Lo spettro di una guerra nucleare

“Quando circa sei anni fa titolammo sul Manifesto (9 giugno 2015) «Ritornano i missili a Comiso?», la nostra ipotesi che gli USA volessero riportare i loro missili nucleari in Europa fu ignorata dall’intero arco politico-mediatico. Gli avvenimenti successivi hanno dimostrato che l’allarme, purtroppo, era fondato. Ora, per la prima volta, abbiamo la conferma ufficiale. L’ha data pochi giorni fa, l’11 marzo, una delle massime autorità militari USA, il generale James C. McConville, capo di stato maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti. Non in un’intervista alla CNN, ma in un intervento – di cui abbiamo la trascrizione ufficiale – a un meeting di esperti alla George Washington School of Media and Public Affairs. Il generale McConville non solo comunica che lo US Army si sta preparando a installare nuovi missili in Europa, evidentemente diretti contro la Russia, ma rivela che saranno missili ipersonici, un nuovo sistema d’arma di estrema pericolosità. Ciò crea una situazione ad altissimo rischio, analoga o peggiore di quella in cui si trovava l’Europa durante la Guerra Fredda, quale prima linea del confronto nucleare tra USA e URSS.

I missili ipersonici – con velocità superiore a 5 volte quella del suono (Mach 5), ossia più di 6.000 km/h – costituiscono un nuovo sistema d’arma con capacità di attacco nucleare superiore a quella dei missili balistici. Mentre questi seguono una traiettoria ad arco per la maggior parte al di sopra dell’atmosfera, i missili ipersonici seguono invece una traiettoria a bassa altitudine nell’atmosfera direttamente verso l’obiettivo, che raggiungono in minor tempo penetrando le difese nemiche.

Nel suo intervento alla George Washington School of Media and Public Affairs, il generale McConville rivela che lo US Army sta preparando una «task force» dotata di «capacità di fuoco di precisione a lungo raggio che può arrivare ovunque, composta da missili ipersonici, missili a medio raggio, missili per attacchi di precisione» e che «questi sistemi sono in grado di penetrare lo spazio dello sbarramento anti-aereo». Il generale precisa che «prevediamo di schierare una di queste task force in Europa e probabilmente due nel Pacifico» (evidentemente dirette contro la Cina). Sottolinea quindi che «le stiamo costruendo in questo momento, mentre stiamo parlando».

Ciò viene confermato dalla Darpa (Agenzia per i progetti di ricerca avanzata della Difesa). In un comunicato ufficiale informa di aver incaricato la Lockheed Martin di fabbricare «un sistema missilistico ipersonico a raggio intermedio con lancio da terra», ossia missili con gittata tra 500 e 5500 km della categoria che era stata proibita dal Trattato sulle forze nucleari intermedie firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan, stracciato dal presidente Trump nel 2019. Secondo le specifiche tecniche fornite dalla Darpa, «il nuovo sistema permette ad armi ipersoniche glide con propulsione a razzo di colpire con rapidità e precisione bersagli di importanza critica e prioritaria, penetrando moderne difese aeree nemiche. L’avanzata propulsione a razzo può trasportare vari carichi bellici a più distanze ed è compatibile con piattaforme terrestri di lancio mobili, che possono essere dispiegate rapidamente».

Il capo di stato maggiore dell’Esercito e l’Agenzia di ricerca del Pentagono informano dunque che tra non molto gli Stati Uniti schiereranno in Europa (si parla di una probabile prima base in Polonia o Romania) missili ipersonici armati di  «vari carichi bellici», ossia di testate nucleari e convenzionali. I missili ipersonici nucleari a raggio intermedio installati su «piattaforme terrestri mobili», ossia su speciali veicoli, potranno essere rapidamente dispiegati nei paesi NATO più vicini alla Russia (ad esempio le repubbliche baltiche). Avendo già oggi la capacità di volare a circa 10.000 km/h, i missili ipersonici saranno in grado di raggiungere Mosca in circa 5 minuti.

Anche la Russia sta realizzando missili ipersonici a raggio intermedio ma, lanciandoli dal proprio territorio, non può colpire Washington. I missili ipersonici russi potranno però raggiungere in pochi minuti le basi USA, anzitutto quelle nucleari come le basi di Ghedi e Aviano, e altri obiettivi in Europa. La Russia, come gli Stati Uniti e altri, sta schierando nuovi missili intercontinentali: l’Avangard è un veicolo ipersonico con raggio di 11.000 km e armato di più testate nucleari che, dopo una traiettoria balistica, plana per oltre 6.000 km alla velocità di quasi 25.000 km/h. Missili ipersonici li sta realizzando anche la Cina. Poiché i missili ipersonici sono guidati dai sistemi satellitari, il confronto si svolge sempre più nello spazio: a tale scopo è stata creata nel 2019 dall’amministrazione Trump la Forza Spaziale USA.   

Le armi ipersoniche, di cui vengono dotate anche le forze aeree e navali che hanno maggiore mobilità, aprono una nuova fase della corsa agli armamenti nucleari, rendendo in gran parte superato il trattato New Start appena rinnovato da USA e Russia. La corsa passa sempre più dal piano quantitativo (numero e potenza delle testate nucleari) a quello qualitativo (velocità, capacità penetrante e dislocazione geografica dei vettori nucleari).

La risposta, in caso di attacco o presunto tale, viene sempre più affidata all’intelligenza artificiale, che deve decidere il lancio dei missili nucleari in pochi secondi o frazioni di secondo. Aumenta in modo esponenziale la possibilità di una guerra nucleare per errore, rischiata più volte durante la Guerra Fredda. Il «Dottor Stranamore» non sarà un generale pazzo, ma un supercomputer impazzito. Mancando l’intelligenza umana per fermare questa folle corsa alla catastrofe, dovrebbe almeno scattare l’istinto di sopravvivenza, risvegliatosi finora solo per il Covid-19.”

Da Missili ipersonici USA In Europa a 5 minuti da Mosca, di Manlio Dinucci.

A Ghedi si prepara la nuova base per gli F-35 nucleari

Nell’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) stanno iniziando i lavori per realizzare la principale base operativa dei caccia F-35A dell’Aeronautica italiana armati di bombe nucleari. La Matarrese s.p.a. di Bari, che si è aggiudicata l’appalto con un’offerta di 91 milioni di euro, costruirà un grande hangar per la manutenzione dei caccia (oltre 6000 m2) e una palazzina che ospiterà il comando e i simulatori di volo, dotata di un perfetto isolamento termoacustico «al fine di evitare rivelazioni di conversazioni». Verranno realizzate due linee di volo, ciascuna con 15 hangaretti al cui interno vi saranno i caccia pronti al decollo.
Ciò conferma quanto pubblicammo tre anni fa (il manifesto, 28 novembre 2017), ossia che il progetto (varato dall’allora ministra della Difesa Pinotti) prevedeva lo schieramento di almeno 30 caccia F-35A. L’area in cui verranno dislocati gli F-35, recintata e sorvegliata, sarà separata dal resto dell’aeroporto e top secret. Il perché è chiaro: accanto ai nuovi caccia saranno dislocate a Ghedi, in un deposito segreto che non compare nell’appalto, le nuove bombe nucleari statunitensi B61-12. Come le attuali B-61 di cui sono armati i Tornado PA-200 del 6° Stormo, le B61-12 saranno controllate dalla speciale unità statunitense (704th Munitions Support Squadron della U.S. Air Force), «responsabile del ricevimento, stoccaggio e mantenimento delle armi della riserva bellica USA destinate al 6° Stormo NATO dell’Aeronautica italiana».
La stessa unità dell’Aeronautica USA ha il compito di «sostenere direttamente la missione di attacco» del 6° Stormo. Piloti italiani vengono già addestrati, nelle basi aeree di Luke in Arizona e Eglin in Florida, all’uso degli F-35A anche per missioni di attacco nucleare sotto comando USA. Caccia dello stesso tipo, armati o comunque armabili con le B61-12, sono dislocati nella base di Amendola (Foggia), dove hanno già superato le 5000 ore di volo. Vi saranno, oltre a questi, gli F-35 della U.S. Air Force schierati ad Aviano con le B61-12. Il nuovo caccia F-35A e la nuova bomba nucleare B61-12 costituiscono un sistema d’arma integrato: l’uso dell’aereo comporta l’uso della bomba. Il ministro della Difesa Guerini (PD) ha confermato che l’Italia mantiene l’impegno ad acquistare 90 caccia F-35, di cui 60 di modello A a capacità nucleare. La partecipazione al programma dell’F-35, quale partner di secondo livello, rafforza l’ancoraggio dell’Italia agli Stati uniti.
L’industria bellica italiana, capeggiata dalla Leonardo che gestisce l’impianto degli F-35 a Cameri (Novara), viene ancor più integrata nel gigantesco complesso militare-industriale USA capeggiato dalla Lockheed Martin, la maggiore industria bellica del mondo, costruttrice dell’F-35.
Allo stesso tempo l’Italia – Stato non-nucleare aderente al Trattato di non-proliferazione che gli vieta di avere armi nucleari sul proprio territorio – svolge la sempre più pericolosa funzione di base avanzata della strategia nucleare USA/NATO contro la Russia e altri Paesi. Dato che ciascun aereo può trasportare nella stiva interna 2 B61-12, solo i 30 F-35A di Ghedi avranno una capacità di almeno 60 bombe nucleari. Secondo la Federazione degli scienziati americani, la nuova bomba «tattica» B61-12 per gli F-35, che gli USA schiereranno in Italia e altri Paesi europei dal 2022, essendo più precisa e in posizione ravvicinata agli obiettivi, «avrà la stessa capacità militare delle bombe strategiche dislocate negli Stati Uniti». Vi è infine la questione, ancora indefinita, dei costi.
Il Servizio di ricerca del Congresso degli Stati Uniti, nel maggio 2020, stima il prezzo medio di un F-35 in 108 milioni di dollari, precisando però che è «il prezzo dell’aereo senza motore», il cui costo è di circa 22 milioni. Una volta acquistato un F-35, anche a prezzo minore come promette per il futuro la Lockheed Martin, inizia la spesa per il suo continuo ammodernamento, per la formazione degli equipaggi e per il suo uso. Un’ora di volo di un F-35A – documenta la US Air Force – costa oltre 42000 dollari. Ciò significa che solo le 5000 ore di volo effettuate dagli F-35 di Amendola sono costate, alle nostre casse pubbliche 180 milioni di euro.
Manlio Dinucci

(Fonte)

A Ghedi 30 caccia F-35 con 60 bombe nucleari

L’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) si prepara a divenire una delle principali basi operative dei caccia F-35.

