Voto disobbediente e bullismo presidenziale

“Milioni di italiani si vedono posti sul banco degli imputati per aver votato in modo difforme dai gusti dell’establishment, populista, cioè per se stessi. Per aver pensato che non sia né bene né giusto deregolamentare, privatizzare, militarizzare, inquinare, distruggere ambiente, salute, lavoro, istruzione, condurre guerre, corrompere tutto e ogni cosa, governare insieme a mafia, massoneria e NATO. E subire tutto questo a beneficio di pochi eletti incistati in banche e oasi di lusso su diktat di una manica di abusivi che brucano gli ubertosi prati pasciuti dalle nostre tasse a Bruxelles e Francoforte. I quali, da Moscovici al cenobio ormai catacombale del Nazareno, dai soloni del principato mediatico delle fake news agli sguatteri buonisti che, per confonderci e alienarci tutti quanti, strappano e alienano popolazioni alle proprie radici e a un degno futuro, hanno sollecitato Mattarella a farsi Napolitano Tris. Anzi, ad allungare il passo: dalla repubblica parlamentare alla repubblica presidenziale.
Tentato l’affondo di un suo governo, con proterva ipocrisia definito “neutrale” (alla maniera degli arbitri di Moggi), beccato con le mani nella marmellata, l’ex-ministro della Difesa che ci difendeva massacrando la Serbia di bombe, il presidente che ha firmato tutte le malefatte PD, incluso il Rosatellum, che non si è fatto scrupolo di ricevere, anche a quattr’occhi, nel supremo palazzo della Repubblica il delinquente Berlusconi, si è permesso di porre “dei paletti”. Paletti come saracinesche nelle quali rinserrare fino all’estinzione, o alla resa, chi non si fa tappeto rosso per le scarpe laccate dell’evasore Juncker, per le marce contro Putin e tutti i nemici degli Stati terroristi, chi non rifornisce di munizioni e patte sulle spalle i valorosi antisemiti che in Medioriente eliminano dalla faccia della Terra i semiti (intesi come arabi, gli unici che semiti sono).
A questo punto, visto che, o si corre in tradotte “austerity” di terza classe, sui binari imposti dai buro-despoti di Bruxelles, dallo sradicatore di popoli Soros e dai tagliagole della NATO, per completare la spoliazione e sottomissione dei popoli, o Mattarella ti cancella, cosa cazzo si vota a fare?”

Da Da Gaza al Quirinale. Popoli fai da noi, cacicchi fai da me. E i Rothschild, di Fulvio Grimaldi.

Un tribunale sarebbe stato meglio

“Tutto fila liscio fino al 2004, quando il settimanale Famiglia Cristiana pubblica un documento che fino a quel momento era rimasto riservato: l’assetto societario di Bankitalia. Si scopre così che questo organismo “di diritto pubblico”, il cui statuto prevede in ogni caso la partecipazione maggioritaria al capitale da parte di enti pubblici, per effetto delle privatizzazioni bancarie di dieci anni prima è finito per il 95% in mani private. Oltretutto, quelle stesse mani su cui Bankitalia è chiamata a vigilare.
Un cittadino fa causa e la vince.
La sentenza 2978/2005 Tribunale di Lecce, dice: “Bankitalia è un ente privato … cui è affidato in regime di monopolio la funzione statale di emissione della carta moneta, senza controlli da parte dello Stato e tuttavia controllata da quegli istituti che dovrebbe controllare. Rileva inoltre la violazione dell’articolo 3 dello statuto, che prevede che la maggioranza del capitale dev’essere tenuto da mano pubblica”.
Per tamponare la manifesta situazione di illegalità, il governo Berlusconi – con legge 262 del dicembre 2005 – stabilisce che entro tre anni le quote detenute da soggetti diversi da Stato o enti pubblici devono essere da questi dismesse e ritornare allo Stato.
Quindi, nazionalizzazione?
Non scherziamo, nell’Italia neoliberista questa parola è bestemmia.
Quella che il governo Berlusconi ha escogitato è solo una soluzione provvisoria: la soluzione definitiva arriva l’anno dopo, quando, con Decreto del Presidente della Repubblica (i.e. Giorgio Napolitano) del 12/12/2006, l’articolo 3 dello statuto viene riscritto abolendo la previsione che impone la maggioranza pubblica nella partecipazione azionaria di Bankitalia. Per la cronaca: il governo di Romano Prodi è insediato da otto mesi; Ministro economico finanziario è un Padoa-Schioppa che arriva fresco fresco da una “esaltante esperienza” nel comitato esecutivo della BCE; al Ministero dello sviluppo economico Pierluigi Bersani.
La legalità è salva. Un po’ meno la legittimità.
L’ultimo capitolo viene scritto qualche anno dopo, allorché il Governo di Enrico Letta (2013-2014), procede alla ricapitalizzazione di Bankitalia mediante utilizzo di parte delle riserve: la ratio ufficiale è la possibilità di tassare la plusvalenza degli azionisti (la banche) e ridurre il deficit. Il capitale passa da 156 milioni a 7,5 miliardi: la situazione patrimoniale di Bankitalia non cambia di un centesimo, in compenso un’eventuale nazionalizzazione è diventata estremamente onerosa.
La strategia è sempre la stessa: bruciarsi i ponti alle spalle e poi dire che non ci sono alternative all’andare avanti. Noi, felici cittadini eurocomunitari, ce lo sentiamo raccontare ogni giorno.
Come ripeto spesso, è certo che sarà la Storia a giudicare gli attori di questa vicenda, insiemi agli altri loro sodali che in diversa misura hanno avuto un ruolo nel disastro generale in cui ci hanno precipitati. Però continuo a pensare che un tribunale sarebbe stato meglio.”

Da Bankitalia, breve storia di uno scippo di Mauro Poggi.

Di chi è la colpa dell’invasione?

Lettera aperta ai Senatori e Deputati per la convocazione di un dibattito parlamentare per verificare le responsabilità di Napolitano e Berlusconi

Ci sono, e vanno indagate e dibattute, le grandi cause e responsabilità internazionali e storiche dell’immigrazione di massa e di una presente (e futura) invasione del nostro territorio nazionale che il governo non riesce né a pensare, né tanto meno a controllare.
Ma per avere il diritto di indagare e dibattere le grandi cause e responsabilità storiche, bisogna meritarselo, e prima indagare e dibattere le cause e responsabilità italiane di questa sciagura che ricade sul capo nostro, dei nostri figli e degli immigrati. Farlo è facile, perché la responsabilità politica e giuridica diretta dell’invasione è ascrivibile a due colpevoli italiani, entrambi viventi e operanti sulla scena politica, che hanno nome, cognome e indirizzo.
I due colpevoli italiani dell’invasione sono:
1) Giorgio Napolitano, nato a Napoli il 29 giugno 1925, Senatore di diritto e a vita quale Presidente Emerito della Repubblica.
2) Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936, Presidente di Forza Italia.
Nel 2011 Giorgio Napolitano era Presidente della Repubblica, Silvio Berlusconi Presidente del Consiglio del Ministri. Tre anni prima, entrambi avevano firmato il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, stipulato a Bengasi il 30 agosto 2008, che contiene il solenne divieto di compiere atti ostili in partenza dai rispettivi territori, e in cui ciascuna parte si impegna a non compiere atti ostili nei confronti dell’altra e a non consentire l’uso del proprio territorio da parte di altri (Stati o attori non statali) per la commissione di tali atti.
Nel 2011, Francia e Gran Bretagna aggrediscono la Libia, ne rovesciano il governo, e bande criminali da esse sostenute e finanziate massacrano il Capo dello Stato Muhammar Gheddafi.
Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi non soltanto non muovono un dito per opporsi con tutti i mezzi disponibili a questa aggressione, ma consentono agli aggressori l’utilizzo dello spazio aereo e delle infrastrutture militari italiane, e addirittura si accodano all’aggressione, partecipandovi tardivamente, in ruolo subalterno.
Così facendo, Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi si rendono colpevoli di quanto segue:
– Violazione patente e ingiustificata del Trattato di amicizia tra Italia e Libia, con grave offesa all’onore della Repubblica Italiana e alla sua reputazione internazionale.
– Grave danno a un interesse nazionale vitale: perché tale era, per l’Italia, la stabilità del governo libico. Come largamente prevedibile e previsto, infatti, la destabilizzazione del governo libico e l’anarchia sanguinosa che ha provocato è la causa prossima immediata dell’invasione incontrollata di immigrati sul territorio nazionale italiano.
Chiediamo dunque che si tenga al più presto un dibattito parlamentare avente per tema: “Responsabilità politiche italiane dell’invasione incontrollata di immigrati sul suolo nazionale”, nel quale si discutano le responsabilità politiche e giuridiche di Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi. In questo dibattito parlamentare si valuterà:
a) se deferire Silvio Berlusconi al Tribunale dei Ministri per la violazione del Trattato di amicizia tra Italia e Libia (v. la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, 1969, in specie artt. 26 e 31. Dal preambolo: “I principi del libero consenso e della buona fede e la norma pacta sunt servanda sono universalmente riconosciuti”. Dall’allegato: “Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere eseguito da esse in buona fede”);
b) se deferire Giorgio Napolitano alla Corte Costituzionale per il reato di alto tradimento, in quanto colpevole di comportamento doloso che, offendendo la personalità interna ed internazionale dello Stato, ha costituito una violazione del dovere di fedeltà alla Repubblica.
Che cosa potevano fare Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano nel 2011?
Appena saputo che Francia e Gran Bretagna intendevano aggredire la Libia, Paese amico e garante di un interesse nazionale vitale, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano potevano e dovevano, subito:
a) denunciare pubblicamente e in tutte le sedi diplomatiche opportune – anzitutto UE, NATO e ONU – l’iniziativa illegale delle due potenze (alleate NATO), e manifestare inequivocabilmente che l’Italia aveva l’obbligo, l’interesse e la volontà di opporvisi con tutti i mezzi a sua disposizione;
b) offrire collaborazione militare al legittimo governo libico, e, se accettata, schierare truppe italiane sul suolo libico a protezione del Capo dello Stato e delle infrastrutture più rilevanti, inviando in appoggio alle truppe di terra le navi della Marina militare italiana.
Questo si poteva e si doveva fare, e Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano non lo hanno fatto, pur conoscendo molto bene le gravi conseguenze, per l’Italia e la Libia, della loro inazione.
La distruzione dello Stato libico ha aperto le porte all’immigrazione di massa e a chi ci lucra sopra: mercanti di carne umana e jihadisti.
La controprova è la Spagna che, sebbene molto più vicina al continente africano delle coste italiane, non è investita da un’immigrazione paragonabile a quella che interessa noi: perché di fronte alla Spagna c’è il Marocco, che può controllare il proprio territorio.
La soluzione della crisi migratoria passa per il recupero della dignità e della volontà dell’Italia di ammettere i propri errori, a partire dalla nostra complicità nella destituzione violenta di Gheddafi. Forte della ritrovata legittimità, l’Italia potrà decidere i provvedimenti necessari a fronteggiare l’emergenza e prospettare nelle sedi internazionali una soluzione che tenga conto di tutte le cause del fenomeno. Quanto all’Unione Europea, appare sempre più chiaro, anche in questo frangente, che o l’Unione cambia, o si deve uscire dall’Unione.

