Esplosioni controllate e pronostici

Per capire che cosa sta accadendo a Tripoli bisogna considerare innanzitutto il quadro strategico. Non siamo di fronte a rivolte spontanee, ma indotte che mirano a replicare nel nord Africa quanto avvenuto alla fine degli anni Ottanta nell’ex Unione Sovietica. Anche allora la rivolta partì da un piccolo Paese, la Lituania, e all’inizio nessuno immaginava che l’incendio potesse propagarsi ai Paesi vicini e non era nemmeno ipotizzabile che l’URSS potesse implodere. Il Maghreb non è l’Unione Sovietica e non esistono sovrastrutture da far saltare, ma per il resto le analogie sono evidenti. La Tunisia è il più piccolo dei Paesi della regione ed è servito da detonatore per la altre volte. A ruota è caduto il regime di Mubarak, la Libia è in subbuglio, domani forse Teheran e, magari sull’onda, Algeria, Marocco, Siria. Che cos’avevano in comune i regimi tunisini, egiziano e libico? Il fatto di essere retti da leader autoritari, ormai vecchi, screditati, che pensavano di passare il potere a figli o fedelissimi inetti.
Non è un mistero: le rivolte sono state ampiamente incoraggiate – e per molti versi preparate – dal governo americano, come dimostrato qui e qui. Da qualche tempo Washington riteneva inevitabile l’esplosione del malcontento popolare e temendo che a guidare la rivolta potessero essere estremisti islamici o gruppi oltranzisti, ha proceduto a quella che appare come un’esplosione controllata, perlomeno in Egitto e in Tunisia. Perché controllata? Perché prima di mettere in difficoltà Ben Ali e Mubarak, l’Amministrazione Obama ha cementato il già solidissimo rapporto con gli eserciti, i quali infatti non hanno mai perso il controllo della situazione e sono stati gli artefici della rivoluzione. Non scordiamocelo: oggi al Cairo e a Tunisi comandano i generali, che anche in futuro eserciteranno un’influenza decisiva. Washington ha vinto due volte: si è assicurata per molti anni a venire la fedeltà di questi due Paesi e ha messo a segno una straordinaria operazione di immagine, dimostrando al mondo intero che l’America è dalla parte del popolo e della democrazia anche in regimi fino a ieri amici.
(…)

Da Libia e Gheddafi: cosa c’è (davvero) dietro la rivolta, di Marcello Foa.
[grassetto nostro]

E Fidel prevede che…:
L’Avana, 22 febbraio – “Quello che è assolutamente evidente è che il governo degli Stati Uniti non si interessa minimamente della pace in Libia, e non esiterà ad ordinare alla NATO di invadere questo Paese ricco”. Così Fidel Castro fa sentire la sua opinione su quanto sta succedendo in Libia, affermando che una mossa in questo senso potrebbe essere “un questione di ore o di pochi giorni”.
“Una persona onesta sarà sempre contro qualsiasi ingiustizia che si commetta in qualsiasi Paese del mondo”, ha scritto l’ex lider maximo cubano in una delle sua famose “Reflexiones” denunciando “il crimine che la NATO si prepara a commettere contro il popolo libico”.
(Adnkronos/Dpa)

Meglio prevenire che curare.


“Un’ampia gamma di opzioni”
New York, 23 febbraio – La repressione in Libia ‘viola le leggi internazionali’ ed è contraria ai diritti umani, che non sono negoziabili, e i responsabili dovranno risponderne. Lo ha detto il presidente USA chiedendo di porre fine al mostruoso ed inaccettabile bagno di sangue. Obama ha poi annunciato che gli Stati Uniti stanno esaminando ‘un’ampia gamma di opzioni’ per azioni contro il Paese nordafricano e che il suo governo ha predisposto piani di evacuazione per gli americani.
(ANSA)