Il ministero della Difesa ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il bando di progettazione (importo 2,5 milioni di euro) e costruzione (importo 60,7 milioni di euro) delle nuove infrastrutture per gli F-35: l’edificio a tre piani del comando con le sale operative e i simulatori di volo; l’hangar per la manutenzione dei caccia, 3460 metri quadri con un carroponte da 5 tonnellate, più altre strutture da 2800 m2; un magazzino da 1100 m2, con annesse una palazzina di due piani per uffici e la centrale tecnologica con cabina elettrica e vasche antincendio; 15 hangaretti da 440 m2 in cui saranno dislocati i caccia pronti al decollo.
Poiché ciascun hangaretto ne potrà ospitare due, la capienza complessiva sarà di 30 F-35.
Tutti gli edifici saranno concentrati in un’unica area recintata e videosorvegliata, separata dal resto dell’aeroporto: una base all’interno della base, il cui accesso sarà vietato allo stesso personale militare dell’aeroporto salvo che agli addetti ai nuovi caccia.
Il perché è chiaro: accanto agli F-35A a decollo e atterraggio convenzionali – di cui l’Italia acquista 60 esemplari insieme a 30 F-35B a decollo corto e atterraggio verticale – saranno dislocate a Ghedi le nuove bombe nucleari statunitensi B61-12.
Come le attuali B-61, possono essere anch’esse sganciate dai Tornado PA-200 del 6° Stormo ma, per guidarle con precisione sull’obiettivo e sfruttarne le capacità anti-bunker, occorrono i caccia F-35A dotati di speciali sistemi digitali.
Poiché ciascun caccia può trasportare nella stiva interna 2 bombe nucleari, possono essere dislocate a Ghedi 60 B61-12, il triplo delle attuali B-61.
Come le precedenti, le B61-12 saranno controllate dalla speciale unità statunitense (704th Munitions Support Squadron della U.S. Air Force), «responsabile del ricevimento, stoccaggio e mantenimento delle armi della riserva bellica USA destinate al 6° Stormo NATO dell’Aeronautica italiana».
La stessa unità dell’Aeronautica USA ha il compito di «sostenere direttamente la missione di attacco» del 6° Stormo. Piloti italiani vengono già addestrati, nelle basi aeree di Eglin in Florida e Luke in Arizona, all’uso degli F-35 anche per missioni di attacco nucleare.
Caccia dello stesso tipo, armati o comunque armabili con le B61-12, saranno schierati nella base di Amendola (Foggia), dove un anno fa è arrivato il primo F-35, e in altre basi. Vi saranno, oltre a questi, gli F-35 della U.S. Air Force schierati ad Aviano con le B61-12.
Su questo sfondo richiedere, come ha fatto alla Camera il Movimento 5 Stelle, che l’Italia dichiari la sua «indisponibilità ad acquisire le componenti necessarie per rendere gli F-35 idonei al trasporto di armi nucleari», equivale a richiedere che l’esercito sia dotato di carrarmati senza cannone.
Il nuovo caccia F-35 e la nuova bomba nucleare B61-12 costituiscono un sistema d’arma integrato.
La partecipazione al programma dell’F-35 rafforza l’ancoraggio dell’Italia agli Stati Uniti. L’industria bellica italiana, capeggiata dalla Leonardo che gestisce l’impianto di assemblaggio degli F-35 a Cameri (Novara), viene ancor più integrata nel gigantesco complesso militare-industriale USA capeggiato dalla Lockheed Martin, la maggiore industria bellica del mondo (con 16.000 fornitori negli USA e 1.500 in 65 altri Paesi), costruttrice dell’F-35.
Lo schieramento sul nostro territorio di F-35 armati di bombe nucleari B61-12 subordina ancor più l’Italia alla catena di comando del Pentagono, privando il Parlamento di qualsiasi reale potere decisionale.
Manlio Dinucci

Fonte

La bomba è autorizzata

pome-granateLa B61-12, la nuova bomba nucleare USA destinata a sostituire la B-61 schierata in Italia e altri Paesi europei, è stata «ufficialmente autorizzata» dalla National Nuclear Security Administration (NNSA), l’agenzia del Dipartimento dell’Energia addetta a «rafforzare la sicurezza nazionale attraverso l’applicazione militare della scienza nucleare».
Dopo quattro anni di progettazione e sperimentazione, la NNSA ha dato luce verde alla fase di ingegnerizzazione che prepara la produzione in serie.
I molti componenti della B61-12 vengono progettati e testati nei laboratori nazionali di Los Alamos e Albuquerque (Nuovo Messico), di Livermore (California), e prodotti (utilizzando in parte quelli della B-61) in una serie di impianti in Missouri, Texas, Carolina del sud, Tennessee. Si aggiunge a questi la sezione di coda per la guida di precisione, fornita dalla Boeing. Le B61-12, il cui costo è previsto in 8-12 miliardi di dollari per 400-500 bombe, cominceranno ad essere fabbricate in serie nell’anno fiscale 2020, che inizia il 1° ottobre 2019. Da allora cominceranno ad essere sostituite alle B-61.
Secondo le stime della Federazione degli scienziati americani (Fas), gli USA mantengono oggi 70 bombe nucleari B-61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180.
Nessuno sa però con esattezza quante effettivamente siano: ad Aviano ci sono 18 bunker in grado di stoccarne oltre 70. In questa base e a Ghedi sono già state effettuate modifiche, come mostrano foto satellitari pubblicate dalla Fas. Analoghi preparativi sono in corso nelle altre basi in Europa e Turchia.
La NNSA conferma ufficialmente che la B61-12, definita «elemento fondamentale della triade nucleare USA» (terrestre, navale e aerea), sostituirà le attuali B61-3, -4, -7 e -10. Conferma quindi quanto abbiamo già documentato.
La B61-12 non è una semplice versione ammodernata della precedente, ma una nuova arma: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, con una potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima; un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un attacco nucleare di sorpresa.
Le nuove bombe, che gli USA si preparano a installare in Italia e altri Paesi europei nel quadro della escalation contro la Russia, sono armi che abbassano la soglia nucleare, ossia rendono più probabile il lancio di un attacco nucleare.
La 31st Fighter Wing, la squadriglia di cacciabombardieri USA F-16 dislocata ad Aviano, è pronta all’attacco nucleare ventiquattr’ore su ventiquattro.
Anche piloti italiani, dimostra la Fas, vengono addestrati all’attacco nucleare sotto comando USA con i cacciabombardieri Tornado schierati a Ghedi.
In attesa che arrivino anche all’aeronautica italiana i caccia F-35 nei quali, annuncia la U.S. Air Force, «sarà integrata la B61-12». La prima squadriglia di F-35, di stanza nella base Hill nello Utah, è stata ufficialmente dichiarata «combat ready» (pronta al combattimento).
La U.S. Air Force dice di non prevedere quando la squadriglia di F-35 sarà «combat proven» (provata in combattimento), ma che è «probabile un suo schieramento oltremare agli inizi del 2017».
La ministra Pinotti spera che venga schierata in Italia, già «scelta» dagli USA per l’installazione del MUOS che «avrebbero voluto altre nazioni».
Con le B61-12, gli F-35 e il MUOS sul proprio territorio, l’Italia sarà anche scelta, dal Paese attaccato, quale bersaglio prioritario della rappresaglia nucleare.
Manlio Dinucci

Fonte

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Nuove bombe nucleari USA per la Germania

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A partire dalla seconda metà del 2015, l’aviazione statunitense si appresta a trasferire nuove testate nucleari B-61 presso la base militare di Buchel, secondo il canale televisivo tedesco ZDF.
La base, situata nella regione della Renania-Palatinato nella Germania occidentale, ospita i caccia multiruolo Panavia Tornado dell’aviazione tedesca capaci di trasportare le testate nuclari USA che vi sono conservate. A partire dal 2007, quando sono state rimosse le testate conservate nella base di Ramstein, quella di Buchel è rimasta l’unica base in territorio tedesco dove siano presenti testate nucleari statunitensi, 20 per la precisione.
Il nuovo modello di testata B-61, n. 12, sarà tecnologicamente più avanzato rispetto ai modelli n. 3 e n. 4 attualmente dislocati in Europa; oltre che in Germania, anche in Belgio, Olanda, Turchia ed Italia, che peraltro è l’unico Paese nel continente ad ospitare due basi nucleari (Aviano e Ghedi) e quello con il maggior numero di testate USA dislocate sul proprio territorio.
Il canale televisivo ZDF cita al proposito dei documenti di bilancio di provenienza statunitense che indicano un finanziamento per il futuro stoccaggio delle B-61 mod. 12 e l’ammodernamento dei caccia Tornado incaricati di trasportarle. La fonte ricorda che, nel 2010, il Parlamento tedesco aveva invitato il governo di Angela Merkel ad agire affinché le testate nucleari USA presenti in Germania fossero rimosse, una misura che avrebbe goduto e godrebbe tuttora di ampio sostegno popolare.
D’altro canto, nei piani del governo tedesco c’era anche l’intenzione di ritirare dal servizio la propria flotta di Tornado, senza pensare a sostituirli con altri velivoli in grado di trasportare le testate nucleari. Infatti, i costosi e contestati F-35 sono capaci di assolvere questo compito ma la Germania ha deciso di non acquistarli, scegliendo l’Eurofighter Typhoon quale successore dei Tornado. Nel 2012, altresì, il Berliner Zeitung aveva riferito che il governo tedesco avrebbe deciso senza clamori di mantenere operativi alcuni Tornado sino al 2024.
Le testate B-61 mod. 12 saranno più precise e meno distruttive rispetto alle precedenti, con il rischio che i responsabili militari e politici siano più tentati di utilizzarle, il che potrebbe avere serie ed imprevedibili conseguenze per la sicurezza globale, affermano gli analisti.
L’ex funzionario del ministero della Difesa tedesco Willy Wimmer ha detto che la decisione di ammodernare l’arsenale nucleare di stanza alla base di Buchel conferisce alla NATO “nuove opzioni di attacco contro la Russia” e costituisce “una consapevole provocazione dei nostri vicini russi”.
Dal canto suo, Mosca non ha cessato di tenere in considerazione la presenza di bombe nucleari USA in Europa quando lo scorso anno ha proceduto a riformulare la propria dottrina militare. La Russia rivolge le proprie critiche all’intero programma di condivisione nucleare tra Stati Uniti ed Europa, affermando che esso tradisce lo spirito del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare il quale proibisce il trasferimento di armamenti atomici agli Stati denuclearizzati, mentre Washington sostiene che il Trattato non vieta di mantenere testate in Europa a patto che esse rimangano sotto il controllo delle truppe statunitensi, inviate allo scopo. La preoccupazione russa deriva anche dal fatto che gli Stati Uniti addestrano altresì militari dei Paesi europei, inclusi quelli che non ospitano testate nucleari USA, ad impiegarle. Una situazione, quella dell’uso congiunto delle testate in ambito NATO, che sarebbe una violazione diretta dei primi due articoli del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, configurando un’anormalità che dura da oltre quaranta anni e che per la Russia non sarebbe più accettabile. Tanto probabilmente da spingere Mosca a prendere adeguate contromisure per ripristinare l’equilibrio strategico in Europa, particolarmente attraverso il rafforzamento delle sue difese nell’enclave di Kaliningrad e in Crimea.
Non mancheranno certo gli argomenti di discussione nel faccia a faccia odierno tra Obama e Putin, previsto a New York.
Federico Roberti