Firme:
Ugo Boghetta
Roberto Buffagni
Tito Casali
Pier Paolo Dal Monte
Andrea Magoni

Per aderire come firmatari si prega di inviare un’email ai seguenti indirizzi:
indipendenzaecostituzione@yandex.com
costituzionelasoluzione@gmail.com

Fonte

La guerra è appena iniziata

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Pasticciaccio brutto sul Colle, mentre l’UE getta la maschera

Non se lo aspettavano: né Renzi, né Mattarella, e tanto meno Napolitano che è il grande vecchio al telecomando pensavano che il no vincesse davvero e soprattutto non in proporzioni tali da richiedere imperativamente le dimissioni del premier prima dell’approvazione della finanziaria. Così si è arrivati al pasticciaccio indecoroso al quale assistiamo e nel quale si somma tutta l’ignavia e la cialtroneria di un ceto politico che è ormai soltanto una formazione di molluschi aggrappati ai palazzi parlamentari: Mattarella, il presidente sagoma a due dimensioni, nemmeno per un attimo ha pensato di indurre Renzi ad approvare la finanziaria prima della consultazione popolare come sarebbe stato ovvio, probabilmente perché non glielo ha suggerito Napolitano che è la sua terza dimensione e anche adesso si rifugia nell’astensione da ogni proposta. Così adesso ci troviamo con il guappo che scalpita come un dannato per andarsene e il duo Mattarella – Napolitano che vogliono costringerlo a rimanere fino all’approvazione della legge di stabilità.
Tutto questo però nasce dalle promesse ingannevoli perpetrate durante tutta la lunghissima campagna elettorale: la legge di stabilità non poteva in nessun caso essere approvata prima del referendum semplicemente perché altrimenti il guappo avrebbe scoperto il proprio bluff, avrebbe mostrato a tutti che ancora una volta stava prendendo per il naso il Paese e che molti provvedimenti erano semplicemente fumo negli occhi e voto di scambio, compresi i famosi 85 euro ai dipendenti pubblici per i quali non vi è traccia di copertura. Inoltre questo avrebbe costretto l’Europa di Bruxelles a venire allo scoperto sconfessando le “aperture” di pura facciata messe in piedi per aiutare il guappo nella sua campagna contro la Costituzione. Infatti già ieri l’Eurogruppo, ovvero il consesso dei ministri delle finanze della UE ha chiesto straordinarie correzioni al bilancio, incaricando la Commissione Europea di dettare al governo italiano i passi necessari per ridurre il debito. Ma non si astiene dal suggerire in proprio la ricetta: privatizzazioni selvagge ed entrate straordinarie (leggi tasse) per tirare fuori i 15 miliardi che mancano dopo mille giorni di gestione demenziale, cialtrona e condita di innumerevoli menzogne.
E’ fin troppo chiaro che se Renzi dovesse firmare, sia pure come ultimo atto, una legge di stabilità lacrime e sangue, invece di lasciare ai successori il compito di maneggiare la castagna bollente preparata con le sue manine, subirebbe un altro durissimo colpo: anche i media più fedeli, anche i vegliardi domenicali più incalliti nello spaccio del renzismo per nome e conto del trafficante che risiede in Svizzera, potrebbero nascondere l’evidenza: che per un anno il Paese è vissuto nell’immobilismo e dentro la narrazione completamente fasulla di un imbonitore , funzionale solo al referendum. Ma tutto questo, un premier in evidente confusione emotiva, un presidente terrorizzato dal dover decidere qualcosa, un PD trasformato in banda di dervisci danzanti al cospetto del proprio declino, ma ormai privo di qualsiasi personaggio in grado di cambiare rotta o ancor meglio di recidere il cordone ombelicale con questo partito degli equivoci per cercare aria pura, si configurano come un’ennesima offesa alla volontà degli elettori: queste dimissioni congelate sanno di beffa, di incoerenza e di presa in giro. Perché è chiaro che assieme ai domiciliari di Renzi a Palazzo Chigi viene artificialmente messo in freezer anche il resto, compreso un Parlamento nato non soltanto da una legge elettorale dichiarata anticostituzionale, ma ormai lontanissimo dal rispecchiare la realtà del Paese.
I nodi stanno venendo al pettine: i parlamentari del PD e del fritto misto alleato, sono ormai terrorizzati, come del resto le oligarchie europee, dalla sola idea di elezioni e faranno di tutto e di più per evitarle, per assemblare col lego un ennesimo governo tecnico, anche se al loro arco non ci sono che manovre di corridoio e di aula visto che la realtà va altrove, da quella economica intrecciata indissolubilmente ai diktat europei privi di qualsiasi senso a quella sociale che si è rimessa in movimento. Proprio per questo ieri dicevo che la guerra è appena iniziata, una guerra per ritrovare la democrazia e per non finire come la Grecia.

Fonte

Referendum costituzionale SI’ o NO

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“La revisione della Costituzione ha un obiettivo politico ben preciso: è il tentativo di portare a compimento in modo legale quel colpo di Stato architettato nell’estate del 2011 dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il sostegno della Banca Centrale Europea (BCE). Non bisogna infatti dimenticare che la mente della riforma in corso non è certo Renzi, che è un mero esecutore, ma Napolitano, che sino alla sua peraltro meramente formale uscita di scena è stato il vero Capo del Governo, rispetto al quale prima Monti, poi Letta e infine Renzi sono stati solo dei docili strumenti.
La stagione dei “Governi del Presidente”, cominciata nell’autunno del 2011, con le dimissioni forzate di Berlusconi, ha segnato una svolta fondamentale nel nostro ordinamento. Nel nostro Paese si è, di fatto, instaurato un sistema di potere che ha colpito materialmente la nostra Costituzione rispettandone solo formalmente le regole. Potere che quindi potrà sempre dire di aver agito legalmente. Potremmo parlare di “colpo di Stato”. Ma questa espressione non indica forse una tecnica politica necessariamente illegale? E che fa un uso illegale della violenza? Non dobbiamo cadere nell’errore nel confondere la rivoluzione con il colpo di Stato. Il colpo di Stato molto spesso è una reazione posta in atto dal potere che si sente minacciato e non è affatto detto che debba avvenire con l’uso della violenza. È questo che chiaramente è successo in Italia, prima facendo cadere il governo Berlusconi e poi, dopo le elezioni politiche del febbraio 2013, tentando di bloccare quell’aria di rinnovamento che si cominciava a respirare con l’entrata nel Parlamento del M5s. Il potere si è chiuso a riccio rieleggendo sull’aprile del 2013 Giorgio Napolitano come Presidente della Repubblica. Beninteso – ripetiamolo – tutto ciò è avvenuto nel rispetto formale delle regole, e dunque senza violenza, e nondimeno proprio per bloccare l’ascesa di un giovane Movimento politico si è forzata la legalità costituzionale sino a rovesciare di fatto i princìpi di legittimità alla base dell’ordinamento repubblicano, trasformatasi in una Terza Repubblica di cui non riusciamo ancora a capire l’effettiva natura e funzionamento. Da qui nasce la necessità di una revisione della Costituzione che porti a compimento il colpo di Stato.”

Da Referendum costituzionale SI o NO, di Paolo Becchi, Arianna Editrice, € 7,90 (pubblicato anche in versione ebook).

Paolo Becchi è professore ordinario di Filosofia del Diritto presso l’ Università di Genova, città dove è nato.  È opinionista de Il Fatto Quotidiano online e collabora con Libero e Mondoperaio.

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Proclama

Nella notte, le truppe anti-insurrezionali agli ordini del Feldmaresciallo Roberta Pinotti hanno condotto operazioni di rastrellamento nelle zone montuose del centro-nord Italia.
Individuati ed immediatamente neutralizzati diversi nuclei di attivisti referendari.
I loro covi, dove si progettava di stampare clandestinamente ingenti quantità di materiale propagandistico, sono stati smantellati; le strumentazioni tipografiche, ivi ritrovate, messe in condizione di non più funzionare.
Raggiunto dalla notizia, il Comandante Supremo Giorgio Napolitano ha fatto pervenire le proprie felicitazioni al Gauleiter Matteo Renzi, attraverso i microfoni di Radio Liberalismo Radicale.