C’è qualcosa che non torna
C’è qualcosa che non torna nel racconto delle vicende libiche: le stragi, gli aerei, i cecchini, i mercenari, le notizie che si susseguono ci dicono che la crisi del regime è profonda quanto mai era stata in quarantuno anni di potere di Gheddafi. Ma quel che non si capisce è quale sia la percentuale di informazione “drogata” che punti a favorire una soluzione vincente della crisi secondo le aspettative dei ribelli e dei loro potenti sostenitori esterni. C’è infatti uno scarto non indifferente fra le unità di notizia e i video da una parte, e le cifre sparate con titoli cubitali dalla stampa e dai telegiornali di mezzo mondo. Tutti i video mostrano in genere non più di alcune decine di persone nelle strade: perché non c’è nemmeno una foto di cellulare con almeno una ventina-trentina cadaveri a terra, delle centinaia di ammazzati dal regime? Testimoni riferiscono, scrive la BBC, di aerei che bombardano i civili, e di mercenari che fanno strage di manifestanti: sono uomini di Gheddafi o sono terzi soggetti che alimentano la guerra civile secondo il modello delle proteste elettorali in Iran di due estati fa?
E poi ancora: alcune finestre in fiamme, senza che si veda l’edificio nella sua interezza non si sa dove e quando sono state riprese. Il filmato con alcuni orribili cadaveri carbonizzati è curioso, di nuovo un capannello di persone e poi i resti delle vittime come trasportati ed esposti su teloni militari. Su Al Jazira, un altro post che sembra un filmato, ma in realtà è una foto con nel sottofondo un anonimo libico di Tripoli che dice che Gheddafi e i suoi sono “mostri”. Ancora, foto di feriti in ospedale ma non si sa quale ospedale e feriti quando. E video di mercenari africani che non dicono nulla, pochi fotogrammi forse girati addirittura su un aereo.
Leggete poi i giornali: i titoli sparano bombardoni, gli articoli parlano in genere di “testimoni” (che) “riferiscono”, e sono infiorati da condizionali e da forse: vedi la fuga di Gheddafi in Venezuela. Vedi i prima due poi quattro piloti disertori e atterrati a Malta,che nessuno ha ancora intervistato; vedi i tre ministri che si sarebbero dimessi. La cautela dunque sembrerebbe d’obbligo, come del resto si deduce dall’intervista dell’ambasciatore libico all’ONU di Ginevra che, abbandonato il regime di Gheddafi, ha dichiarato a Rai News ieri mattina che “la situazione è estremamente critica”, che si è di fronte all’ “estrema crisi del regime”, che “Gheddafi non ha più nulla in mano”, senza fornire però una sola cifra delle vittime vere o presunte. Un lavoro “sporco” da affidare all’anonimato mediatico in rete, nelle tv e sulla stampa, non da compiersi da parte di un alto diplomatico con aspirazioni probabili a diventare ministro nell’era post-gheddafiana.
Si è di fronte dunque ad uno scarto notevole fra i dati di fatto certi e quella che potrebbe essere chiamata una sovraesposizione mediatica, onde per cui ponderare la profondità della crisi del regime libico è molto difficile. Attenzione però, è la stessa enfatizzazione mediatica a far crescere le difficoltà di Gheddafi: è un lavorio intelligente, che va a combinarsi con il pressing antiGheddafi dell’Europa e soprattutto – a fronte di un Obama silenzioso negli ultimi giorni – di Hillary Clinton, ministro degli esteri di quella stessa potenza che per iniziativa di Obama ha avallato o contribuito alla defenestrazione del presidente-dittatore del vicino Egitto. Ecco dunque i segnali concreti di sgretolamento del regime ai suoi vertici, i tre ministri e il diplomatico di cui sopra e probabilmente alcuni ufficiali e soldati dell’esercito. La partita è ancora aperta fra voci di diserzioni o di ammutinamenti diffuse in Occidente senza veri riscontri fattuali, e la possibilità che tutto precipiti con un colpo di mano o un attentato mirato. L’incognita non è solo l’esercito, ma gli equilibri fra i diversi apparati politico-militari, ad esempio i Comitati rivoluzionari costruiti nella fase più radicale della “rivoluzione” gheddafista.
(…)

Da Libia, il leone ferito: ma non è detta l’ultima parola…, di Claudio Moffa.