50 anni di testate nucleari yankee a Ghedi. Per immagini

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Per approfondire:
il resoconto della cerimonia per i 50 anni di “collaborazione” e “amicizia” fra Italia e Stati Uniti, celebrata presso la base di Ghedi (BS) lo scorso 31 Gennaio 2014, che ha coinvolto il personale del 6° Stormo dell’Aeronautica Militare Italiana e i circa 130 membri del 704° Munitions Support Squadron (MUNSS) dell’U.S. Air Force, ivi dislocati per curare la manutenzione delle testate nucleari statunitensi B-61.
Secondo le fonti più aggiornate, esse sono presenti in quantità non inferiore alle 20 unità, aggiungendosi alle 50 immagazzinate presso la base di Aviano (PN).
L’Italia ha quindi “l’onore” di essere il Paese NATO con il maggior numero di testate nucleari USA dislocate sul proprio territorio, un totale di 70 testate delle 180 ancora presenti in Europa (le rimanenti si trovano in Belgio, presso la base di Kleine Brogel; in Germania, a Buchel; in Olanda, a Volkel; infine in Turchia, presso la base di Incirlik).
L’Italia, altresì, è l’unico Paese in Europa con due basi nucleari.

Le esenzioni dei militari USA in Italia

fuori dalle balle

Seppure un poco datato, ecco un utile riepilogo sull’argomento…

Fisco, la truppa gode
di Marco Mostallino

Accise sulla benzina, Iva, imposte su acquisti, servizi e consumi: sono queste le voci su cui il governo ha scelto di puntare per rimettere a posto i conti dell’Italia. Ma c’è chi è esente da ogni tassa. Si tratta di una popolazione di 30 mila persone che paga le bollette dell’elettricità al netto delle imposte, che fa il pieno con un risparmio di oltre 60 euro ogni 100 litri, che è esente dall’imposta di bollo e che non paga la tassa di circolazione delle auto. E non si tratta di evasori.
Sono infatti i militari americani residenti in Italia con le loro famiglie.
In base agli accordi bilaterali tra Italia e Stati Uniti e alle intese in ambito NATO, i comandi militari e i 13 mila soldati delle forze armate USA in servizio alla base navale di Napoli, alla caserma Ederle di Vicenza, agli aeroporti di Ghedi, Aviano e Sigonella e nelle decine di altre installazioni sparse per il Paese godono infatti di un regime fiscale privilegiato. È il contributo dell’Italia alla «difesa comune», quantificato in base al principio del cosiddetto «burden sharing», ovvero la distribuzione della spesa della presenza delle forze armate americane.
Quando un militare americano viene assegnato a una base in Italia, al suo arrivo riceve una serie di indicazioni, tra le quali una lista delle esenzioni fiscali: si va dall’Iva per ogni tipo di acquisto, servizio e contratto, fino alle accise sui carburanti e sul consumo elettrico, passando dai dazi doganali, alla tassa di sbarco e d’imbarco delle merci trasportate per via aerea e marittima, a quella di circolazione sui veicoli, all’imposta di registro e di quella di bollo.
I risparmi sono destinati anche ai comandi miliari che si estendono nel nostro territorio per quasi 2 milioni di metri quadri (secondo i dati aggiornati a fine 2010 forniti dal Dipartimento della Difesa USA).
Difficile calcolare esattamente il sacrificio degli italiani per lo speciale regime fiscale destinato ai soldati USA, perché né il governo di Washington né quello di Roma possiedono, o comunque diffondono, cifre precise.
L’ultimo resoconto risale al 2004, quanto il Congresso USA pubblicò il documento Report on allied contributions to the common defense, da allora mai più reso noto nei suoi aggiornamenti.
In quelle carte si leggeva che nel 1999 il contributo dell’Italia era di 530 milioni di dollari, pari a circa 450 milioni di euro. Nel 2001, i vantaggi concessi agli USA erano del 37% delle spese sostenute, ovvero 327 milioni di dollari.
Oggi, con la crescita delle imposte e dei prezzi, si può ipotizzare che il peso dei militari USA sulle finanze pubbliche italiane superi i 500 milioni di euro ogni anno.
Per incassare 350 milioni di euro, Palazzo Chigi ha deciso di aumentare l’Iva al 21% (nel 2012 è destinata a salire) e di alzare le accise sui carburanti. Eppure per raggiungere lo stesso obiettivo – e persino superarlo – sarebbe bastato parificare il regime fiscale dei soldati USA a quello degli italiani. Ma questo non è avvenuto.
Così i militari di Washington, oltre a utilizzare servizi come la manutenzione delle strade, l’illuminazione e la nettezza urbana senza spendere un dollaro, possono addirittura risparmiare più del 60% sul carburante, mentre gli italiani devono sobbarcarsi di accise e Iva, arrivando a spendere per ogni litro di benzina verde fino a 1,759 euro.
Un calcolo preciso dei costi per i militari USA lo ha fornito nel 1999 Pasqualino Serra, fino al 1997 sindaco de La Maddalena, la cittadina sarda che per decenni ha ospitato la base dei sottomarini nucleari americani.
Dallo studio sui costi-benefici della presenza degli USA di Serra, che dopo aver lasciato la poltrona di sindaco continuò a interessarsi di politica locale, emerse che «in 25 anni si è cumulato un disavanzo economico pari a quasi 45 miliardi di lire. Una perdita annuale da 928 mila euro. Bilancio che ha penalizzato i cittadini dell’arcipelago». E La Maddalena è un piccolo Comune da 11 mila abitanti che ospitava poche centinaia di persone.
Nei casi, per esempio, di Napoli e Vicenza il peso della presenza militare USA è maggiore, perché con gli shell agreements (gli accordi degli Anni 50 e 60 poi aggiornati nel 90), il ritiro e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti all’interno delle basi è a carico delle autorità italiane, mentre gli americani si occupano di quelli speciali e tossici.
Considerando che Vicenza ha circa 200 mila abitanti a fronte dei 5 mila militari USA (senza contare i familiari), facile capire che i costi sono pesantissimi per l’Italia e le cifre impossibili da ricostruire senza un report ufficiale da Washington. E presto sono in arrivo altri soldati USA: dalla Germania si sta trasferendo in Veneto la 173esima Brigata aviotrasportata. Nuovi militari per un’ulteriore spesa destinata a essere pagata dagli italiani.

Fonte

Italia polveriera atomica

I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi con un referendum sulla possibilità che il nostro Paese persegua una politica energetica nucleare.
Molte voci si stanno spendendo sul tema, riaprendo un dibattito che si era chiuso nel 1987, quando un altro referendum sancì, di fatto, l’abbandono, da parte dell’Italia, del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico. La questione tornò d’attualità nel 2008, anno il cui il governo Berlusconi decise di iniziare un iter legislativo teso al ripristino della produzione elettronucleare. Il fronte del no al nucleare, trasversale e incalzante, denuncia le potenzialità dannose che avrebbero centrali nucleari situate nel nostro territorio. Tuttavia, non tutti sanno che già attualmente in Italia il rischio di calamità nucleari non è affatto remoto, sebbene non siano attive centrali da quasi venticinque anni. Il professor Alberto Bernardino Mariantoni, esperto di politica estera e relazioni internazionali, per vent’anni inviato speciale in Vicino Oriente e corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra, ne individua il motivo nella presenza delle basi USA e NATO entro i nostri confini.
(…)
Sostiene che in alcune di queste basi vi siano armi atomiche? Se sì, dove e in che quantità?
Non soltanto lo sostengo, ma – fino a prova del contrario – lo confermo e lo ribadisco. In altre parole, al momento della mia ricerca iniziale (2003/2004) e, almeno, fino a tutto il 2008, i Depositi nucleari statunitensi, in Italia, contavano (e contano ancora?) all’incirca 90 bombe, del tipo B-61-3, B-61-4 e B-61-10, (tutte unicamente sganciabili da caccia-bombardieri), con potenza media fra i 45 ed i 107 kilotoni, di cui 50 testate dislocate presso la base di Aviano, in provincia di Pordenone, e 40 in quella di Ghedi-Torre, in provincia di Brescia.

