il presidente russo Dmitry Medvedev, in una lettera al Financial Times, tenta di spiegare la scelta che da ieri ha scatenato una crisi nella comunità internazionale. ”Ignorando gli avvertimenti della Russia, i Paesi occidentali hanno fatto a gara per riconoscere l’illegale dichiarazione d’indipendenza dalla Serbia del Kosovo”, sottolinea Medvedev. ”Sarebbe stato impossibile, dopo tutto quel che era accaduto, dire agli abkhazi ed agli osseti (ed a decine di altri gruppi nel mondo) che quel che era giusto per gli albanesi kosovari non lo era per loro. Nelle relazioni internazionali non si possono avere delle regole per alcuni e regole diverse per altri”.
(ASCA)

Belgrado, 27 agosto – Belgrado reagisce al riconoscimento da parte di Mosca delle regioni secessioniste georgiane dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia ricordando di avere a suo tempo messo in guardia l’Occidente contro un riconoscimento del Kosovo che non solo rappresentava una mossa illegale ma che rischiava anche di provocare reazioni destabilizzanti in altre aree del mondo.
(ADNKRONOS/DPA)

Mosca, 27 agosto – Eventuali azioni militari della NATO contro le due regioni secessioniste georgiane sostenute da Mosca saranno considerate ”una dichiarazione di guerra alla Russia”. E’ l’avvertimento lanciato dall’inviato russo presso l’Alleanza, Dmitry Rogozin. ”Se la NATO lancerà improvvisamente azioni contro l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, agendo unicamente a sostegno di Tbilisi, ciò significherà una dichiarazione di guerra alla Russia”, ha detto Rogozin al quotidiano russo Vremya Novostei.
(ASCA-AFP)

Dushanbe, 27 agosto – Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha risposto con durezza alle critiche avanzate dal suo omologo britannico David Miliband nei confronti di Mosca per il suo conflitto con la Georgia. ”La morale che ci hanno fatto i nostri colleghi occidentali non si basa su fatti”, ha detto Lavrov prima di un vertice tra il presidente russo Dmitry Medvedev, quello cinese Hu Jintao e leader di Paesi dell’Asia centrale in Tajikistan. ”E’ strano che le nostre azioni per difendere i diritti dei nostri cittadini sui nostri confini siano criticate dalla Gran Bretagna, considerando le sue azioni nelle isole Falkland, che si trovano all’altro capo del mondo”, ha affermato il capo della diplomazia russa. (…) Lavrov ha definito le dichiarazioni del capo del Foreign Office ”inopportune” ed ”ipocrite”. ”Miliband dice che la NATO è un’ancora di stabilità economica, democrazia e sviluppo. Non ho mai sentito che la NATO sia coinvolta nella democratizzazione. Ma sembra chei tempi stiano cambiando”, ha osservato.
(ASCA-AFP)

La fine di quella cooperazione, un fatto gravissimo

Dalla rubrica “Diario Strategico”, riportiamo integralmente l’articolo del generale Fabio Mini – apparso su la Repubblica di sabato 23 agosto – sulla fine della cooperazione fra la Russia e la NATO.

“La decisione della Russia di interrompere la cooperazione con la NATO è un evento gravissimo. Nell’ambito dell’Alleanza Atlantica soltanto il nostro ministero degli Esteri sembra aver colto la dimensione del dramma e giustamente auspica una riflessione russa. Tutti gli altri e soprattutto quei Paesi come la Polonia e le repubbliche baltiche ormai designati dagli USA a rompere la NATO e l’Europa dall’interno, sono rimasti alla dimensione della commedia. Stati Uniti e NATO sono riusciti a convincere l’Occidente che la Russia ha aggredito la Georgia, che la sua azione militare è stata sproporzionata e che la Georgia deve mantenere la sua integrità territoriale nonostante le spinte separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Tutti sembrano aver dimenticato i fatti dell’8 agosto, i cannoneggiamenti georgiani di edifici civili, le loro colonne di corazzati addestrati da americani, ucraini ed israeliani, le migliaia di vittime e gli attacchi alle forze russe che comunque presidiavano legalmente l’Ossezia del Sud. La Georgia ora passa per aver condotto un’azione legittima su una parte del suo territorio.
Quando Milosevic fece la stessa cosa in Kosovo fu identificato come criminale di guerra. Molti nella NATO dimenticano che quando la Serbia volle ribadire la propria sovranità fu bombardata per 78 giorni, poi il Kosovo le fu sottratto per 9 anni ed infine venne dichiarato indipendente. Nella vicenda georgiana la Russia ha commesso molti errori, speculari alle azioni che l’Occidente va conducendo da anni con l’etichetta della legalità. E oggi è ritenuto deprecabile che la Russia ripensi alla cooperazione con la NATO quando da essa riceve solo cattivi esempi, ultimatum ed insulti, specie all’intelligenza. Il dramma si consuma perché quella parvenza di cooperazione che la NATO aveva instaurato con la Russia negli ultimi dieci anni era l’unica cosa seria che avesse resistito alla paranoia neocon. Da oggi si dovranno rivedere i programmi di studio, gli scambi culturali, le riunioni congiunte, ma anche la limitazione degli armamenti e la stessa definizione del terrorismo. Si ripristineranno le sfere d’influenza non tanto in funzione di un mutato rapporto di forze, ma di un crollato rapporto di fiducia. I piani pacifici di allargamento della NATO e le operazioni in Afghanistan sono compromessi. Il ruolo in Medio Oriente e nei riguardi dell’Iran diventa velleitario. Al vertice di Bucarest la Russia aveva autorizzato il transito dei carburanti e viveri destinati alle truppe NATO in Afghanistan per i corridoi della Russia, del Kazakhistan e dell’Uzbekistan molto più sicuri di quelli pakistani normalmente usati e regolarmente attaccati dai taliban o dai predoni. Forse anche questo accordo simbolico salterà e sarà il fallimento politico e strategico di quella NATO che per il suo futuro aveva sognato un ruolo di stabilizzazione globale.”

(Grassetto nostro)

Giù le mani dal Caucaso!

Segnaliamo la petizione lanciata dall’International Action Center, fondato dall’ex ministro della Giustizia statunitense Ramsey Clark, per la fine dell’ingerenza americana in Georgia e nei Paesi dell’Europa orientale confinanti con la Russia e per lo scioglimento della NATO.
Il testo della petizione ed il modulo per sottoscriverla sono qui.