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Questo mondo merita una rivoluzione

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In memoria di Costanzo Preve

“Sono molto contento che il mio saggio Il Bombardamento Etico, scritto negli ultimi mesi del 1999 e pubblicato in lingua italiana nel 2000, sia stato tradotto in greco. Rivedendo la traduzione, precisa, corretta e fedele, mi sono reso conto che purtroppo il saggio non è “invecchiato” in dieci anni, ma in un certo senso è ancora più attuale di dodici anni fa. E’ ancora più attuale, purtroppo. E su questo “purtroppo” intendo svolgere alcune rapide riflessioni. Dodici anni non sono pochi, ed è possibile capire meglio che l’uso strumentale e manipolatorio dei cosiddetti “diritti umani” ed il processo mediatico di hitlerizzazione simbolica del Dittatore che di volta in volta deve essere abbattuto (Milosevic, Saddam Hussein, Gheddafi, Assad, domani chissà?) inauguravano una fase storica nuova, che potremo definire dell’intervento imperialistico stabile nell’epoca della globalizzazione con l’uso massiccio della dicotomia simbolica di sicuro effetto Dittatore/Diritti Umani.
L’importantissimo articolo 11 della Costituzione Italiana, entrato in vigore nel 1948 e mai più da allora formalmente abrogato, recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. E’ storicamente chiaro che questo articolo segnala una profonda autocritica morale dell’intero popolo italiano per aver aderito alla guerra di Mussolini fra il 1940 e il 1945. In ogni caso, la presenza dell’articolo 11 ha da allora costretto i governi italiani ad una sorta di ipocrisia istituzionalizzata permanente. Tutte le guerre che sarebbero state fatte dopo il 1948, all’interno dell’alleanza geopolitica NATO a guida USA, avrebbero dovuto costituzionalmente “essere sempre ribattezzate missioni di pace, o missioni umanitarie. Possiamo dire che così l’ipocrisia, la menzogna e la schizofrenia sono state in Italia istituzionalizzate e “costituzionalizzate”. Lo dico con tristezza, perché vivo in questo Paese.”

La prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca de Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente (luglio 2012) prosegue qui.

Se non ci fosse stato Regeni, se lo sarebbero dovuto inventare

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“Sono settimane che ci stressano a reti e destre e pseudo sinistre unificate sul povero ragazzo trucidato dagli infami del Cairo. Perorazioni, anatemi, invenzioni fantasmagoriche di dati e fatti, illazioni gonfiate a certezze ontologiche, latrati per chiedere giustizia e che trasudano una protervia razzista da far invidia agli Uebermenschen nazisti o sionisti. Al confronto l’accanimento sugli assassini di Calipari, punito per aver liberato la Sgrena ma, soprattutto, per aver scoperto chi davvero in Iraq rapiva giornalisti scomodi, o quello sui trogloditi che si divertivano sul Cermis a trinciare cavi di funivia e fare stragi, o quello sulle punizioni da infliggere – e sulle oscene grazie napolitanesche e mattarelliane concesse – ai rapitori CIA di Abu Omar, è stata un timido sussurro, un discreto flautus vocis. Vi torna la simmetria? E’ che, una volta, dall’altra parte c’era un Al-Sisi qualsiasi, un parvenu del Terzo Mondo che si permette di pretendere trattamenti alla pari; l’altra volta invece, il padrone. Il quale detta la musica in entrambi i casi.”

Cairo-Roma: come tagliarsi le palle e vivere felici, di Fulvio Grimaldi continua qui.

Giorgio Napolitano l’anti-amerikano

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“Onorevoli colleghi, applicare la Convenzione di Londra ed il Protocollo di Parigi con le deroghe che essi prevedono al nostro ordinamento giuridico, fiscale, doganale, senza che fossero stati approvati dal Parlamento, è stata una grave illegalità.
Ma assurdo è poi che si esegua la Convenzione, anche se non ratificata, nelle disposizioni che interessano e avvantaggiano le forze straniere, e non la si esegua solo nelle disposizioni che in qualche modo difendono gli interessi e garantiscono i diritti del nostro Paese.
Questo è quanto è accaduto, e ne abbiamo avuto conferma dall’onorevole Vedovato, che ha lamentato che la mancata ratifica della Convenzione e del Protocollo abbia causato danni finanziari al nostro Paese, perché ci ha impedito di ottenere certi indennizzi. Dunque, quando si trattava di ottenere indennizzi, ci0é della tutela di un nostro diritto in base alla Convenzione, vi ostava il fatto che la Convenzione non era stata ratificata dal Parlamento; quando si trattava di fare entrare in franchigia delle automobili o delle merci a tutto vantaggio degli Americani, allora non aveva alcuna importanza che la Convenzione non fosse stata discussa e ratificata dal nostro Parlamento.
Ma la illegalità che forse ha maggiormente colpito l’opinione pubblica napoletana è stata quella compiuta dalle forze straniere di stanza a Napoli, in violazione di un nostro diritto, nel caso del complesso di edifici costruito a Bagnoli dalla fondazione del Banco di Napoli. Il Banco di Napoli aveva costruito anni addietro un grosso complesso che doveva servire da asilo per l’infanzia povera e abbandonata di Napoli: 374 mila metri cubi, 400 mila metri quadrati di superficie, 77 mila metri quadrati di piazzali e di viali. Questi sono i dati, e credo che sia veramente il caso di definire imponente un tale complesso di opere, che avrebbe potuto accogliere ed assistere ben 4 mila bambini napoletani e, in un secondo momento, attraverso modeste estensioni, 7 mila bambini.
Subito dopo la guerra questo complesso di edifici fu occupato dagli Alleati, i quali ne fecero un ricovero per profughi dell’I.R.O. Ebbene, quando, a seguito di una lunga campagna di stampa e di opinione pubblica, sembrava finalmente che questi edifici potessero ritornare alla loro naturale destinazione e che la fondazione del Banco di Napoli potesse iniziare la propria opera di assistenza all’infanzia napoletana, ecco che questo complesso di edifici viene dato in affitto al comando delle forze atlantiche del sud Europa a Napoli, violandosi in questo modo le norme del codice civile che, agli articoli 25 e 28, stabilisce che non si possa disporre dei beni di una fondazione per uno scopo diverso da quello cui essi erano stati destinati.
Né questa illegalità, che è stata anche e soprattutto una cattiva azione contro l’infanzia napoletana, contro i bambini poveri di Napoli, può essere cancellata dal fatto che si ricavi un affitto di 300 milioni annui, tanto più che non si è avuta alcuna documentata assicurazione che essi (se pure sono regolarmente pagati) siano stati devoluti all’assistenza dei bambini di Napoli. Invece, da parte governativa, in risposta all’onorevole  Maglietta, è stato confermato che una certa somma è stata, anch’essa illegalmente, attribuita ad un ordine religioso, ai salesiani, per proprie attività di assistenza all’infanzia.
Onorevoli colleghi, abbiamo voluto intrattenervi su queste questioni per richiamare alla vostra attenzione delle gravi realtà che esistono nel nostro Paese, frutto della politica atlantica e di una anticipata, illegale applicazione della Convenzione di Londra e del Protocollo di Parigi. Le situazioni che si sono negli anni scorsi create a Napoli, a Livorno e nel Veneto con l’insediamento di basi e di forze straniere, non trovano più alcuna giustificazione nell’attuale fase dei rapporti internazionali, nella quale non troverebbe ugualmente alcuna giustificazione la, ratifica della Convenzione di Londra e del Protocollo di Parigi.
Con il nostro voto contrario alla ratifica degli strumenti che ci sono stati sottoposti, noi siamo certi di rappresentare i sentimenti e le aspirazioni del popolo di Napoli, di Livorno e del Veneto, che vuol essere liberato dai pesi e dai pericoli della occupazione americana, i sentimenti e le aspirazioni di tutto il popolo italiano che non vuol veder ribaditi e aggravati – da atti come la Convenzione di Londra e il Protocollo di Parigi – gli oneri e i vincoli di una politica di oltranzismo atlantico e di riarmo, nel momento stesso in cui possibilità nuove di distensione e di pace maturano, anche se fra inevitabili contrasti e difficoltà, all’orizzonte internazionale. (Applausi a sinistra – Congratulazioni)
Giorgio Napolitano

Dagli atti della discussione svoltasi il 10 novembre 1955 presso la Camera dei Deputati, pagg. 22050-22051 in merito a S. 679: ratifica ed esecuzione del Protocollo sullo statuto dei Quartieri generali militari internazionali creati in virtù del Trattato Nord Atlantico, firmato a Parigi il 28 agosto 1952 (A.C. 1445); S. 678: ratifica ed esecuzione della Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle loro Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951 (A.C. 1446).

GRAZIE, NAPOLITANO

Goldman Sachs – NATO Corp.

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Dopo essere stato dal 2009 al 2014 segretario generale della NATO (sotto comando USA), Anders Fogh Rasmussen è stato assunto come consulente internazionale dalla Goldman Sachs, la più potente banca d’affari statunitense.
Il curriculum di Rasmussen è prestigioso. Come primo ministro danese (2001-2009), si è adoperato per «l’allargamento della UE e della NATO contribuendo alla pace e prosperità in Europa». Come segretario generale, ha rappresentato la NATO nel suo «picco operativo con sei operazioni in tre continenti», tra cui le guerre in Afghanistan e Libia, e, «in risposta all’aggressione russa all’Ucraina, ha rafforzato la difesa collettiva a un livello senza precedenti dalla fine della guerra fredda». Rasmussen inoltre ha sostenuto il «Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)» tra Stati Uniti e UE, base economica di «una comunità transatlantica integrata».
Competenze preziose per la Goldman Sachs, la cui strategia è allo stesso tempo finanziaria, politica e militare. Suoi dirigenti e consulenti, dopo anni di lavoro alla grande banca, sono stati messi in posti chiave nel governo USA e in altri: tra questi Mario Draghi (governatore della Banca d’Italia, poi presidente della BCE) e Mario Monti (nominato capo del governo dal presidente Napolitano nel 2011).
Non c’è quindi da stupirsi che la Goldman Sachs abbia le mani in pasta nelle guerre condotte dalla NATO. Ad esempio, in quella contro la Libia: si è prima impadronita (adducendo perdite del 98%) di fondi statali per 1,3 miliardi di dollari, che Tripoli le aveva affidato nel 2008; ha quindi partecipato nel 2011 alla grande rapina dei fondi sovrani libici (stimati in circa 150 miliardi di dollari) che USA e UE hanno «congelato» al momento della guerra. E, per gestire attraverso il controllo della «Central Bank of Libya» i nuovi fondi ricavati dall’export petrolifero, la Goldman Sachs si appresta a sbarcare in Libia con la progettata operazione USA/NATO sotto bandiera UE e «guida italiana».
In base a una lucida «teoria del caos», si sfrutta la caotica situazione provocata dalle guerre contro Libia e Siria, strumentalizzando e incanalando verso Italia e Grecia (tra i Paesi più deboli della UE) il tragico esodo dei migranti conseguente a tali guerre. Esso serve come arma di guerra psicologica e pressione economica per dimostrare la necessità di una «operazione umanitaria di pace», mirante in realtà all’occupazione militare delle zone strategicamente ed economicamente più importanti della Libia.
Come la NATO, la Goldman Sachs è funzionale alla strategia di Washington che vuole una Europa assoggettata agli Stati Uniti. Dopo aver contribuito con la truffa dei mutui subprime a provocare la crisi finanziaria, che dagli Stati Uniti ha investito l’Europa, la Goldman Sachs ha speculato sulla crisi europea, consigliando «gli investitori a trarre vantaggio dalla crisi finanziaria in Europa» (si veda il rapporto riservato reso noto dal Wall Street Journal nel 2011).
E, secondo documentate inchieste effettuate nel 2010-2012 da Der Spiegel, New York Times, BBC, Bloomberg News, la Goldman Sachs ha camuffato, con complesse operazioni finanziarie («prestiti nascosti» a condizioni capestro e spaccio di «titoli tossici» USA), il vero ammontare del debito greco. In tale faccenda, la Goldman Sachs si è mossa più abilmente di Germania, BCE e FMI, il cui cappio messo al collo della Grecia è evidente.
Reclutando Rasmussen, con la rete internazionale di rapporti politici e militari da lui tessuta nei cinque anni alla NATO, la Goldman Sachs potenzia la sua capacità di influenza e penetrazione.
Manlio Dinucci