Queste armi possono essere usate dallo Stato italiano?
Ufficialmente, mia conoscenza, no! Il che non esclude che sulla base di uno dei numerosi Accordi segreti che sono stati siglati, dagli anni ’50 ad oggi, dal Servizi segreti USA e quelli italiani, e mai ratificati dal Parlamento (art. 80 della nostra Costituzione) né dal Presidente della Repubblica (art. 87), l’aviazione italiana – come forza militare della NATO e su ordine espresso di Washington – le possa utilizzare.

Reputa il cosiddetto Weapons Storage and Security System (WS3) un sistema efficace a scongiurare i rischi dovuti alla presenza di armi atomiche? Spieghi anzitutto in cosa consiste il WS3…
Come la stessa frase inglese lo indica, si tratta di un sistema di sicurezza per lo stoccaggio (sotterraneo) delle armi (atomiche). Messo a punto già dal 1976 e divenuto operativo nel 1988, il sistema in questione – interamente realizzato dalla ditta statunitense Bechtel International Inc. – permette l’immagazzinamento di testate nucleari, all’interno di tunnel individuali e compartimentati, scavati nel sottosuolo. Quel genere di gallerie sotterranee, nel gergo militare statunitense, posseggono anche un nome: Weapon Storage Vaults (WSV) o Sotterranei (a volta) di stoccaggio di armi. Gli USA ne posseggono all’incirca 204 in tutta l’Europa, di cui 2 in Italia (Ghedi-Torre e Aviano). Quello di Rimini (il 3° che esisteva in Italia) è stato dimesso nel 1993. Ora, affermare che si tratti di un sistema di sicurezza, sicuro al 100%, a me sembra una scommessa! Chi potrebbe garantirlo, con assoluta certezza? Con il nucleare, come sappiamo, non si è mai sicuri di nulla. Certo, finché non succede niente o non vi sono incidenti o possibili fatalità o disgrazie, il sistema in questione può essere considerato sicuro. Ma, il giorno che dovesse esserci un qualunque problema, tecnico o umano, il numero e la potenzialità di quelle armi stoccate sul nostro territorio potrebbe improvvisamente ed imparabilmente trasformarsi in un’immane e funesta catastrofe generalizzata per l’intero nostro Paese!

E’ vero che anche nel mar Mediterraneo, entro le nostre acque territoriali, vi sono centrali nucleari che approdano nei nostri porti?
La maggior parte delle unità navali statunitensi, appartenenti alla loro 6ª Flotta del Mediterraneo, che sono (permanentemente o saltuariamente) ormeggiate nei nostri porti (Livorno, La Spezia, Gaeta, Napoli, Taranto, Sigonella, etc.) o scorazzano indisturbate all’interno dell’antico Mare nostrum, sono a propulsione nucleare. In modo particolare, l’intera flotta sottomarina US-Navy che fino a qualche tempo fa era basata a La Maddalena-Santo Stefano (Sassari) e che, essa stessa, è stata costretta ad abbandonare, a causa dell’alto inquinamento che aveva prodotto in quelle acque. Ognuna di quelle imbarcazioni (incrociatori, portaerei e sommergibili), inoltre, è ordinariamente equipaggiata con non meno di 10 o 20 o 30 missili a testata nucleare del tipo Cruise Tomahawk, la cui capacità distruttiva di ognuno, supera largamente di 10 volte le bombe atomiche che furono sganciate dagli USA, su Hiroshima e Nagasaki, nell’Agosto del 1945. Insomma, l’Italia – che ufficialmente, fino ad oggi, è un Paese denuclearizzato e la maggior parte dei suoi cittadini pensa addirittura, con uno dei referendum del 12 e 13 Giugno prossimi, di continuare a ratificarne la moratoria – è, nell’ignoranza e/o nell’indifferenza di ognuno, una vera e propria polveriera atomica, pronta ad esplodere in qualsiasi momento ed a cancellare definitivamente il nostro Paese dalla faccia della Terra. Questo, ovviamente, senza contare gli innumerevoli pericoli che, in tempi normali, l’eventuale fuga involontaria ed incontrollata di radiazioni potrebbe irrimediabilmente causare per la salute dei cittadini.

Queste unità sono impegnate attualmente in operazioni militari? Se sì, che tipo di pericoli possono derivare da questo fatto?
Molte delle unità navali della 6ª Flotta americana sono al momento impegnate militarmente a ridosso delle coste libiche, nel tentativo, unilaterale, arbitrario ed illegale – e non affatto giustificato, come spesso si tende erroneamente a credere, dalla “Risoluzione 1973” del Consiglio di sicurezza dell’ONU! – di costringere il Leader della Giamahiriya, Gheddafi, ad abbandonare il potere. E questo, nonostante il largo e provato sostegno che quest’ultimo continua a mantenere tra la popolazione del suo Paese, specialmente in Tripolitania. E’ vero che, allo stato attuale, le FF.AA. libiche (o quel che ne resta dopo 3 mesi di intensi e distruttivi bombardamenti NATO) non sembrano avere una qualsiasi capacità offensiva o controffensiva nei confronti della marina statunitense ed alleata (Francia + Gran Bretagna), ma se – per pura ipotesi – un missile o un’improvvisa ed imparabile azione kamikaze riuscisse comunque a centrare una qualunque di quelle navi da guerra con i loro arsenali atomici imbarcati, che succederebbe? Lascio volentieri al lettore, la possibilità di immaginare, a piacimento, l’intensità e l’ampiezza dell’eventuale catastrofe che ne potrebbe derivare, per la maggior parte di Paesi dell’area mediterranea!
(…)

Da Nucleare. Intervista al Prof. Alberto B. Mariantoni: l’Italia è (già) una polveriera atomica, di Federico Cenci.

Si fa presto a dire no al nucleare

Coloro i quali manifestano la propria strenua opposizione al programma nucleare civile, riattivato dall’esecutivo Berlusconi, dovrebbero altresì spiegare perché non hanno nulla da dire in merito all’esistenza di 90 testate nucleari USA in Italia, tra le basi di Ghedi ed Aviano, né tantomeno sulla ricorrente presenza nei nostri porti di almeno tre sottomarini statunitensi a propulsione nucleare, appartenenti alla VI Flotta.

Ed in Sardegna, a La Maddalena, dove nel 2003 si sfiorò il disastro nucleare quando l’USS Hartford s’incagliò nella Secca dei Monaci, pare vicino il ritorno dei vecchi “ospiti”.
Sovranità giammai.

Una forma di pressione territoriale

Buona lettura, e buon anno nuovo!

La ricostruzione delle vari fasi nelle quali si è sviluppata la presenza militare estera degli Stati Uniti, e delle motivazioni che ne hanno guidato i cambiamenti, permette di tracciare un quadro delle varie funzioni che le basi militari all’estero hanno svolto.
La presenza militare all’estero, a partire dagli avamposti coloniali degli imperi del XIX secolo, non svolge esclusivamente funzioni belliche. Le basi militari all’estero, che spesso trovano nei conflitti il momento di maggiore incremento, svolgono una funzione di supporto alle attività commerciali e produttive e costituiscono un elemento centrale nelle relazioni diplomatiche tra differenti Paesi.
Il loro utilizzo come sostegno ed assistenza alle rotte commerciali costituisce una delle caratteristiche della presenza militare all’estero della Gran Bretagna che gli Stati Uniti hanno fatto proprie. L’attività di sostegno all’espansione economica svolta dalle basi militari all’estero, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si è estesa anche alla creazione di un clima favorevole per le imprese statunitensi all’estero, in particolar modo in Europa.
La presenza militare svolge un ruolo centrale anche nelle relazioni politico/diplomatiche che si instaurano con gli altri Stati necessitando di un corredo di relazioni diplomatiche, in molti casi sancite da specifici accordi, tra i due Paesi. Allo stesso tempo, la presenza di installazioni militari contribuisce al rafforzamento delle relazioni; attraverso la presenza militare, il Paese ospitato mantiene il Paese ospitante all’interno della propria area di influenza.
Le relazioni tra Paesi possono assumere differenti spessori. La presenza di forze armate su un altro territorio può, in molti casi, costituire una forma di pressione territoriale in grado di esercitare influenza nelle politiche interne del Paese ospitante. La presenza militare, oltre alle sue dinamiche a scala locale, plasma i Paesi riceventi, influenzandone cultura e società ed alterandone anche il processo di democratizzazione.
Le basi militari possono svolgere un ruolo di controllo territoriale anche sui Paesi nei quali non sono presenti. Il controllo esercitato a distanza, tramite quindi la creazione di basi e lo stanziamento di truppe ad una distanza che permette il rapido dispiegamento in caso di conflitto, esercita una pressione sui Paesi riceventi anche senza un diretto coinvolgimento.
Il controllo a distanza rende quindi maggiormente complesso per i Paesi che lo subiscono, liberarsene, non essendoci legami diplomatici con il Paese che lo esercita.
La presenza militare estera ha assunto quindi una valenza simbolica che scavalca, ed in alcuni casi esula, la possibilità di un diretto impiego in attività belliche. Il valore simbolico della presenza militare estera, nei confronti dei Paesi ospitanti e di coloro che ne subiscono il controllo indiretto, assume un’importanza maggiore all’interno degli attuali equilibri internazionali e delle odierne metodologie di guerra.
[pp. 100, 101]