Do you remember Kosovo 1999?
Bruxelles, 24 febbraio – Tra le opzioni che l’Unione Europea sta considerando nella preparazione dei piani sulla Libia c’è anche l’ipotesi di un intervento militare a carattere umanitario. Lo hanno rivelato fonti UE, secondo cui “questa è una possibilità su cui stiamo lavorando”. Si tratta di “una questione difficile e complessa”, hanno sottolineato le fonti, ricordando che “qualsiasi tipo di intervento militare richiede ovviamente una cornice legale”.
(Adnkronos)

Proprio come avevamo appena finito di ipotizzare nella pagina dei commenti

“Al momento non ne abbiamo mai parlato”
Roma, 24 febbraio – “Al momento non ne abbiamo mai parlato. Finora nessuno ha mai preso in considerazione l’ipotesi di una missione internazionale in Libia come quella che c’è in Kosovo”. Lo afferma il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, rispondendo ai giornalisti che a Montecitorio gli chiedono se si può ipotizzare l’avvio di una missione internazionale in Libia.
(AGI)

Casini, bordelli e Tonini: “l’opposizione” non delude mai
Roma, 24 febbraio – “Il signor Gheddafi è un criminale che va processato alla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, perchè quello che sta capitando in queste ore, con bombardieri mandati contro i cittadini libici, con motovedette a cui viene chiesto di bombardare dal mare Tripoli e Bengasi, tutte queste testimonianze sono più che sufficienti per dire che chi guida la Libia è un criminale”. Lo dice Pier Ferdinando Casini, ospite di ’28 minuti’, trasmissione di Barbara Palombelli su Radio Due.
(Adnkronos)

Roma, 24 febbraio – ”Mi auguro che il presidente Dini sia in grado di smentire le affermazioni contenute nell’intervista pubblicata sulla Repubblica di oggi. Si tratta infatti – secondo il capogruppo del PD in Commissione Esteri a palazzo Madama Giorgio Tonini – di affermazioni sconcertanti e gravissime”.
”Stando a quanto affermato dal presidente della Commissione Esteri del Senato – prosegue Tonini – l’Italia non auspica la fine di Gheddafi, perchè è un leader che oggi intrattiene buoni rapporti con la comunità internazionale. C’è da chiedersi cosa intenda il presidente Dini per ‘comunità internazionale’: non solo l’Europa e gli Stati Uniti, ma anche il segretario generale e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e perfino la Lega Araba hanno condannato con fermezza il regime libico, che con la feroce repressione che ha messo in atto contro le proteste del suo stesso popolo, si è posto da solo fuori e contro la comunità internazionale”.
”Nelle parole che il ministro Frattini ha pronunciato ieri alla Camera e al Senato – osserva ancora Tonini – abbiamo registrato con sollievo una significativa correzione di rotta del Governo, che evidentemente si è reso conto che con la linea del sostegno acritico a Gheddafi stava portando l’Italia, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, sulla soglia dell’isolamento internazionale. E stava perfino compromettendo il futuro delle relazioni con il popolo libico, che è preciso interesse nazionale dell’Italia che restino amichevoli. Forse il presidente Dini non è stato tempestivamente informato”.
(ASCA)

Piazze silenziose
Roma, 24 febbraio – ”In Libia è in corso una autentica carneficina. Migliaia di morti, bombardamenti su minareti, uccisioni di massa e cadaveri esposti nelle strade, stupri casa per casa, fosse comuni. Se si fa eccezione per le dichiarazioni di Obama e di qualche leader europeo, per il resto è silenzio. Fino alle misere contorsioni del governo Berlusconi. E ci dobbiamo dire anche che sono silenziose le piazze. Le stesse che si riempirono con milioni di persone contro la guerra in Iraq oggi tacciono di fronte al martirio di un popolo che aspira a libertà e diritti”. Lo scrive Walter Veltroni su Facebook.
(ASCA)

Tutti sono d’accordo
Washington, 25 febbraio – Il mondo si interroga su come fermare le stragi in Libia. Il presidente americano ha analizzato le possibili misure contro il regime in una serie di colloqui telefonici con Berlusconi, Cameron e Sarkozy.
Si stanno analizzando una serie di opzioni, prima tra tutti una no-fly zone sulla Libia, ma anche il divieto di volo e il congelamento dei beni per la famiglia Gheddafi. Tutti sono d’accordo sulla necessità di fermare la repressione brutale e sanguinosa, sulla necessità di mandare segnali chiari alla leadesrhip libica e sulla necessità di coordinare le eventuali misure multilaterali. Tra le azioni, un’iniziativa anche nel Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu. E oggi si riunirà di nuovo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
(AGI)