(il manifesto, 18 agosto 2015)

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Per i soldati americani in Italia un regime d’eccezione che li rende impuniti

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Disastri, stupri e sequestri: gli impuniti a stelle e strisce. Dal MUOS alle violenze nelle basi passando per gli incidenti stradali: perché non pagano mai.

Un militare statunitense incarcerato in Italia su 200 accusati. La statistica arriva dagli stessi Americani, dal giornale Stars & Stripes, Stelle e Strisce, distribuito tra i militari USA: “Negli ultimi cinque anni ci sono state 200 indagini per accuse che vanno dall’aggressione, allo stupro fino all’omicidio colposo, ma solo una persona è stata incarcerata in Italia”, scrive la giornalista Nancy Montgomery in un articolo dal titolo “Le truppe americane sotto accusa in Italia spesso sfuggono la pena”.
Un fenomeno noto da decenni e, però, taciuto: in Italia la giustizia per i militari americani è meno uguale. Quando compiono reati in servizio, ma anche quando si rendono responsabili di reati comuni: incidenti stradali, botte e stupri. E oltre le statistiche emergono storie dolorose. Una in particolare è diventata un simbolo: quella di Jerelle Lamarcus Grey, un ragazzone americano di 22 anni che prestava servizio presso la base a stelle e strisce di Vicenza, la Del Din (ex Dal Molin) nota per le proteste dei vicentini.
È il 9 novembre 2013, al Disco Club Cà di Denis alla periferia della città è in programma una festa: musica reggae, champagne e porchetta. Ci sono giovani del posto e militari americani reduci da missioni di guerra. Magari vogliono sfogare la tensione pazzesca che si portano dentro. Quando una ragazzina sudamericana di 17 anni esce dal locale si trova davanti un soldato che la spinge in un angolo buio. La stupra.
I carabinieri sono convinti di averlo identificato: è Jerelle. L’accusato resta a piede libero – non ci sarebbe pericolo di reiterazione del reato – finché pochi mesi dopo ecco un altro stupro: una prostituta incinta di sei mesi viene aggredita e violentata. E l’indagine porta di nuovo a lui, a Jerelle e a un suo commilitone: Darius Mc Cullough. Sarebbero loro i responsabili. Ma com’è possibile, si chiedono in tanti a Vicenza, che Jerelle sia libero?
La Procura intanto dispone per lui gli arresti domiciliari. Dove? Nella base Del Din, dove pare girasse indisturbato. Ma la storia non è ancora finita: una notte del dicembre scorso, Jerelle riempie il suo letto di stracci, per far credere di dormire. E senza difficoltà scappa. Viene infine arrestato vicino a un residence frequentato da prostitute: ne avrebbe picchiato un’altra, sempre incinta, pretendendo prestazioni sessuali. Jerelle alla fine riesce a finire nelle galere italiane. “Mi risulta che siano i primi, lui e il suo complice”, non nascondono la loro soddisfazione Alessandra Bocchi e Anna Silvia Zanini, avvocati delle presunte vittime.
Oggi Jerelle attende il processo per il primo stupro, mentre per il secondo è stato condannato (sei anni in primo grado, come il suo presunto complice Darius Mc Cullough). E i casi non si contano. Spesso sono reati di violenza. L’ult imo è di pochi giorni fa: un parà di 22 anni accusato di violenza sessuale nei confronti della figliastra di sette anni. Militari, ma non solo. C’è un civile americano, Mark Gelsinger, tra gli otto indagati nell’inchiesta per reati ambientali relativi alla costruzione del MUOS, l’impianto satellitare della Marina USA di Contrada Ulmo a Niscemi (Caltanissetta). Le autorità americane hanno chiesto subito che sia sottoposto alla loro giurisdizione.
I pm italiani indagano, le autorità americane chiedono di sottoporre i loro cittadini alla giurisdizione statunitense. E la risposta finora era quasi sempre scontata: 91 sì su 113 domande in quindici mesi fino al marzo 2014. Perché? Pesava una sudditanza dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti, ma contano anche i tempi della giustizia.
“Nelle more del processo i militari vengono rispediti a casa. E addio”, racconta l’avvocato vicentino Paolo Mele. Alla base di tutto la Convenzione di Londra ratificata nel 1956, quella chiamata “familiarmente” patto di benevolenza. Prevede che per i reati commessi dai militari NATO si tenda a concedere la giurisdizione del Paese d’origine. In pratica un accordo ricamato addosso ai soldati americani.
Per decenni a migliaia si sono sottratti alla nostra giustizia. Con due casi clamorosi: “Il 3 febbraio 1998″, racconta Mele, “due avieri americani – il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer – volando come Top Gun tranciarono i cavi della funivia del Cermis. Venti persone morirono. I due militari furono sottratti alla giustizia italiana e processati in America dove vennero assolti per l’incidente. Furono radiati e condannati a pochi mesi solo perché distruggendo il video del volo avevano ostacolato la giustizia”, conclude Mele.
Poi ecco il caso Abu Omar, l’imam egiziano sequestrato dalla CIA nel centro di Milano e portato nel suo Paese dove fu incarcerato e torturato. Il pm Armando Spataro e la Digos di Milano arrivarono a identificare i responsabili: 23 agenti condannati in Cassazione. Ma tutti si sottraggono alla giustizia italiana. E il responsabile della struttura Jeff Romano ottiene la grazia dal presidente Giorgio Napolitano. Se non ci pensano gli Americani, facciamo noi. Nessuno dei nostri governi ha mai chiesto l’estradizione per le spie condannate.
Violenze, disastri e spionaggio. Ma anche marines in fuga dai loro impegni familiari. Già, perché in Italia ci sono 59 installazioni militari americane. Solo a Vicenza una persona su dieci vive nella base. Nel 1959 ogni mese si celebravano dieci matrimoni misti. Poi qualcosa è cambiato: divorzi, mariti in fuga, irrintracciabili che lasciano le compagne sole e senza un soldo. Un reato, ma nessun militare paga: l’America li tutela a qualunque costo.
“Qualcosa, però, negli ultimi mesi sembra cambiato, non so se per merito dell’Italia o dell’amministrazione Obama”, sostiene Alessandra Bocchi. Conclude: “Noi non ce l’abbiamo con gli Americani, anzi. Ma dobbiamo tutelare le vittime”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando nel luglio 2014 ha twittato: “I due militari americani accusati di stupro saranno processati in Italia”. Jerelle e Darius per il momento sono in carcere. Si capirà presto se è un primo passo.
Ferruccio Sansa

[Fonte: Il Fatto Quotidiano, 11/7/2015 – i collegamenti inseriti sono nostri]

Crescere tra quelle righe

“Crescere tre le righe” è il convegno organizzato dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, quest’anno giunto alla sua nona edizione, che vede come protagonisti il mondo italiano ed internazionale dell’editoria, gli studenti e le Istituzioni.
Esso “rappresenta un’occasione unica, nel panorama della comunicazione nazionale, per riunire attorno allo stesso tavolo tutti i protagonisti dell’informazione sia scritta che parlata, oltre ad autorevoli esponenti delle Istituzioni e gli studenti, per fare il punto della situazione sul rapporto tra giovani e informazione e per confrontarsi sul ruolo che questa può esercitare quale strumento per la crescita, nelle giovani generazioni italiane, di quel solido spirito critico indispensabile per garantire la convivenza civile e democratica del nostro Paese”.
Così recita il sito dedicato.
L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori è presieduto dall’infaticabile Andrea Ceccherini, che ne è stato anche co-fondatore insieme a Cesare Romiti (allora presidente di RCS-Corriere della Sera) e Andrea Riffeser Monti (vice presidente e amministratore delegato del Gruppo Poligrafici Editoriale) nel giugno 2000.
Nell’estate del 2002, il Ceccherini è stato quindi invitato dal Dipartimento di Stato USA a “compiere un viaggio di studi incentrato sulla costruzione di relazioni internazionali nei campi dell’editoria e della politica”, riferisce la nota biografica sul sito dell’Osservatorio.
Successivamente, egli ha avuto il privilegio di essere ricevuto da Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, S.S. Papa Benedetto XVI, Cardinal Tarcisio Bertone, Papa Francesco.
Un importante alleato dell’Osservatorio Permanente Giovani-Editori sono i Gruppi Editoriali: la squadra che affianca l’Osservatorio nelle sue iniziative è composta dal primo giornale di opinione italiano, il Corriere della Sera, dal più importante quotidiano economico, Il Sole 24 Ore, e da alcune delle principali testate locali, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, L’Unione Sarda, l’Adige, Il Tempo, L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi, La Stampa, la Gazzetta di Parma, Il Gazzettino. A questi si sono aggiunti più di recente La Gazzetta dello Sport, il più diffuso quotidiano sportivo, e l’Osservatore Romano, il quotidiano ufficiale della Santa Sede.
L’Osservatorio Permanente Giovani-Editori collabora da diversi anni anche con il sistema delle Fondazioni di origine bancaria italiana, ed è affiancato da grandi aziende come Enel, Eni, Telecom Italia e Rai nonché dai tre principali istituti bancari italiani: Intesa Sanpaolo, Unicredit e MPS.
Tralasciando gli esponenti dei media nazionali -i soliti Vespa e insetti similari dell’informazione atlanticamente corretta di casa nostra- non resta dunque che elencare i rappresentanti di alcuni fra “i maggiori gruppi editoriali internazionali” che saranno ospiti al Borgo La Bagnaia, alle porte di Siena, i prossimi 22 e 23 Maggio:
Gerard Baker, Direttore The Wall Street Journal;
Dean Baquet, Direttore The New York Times;
Martin Baron , Direttore The Washington Post;
Jeff Bewkes, Amministratore Delegato Time Warner;
Richard Gingras, Senior Director dei prodotti News e Social Google;
Davan Maharaj, Direttore Los Angeles Times;
Mark Thompson, Presidente e Amministratore Delegato The New York Times.
Dulcis in fundo, è assicurata la presenza di John R. Phillips, Ambasciatore USA in Italia.
I viaggi studio negli Stati Uniti, promossi dal Dipartimento di Stato, hanno colpito ancora!
Federico Roberti