Per quanto riguarda le infrastrutture, il principale accordo bilaterale tra Italia e Stati Uniti è l’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA) del 1954. L’accordo venne preceduto da due accordi in materia di difesa nel 1950 e nel 1952 nonché da uno scambio di note del 1952. L’accordo venne firmato dal ministro degli esteri italiano (Giuseppe Pella) e dall’ambasciatrice statunitense in Italia (Clara Booth Luce), non venne mai sottoposto a ratifica parlamentare. Il fondamento giuridico di tale procedura viene fatto risalire alla “procedura semplificata”, un comportamento consuetudinario che prevede l’entrata in vigore di un atto non appena siglato da un rappresentante dell’esecutivo. Questa procedura, di norma utilizzata per accordi di natura tecnica, non si sarebbe potuta applicare anche all’accordo relativo alle installazioni militari. In virtù degli articoli 80 ed 87 della Costituzione, l’accordo circa le installazioni militari, rientrando tra gli accordi di natura politica e non essendo inquadrabile in fattispecie di natura finanziaria, costituisce un caso per il quale la procedura semplificata non potrebbe essere applicata. Il ricorso alla procedura semplificata nella risoluzione delle problematiche connesse alla installazione militare potrebbe configurare l’incostituzionalità dei procedimenti adottati; l’incostituzionalità degli accordi circa le basi militari statunitensi, anche nei casi in cui è stata sollevata, non ha tuttavia sortito conseguenze giuridiche nella validità degli accordi. La volontà politica di mantenere le relazioni con gli Stati Uniti in linea con quanto previsto nel 1954 e di celare alla popolazione italiana la conoscenza del contenuto degli accordi bilaterali prevarica la stessa costituzionalità dell’atto. La segretezza degli accordi con gli Stati Uniti del 1954 ed i successivi accordi, altrettanto segreti, circa le differenti installazioni si è estesa non solo ai contenuti degli accordi, ma alla loro stessa esistenza.
L’esistenza di un accordo con gli Stati Uniti in tema di basi militari venne infatti resa nota in occasione dei fatti del Cermis, quando l’allora presidente del consiglio D’Alema rese pubblica l’esistenza dei memorandum d’intesa con gli Stati Uniti. La segretezza degli accordi, motivata principalmente nel clima di contrapposizione caratteristico del momento della loro stipulazione, lascia tuttavia interrogativi legati principalmente alla necessità di mantenere ancora segreti i contenuti di un accordo risalente ad un’epoca distante, e alla necessità di secretare non solo le informazioni riguardanti i siti, giustificabili da esigenze di difesa, ma anche l’intero quadro delle relazioni. La norma, oltre che dal segreto militare, è coperta da un vincolo di segretezza bilaterale imposto al momento della stipulazione. Il trattato non può infatti essere reso pubblico autonomamente da nessuno dei due Paesi.
Nel 1959 l’Italia siglò con gli Stati Uniti un accordo che garantiva loro la possibilità di impiantare sul territorio italiano missili Jupiter dotati di una potenza nucleare superiore a quella delle bombe sganciate in Giappone. L’accordo, che generò tensioni con l’Unione Sovietica, non venne mai ratificato in parlamento e la sua sottoscrizione appare potesse essere ignota anche all’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Attraverso questo accordo l’Italia utilizzava la possibilità atomica, esponendo i propri cittadini ad un potenziale attacco da parte sovietica, per rinsaldare le interrelazioni economiche con gli Stati Uniti e manifestare con decisione la propria volontà di aderire al patto atlantico.
Gli accordi stipulati dall’Italia con gli Stati Uniti non hanno subito, nel corso della loro evoluzione, una rinegoziazione, come nel caso degli accordi stipulati da Grecia, Turchia e Spagna, per i quali venne richiesta l’approvazione parlamentare e, conseguentemente, venne reso pubblico il contenuto.
La normativa circa la presenza di installazioni militari statunitensi in Italia è stata incrementata nel 1995 dallo Shell Agreement o “Memorandum d’intesa tra il ministero della difesa della Repubblica italiana ed il dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America, relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia”. Questo accordo, ugualmente entrato in vigore attraverso procedura semplificata ed inizialmente secretato, costituisce principalmente un documento di natura tecnica, attraverso il quale viene indicato lo schema necessario alla formulazione degli accordi relativi alle varie installazioni.
[pp. 124-126]

Le problematiche di sovranità si sviluppano anche riguardo alla presenza e la gestione delle armi nucleari. Gli Stati Uniti hanno, nel corso della loro presenza in Italia, utilizzato molte delle installazioni per finalità connesse agli ordigni nucleari. Depositi e basi abilitate all’utilizzo, sia terrestre che aereo, di ordigni nucleari hanno costituito una parte centrale e conclamata, soprattutto dalla letteratura estera, della presenza militare statunitense in Italia.
La prima presenza nucleare statunitense in Italia, risale agli ’50 quando, nella base di Gioia del Colle vennero ospitati 30 missili Jupiter. La presenza di testate nucleari e di missili Jupiter venne mantenuta segreta da parte delle autorità italiane nello stupore delle forze armate statunitensi “Non ha evidentemente senso continuare a mantenere segreta l’esistenza degli Jupiter ed il loro dislocamento, ma il governo italiano sembra volere questo per motivi politici”. La presenza nucleare degli Stati Uniti in Italia si amplia negli anni ’80, prima attraverso il processo di installazione di ordigni nucleari a Comiso, installazione che portò alla nascita dei principali movimenti anti-nucleare in Italia, e successivamente con lo stanziamento del 401° Squadrone Tattico ad Aviano.
Attualmente 90 ordigni nucleari dovrebbero essere presenti nelle basi di Aviano e di Ghedi Torre. Gli ordigni presenti in Italia potrebbero essere difficilmente utilizzabili, stando ai giudizi di Hans M. Kristensen, ed il loro valore è soprattutto simbolico. La presenza di ordigni nucleari assume quindi un ruolo di deterrenza, nei confronti dei potenziali avversari, ma costituisce allo stesso tempo un elemento di pressione nei confronti del Paese ospitante.
Il tema della presenza di ordigni nucleari in territorio italiano, oltre alle problematiche connesse circa il loro significato in termini di relazioni internazionali e di accettazione da parte dell’opinione pubblica, suscita problematiche connesse alla legittimità della loro presenza. Stati Uniti ed Italia sono entrambi aderenti al Trattato di non proliferazione nucleare. Il differente status dei due Paesi, in tema di ordigni nucleari li pone in situazioni differenti. Gli Stati Uniti, in quanto Stato detentore di ordigni nucleari è autorizzato a possederne, disporne la collocazione in altri Paesi, ma non a cederne ad altri Stati. L’Italia non può produrre né ricevere armi nucleari.
La presenza di ordigni nucleari in Italia, ed analogamente negli altri Paesi che non rientrano in quelli autorizzati a detenere armi nucleari ma nei cui territori gli Stati Uniti stanziano testate nucleari, porterebbe una violazione da parte di entrambi i Paesi del trattato di non proliferazione. La presenza di ordigni nucleari è dal punto di vista legislativo risolto con il sistema della “doppia chiave” per il quale gli Stati Uniti sono detentori degli ordigni e ne sono autorizzati all’utilizzo ma questo è permesso solo previo autorizzazione italiana, che di per sé non possiede testate nucleari. L’escamotage utilizzato per ovviare alle problematiche giuridiche, connesse alla presenza di testate nucleari, non incide tuttavia sui suoi effetti. L’aderenza al trattato di non proliferazione dovrebbe ricondurre non solo ad un aspetto legale, ma dovrebbe piuttosto essere rappresentativo di una scelta politica definita. La presenza di testate nucleari, la cui effettiva presenza non è mai stata dichiarata dai vertici istituzionali sia militari che civili, costituisce uno degli aspetti della presenza militare maggiormente osteggiati dall’opinione pubblica.
[pp. 127, 128]

Gli effetti economici della presenza militare su un territorio sono in molti casi sopravvalutati. Le odierne basi militari, in particolar modo all’estero, sono costruite cercando di dare ai propri abitanti la disponibilità di beni e servizi anche di rango elevato. Le loro dotazioni non attengono esclusivamente alle attività per le quali vengono costruite, ma sono sviluppate anche al fine di migliorare la vivibilità da parte dei militari stanziati.
Accanto ad attrezzature belliche, è quindi sempre più frequente trovare anche luoghi di incontro e di divertimento, oltre alla disponibilità di negozi e servizi per l’istruzione; le interrelazioni con l’esterno da parte degli abitanti della base sono quindi notevolmente ridotte. Le basi militari tendono ad essere autosufficienti anche per quanto attiene all’approvvigionamento di beni necessari, spesso derivanti da un processo di distribuzione proprio del dipartimento della difesa.
Il contributo che la presenza di un’installazione militare in termini di incremento di consumi appare quindi essere considerato marginale rispetto alle attività che vengono svolte a favore dei residenti; ne discende che i benefici economici tendono ad essere limitati temporalmente al periodo di costruzione, spesso svolto da società appaltatrici del Paese ospitante, e spazialmente alle poche attività localizzate in prossimità della base.
La presenza di installazioni militari, o di servitù militari, può costituire anche un vincolo allo sviluppo economico di un territorio. Essa impedisce infatti lo sfruttamento delle zone in prossimità della base per finalità commerciali. La presenza di basi militari potrebbe inoltre rendere minore la possibilità di sfruttamento a fini turistici del territorio dove la base è impiantata, poiché potrebbero portare a decise modifiche del paesaggio, nonché alla presenza di fattori di disturbo, come ad esempio l’inquinamento sonoro, che potrebbero costituirne elemento deterrente.
L’ostacolo che la presenza militare potrebbe arrecare alla crescita economica di un territorio ha, nel caso italiano, manifestazione evidente nella Sardegna. La presenza di vincoli nell’utilizzo degli spazi a terra, con le relative implicazioni di natura turistica, e gli effetti sulla pesca e sulle varie attività nautiche di zone di sgombero a mare, che si estendono su una superficie maggiore di quella dell’isola stessa, vengono indicate come cause del mancato sviluppo di intere parti dell’isola, maggiormente evidenti nel caso de La Maddalena.
[pp. 136, 137]