Il “coordinatore”
Godollo (Ungheria), 25 febbraio – Il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen ha chiesto una riunione urgente dei Paesi membri dell’Alleanza Atlantica per affrontare la convulsa situazione in Libia; e ha aggiunto di essere pronto a fare da “coordinatore” qualora gli alleati decidessero un’azione.
Rasmussen ha mandato un messaggio su Twitter, mentre si apre a a Godollo, vicino Budapest, la riunione informale dei ministri della Difesa dell’Unione Europea che affronta la situazione libica e la possibile evacuazione dei migliaia di cittadini [stranieri – ndr] che ancora rimangono nel Paese arabo.
(AGI)

Non vedono l’ora di mettere le loro sporche mani sulle ingenti risorse di petrolio, gas e le immense riserve di acqua potabile recentemente scoperte in Libia…

(Im)prevedibile propaganda
Washington, 25 febbraio – Nella “situazione di caos” in Libia gli Stati Uniti sono preoccupati per l’arsenale chimico del Paese, e soprattutto temono la possibilità che Moammar Gheddafi possa usare armi chimiche contro il proprio popolo. Lo riporta la CNN, citando un funzionario americano che ricorda come, per quanto finora non vi siano segnali della possibilità che il leader libico abbia dato un ordine di questo tipo, Gheddafi sia imprevedibile.
(Adnkronos)

“Stiamo finalmente riscoprendo l’intelligenza superiore di Bush”
Roma, 25 febbraio – ”E’ la classica situazione nella quale bisognerebbe richiedere l’intervento della NATO. Forse anche quello della Nazioni Unite. Quello che sta accadendo in Libia è una tragedia umana. E non possiamo restare troppo a lungo a guardare”. Lo dice l’ex ministro della Difesa, Antonio Martino, in un’intervista a ‘il Tempo’, in cui spiega che l’Alleanza Atlantica dovrebbe intervenire ”sulle stesse identiche basi sulle quali intervenne in Kosovo nel 1999.
Era in corso – ricorda l’esponente del PdL – un’operazione militare dell’allora governo contro i kossovari. Si venne a creare una pericolosa situazione di emergenza, con un esodo di massa’. ”La NATO – rimarca Martino – intervenne bombardando la zona per fermare quello che stava assumendo le dimensioni del genocidio. Il centrodestra allora fu a favore dell’intervento deciso dal governo D’Alema”. Oggi in Libia, sottolinea l’ex titolare della Difesa, ”ci sono migliaia di morti ogni giorno, le fosse comuni. E’ terribile. Bisogna fermare subito quello che sta accadendo. Subito. Se fossi ministro avrei già chiamato Rasmussen, il segretario della NATO”. ”Qui non c’è tempo da perdere – ribadisce – Gheddafi sta facendo bombardare il suo popolo, ha assoldato mercenari che vanno a sparare ai civili nelle case”.
Quanto al ruolo degli USA nella vicenda della crisi libica, per Martino la posizione americana ”è imbarazzante. Mi sembra che in politica estera l’attuale amministrazione sia inadeguata. Stiamo finalmente riscoprendo l’intelligenza superiore di Bush”.
(Adnkronos)

Standing ovation.

Processi di demonizzazione: Gheddafi come Milosevic, la Libia come la Serbia
Roma, 25 febbraio – “Quello che sta accadendo in Libia configura un vero e proprio genocidio e per le sue responsabilità Gheddafi può essere paragonato a Slobodan Milosevic. La nostra posizione deve essere di massima vicinanza al popolo libico nel momento in cui, pur tra lutti e sofferenze, sta trovando la strada verso la democrazia”. Lo dice il senatore del PdL, Giuseppe Esposito, vicepresidente Copasir e membro della Commissione Difesa del Senato della Repubblica.
“La natura laica della rivolta lascia presupporre sviluppi di tolleranza e apertura democratica, così come sembra accadere in Egitto – prosegue Esposito – Dal punto di vista politico è necessario sostenere la proposta di sanzioni da parte dei Paesi dell’UE insieme con quella dell’apertura di un’inchiesta da parte del Tribunale Internazionale per crimini contro l’umanità, continuando a sostenere la transizione senza abbassare la guardia sui rischi, che pure esistono, di derive integraliste. Al contempo ci si deve preparare, in maniera unitaria e secondo principi umanitari, ad accogliere la possibile ondata di arrivi”.
(DIRE)