[Si vedano:
Le ragioni di François
Sedurre gli intellettuali per ammaestrare il popolo
La NATO culturale]

Per un debito di gratitudine

CRIMINAL & QUIRINAL

Kissinger premia Napolitano, il suo “comunista preferito”.
L’ex Segretario di Stato consegnerà all’ex Presidente il riconoscimento

Caro Giorgio, ci vediamo a Berlino. Con una e-mail Henry Kissinger ha confermato a Giorgio Napolitano che sarà lui a consegnargli il Premio Kissinger, il prossimo 17 giugno all’American Academy a Berlino. Del resto, non sarebbe stato possibile diversamente, non solo quella è la tradizione del premio: soprattutto, l’uomo che per un quarto di secolo ha rappresentato la personificazione della politica americana all’estero e il suo «comunista preferito» («ex comunista», reagì Napolitano alla battuta), si sentono spesso, il filo è sempre acceso. L’ultima volta che si sono incontrati, per un lungo faccia-a-faccia, fu due anni fa a New York, quando Henry salì a trovare il vecchio amico Giorgio nelle Torri del Waldorf Astoria. Adesso, si rivedranno a Berlino.
Per Napolitano è il secondo riconoscimento in politica estera nel giro di pochi giorni, avendo recentemente accettato la presidenza onoraria dell’ISPI, il più importante e storico think-tank italiano sulle relazioni internazionali. Il Kissinger Prize dal 2007 premia la personalità della politica europea che si sono distinte nei rapporti transatlantici.
Ed è la prima volta che il prestigioso premio, che ha avuto come destinatari tra gli altri Helmut Kohl, George Bush (senior), James Baker e quell’Helmut Schmidt del quale lo stesso Napolitano apprezzò l’analisi fortemente critica della politica tedesca nella crisi dell’eurozona, va a un italiano. Di più: è la prima volta che va a un politico del Sud dell’Europa, a un uomo del Mediterraneo. Napolitano, che lo condividerà con l’ex ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher, è stato designato l’11 marzo scorso «in riconoscimento degli straordinari contributi al consolidamento dell’integrazione e stabilità europea», segno di quanto si abbia consapevolezza anche all’estero del certosino lavoro di tessitura nei rapporti interni ed internazionali e del polso saldo con cui dal Colle si affrontarono, nel 2011 e nel 2013, due crisi politiche italiane che avrebbero potuto minare con la stabilità dell’eurozona anche quella dell’area del dollaro.
Genscher verrà premiato «per il contributo alla soluzione della Guerra Fredda». Verso entrambi, ha detto il presidente dell’Accademia Americana di Berlino Gerhard Casper, «abbiamo un debito di gratitudine». L’uso del Kissinger Prize è che i premiati vengano presentati da una personalità di rilievo. Per Genscher non si esclude possa essere Angela Merkel.
Antonella Rampino

Fonte

La battaglia è appena iniziata

paese libero“Per quanto riguarda la popolazione italiana, le recenti elezioni hanno dimostrato che l’ondata sovranista ha toccato poco la nostra nazione. Non sopravvalutiamo il «successo» del PD, sostanzialmente ha funzionato l’operazione di unire al PD, il centro moderato che alla precedenti elezioni politiche aveva votato Monti (10% circa), non sono neanche da escludere consistenti brogli (di cui ha parlato apertamente Grillo), tuttavia, è chiaro anche da questi risultati che ancora non si intravvede in Italia il formarsi di una volontà collettiva che vada in direzione di un movimento sovranista. C’è da tenere nel debito conto questa importante differenza: la Francia ha solo da correggere una deviazione da un percorso di quella che resta una nazione sovrana, mentre in Italia il contesto è piuttosto diverso, in quanto nazione che, come la Germania e a differenza della Francia, ha un gran numero di basi militari statunitensi, a che partire da Tangentopoli, per concludere con il colpo finale che ha visto la definitiva sottomissione, a furia di attacchi scandalistici internazionali e di statuette in faccia che raggiungevano con facilità la faccia dell’allora nostro Presidente del Consiglio, l’incauto pagliaccio Berlusconi, provocando le sue dimissioni dal governo e la collaborazione forzata con i successivi governi, da Monti in poi. Da allora abbiamo perso anche del tutto la «sovranità limitata» di cui abbiamo goduto dal dopoguerra fino agli anni Ottanta, già seriamente compromessa con Tangentopoli (sovranità limitata che gli aveva fornito quella libertà di manovra, soprattutto in medio-oriente, necessaria al suo sviluppo). Per questi motivi, si tratta obiettivamente di una lotta molto più difficile. Inoltre, l’Italia ha completato la sua modernizzazione, il suo passaggio da paese prevalentemente agricolo a paese industriale sotto l’egemonia statunitense (un passaggio che era iniziato in realtà ben prima, dall’inizio del secolo, e che probabilmente ci sarebbe stato lo stesso anche se non fosse stata sotto la sfera d’influenza statunitense). Si fa fatica ad accettare che gli USA hanno da tempo concluso la fase egemonica, che lasciava un certo spazio di manovra agli «alleati» (subordinati) europei, e che senza una riconquista della sovranità nazionale, subordinandoci del tutto agli USA, non conserveremo nemmeno parte dell’attuale tenore di vita, già fortemente compromesso, mentre la nuova generazione è già senza prospettive. Finora non si vede una volontà collettiva intenzionata ad incamminarsi su di un percorso di recupero della sovranità. Se non si tratta di un opportunistico attendere l’evoluzione degli eventi, tipico della mentalità italiana, ma di un’incapacità permanente di reazione della nostra collettività, vedremo il declino dell’Italia come nazione significativa e il suo ritorno allo status di nazione povera.
10155523_705267379532435_6400827348388679339_nNon si possono considerare il Movimento 5 Stelle o la Lega di Salvini espressione di una volontà sovranista. Non bastano certo le recriminazioni sull’euro a fare del primo un movimento sovranista, anzi il voto favorevole all’abolizione del reato di immigrazione clandestina lo pone decisamente dalla parte dei movimenti non sovranisti. Detto per inciso, il controllo dell’immigrazione di per sé non ha nessuna connotazione razzista, in quanto una popolazione che risiede stabilmente su di un territorio ha tutto il diritto di stabilire chi, come e quanti individui provenienti da altre nazioni accettare sul proprio territorio. Questo diritto è uno degli attributi fondamentali della sovranità.
Per quanto riguarda la Lega, seppure essa ha una connotazione identitaria-comunitaria, un elemento essenziale della sovranità, il fatto che si manifesti in termini localistici, dimostra come ancora una volta in Italia il fattore identitario finisce per acquisire delle connotazioni patologiche (per usare un concetto previano che definiva nazionalismo e razzismo «patologie del comunitarismo», e tra queste, a mio parere, si può annoverare anche il localismo).
La non perdita di consensi del PD, nonostante il disastro economico e sociale, è preoccupante, perché tale partito è il principale nemico della sovranità nazionale e tra i principali responsabili del disastro economico in cui versa l’Italia (svendita delle aziende italiane pubbliche e private, intossicazione della vita politica ed economica attraverso un utilizzo distorto della magistratura, favoreggiamento di un’immigrazione finalizzata all’abbassamento del costo del lavoro). Cerchiamo di ricostruire per sommi capi questa degenerazione del principale partito della sinistra: il PCI non è nato come un partito anti-nazionale, Gramsci ne aveva fatto una questione centrale e in merito aveva avanzato analisi importanti e innovative, anche rispetto al dibattito di allora nei partiti comunisti; la lotta dei partigiani comunisti voleva essere anche una lotta di liberazione nazionale, anche se poi alla fine si trattò di scegliere tra due eserciti invasori; il PCI del dopoguerra nel suo simbolo aveva la bandiera italiana insieme alla bandiera rossa. Al crollo del comunismo, la seconda generazione cresciuta nell’insano recinto della «sovranità limitata», una generazione diversa da quella eroica della guerra e della lotta partigiana, invece che con una seria discussione sulla storia del comunismo ottocentesco, reagì con il puro e semplice rinnegamento della propria storia e passò armi e bagagli sul carro statunitense, passaggio che aveva già una sua storia quando Berlinguer guardava con favore all’«ombrello della NATO» e quando l’attuale presidente della repubblica faceva il suo viaggio «culturale» nel 1976 negli USA, guadagnandosi già da allora il titolo, non conferito ufficialmente, di referente della politica statunitense in Italia. Costoro come rinnegati si sono dimostrati disposti a svendere non solo la storia del loro partito, ma l’intera Italia.
(…)
L’evoluzione del contesto politico globale oggi pone al centro la riconquista della sovranità e bisogna attrezzarsi con le categorie adatte, nonché, ovviamente, con gli altrettanto necessari strumenti politici e militari
La battaglia è appena iniziata, ma il quadro politico acquisisce una maggiore chiarezza, si intravvedono le questioni dirimenti degli anni futuri e tra queste, lo possiamo dire con certezza, vi sarà la difesa della sovranità. Chiunque ritiene questo un obiettivo da perseguire è nostro amico, chi è contro è nostro nemico.
L’irrompere sulla scena della lotta per la difesa della sovranità deriva dalla nuova fase dello scontro in direzione di un mondo multipolare che vede una più netta contrapposizione tra Stati Uniti e Russia e relative manovre dei primi per subordinare i paesi europei alla proprio politica di aggressione alla Russia, una politica contraria agli interessi europei, basti considerare la sola questione energetica. Tali manovre hanno visto la perdita a partire dal governo Monti della residua sovranità limitata dell’Italia. Subordinazione che comporta la deindustrializzazione dell’Italia e la sua integrazione subordinata all’interno della sfera politica statunitense. Le conseguenze della deindustrializzazione vengono patite principalmente dalle classi inferiori e dai ceti medi produttivi.
Per principio, la difesa della sovranità non può essere né di «destra» né di «sinistra», se vogliamo rappresentare con queste categorie fuorvianti, sempre alla moda, le differenze ideologiche, in quanto senza sovranità qualunque sia l’indirizzo politico, economico e sociali delle forze politiche al governo esse dovranno sottostare alle imposizioni di chi detiene la sovranità effettiva. Quindi, chi antepone le differenze ideologiche alla difesa della sovranità è nostro nemico, qualunque sia il suo orientamento ideologico.
La difesa della sovranità è antecedente alle questioni ideologiche, agli indirizzi politici e sociali, ma può avere diverse declinazioni, di «destra» e di «sinistra», ad es. associate alla questione sociale, all’equità sociale (che non coincide con l’eguaglianza) e alla possibilità di un futuro dignitoso per ogni cittadino italiano. (E qui ad un eventuale lettore di «sinistra», scatterà subito una molla: «non ad ogni cittadino italiano, ma ad ogni essere umano». Ed è qui che sta l’errore, siccome la lotta avviene in un contesto determinato, noi lotteremo insieme a coloro che vivono in questo contesto, quello dello Stato dove si stabiliscono le leggi che regolano i rapporti tra i gruppi sociali, chi vive in altri contesti porterà invece avanti le sue lotte per migliorare la società in cui vive).
Non siamo che agli inizi di una era, se la Russia proseguirà nello scontro contro il sistema occidentale dovrà affrontare i problemi interni proponendo nuove soluzioni rispetto a quelle liberal-capitalistiche, perché soltanto con il coinvolgimento popolare potrà affrontare tale scontro (il consenso e l’appoggio popolare è l’unico autentico fattore di superiorità rispetto alla sola superiorità tecnica su cui punta l’Occidente), e tale coinvolgimento lo si realizza percorrendo una via opposta alle economie occidentali che vedono l’esclusione di fasce sempre più ampie di popolazione. Soltanto ridando una patria agli uomini, un contesto in cui la loro vita, il loro agire e patire, abbia un senso e una continuità questi sono disposti a compiere dei sacrifici, fino al massimo sacrificio della vita.”