Le attività militari esercitano un’elevata pressione sul territorio nel quale vengono svolte, in particolar modo per quanto attiene all’utilizzo delle risorse naturali. Il loro consumo ed i danni operati all’ambiente emergono evidenti in occasione dei conflitti che, accanto alla perdita di vite umane, mostrano un deciso impatto sulle risorse naturali. L’impatto ambientale delle guerre, delle quali le immagini della prima guerra del Golfo costituiscono la rappresentazione più nota ed evocativa, hanno costituito oggetto di approfondite analisi. Inoltre le attività militari, nelle loro molteplici forme, provocano decise ripercussioni sull’ambiente anche in momenti di non conflittualità.
L’inquinamento dell’atmosfera e l’inquinamento acustico costituiscono le più evidenti manifestazioni delle conseguenze ambientali ma i principali effetti, in particolar modo a lungo termine, risiedono nella presenza di rifiuti tossici, contaminazioni chimiche e derivanti dall’utilizzo di oli e combustibili.
Come evidenziato da uno studio svolto su siti dimessi da parte del dipartimento difesa statunitense, gran parte dei siti manifestava questa problematica ed in molti casi più forme di inquinamento insistevano sullo stesso territorio.
L’utilizzo e la sperimentazione di materiali tossici, nucleari e radioattivi sono sottoposti a regolamentazioni internazionali; il loro utilizzo e la loro sperimentazione continua ad essere tuttavia diffuso e comune a molti Paesi. A partire dalla seconda guerra mondiale, utilizzo in attività belliche e sperimentazioni in fase di non conflittualità di materiali nucleari, tossici e biologici si sono susseguiti senza soluzione di continuità fino all’utilizzo dell’uranio impoverito nei conflitti in Iraq e nei Balcani.
Le conseguenze ambientali e per la salute dei cittadini non è legata esclusivamente all’utilizzo in conflitto. La presenza di alterazioni nello stato di cittadini prossimi a basi militari, in particolar modo poligoni, mostra la presenza di alterazioni ambientali anche a seguito dell’utilizzo delle basi e delle altre installazioni militari in fase di non conflittualità.
Un caso emblematico legato all’utilizzo di sostanze nucleari/chimiche/battereologiche, anche in fase di non conflittualità è rappresentato dalla Sardegna che costituisce, con i suoi 24.000 ettari di demanio militare, un territorio altamente militarizzato. Tra le varie installazioni presenti, una menzione tristemente particolare deve esser riservata al poligono di Quirra.
[pp. 142, 143]

Da Le basi militari degli Stati Uniti in Europa: posizionamento strategico, percorso localizzativo e impatto territoriale, di Daniele Paragano.
[grassetti nostri]

Ahmadinejad contro il segreto di Pulcinella

È in corso in questi giorni a New York, sede dell’ONU, la conferenza di riesame del Trattato di non Proliferazione Nucleare. Ovviamente tutti gli occhi sono puntati sul grande nemico della pace mondiale, ovvero il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Da anni, infatti, lui e il suo governo sono messi alla berlina dalla comunità internazionale per il programma per l’arricchimento dell’uranio che il suo Paese sta portando avanti nonostante sanzioni e minacce da parte di tutti gli Stati alleati agli USA, l’unica nazione che ha utilizzato bombe atomiche nel corso della storia.
Dopo essersi sorbito per anni attacchi a tutto tondo, ieri il plenipotenziario di Teheran ha deciso di passare al contrattacco. Presa la parola, Ahmadinejad ha infatti polemicamente chiesto alla platea cosa ci fanno in Europa bombe nucleari made in USA.
Il presidente iraniano ha quindi citato i casi di Germania, Italia ed Olanda.
Nonostante i media italiani ed i nostri politici continuino a non confermare, negli anni passati da Washington e dintorni è più volte stata confermata la presenza di questo tipo di ordigni nel nostro Paese. Secondo quanto riferito dagli studiosi del FAS, Federation of American Scientists, tra la base aerea della NATO di Aviano, nei pressi di Pordenone, e quella bresciana di Ghedi Torre, sarebbero stipate 90 testate; fino a pochi anni fa alcune di queste erano nascoste all’interno dell’aeroporto di Rimini. Alcuni ricercatori sostengono la tesi che ordigni di questo tipo potrebbero trovarsi anche nelle basi aeree di Gioia del Colle, ufficialmente a disposizione delle truppe italiane ma classificato come COB ovvero in grado all’occorrenza di schierare veivoli dotati di armi nucleari, e in quella di Sigonella. Altro sito italiano potenzialmente nucleare quello nei pressi di Affi sul lago di Garda, anche se queste ipotesi sembrano più che altro connesse alla presenza di capannoni con protezione NBC, ovvero nucleare batteriologica e chimica.
Il nostro comunque non è l’unico Paese europeo con il privilegio di ospitare testate nucleari a stelle e strisce, secondo le ultime stime ce ne sarebbero 150 solo in Germania, altre 100 in Inghilterra, 90 in Turchia ed altre 40 dislocate tra Belgio e Olanda. L’unica differenza è data dal diverso atteggiamento dei politici. Nello scorso febbraio alcuni Stati europei – Belgio, Germania, Lussemburgo, Norvegia e Paesi Bassi – hanno ufficialmente chiesto il ritiro di queste testate, con l’Italia che ha pensato bene di rimanere a guardare, nonostante da anni i sindaci di Aviano e Ghedi siano membri del network Mayors for peace, l’associazione presieduta dal sindaco di Hiroshima, che si impegna per l’eliminazione di tutte le armi nucleari dal mondo entro il 2020.
Piccola precisazione: mentre Ahmadinejad svelava il segreto di Pulcinella, i rappresentati al Palazzo di Vetro dei Paesi “democratici” hanno abbandonato l’aula. Forse per non ascoltare una verità di cui poi avrebbero dovuto rendere conto ai loro cittadini.
Fabrizio Di Ernesto

[Nel prossimo fine settimana, l’autore dell’articolo sarà a Modena e Bologna per partecipare agli incontri pubblici già segnalati]

La Russa e gli AMX per l’Afghanistan

AMX.

Oggi apriamo un altro fronte…

La Russa è un prestigiatore come Casanova. Vi ricordate il mago presentato a Striscia la Notizia da Greggio e Iacchetti?
L’unica differenza tra i due “personaggi“ è che il Ministro della Difesa non simula, fa sul serio, ed invece di pasticciare intenzionalmente con colombe che non escono dal cilindro manda gli AMX in Afghanistan come D’Alema li faceva decollare dalla base di Amendola per bombardare Montenegro e Kosovo.
Il Casanova di Ricci e Canale5 faceva e fa divertire gli utenti televisivi di Berlusconi, quello di Palazzo Baracchini, in combutta con Napolitano ed il Consiglio Supremo di Difesa che si riunirà un’altra volta il 9 novembre, cambia le carte sulla tavola per meleggiare intenzionalmente l’opinione pubblica.
Di Tornado IDS in Afghanistan, su ordine del mefistofelico “pizzo e barba“, il Generale di Squadra Aerea Daniele Tei ce ne ha mandati 4 al costo stratosferico, dalla manutenzione al personale di volo, di 52 milioni di euro all’anno.
Ne dovrebbero tornare indietro 2.
Con tutta probabilità, i Panavia schierati a Mazar-e Sharif. Usiamo il condizionale perché fintanto che non atterrano a Ghedi ci è difficile crederci abituati come siamo alle pastette di La Russa.
Tipo?
Presto detto.
I 500 militari italiani che dovevano rientrare per dicembre, successivamente forse, poi no e ora sembrerebbe di sì. Il via libera è arrivato da Rasmussen al summit NATO di Bratislava che ha visto la partecipazione dei 28 Ministri della Difesa.
Barack Obama tergiversa, è in debito di dollari – gli è fallita la 117° banca il 4 novembre – di “fiato“ politico e di strategia militare.
A Palazzo Baracchini arrivano dalle 18 alle 30 lettere di protesta al giorno. Padri, madri, fratelli, sorelle e fidanzate vogliono sapere come finirà la faccenda.
Li vogliono a casa per Natale senza se e senza ma.
L’elenco dei morti e dei feriti si allunga e le famiglie, consapevoli del rischio che corrono i congiunti in “missione di pace“ chiedono a La Russa di rispettare gli impegni presi.
E allora che fa il (nostro?) ex missinista atlantico di Via del Maiale (pardon… Scrofa), sostenitore incallito dello Stato di “Israele“, passato con armi e bagagli all’antifascismo “istituzionale“ a tutto tondo salvo riservarsi il vezzo di indossare quando è in visita ad Herat (sentite, sentite) la “camicia nera“ sotto la mimetica?
Lo ha fatto per ben 3 volte di fila. Troppe per essere un “caso“.
Aumenta il numero dei cacciabombardieri, da 4 a 8, o da 4 a 6, se va bene, tanto per far uscire qualche altra decina di milioni di euro in più dalle tasche della gente per bene, che paga le tasse, per alimentare l’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane.
Solo che… gli Amx hanno qualche grosso problemino, come del resto i Puma ed i Lince.
Ma mentre i blindati stanno a terra, i cacciabombardieri della Alenia-Aermacchi-Embraer volano e rischiano di venir giù durante gli attacchi al suolo, con effetti mortali per il personale di volo e di immagine a livello nazionale ed internazionale per l’Italietta che già con i Tornado IDS mitraglia e bombarda a tutto kerosene pashtun e mujaheddin per conto di USA, NATO ed ONU.
Esagerazioni? Macchè.
Sentite un po’.
“… ci sono elementi per ritenere che i caccia AMX siano pericolosi, quindi non idonei al volo“. Lo affermò nel 2006 il Capo della Procura della Repubblica di Cagliari, Mauro Mura, confermando il provvedimento di sequestro della flotta di cacciabombardieri in dotazione all’Aeronautica Militare Italiana, ottenuto dal GIP su richiesta del PM Giancarlo Moi, titolare dell’inchiesta sull’Amx precipitato il 20 ottobre 2005 nel comune di Decimomannu durante un’esercitazione NATO.
Il presupposto dell’inchiesta – dichiarerà – è l’accertata pericolosità di questi caccia e gli elementi raccolti ci portano in questa direzione.
Il Capo di Stato Maggiore dell’A.M.I, dal canto suo, aggiungerà questa pesante ma sostanzialmente corretta dichiarazione: “Il tettuccio dell’AMX si è già staccato cinque volte determinando la perdita dei velivoli”.
Il Messaggero di Roma denuncerà decine di incidenti di volo per l’AMX e la morte di 14 piloti. Un dato che sarà rettificato (?) dallo Stato Maggiore in 8 perdite di AMX e 6 morti tra i piloti su una dotazione di velivoli che non ha mai superato i 60 operativi sui 110 a disposizione.
L’Amx è un cacciabombardiere nato sotto una cattiva stella ed è complementare al Tornado IDS. Può portare fino a 3.800 kg di bombe a caduta libera, razzi o armamento laser. Il prototipo esce nel 1984. La prima perdita arriva in fase di collaudo nel novembre 1989.
Muore il pilota e l’aereo si incendia per impatto al suolo. Dopo 2 mesi, nel 1990, l’A.M.I è costretta a registrare la seconda tragedia. Il 7 novembre di quello stesso anno, un altro aereo precipita nelle campagne di Pavia.
Nel 1992 ne cade un altro e questa volta l’A.M.I sospende i voli. Nel 1993, in Danimarca nel corso di un’esercitazione NATO, precipita un altro AMX. Anche in questo caso muore il pilota. Nel 1993 altri due “incidenti“.
Jets ancora a terra per verifiche, nuove perdite nel 1994, altri stop al volo, ed ulteriori distruzioni per impatto a terra nel 2000 e 2001.
La Procura di Padova apre un inchiesta. Nel 2002 un’altra Procura, questa volta quella di Treviso, blocca gli AMX per la caduta e la morte del pilota in un’area alla periferia della città. Nel 2003, l’Aermacchi-Embraer torna a volare ma si deve registrare nel corso dell’anno un nuovo disastro aereo.
Poi toccherà ad un AMX biposto da addestramento riportare l’incrinatura del tettuccio ed il lancio con paracadute dell’equipaggio.
Fino ad arrivare ad un nuovo sequestro disposto dalla Procura di Cagliari, nel luglio 2006, della intera documentazione relativa agli AMX nella sede dell’Aermacchi di Venegono Superiore (Varese).
Da quel momento, non si sono più registrate perdite di aerei e piloti perché l’A.M.I ha praticamente cessato di utilizzarli per l’addestramento sui cieli italiani.
La Russa, d’accordo con Napolitano ed il solito famigerato Consiglio Supremo di Difesa, vuol tornare a farli volare a livello operativo in missioni di attacco al suolo in Afghanistan, per far fuori un altro bel po’ di afghani e… qualche pilota “tricolore“.
Giancarlo Chetoni