“Il risultato poi non è stato quello che speravamo”: parola di finanziere…
Milano, 25 febbraio – “Il vento della libertà è sempre positivo, basta che non diventi un disastro caotico e disorganizzato. Tutti eravamo per la rivoluzione iraniana quando fu cacciato lo Scià. Il risultato poi non è stato quello che speravamo. L’Europa deve aiutare, altrimenti non ce la facciamo da soli”.
Così il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar commenta le rivolte in Libia, che seguono quelle in Tunisia e in Egitto.
(Adnkronos)

”Non si può assicurare la pace mondiale infliggendo sanzioni”
Istanbul, 26 febbraio – La Turchia condanna la repressione del regime libico nei confronti dei manifestanti, accusa la comunità internazionale, con particolare riguardo per i Paesi occidentali, per aver concentrato l’attenzione sui problemi legati al procacciamento delle risorse energetiche piuttosto che sul dramma umanitario e dice no alle sanzioni dell’ONU.
Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, in un discorso televisivo, si è appellato alla ”comunità internazionale” perché si occupi della Libia ”non preoccupandosi del petrolio” ma ”con coscienza”, guardando ”ai valori umani e di giustizia”. Erdogan, parlando delle sanzioni ONU, ha poi detto che ”ogni intervento renderà il processo più difficoltoso” e ”colpirà non l’amministrazione ma il popolo libico” perché ”non si può assicurare la pace mondiale infliggendo sanzioni per ogni incidente”. Il primo ministro turco ha chiesto alla comunità internazionale ”di fermare i calcoli” sugli interessi economici che riguardano la Libia e di ”lavorare per un rimedio per fermare la sofferenza del popolo libico”.
(ASCA-AFP)

“Pronti ad aiutare”…
New York, 27 febbraio – Gli USA sono ‘pronti ad aiutare’ gli oppositori del colonnello Muammar Gheddafi in Libia: lo ha indicato il segretario di Stato USA Hillary Clinton.
Parlando in viaggio alla volta di Ginevra, la Clinton ha detto: ‘Siamo pronti ad offrire qualsiasi forma di aiuto’ auspicata da parte degli Stati Uniti. Il segretario di Stato, che domani parteciperà ad una ministeriale ONU sui Diritti Umani, ha ribadito che Gheddafi deve andarsene: ‘Dobbiamo innanzi tutto vedere la fine del suo regime’.
(ANSA)

… con la no fly zone…
Roma, 28 febbraio – L’utilità di una ‘no fly zone’ in Libia è “indubbia” ma “bisogna essere consapevoli che è una misura che poi va fatta rispettare”: ad affermarlo è stato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, in un’intervista al Messaggero. Una misura di questo genere, ha precisato il titolare della Farnesina, esige una “riflessione approfondita”, anche perché “servono caccia da guerra ed elicotteri che la facciano rispettare, occorrono precise regole d’ingaggio” .
(AGI)

… ed il “coinvolgimento della NATO”.
Parigi, 28 febbraio – Proibire il sorvolo del territorio libico per impedire il massacro di civili da parte del Colonnello Gheddafi implica una ”riflessione” e un ”coinvolgimento della NATO”.
Così, il primo ministro francese Francois Fillon ai microfoni di RTL, precisando che occorre studiare ”tutte le soluzioni” per indurre Muammar Gheddafi a lasciare il Paese. Intanto non è stata ancora presa alcuna decisione sulla possibilità di imporre una no-fly zone sulla Libia per evitare ulteriori massacri di civili da parte di Muammar Gheddafi.
(ASCA-AFP)