Da La difesa della sovranità nelle lotte future, di Gennaro Scala.

Bombe liberatrici

bombe democratiche

La Seconda Guerra Mondiale fu una “missione di pace” ante litteram.
Giorgio NATOlitano dixit.

“Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano si è recato a Cassino, in provincia di Frosinone per partecipare alla cerimonia di commemorazione del 70° anniversario della distruzione della città, in piazza De Gasperi alla quale ha preso parte anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Il 15 Marzo del 1944 dopo un mese dalla completa distruzione dell’abbazia di Montecassino, le forze alleate sganciarono sulla città mille tonnellate di bombe e milleduecento di proiettili. Dopo otto ore di bombardamenti la città fu totalmente distrutta.
(…)
“Sono qui per rinnovare l’omaggio della Repubblica per un sacrificio terribile che viene riconosciuto a Cassino e al territorio. Omaggio per lo straordinario tributo di fatica e di sangue con cui combatterono per liberazione di Italia e Europa. Anche a distanza di 70 anni nella memoria di qualsiasi donna o uomo nato qui è impressa la storia terribile che deve essere tramandata alle nuove generazioni. Memoria che deve servire per ricordare l’irrazionalità della guerra. Il tema non può essere su chi ha aveva ragione, se è stato un errore o meno bombardare l’abbazia ma va considerato il fine che è stato raggiunto” ha detto Napolitano ricordando il sacrificio degli eserciti stranieri tra i quali i polacchi.
E’ un capo dello Stato commosso che ricorda come “io stesso ho subito i bombardamenti su Napoli e che sapevamo che quello era il prezzo da pagare per liberarci dal nazifascismo e per questo accogliemmo quelle bombe come liberatrici”.”

[Fonte – grassetto nostro]

Alto tradimento per Giorgio Napolitano

giorgio napolitano all'altare della patria

“Analogamente, il Presidente della Repubblica, in data 5 aprile 2013 ha concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano, in relazione alla condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010. La Presidenza della Repubblica ha reso noto che, nel caso concreto, «l’esercizio del potere di clemenza ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico».”

Dalla denuncia per la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, presentata stamane dal M5S.

Renzi alla corte di Re Giorgio

pd

Il giovane paggio Matteus Renzio di Florentia è riuscito, dopo mille avventure, a entrare nella corte del nostro vecchio Re Giorgio, fiduciario di quel grande Impero d’Oltre Oceano a cui i sovrani italici giurarono fedeltà in tempi antichi (1).
Vecchio, stanco e di giorno in giorno sempre meno attento alle esigenze dei suoi sudditi viepiù infelici, il nostro Re è però ancora vigoroso quando si tratta di tradurre in pratica le esigenze dell’Impero.
Giorgio ha perciò accolto benevolmente il giovane Renzio nella sua corte; ne ha dovuto però smorzare l’animo esuberante tipico della gioventù cresciuta nel mito della spada e della croce.
Infatti, nell’impazienza di voler mostrare il proprio valore nel servire la causa del grande Imperatore abbronzato, il giovane Renzio ha rischiato di creare una pericolosa confusione nella corte del Re e di suscitare rovinose rivalità tra i suoi maggiordomi, sempre così litigiosi ed invidiosi l’uno dell’altro nella ricerca spasmodica di divenire i prediletti del Re e quindi dell’Imperatore (2).
Matteus ha cercato, con il fido scudiero Marcus Carraius (3), suo compaesano cresciuto nelle valli toscane, di accreditarsi personalmente con l’Impero attraverso gli uomini della luminosa dinastia dei Clintons, mai tramontata nella forza e nel prestigio, e anche con i potenti banchieri angli; “bene, capisco” ha detto il Re, “ma sarebbe stato meglio un coordinamento maggiore con gli altri maggiordomi ed evitare di suscitare le invidie e le paure di Enricus Lettus, il paggio da me recentemente nominato cavaliere”.
La preoccupazione del vecchio Re era che l’invidia tra i diversi dipendenti della corte potesse creare un’instabilità del Regno sgradita all’Impero; durante la notte il sonno gli veniva meno e si alzava per consultare gli oracoli ma poi comprese che i maggiordomi non si sarebbero spinti troppo in là nella loro contesa e avrebbero seguito le sue indicazioni.
Ascoltando i consigli dell’amato Re quindi, il nostro Matteus rinunciò a sfidare a duello Lettus e per tutto l’anno del Signore 2014 non sarà d’intralcio ma anzi di rincalzo alle volontà reali ed imperiali, dimostrando di essere un paggio affidabile al banchetto di corte (4). Poi, nel 2015, potrà diventare cavaliere anche lui.
Ma il sonno del Re non è ancora tornato sereno. Ora le sue preoccupazioni sono quelle di accontentare l’ex cavaliere Berluscones e i cavalieri rossi, e soprattutto di contenere il giullare matto Grillus; Renzio dovrà essere d’aiuto al Re in questa complessa operazione.
Giorgio ha infatti più volte garantito all’Imperatore la massima stabilità e tenuta dell’avamposto italico sia contro le pericolose avanzate delle schiere russe e cinesi ai confini del Regno sia contro i movimenti secessionisti dei sudditi europei infedeli, in particolare di alcuni principi teutonici e franchi.
Il Re sa, dall’alto della sua sapienza, che nel nuovo anno si giocano sfide molto importanti per l’Impero d’Oltre Oceano e per la tenuta del suo Regno e della sua corte (5); e anche Renzio ne è ormai consapevole e si adegua.
Michele Franceschelli

Fonte

I panni sporchi della sinistra

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La cosiddetta superiorità morale della sinistra non esiste più?
Sulla base delle inchieste giornalistiche condotte in questi anni e del quadro organico che abbiamo assemblato ci siamo persuasi che, nei fatti, questa diversità non esiste più.

La struttura del vostro libro sembra suggerire che il padre di questa mutazione della sinistra sia Giorgio Napolitano. È così?
Napolitano è un garante dei poteri forti. È il comunista borghese collaterale al PSI di Craxi e favorevole, già negli anni Ottanta, ai rapporti con Berlusconi. Trovo significativa una sua frase, pronunciata quando si insediò al ministro degli Interni nel primo governo di centrosinistra della Seconda Repubblica, nel 1996. “Non sono venuto qui per aprire gli armadi del Viminale”, disse Napolitano facendo intendere di non voler indagare sui tanti segreti italiani irrisolti. Una dichiarazione che è tutta un programma.

Nel libro viene citata tra l’altro una fonte anonima che sostiene l’appartenenza di Napolitano alla massoneria…
L’appartenenza di Napolitano alla massoneria non è provata. E’ l’opinione della nostra fonte, noto avvocato figlio di un esponente del PCI, il quale riconduce le famiglie Amendola e Napolitano, interpreti della corrente di pensiero partenopea “comunista e liberale”, alla massoneria atlantica. Anche l’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, ipotizza per il presidente della Repubblica l’affiliazione ad ambienti massonici atlantici. Ma siamo nell’ambito delle opinioni. E’ invece emerso da un documento datato 1974, l’Executive Intelligence Review, che Giorgio Amendola, il mentore di Napolitano, era legato alla CIA. Napolitano fu il primo dirigente comunista ad essere invitato negli Stati Uniti. Andò in visita negli USA al posto di Berlinguer, a tenere confererenze nelle università più prestigiose: proprio nei giorni del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Un episodio che chiarisce quanto Napolitano fosse, sino da allora, il più affidabile per i poteri atlantici e che spiega almeno in parte la sua ascesa.