Aviano Italia: la basi NATO viste da vicino

Cosa vuol dire vivere accanto a una base militare? E’ davvero un vantaggio economico per la comunità? Qual’è l’impatto su ambiente e territorio?
Nel nuovo ciclo di Radio Rai 3, Aviano Italia, Carla Fioravanti racconta la vita intorno alle basi militari statunitensi e NATO in un itinerario sonoro che percorre l’Italia da nord a sud.
Dalle basi di San Vito dei Normanni e Taranto in Puglia, a Comiso e Sigonella in Sicilia. Dai poligoni militari di Quirra e Teulada alla base de La Maddalena in Sardegna. Le basi di Gaeta e Napoli e, ancora, Camp Darby in Toscana; Ghedi e Solbiate Olona in Lombardia. Infine Vicenza e Aviano, la base più grande e più nota.
Sorte prevalentemente alla fine della seconda guerra mondiale, le basi sul territorio italiano sono numerose e di importanza strategica per l’esercito americano.
L’extraterritorialità e la riservatezza che caratterizzano queste aree sottratte alla sovranità territoriale italiana innescano una serie di rapporti particolari con la comunità che vive nelle immediate vicinanze. Cosa vuol dire vivere accanto ad una base militare? Che impatto ha sulla popolazione la prossimità ad un deposito di armi nucleari?
Nelle oltre cento testimonianze raccolte, Carla Fioravanti traccia un quadro della storia delle basi, dell’indotto economico per la popolazione, dell’impatto ambientale e culturale che la presenza di un esercito straniero inevitabilmente produce.
Alla luce dei recenti avvenimenti di Vicenza, Aviano Italia si presenta come uno spaccato sociale di stringente attualità.

Carla Fioravanti è stata già autrice per Radio Rai 3 con Li chiamavamo liberatori, Come l’America, Io di notte volo .

Per riascoltare le venti puntate, trasmesse dal 7 gennaio all’1 febbraio ultimi scorsi, cliccare qui.

Una tigre nel motore

Attraversa 6 Regioni, 17 Province e 136 Comuni italiani. Totalmente finanziato dall’Alleanza Atlantica, e’ stato costruito negli anni Sessanta per rifornire in modo autonomo e continuativo carburante Jet A1 (kerosene) ai velivoli dislocati negli aeroporti militari di tutta Europa.
Il suo nome è NATO-POL (acronimo che sta per Petroleum Oil Lubrificant) ed è un sistema completo di terminal marini, depositi di stoccaggio sotterranei e gruppi di pompaggio: una rete di oleodotti le cui condutture corrono per oltre 11.000 chilometri, dal mare fino al cuore dell’Europa.
Il sistema POL è una delle infrastrutture NATO meno note: la frazione italiana della rete – denominata North Italian Pipeline System (NIPS) – raggiunge le basi USA-NATO di Ghedi (Brescia), Aviano (Pordenone), Rivolto (Udine) e Cervia (Ravenna), nonché altre infrastrutture utilizzate esclusivamente dall’Aeronautica Militare Italiana. Dal terminale marino di Vezzano, in Val Mulinello, nei pressi di La Spezia, giunge al nodo di Collecchio (Parma) e lì si ramifica in tre direzioni, per un’estensione complessiva pari a circa 850 chilometri. Importanti depositi si trovano anche a Mestre, ad Augusta per rifornire la base US Navy di Sigonella, ed a Taranto.
Un braccio arriva fino in Germania, attraversando l’Austria. Un altro capo è in Portogallo, a Lisbona, dove un intero molo è riservato al NATO-POL. Altri depositi sono in Gran Bretagna. Reti analoghe a quella italiana sono inoltre presenti in Norvegia, Grecia e Turchia. Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda sono invece collegate da un sistema centrale europeo.
Di approfondirne la natura si era fatto carico il senatore Severino Galante (PdCI), con un’interrogazione parlamentare in cui chiedeva al governo italiano chiarimenti in merito alla segretezza dell’oleodotto e ad un’eventuale autorizzazione concessa alla NATO per ampliarlo nel tratto che da Vicenza (dove recentemente si è verificato un guasto) porta ad Aviano. L’allora ministro della Difesa Parisi si era affrettato a precisare che “l’aeroporto Dal Molin di Vicenza non è alimentato da tale rete” e che l’opera non riveste “carattere di segretezza” in quanto il tracciato è punteggiato, ogni duecento metri, da un cartello con la dicitura “Amministrazione dello Stato”.
Il combustibile dalle petroliere approdate a La Spezia viene riversato in Val Mulinello fino a 20.000 litri all’ora, quindi stoccato in serbatoi di cemento armato rinforzati da una lamina in acciaio e ricoperti di terra, non solo per impedire eventuali sversamenti ma anche per protezione da ipotetici attacchi. La portata dell’oleodotto nella parte italiana raggiunge, secondo dati aggiornati al 1999 (durante l’aggressione NATO alla ex Jugoslavia) un massimo di 1 milione e 600mila litri al giorno. Logisticamente, esso dipende dall’Aeronautica Militare Italiana (AMI), ed in particolare dal Comando situato presso l’Aeroporto di Parma, in via Cremonese 35.
La gestione e la manutenzione dell’impianto in Italia sono invece affidate alla società privata IG (Infrastrutture e Gestioni) S.p.A., con sede a Roma in via Castello della Magliana 75. Controllata dalla holding francese Technip, la IG vanta una consolidata esperienza tecnica ed organizzativa acquisita in oltre trenta anni di attività nei settori della realizzazione e gestione di impianti industriali ed infrastrutture in Italia ed all’estero, in campo civile e militare.
Il relativo contratto, stipulato nel 2000 con la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici del Ministero della Difesa, ha durata di 14 anni e comprende: l’esercizio con presa in consegna e riconsegna nelle aree di impiego dei prodotti petroliferi; la manutenzione ordinaria e straordinaria;
il controllo delle servitù e concessioni; i servizi tecnici; l’addestramento del personale; la custodia delle aree; il management generale.
Qualcuno, argutamente, ha parlato di “Gladio dei carburanti”.

English version

A tiger in their tank

translation: M. Zanarini

It runs across 6 Regions, 17 Provinces e 136 Municipalities in Italy. Completely funded by the Atlantic Alliance (NATO), it was built in the Sixties in order to supply in a continuous and autonomous way the aircrafts based in the military airbases all around Europe with Jet A1 fuel (Kerosene).
Its name is “NATO-POL”(which means Petroleum Oil Lubricant) and it’s a complete system of marine terminals, underground storage depots and pumping units: a pipeline network that runs for more than 11.000 Km, from the sea to the heart of Europe.
The POL system is one of the least-known parts of NATO infrastructure: the Italian section of the network – called North Italian Pipeline System (NIPS) – carries fuel to the US-NATO bases in Ghedi (Brescia), Aviano (Pordenone), Rivolto (Udine), and Cervia (Ravenna), as well as to other infrastructure used by the Italian Air Force.
From Vezzano marine terminal, in Val Mulinello, near La Spezia, it goes to the Collecchio (Parma) hub, from where it takes three directions, for a total length of about 850 Km.
Some important storage depots are located in Mestre, in Augusta to supply the Sigonella US Navy base, and in Taranto.
One branch goes to Germany, via Austria. Another one arrives in Lisbon, Portugal, where it has been assigned an entire wharf.
More depots are in Great Britain. Other networks, similar to the Italian one, are in Norway, Greece and Turkey, while Belgium, France, Germany, Luxembourg, and the Netherlands are connected by a European central system.
Senator Severino Galante (PdCI) tried to know something more about it, with a parliamentary interrogation in which he seeked explanation from the Government on the secrecy around the pipeline, asking if an authorization had been released to NATO to expand the network in the segment running from Vicenza (where a failure has recently taken place) to Aviano.
The Former Defence Minister Parisi answered that “Dal Molin airport in Vicenza is not supplied by this network” and that the infrastructure is not under “any secrecy order”, because every 200 metres it’s possible to see a sign with the words “State Administration” written on it.
The fuel is carried to Val Mulinello, from the tankers arrived in La Spezia, at a speed of 20.000 litres per hour, and then stored in concrete tanks reinforced with sheet steel and covered with earth, in order to prevent spills and to protect them from possibile attacks.
The maximum capacity on the Italian side is of 1,6 million litres per day, as of 1999 (at the time of the NATO aggression on former Jugoslavia). Logistically, it depends from the Italian Air Force (AMI), precisely from the Command based in Parma airport, at 35, Cremonese Street.
The company entrusted with the management and maintenance of the plant in Italy is “IG” (Infrastrutture e Gestioni) S.p.A., based in Rome at 75, Castello della Magliana Street.
“IG” is a subsidiary of the French engineering company “Technip” and has been working for more than 30 years in the implementation and management of industrial plants and infrastructure, in Italy and abroad, both in civil and in military engineering, developing considerable technical and organizational experience.
The contract, signed in 2000 with the Directorate-General for Aircraft Weapons of the Ministry of Defence, has a duration of 14 years and includes: management of petroleum products, with receipt and delivery in the areas of use; ordinary and extraordinary maintenance; control over easements and concessions; technical services; staff training; area guarding; general management.
Someone sharply called it “Fuel Gladio”.