Parole dure e chiare
Ginevra, 28 febbraio – Sostenere le transizioni politiche nel mondo arabo non è una questione di ideali ma un imperativo strategico. Lo ha dichiarato il segretario di Stato USA Hillary Clinton al termine del Consiglio ONU per i diritti umani a Ginevra.
(ASCA-AFP)

Brava Hillary, facciamola finita con l’ipocrisia…

Stanno progettando… Kosovo 2°
Londra, 1 marzo – La Gran Bretagna e gli alleati della NATO stanno progettando di inviare aerei da guerra in Libia e armi ai ribelli per abbattere il regime del Colonnello Muammar Gheddafi. E’ quanto rivela il britannico The Times. Il governo di David Cameron è in prima fila per estromettere il leader libico ed impedire un disastro umanitario.
(AGI)

La fortuna di Berlusconi
Gianni De Michelis, il dioscuro rampante che con Martelli, negli anni della rifondazione socialista del Garofano si assunse il compito di svellere le radici del socialismo e farne un moderna arma per una politica corsara al servizio di Ghino di Tacco in guerra continua con l’alleato dc ed il nemico pci, ieri parlava della fortuna che sarebbe toccata a Berlusconi che, come a suo tempo D’Alema, si trova nella condizione di arrecare servizi preziosi agli USA. D’Alema ebbe la opportunità di offrire basi militari ed aerei per bombardare Belgrado e quindi essere iscritto nell’albo degli amici della Casa Bianca. Berlusconi ha le stesse opportunità riferite alla Libia, nel caso che Gheddafi non accettasse l’esilio impostogli da Obama e decidesse di resistere e magari di farsi uccidere nella difesa della Libia.
(…)
Il pavido governo italiano è costretto a fare finta di niente. La sua meschina opposizione lo incalza per la cancellazione del trattato italo-libico. Berlusconi dovrà stare in riga e fornire il supporto militare se si deciderà di bombardare Tripoli al fine di spaccare in due od in tre la Libia oppure di mettere al potere la tribù fedele all’Occidente dell’ex re Idriss. Il benessere della Libia sarà un ricordo del passato come quello dell’Iraq di Sadam Hussein che era diventato lo Stato più moderno industrializzato e colto tra i paesi arabi. Gli USA non sopportano la crescita di civiltà diverse da quella del suo capitalismo. Anche l’Iran dovrà essere schiacciata e riportata all’età della pietra. Tutta la polemica contro l’Islam ed il fondamentalismo islamico, contro il terrorismo, non è altro che il manifesto ideologico di un Impero che non accetta di convivere con entità autonome e culture diverse dalla sua. In lista di attesa per essere omologata con le buone o le cattive sta la Russia. Farebbe bene Berlusconi, prima che Obama decida di tirargli il collo e di ordinare ai suoi “fedeli” in Italia di rivedere tutto, a rivedere, se può, le sue posizioni verso Putin.
Intanto dalla Libia giunge un pesante silenzio.
(…)
Che cosa sta accadendo?
Sta accadendo che le orde monarchiche manovrate da Obama e dalla Clinton hanno avuto l’ordine di congelare la “rivoluzione” in attesa dei negoziati con Gheddafi e la sua famiglia. Se questi accetterà di andarsene dal paese dove è nato e dove ha governato per quaranta anni non ci sarà bisogno dell’assalto finale al Palazzo d’Inverno. Se Gheddafi resisterà la Libia farà la fine dell’Irak e dell’Afghanistan: sarà invasa da truppe che qualcuno nella sinistra fariseica italiana chiama “umanitarie”. Vedremo in diretta lo spettacolo pirotecnico delle bombe al fosforo che illuminano il cielo di Tripoli. Lo stesso spettacolo che abbiamo visto sul cielo di Bagdad.

Da L’invidia di De Michelis, di Pietro Ancona.

2 Marzo
Il generale James Mattis, responsabile del Comando Centrale USA (CENTCOM), parlando davanti al Senato statunitense circa un’eventuale no-fly zone sulla Libia, ha detto che da un punto di vista militare “sarebbe difficile”.
“Si dovrebbe eliminare la capacità libica di difesa aerea, per stabilire una no-fly zone. Non facciamoci illusioni. Sarebbe un’operazione militare, non basterebbe dire ai libici che non possono volare”.
Mentre al ministro Maroni che si interroga su quale “autorità” sia in grado di revocare il Trattato di Amicizia fra Italia e Libia, fate leggere questo.