Insomma, Napolitano grimaldello degli USA per portare il PCI a posizioni più allineate al potere atlantico?
Napolitano ha saputo muoversi perfettamente. A livello pubblico e ufficiale è sempre stato fedele al partito, sostenendo la causa di Togliatti persino nella difesa dell’invasione sovietica di Budapest nel 1956, poi come “ministro degli Esteri” del PCI. In maniera sommersa ha coltivato relazioni dall’altra parte della barricata, accreditandosi a più livelli di potere, italiani e internazionali.”

Da un’intervista di Lorenzo Lamperti a Stefano Santachiara, autore insieme a Ferruccio Pinotti del libro I panni sporchi della sinistra. I segreti di Napolitano e gli affari del PD, edito da Chiarelettere.

Ferruccio Pinotti è autore di molti libri-inchiesta che hanno smascherato le trame e gli interessi dei poteri forti. Lavora al “Corriere della Sera” e ha scritto per “MicroMega”, “l’Espresso”, “Il Sole 24 Ore”, “la Repubblica”, “Il Fatto Quotidiano”.
Stefano Santachiara, giornalista d’inchiesta, dal 2009 è corrispondente de “il Fatto Quotidiano”, dalle cui colonne ha svelato il primo caso accertato di rapporti tra ’ndrangheta e PD al Nord, nel comune appenninico di Serramazzoni, in provincia di Modena.

Imposimato, giudice bendato

14029337-illustration-of-lady-with-blindfold-holding-scales-of-justice-with-american-stars-and-stripes-flag-sA proposito del caso Imposimato, è certo che questo magistrato condusse istruttorie giudiziarie gravemente manchevoli, anche di circostanze visibilissime agli occhi di tutti, sull’assassinio della sua scorta, il rapimento di Aldo Moro e la sua successiva eliminazione, 16 Marzo-9 Maggio 1978: come progettato nel 1976, da carte già declassificate del Foreign Office, dal nazista e razzista Henry Kissinger, feroce anti-cristiano ancora adesso (è tra i più accaniti sostenitori, con gli ashke-nazisti Shimon Peres e Benjamin Netanyahu, dell’attacco alla romana Siria di Paolo apostolo… E coi beduini di Wall Street loro colleghi, la cosiddetta Famiglia ‘Reale’ saudita, i bidelli dei pozzi di petrolio USA del Golfo Persico: stella uncinata&scimitarra wahabita unite contro la croce di nostro signore Gesù Cristo, e del suo Popolo, peraltro niente affatto più disarmato, come era ai tempi di Aldo Moro…).
Ma per tornare a Imposimato.
Grazie alle gravi lacune delle sue inchieste, che “istruirono” secondo un preciso indirizzo, “negazionista” di ogni pista estrinseca ai quattro sfigati dei suoi carcerieri-assassini tra cui l’ancora “ignoto” assassino, Imposimato venne cooptato nell’aeropago eurocomunista del P.C. B.R.linguerinnegato e anti-nazionale, asservato a stelle-strisce, tanto da diventare parlamentare inamovibile per ben tre legislature consecutive alla Camera e al Senato, prima di ritornare giudice di Cassazione (!).
Immaginate quanto equanime.
La commissione d’inchiesta del Congresso USA sull’11 Settembre si è ispirata al suo metodo, detto “dei quattro sfigati”, nel concludere che i soli responsabili della strate delle Twin Towers, 3.000 morti, era stato un quartetto di pastori erranti per l’Asia, casualmente nei cieli di Manhattan alla guida di due jumbo-jet!!!
Grazie ancora alle sue manchevoli indagini Imposimato è diventato fortunato ‘dietrologo’ best-sellerista, proprio dei “misteri del caso Moro”, con numerosi libri a carico… sostenendo tesi contrarie a quanto da egli stesso “giudicato” negli anni degli interminabili processi-Moro!!!
Con un’ultima piroetta scandalistica, egli attribuisce, figuratevi voi che serietà, a una fonte pseudonima (tale “Puddu”, invece Ladu), di notizie inviate “via post-el”, le balle esposte nel suo ultimo libello: dove mischia abilmente verità inconfessabili (=Cossiga assassino consapevole di Aldo Moro) con palesi menzogne (Andreotti, che invece subì tutta la vicenda venendo pure estromesso dal governo che presiedeva, sei mesi dopo “il fatto”, e proprio dal vincitore Enrico B.R.linguer: mentre Cossiga suo cugino diretto, divenne Presidente del Qui-orinale, da allora totalmente massonizzato).
Perché questi sono “fatti evidenti”, e non dietrologie fumiste.
Incredibilmente un magistrato invece di indagare “per calunnia di organi dello Stato”, l’autore Imposimato, firmatario e pubblicante le notizie false con nome e cognome, inquisisce invece il privatissimo pseudonimo estensore di alcune “post-el”, il detto Ladu-Puddu…!!!
Tutto ciò a quale scopo? Quello di vanificare i risultati della sconvolgente intervista di Giovanni Minoli a Steve Pieczenik, il “consulente” inviato a Roma-Viminale direttamente da Washington, durante il colà soggiorno dell’attuale Bresidende Sir George Nazolitano, ossia proprio durante il sequestro di Aldo Moro, che confessa candidamente il suo scopo: assicurare che Aldo Moro fosse ucciso. Intervista che avrebbe richiesto una immediata riapertura delle indagini, per fatti nuovi occorsi, e di grande evidenza.
Ora non c’è più alcun pericolo: caso Moro? Calunnia!!!
Imposimato, come giudice, bendato.
Ma come agente confusionario, veramente abilissimo.
Gianni Caroli

4 Novembre al Quirinale

giorgio napolitano all'altare della patria

E come tutti gli anni, anche oggi Giorgio NATOlitano si è recato all’Altare della Patria per onorare la giornata delle Forze Armate e dell’Unità Nazionale, nel 95° anniversario della fine del primo conflitto mondiale.
Non senza chiedere –nel tradizionale messaggio inviato per l’occasione– che i meccanismi attuativi delle riforme delle Forze Armate siano “resi al più presto operanti”, conformente agli auspici espressi dal generale Claudio Graziano, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il quale prevede 90.000 militari di ruolo fra una decina di anni, con un taglio di circa 22.000 effettivi dovuto alla “spending review”, e con una quota non ben definibile di “meno giovani” trasferita presso altre amministrazioni dello Stato, nonché 40.000 giovani “idonei all’impiego”, addestrati alle “missioni di oggi e di domani”.
“Ancor più intensamente -scrive quindi il Presidente della Repubblica- è necessario lavorare per l’integrazione militare europea”. Ovvero sia, per la definitiva subordinazione dello strumento militare nazionale degli Stati europei a quella che Mahdi Darius Nazemroaya definisce la “NATO globale”, in un prezioso testo di prossima pubblicazione in Italia a cura di Arianna editrice.

Facciamo i conti, hic et nunc, con l’occupante a stelle e strisce

elezioni

Alla faccia di PisciaLetta e di tutti gli scodinzolanti ominicchi di destra, centro e sinistra…

“Sessant’anni di subordinazione politica e geoeconomica agli Stati Uniti hanno ormai quasi definitivamente privato il nostro paese d’industrie attive nei settori high tech e ridotto la classe politica italiana ad un insieme di smidollati e pagliacci che in nome del deficit, dei parametri dell’euro e della “carta”, sono disposti a sacrificare il “ferro”, interi comparti industriali medi e soprattutto high-tech. Tutto il contrario di quello che fanno gli USA, come abbiamo visto, o di quello che fanno i francesi e i tedeschi.
Per invertire la rotta bisognerebbe dotarsi di un ceto dirigente sovranista ed europeista in senso forte che smascheri quello euroatlantico, annichilendo tanto le correnti culturali domestiche decrescetiste, tecnofobe, antiscientifiche, romantiche, pacifiste e primitiviste – vero cancro del paese che l’hanno infettato alle radici – tanto quanto quelle politiche piccolo-nazionali ed atlantiste.
Ma anche se, nella più ottimistica delle previsioni, ciò dovesse accadere, l’Italia da sola non avrebbe i numeri per fare una politica di sviluppo (e potenza) sostenibile; nell’era dei continenti e dei grandi spazi, l’Italia da sola non può fare “Big Science” e competere con quei giganti aziendali che stanno alla base del dominio USA. Nel XXI secolo ci vuole stazza continentale ed è pertanto necessaria una stretta alleanza con uno o più delle potenze nazionali vicine, siano queste la Francia, la Germania o la Russia. E’ indispensabile una scelta paneuropea dell’industria high-tech italiana, che passi attraverso la fusione dei diversi comparti nazionali europei, avendo la forza di contrattare un accorpamento che tuteli il più possibile gli interessi della nostra popolazione. Alla radice ci deve essere una condivisa scelta politica di creazione di un blocco continentale autonomo dagli USA.
(…)
Un’Italia guidata da un gruppo dirigente sovranista ed europeista forte, dovrebbe però chiedere alla Germania (e in subordine alla Francia) di giocare allo scoperto e mettere le carte sul tavolo per capire se vale veramente la pena di puntare ad un’aggregazione paneuropea attorno al nucleo tedesco, e magari poi aiutarla e fiancheggiarla in questo duro percorso che preveda la creazione di un reale blocco continentale, con una vera unificazione dotata di un esercito europeo, di un bilancio comune, di una “Big Science” comune, di una politica estera ed economica autonoma dagli USA.
Con l’inizio del nuovo mandato di Angela Merkel, con le contrattazione sul TAFTA che stanno per partire, con le decisioni del nuovo management di Siemens e tanti altri segnali, si riuscirà a stanare meglio le reali intenzioni della Germania.
Ma è certo che ad aiutare o addirittura a pretendere dalla nazione tedesca non può essere la “puttana” atlantica che dall’8 settembre del ’43 – e ancora più negli ultimi vent’anni – siamo soliti chiamare Italia, cavallo di troia statunitense nell’Unione Europea tanto quanto la Gran Bretagna.
(…)
Se vogliamo che nei cieli della nostra terra risplenda un barlume di dignità e di patriottismo europeo; se vogliamo che tra le sue valli rimbombi di nuovo dieci e cento volte “Eureka” – la gioia della scoperta e l’orgoglio del progresso tecnico e scientifico oggi possibile solo con la “Big Science” e con la stazza continentale – facciamo i conti, hic et nunc, con l’occupante a stelle e strisce e liberiamoci da una classe dirigente che sembra saper dire solo: “Yes, Sir”.”