Italian version

Testate nucleari USA in Europa

Sono 12 le basi aeree che, dislocate in 7 Paesi, possono ospitare armamenti atomici sotto il controllo degli Stati Uniti d’America. Nel 2005 le testate nucleari ivi presenti ammontavano a 480 unità.
I dettagli del Programma di Accordi sul dispiegamento nucleare della NATO sono segreti. Le bombe sono gestite attraverso un Sistema di Sicurezza per l’Immagazzinamento degli Armamenti, ideato durante la Guerra Fredda, che prevedeva di collocare le testate nucleari, insieme ad armi convenzionali, in rifugi sotterranei con apertura a tempo. Tali rifugi sono stati costruiti a partire dal 1987 al di sotto della superficie degli hangar che ospitano i velivoli in grado di trasportare le testate stesse. Completati nel giro di una decina di anni, ognuno di essi è in grado di contenere 4 testate. In alcune basi, la loro custodia e manutenzione è affidata ai cosiddetti Munitions Support Squadron (MUNSS), a ciascuno dei quali sono approssimativamente assegnate 150 unità di personale.
Il quadro completo è il seguente:
1. Kleine Brogel Air Base (d’ora in poi, AB) in Belgio – dove operano F-16 dell’aviazione belga – è dotata di 11 rifugi per una capacità di 44 testate. Ne ospita 20, affidate alle cure del 701° MUNSS;
2. Buchel AB in Germania – dove operano Tornado tedeschi – ha anch’essa 11 rifugi e 20 testate, custodite dal 702° MUNSS;
3. Norvenich AB in Germania – con Tornado tedeschi – ha 11 rifugi ma nessuna testata. Le 20 che vi sostavano fino al 1995 sono state trasferite a Ramstein;
4. Ramstein AB in Germania – sede sia di F-16 statunitensi che di Tornado tedeschi – possiede ben 55 rifugi per una capacità totale di 220 testate. Nel 2005 ne erano presenti 130, più avanti diremo cosa è probabilmente accaduto negli anni successivi;
5. Araxos AB in Grecia – dove operano A-7 dell’aviazione greca – ha 6 rifugi ma nessuna testata. Le 20 presenti fino alla primavera del 2001 (quando la Grecia si è ritirata unilateralmente dalla “NATO Nuclear Strike Mission”) sono probabilmente state spostate a Ramstein, in Germania;
6. Aviano AB in Italia – sede di F-16 statunitensi – possiede 18 rifugi e 50 testate nucleari;
7. Ghedi Torre AB in Italia – dove operano Tornado italiani – ha 11 rifugi e detiene 40 testate, sotto la custodia e manutenzione del 704° MUNSS;
8. Volkel AB in Olanda – sede di F-16 dell’aviazione olandese – ha 11 rifugi e 20 testate, lasciate alle cure del 703° MUNSS;
9. Akinci AB in Turchia – dove operano F-16 turchi – ha 6 rifugi ma nessuna testata;
10. Balikesir AB in Turchia – sede di F-16 turchi – ha 6 rifugi. Le 20 testate nucleari presenti sino al 1995 sono state trasferite alla base di Incirlik;
11. Incirlik AB in Turchia – dove operano F-16 statunitensi – ha 25 rifugi e detiene 90 testate;
12. per finire in bellezza, Lakenheath nel Regno Unito che formalmente è una base della RAF (Royal Air Force) ma ospita solo F-15 statunitensi. Essa possiede 33 rifugi e detiene ben 110 testate nucleari, il che la rende molto probabilmente il luogo in Europa che oggi custodisce il maggior numero di armamenti atomici statunitensi.

Va infatti sottolineato che nel gennaio 2007 la United States Air Force (USAF) ha rimosso la base di Ramstein dall’elenco delle installazioni che ricevono periodiche ispezioni agli armamenti nucleari, possibile conseguenza dello spostamento negli Stati Uniti delle testate presenti. Se ciò corrispondesse al vero, il numero delle testate nucleari dispiegate in Europa si ridurrebbe a 350, l’equivalente circa dell’intero arsenale atomico della Francia (ma comunque ancora superiore al totale delle testate cinesi ed a quello dei tre Paesi non firmatari del Trattato di non Proliferazione Nucleare – India, Israele e Pakistan – messi insieme).
Secondo una fonte anonima della Difesa tedesca, citata dalla rivista Der Spiegel, gli Stati Uniti avrebbero temporaneamente (e discretamente) rimosso le testate nucleari da Ramstein a seguito di importanti lavori di ristrutturazione; l’eliminazione della base dall’elenco delle ispezioni periodiche suaccennato pare significare che la decisione sia diventata definitiva.
A dispetto dell’apparente riduzione, il Gruppo di Pianificazione Nucleare (NPG) della NATO ha riaffermato – nel successivo giugno 2007 – l’importanza del dispiegamento di armi nucleari statunitensi in Europa. Lo scopo di esse sarebbe quello “di preservare la pace e prevenire le minacce ed ogni tipo di guerra”, anche se la NATO non individua alcun preciso nemico dal quale ci si dovrebbe difendere usando questi armamenti. Essa sostiene invece che le testate nucleari “rappresentano un legame politico e militare essenziale tra i membri europei e nord-americani dell’Alleanza”.
Capito l’antifona?

English version

USA nuclear warheads in Europe

translation: L. Salimbeni

There are 12 air bases, located in 7 countries, that are able to lodge atomic warheads under US control. In 2005 the nuclear weapons amounted to 480 units. The details of the Agreements regarding nuclear deployments in NATO countries are classified. The bombs are managed through a Weapons Storage Security System, that was established during the Cold War and planned to store the nuclear warheads, together with conventional arms, in underground vaults equipped with time locks. These vaults have been built since 1987 under the hangars that lodge the airplanes able to carry those warheads. Completed in about ten years, each one of these vaults can hold 4 warheads. In some bases, their care and maintenance are assigned to the so-called Munitions Support Squadrons (MUNSS), with up to 150 personnel each.

The full picture is the following:

1. Kleine Brogel Air Base (from now on, AB) in Belgium – where F-16s of the Belgian Air Force operate – has 11 vaults for a capacity of 44 warheads. It lodges 20, entrusted to the 701° MUNSS’ care.
2. Buchel AB in Germany – where German Tornados operate – has 11 vaults and 20 warheads, looked after by the 702° MUNSS.
3. Norvenich AB in Germany – with German Tornados – has 11 vaults but no warhead. Until 1995 there were 20, then relocated to Ramstein.
4. Ramstein AB in Germany – home to United States F-16s and German Tornados – has 55 vaults for a total capacity of 220 warheads. In 2005 there were 130, later we’ll try to explane what has probably happened in the following years.
5. Araxos AB in Greece – where A-7s of the Greek Air Force operate – has 6 vaults but no warhead. The 20 present until spring 2001 (when Greece unilaterally retreated from the “NATO Nuclear Strike Mission”) have been probably transferred to Ramstein in Germany.
6. Aviano AB in Italy – home to United States F-16s – owns 18 vaults and 50 nuclear warheads.
7. Ghedi Torre AB in Italy – where Italian Tornados operate – has 11 vaults and lodges 40 warheads, under the care and maintenance of the 704° MUNSS.
8. Volkel AB in Netherlands – home to F-16s of the Dutch Air Force – has 11 vaults and 20 warheads, left to the cares of the 703° MUNSS.
9. Akinci AB in Turkey – where Turkish F-16 operate – has 6 vaults, but no warhead.
10. Balikesir in Turkey – home to Turkish F-16s – has 6 vaults. The 20 nuclear warheads, present until 1995, have been relocated to the Incirlik base.
11. Incirlik AB in Turkey – where United States F-16s operate – has 25 vaults and 90 warheads.
12. to wind up with a flourish, Lakenheath in the United Kingdom, which is formally a RAF (Royal Air Force) base, is home only to United States F-15s. It owns 33 vaults and holds as much as 110 nuclear warheads: so this is very probably the place in Europe that lodges today the greatest number of United States nuclear weapons.

We must actually underline that in January 2007 the United States Air Force (USAF) has removed the Ramstein base from the list of the installations that receive periodic inspections of the nuclear weapons, probably as a result of the transfer to the United States of the existing warheads. If this is the case, the number of the warheads deployed in Europe can be reduced to 350, about the equivalent of the whole nuclear arsenal of France (but anyway still higher than the total of the Chinese warheads and than the sum of those held by the three countries – India, Israel and Pakistan – that haven’t signed the Non-Proliferation Treaty.

According to an anonymous official from the German Defence, quoted by the newspaper Der Spiegel, the United States have removed temporarily (and discreetly) the nuclear warheads from Ramstein beacuse of important works of restoration; the above-mentioned removal of the base from the list of the periodic inspections seems to mean that the decision has become definitive.

In spite of the apparent reduction, the NATO Nuclear Planning Group (NPG) has reasserted – in June 2007 – the importance of the deployment of US-nuclear weapons in Europe. Their purpose should be “to keep the peace and to avoid threats and every kind of war”, even though NATO doesn’t specify who is the enemy against whom these weapons should be used. It asserts instead that the nuclear warheads symbolize “an essential political and military link between the European and North American members of the Alliance”.

Have you taken the hint?

Italian version