“Chiediamo attacchi mirati”
Bengasi, 2 marzo – Il Consiglio nazionale libico costituito dai ribelli nella Libia orientale ha chiesto attacchi aerei delle Nazioni Unite contro i mercenari stranieri impiegati dal leader Muammar Gheddafi per reprimere la rivolta. Lo ha annunciato oggi un portavoce del Consiglio.
Nel corso di una conferenza stampa Hafiz Ghoga, portavoce dell’organismo che ha sede a Bengasi, ha detto che Bengasi [lapsus freudiano… – ndr] sta usando “mercenari africani in città libiche”, il che rappresenta un’invasione del paese nordafricano produttore di petrolio.
“Chiediamo attacchi mirati sulle roccaforti di questi mercenari”, ha detto Ghoga, aggiungendo però che: “Ci si oppone con forza alla presenza di eventuali forze straniere sul suolo libico. C’è una grande differenza tra questo e attacchi aerei strategici”.
Il portavoce ha aggiunto che l’esercito a est è pronto a muoversi verso ovest se Gheddafi rifiuta di farsi da parte.
(Reuters)

La Russa non dice “né di sì né di no”
Roma, 2 marzo – Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, condivide la posizione USA, espressa da Robert Gates, su una possibile ‘no fly zone’ sui cieli della Libia che, da parte statunitense, si reputa poco praticabile perché presupporrebbe un’azione militare contro il regime di Gheddafi.
”Fare una ‘no fly zone’ – ha detto La Russa ai giornalisti che gli chiedevano un commento alle parole di Gates – significa impedire agli aerei libici di volare e, se lo fanno, prevedere un intervento. Ma – si é chiesto – se contro i nostri aerei che intervengono risponde la loro contraerea cosa fai? Devi ovviamente bombardare”. Da qui, ha spiegato La Russa, la posizione italiana che definisce l’ipotesi della ‘no fly zone’ una questione ”molto fluida e ipotetica. Non dico né di sì né di no ma certo Gates ha ragione perché creare una ‘no fly zone’ è, di fatto, un’operazione militare e, quindi, se occorre coercitiva altrimenti si chiamerebbe embargo o sanzione”.
”Per questo – ha concluso il ministro La Russa – abbiamo gettato acqua sul fuoco ma siamo assolutamente pronti a rispettare qualsiasi decisione assunta in sede internazionale”.
(ASCA)

Ogni promessa è debito
Roma, 3 marzo – ”Abbiamo deciso due importanti missioni umanitarie. La prima, su richiesta dell’Egitto e della Tunisia, prevede l’aiuto a circa 60mila egiziani che lavoravano in Libia ed ora sono fuggiti in Tunisia. Ci è stato chiesto di assisterli e di fare in modo che possano rientrare in patria sani e salvi. La seconda missione umanitaria si dirigerà in Cirenaica portando cibo e medicinali a una popolazione stremata”. E’ quanto spiega il ministro degli Esteri, Franco Frattini in una intervista ad Avvenire tratteggiando il quadro dell’impegno del governo italiano nella crisi della Libia.
Respingendo ogni ipotesi di ‘imbarazzo’ da parte dell’esecutivo guidato da Berlusconi nel condannare oggi Gheddafi dopo averlo considerato un partner privilegiato (”E’ lo stesso imbarazzo che dovrebbero provare tanti leader del mondo. Dai britannici che hanno riconsegnato a Tripoli il terrorista della strage di Lockerbie, al presidente francese che ha ospitato Gheddafi per cinque giorni a Parigi, a tutti coloro che avevano votato a favore della Libia come membro della Commissione Onu per i diritti umani”), sulle ipotesi di un’eventuale intervento militare dall’esterno precisa: ”E’ un’ipotesi che ha già sollevato le perplessità della Lega Araba. Escludo categoricamente che l’Italia possa partecipare ad un’azione militare in Libia, per ovvi motivi legati al nostro passato coloniale. Al massimo, potremmo dare la disponibilità logistica delle nostre basi, ma anche in questo caso occorre un chiaro mandato internazionale dell’ONU. E, comunque, qualsiasi tipo d’azione deve tener presente il delicato contesto politico e culturale del mondo arabo”.
(ASCA)