Da La battaglia per le aziende strategiche, di Michele Franceschelli.

“Una scelta eccellente”

thorne kerry letta

Così disse l’ambasciatore David Thorne prima di lasciare l’Italia per prendere possesso del nuovo incarico presso il Dipartimento di Stato. “Quasi un memorandum per il Governo”, lo ha definito un organo di stampa
Addio, ambasciatore!
(Per sempre?)

Roma, 8 Giugno – ”Penso che il presidente Napolitano abbia fatto una scelta eccellente nel dare l’incarico ad Enrico Letta. E’ un conciliatore di esperienza che ha prospettive nuove e che ha messo insieme un governo di larga coalizione composto da ministri estremamente capaci da entrambi i lati della sfera politica”. E’ quanto ha sottolineato l’ambasciatore degli USA a Roma David Thorne intervenendo al 24° Workshop del Consiglio Italia-USA, a Venezia.
Nel suo discorso – che l’ambasciata USA ha pubblicato anche sul suo sito – Thorne ha ricordato come ”Enrico Letta – che ha assunto l’incarico dopo due mesi di incertezza – abbia ereditato una serie di difficili sfide politiche ed economiche che noi tutti conosciamo bene”. Ma – ha sottolineato – il premier ”ha già mostrato la sua intenzione di muovere l’Italia verso le riforme necessarie, ha capito che deve stabilire un’impalcatura che parli a tutti gli italiani” e ”lo sta facendo mettendo la disoccupazione giovanile in cima alla sua agenda”.
Thorne, che ha ricordato come presto terminerà il suo incarico a Roma, ha poi rimarcato le ”forti” relazioni tra Italia e USA. ”Il nostro interesse per l’Italia va ben al di là dell’economia. L’importanza geostrategica dell’Italia non è mai stata più chiara e la ‘direttiva prioritaria’ degli USA è assicurare che le storiche relazioni tra i due Paesi continuino a crescere”, ha affermato il diplomatico.
(ANSA)

Non solo Afghanistan

miadit somalia

Dedicato a Re Giorgio II NATOlitano, il quale durante il discorso di reinsediamento pronunciato di fronte al Parlamento, ha dichiarato che coloro i quali criticano le “missioni di pace” compiono un’opera di disinformazione a danno del sacrificio dei militari italiani.

Certo, quella afghana è sicuramente la “missione di pace” più nota al grande pubblico, e anche la più dispendiosa sia in termini finanziari che per impiego di mezzi e uomini da parte delle Forze Armate della Repubblica italiana delle Banane. Ma, almeno per questa, ora si assiste a un minimo di opposizione politica.
Cercando fra le pieghe del cosiddetto “decreto missioni”, e del suo stanziamento di ben 935 milioni di euro a copertura degli impegni assunti fino al 30 Settembre 2013, capita di imbattersi in voci di spesa veramente imbarazzanti.
Ad esempio, all’art. 1 comma 11, i quasi 34 milioni di euro per la partecipazione alle operazioni “per il contrasto della pirateria”, quella dell’Unione Europea denominata Atalanta e quella della NATO detta Ocean Shield, attività la cui duplicazione pone diversi dubbi in merito alla loro reale efficacia e alla corrispondenza degli obiettivi con quelli pubblicamente dichiarati.
Lascia poi sbalorditi l’importo di oltre 143 milioni di euro stanziati “per la stipulazione di contratti di assicurazione e trasporto di durata annuale e per la realizzazione di infrastrutture, relativi alle missioni internazionali del presente decreto” (comma 18).
Il comma 27 ci rende edotti che “il mantenimento del dispositivo info-operativo dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) a protezione del personale delle Forze Armate impiegato nelle missioni internazionali” -l’apparato di intelligence, insomma- ci costerà 10 milioni di euro.
Totalmente oscure risultano, invece, le finalità della “spesa di euro 16.257.366 per la prosecuzione degli interventi operativi di emergenza e di sicurezza destinati alla tutela dei cittadini e degli interessi italiani situati nei territori bellici, nelle aree ad alto rischio e nei Paesi di conflitto e post-conflitto” (art. 6, comma 10). Trattasi per caso di ulteriori fondi per le attività svolte dai servizi segreti tricolori in giro per il mondo?
Infine, riguardo al suddetto Afghanistan, oltre ai quasi 427 milioni stanziati per il personale militare (art. 1, comma 1), vanno aggiunti 5.635.000 euro “per interventi urgenti o acquisti e lavori da eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni di contabilità generale dello Stato, disposti nei casi di necessità e urgenza dai comandanti dei contingenti militari”, quindi con notevole margine di discrezionalità (art. 1, comma 19), nonché un’ulteriore spesa di 1.450.000 euro “per assicurare la partecipazione finanziaria italiana al Fondo fiduciario della NATO destinato al sostegno dell’esercito nazionale afghano” (art. 6, comma 4).
E, tanto per concludere in bellezza, non si è mancato di riservare qualche spicciolo, 400.000 euro (art. 6, comma 16), pure alla funzionalità del Comitato Atlantico Italiano, “un ciarpame inutile” di “comitati [che] non hanno mai neppure svolto il loro teorico ruolo istituzionale di fare informazione, pubblicità e lobbyng per conto dell’Alleanza”, come commentava acutamente un lettore.
Ma l’attività sulla quale vogliamo appuntare la nostra attenzione è la “Missione Addestrativa Italiana” a Gibuti (acronimo MIADIT), che lo scorso 15 Aprile ha ricevuto la visita del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli.
Egli, dopo aver incontrato i 32 istruttori dell’Arma dei Carabinieri diretti dal Tenente Colonnello Guido Ruggeri, ha assistito a una dimostrazione pratica di “Close Protection”, “investigazioni sulla scena del crimine” e “controllo della folla”, effettuata dai 200 poliziotti somali frequentatori del corso che l’indomani sono ritornati in patria al termine del ciclo addestrativo.
Si tratta di quella Somalia che il sito dell’Arma pudicamente definisce un “Paese che vive un periodo storico di forte destabilizzazione politico-sociale dovuta alla continua azione di numerose e violente bande criminali”. Ma della quale sarebbe più appropriato parlare nei termini di vittima di una vera e propria guerra civile di durata più che ventennale, con l’importante e decisivo apporto di attori esterni a cominciare dagli Stati Uniti, e meta privilegiata del traffico internazionale di rifiuti tossici, le cui devastazioni sono di ardua quantificazione.
La MIADIT – apprendiamo ancora dal sito della Benemerita – costituisce il ritorno di un contingente di Carabinieri nel continente africano, “dopo la precedente esperienza della missione IBIS a Mogadiscio”, davvero poco fortunata aggiungiamo noi.
Il corso, della durata di 12 settimane, è stato appositamente strutturato sulla base delle specificità delle forze di sicurezza somale. E, per la prima volta nella storia dell’Arma, erano presenti anche due donne Carabinieri, un ufficiale e un maresciallo, che hanno seguito direttamente 17 allieve poliziotte somale.
Come avete potuto vedere con i vostri occhi.
Federico Roberti

Dalla padella alla brace

partito atlantico

“La speranza è che gli italiani conservino un briciolo di memoria sui passaggi che ci hanno portato al “governo di solidarietà nazionale“.
Siamo passati da una disastrosa presenza sulla scena di nani e ballerine, di corrotti e corruttori a una casta maleodorante di serissimi usurai-predatori altrettanto ammanigliati e in evidentissimo, pari o addirittura maggiore conflitto di interessi.
L’unica novità, peggiorativa, introdotta dal successore di Berlusconi sarà la decisione di imprimere un ulteriore colpo di acceleratore al prelievo forzato di ingenti risorse collettive e alla implosione ormai definitiva di quello che una volta chiamavamo con legittimo orgoglio Stato Sociale, prima che il repubblicano Spadolini si inventasse la locuzione Azienda Italia e Treu introducesse con la legge 196 del 1997 la “flessibilità del lavoro atipico e interinale“, insomma del precariato, perché l’Italia potesse governare, come sostenne l’allora Presidente del Consiglio Prodi, il processo di globalizzazione dei mercati.
Con che risultati è sotto l’occhio di tutti mentre si continua da decine di anni a importare “manodopera” sia con le quote annuali di migranti arcobaleno programmate dai governi nazionali che con quella clandestina da Europa dell’Est, Africa, Asia e America Latina per aiutare i nostri giovani a trovare lavoro.
Un altro metodo per procurare un avvenire a disoccupati e precarizzati è alzare ad ogni riforma previdenziale l’età per andare in pensione, perché sale – si sostiene – l’aspettativa di vita dei lavoratori e delle lavoratrici del Bel Paese.
La conferma del disastro che le programmazioni dei flussi ha provocato e continua a provocare questa volta è arrivata da Visco, il nuovo Governatore della Banca (privata) d’Italia: la percentuale dei giovani che non riesce a trovare lavoro cresce mese dopo mese.
Il Cavaliere sarebbe arrivato ad un identico risultato con più gradualità, per “tenere” Palazzo Chigi da Palazzo Grazioli con il suo largo bacino di utenze di prostituzione, anche morale.
Insomma siamo passati dalla padella alla brace.”

Così Giancarlo Chetoni, del quale in questi giorni ricorre il primo anniversario della scomparsa, commentava la formazione del “governo di solidarietà nazionale” con a capo Mario Monti, nel suo ultimo articolo pubblicato su questo blog, a fine 2011.
Mai avrebbe immaginato che tale prassi si sarebbe consolidata sotto l’egida del medesimo Presidente della Repubblica, anche se oggi c’è di mezzo un Grillo in cui gli Italiani ripongono le ultime speranze di riscatto.