Sì, le “nostre” basi

La NATO “ha preso nota” e “prudentemente” (?!?) si prepara
Bruxelles, 3 marzo – La NATO non ha in programma un intervento in Libia ma si tiene pronta per ogni eventualità. Il segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, ha dichiarato di aver “preso nota” della dichiarazione con cui il Consiglio nazionale di Bengasi ha chiesto “attacchi strategici contro i mercenari”. “Vorrei sottolineare”, ha affermato Rasmussen, “che la NATO non ha alcuna intenzione di intervenire, ma, prudentemente, ci prepariamo a tutte le eventualità”.
(AGI)

“Abbiamo fatto bene nel Kosovo”
Roma, 4 marzo – ”Occorrono atti da parte dei governi e dell’Unione Europea. Di fronte alla persistente azione repressiva che sta reiteratamente producendo Gheddafi occorre un’azione di ingerenza umanitaria, bisogna mettere mano ad un’azione militare con un fine positivo assolutamente urgente, quello di fermare il massacro”.
Lo ha detto a Radio Radicale il vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella (PD). ”Gheddafi è un pazzo scatenato che sta uccidendo migliaia di persone – ha detto Pittella – non possiamo assistere inermi a questo massacro. Abbiamo fatto bene in Libano, abbiamo fatto bene nel Kosovo. Ed è gravissimo che prevalga una logica di convenienza rispetto al massacro delle vite umane, non ci dovrebbe essere proprio il dubbio su cosa fare. Ora in Libia stanno morendo delle persone, e io rispetto a questo dico che chiunque faccia calcoli di convenienza è un cinico che non merita di governare il Paese”.
(ASCA)

Cinico a chi?!?

Il modello delle monarchie del Golfo…
Londra, 4 marzo – Un’eventuale caduta del regime del colonnello Muammar Gheddafi avrebbe effetti positivi sull’economia della Libia, trasformando il Paese in un hub finanziario sul modello delle monarchie del Golfo. Ne è convinto il leader della comunità ebraica di Londra, il libico Raphael Luzon, che in un’intervista con AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL, disegna gli scenari futuri per lo Stato nordafricano. “Qualsiasi cambiamento dalla dittatura alla democrazia è di per sè positivo”, afferma Luzon.
(Adnkronos/Aki)

“Sosterremo qualunque sforzo” dice il megafono della NATO in Italia
Ginevra, 4 marzo – C’è ‘un atteggiamento di aperta sfida del colonnello Gheddafi alla comunità internazionale, una provocazione nei confronti dei protagonisti della vita internazionale che hanno detto basta con i bombardamenti, basta con la repressione’. Lo ha detto il presidente Giorgio Napolitano a Ginevra dopo l’intervento al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
‘Gheddafi deve fermare ogni azione militare diretta contro il suo popolo’ perchè ‘la violenza contro i libici è inaccettabile’, ha affermato il Capo dello Stato, aggiungendo: ‘Sosterremo qualunque sforzo’ perchè la Libia rispetti i diritti umani’.
(ANSA)

“La nostra lealtà euro-atlantica”
Roma, 7 marzo – “E’ assai difficile pensare ad aerei militari italiani coinvolti sul terreno libico, ma evidentemente la nostra lealtà euro-atlantica ci fa dire che le nostre basi militari e il supporto logistico non potremmo negarli”. E’ quanto ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rispondendo, intervistato a Uno Mattina, ad una domanda relativa all’ipotesi dell’istituzione di una no fly zone sulla Libia, dicendosi d’accordo con quanto dichiarato dal ministro francese Alan Juppè.
(Adnkronos)

Dopo aver invitato l’alleato d’oltreoceano a darsi una calmata, oggi il ministro degli Interni Roberto Maroni fa partire una diffida nei confronti dei “guerrafondai”.
Una volta tanto, più che giustificata…

Milano, 7 marzo – Un intervento militare in Libia ”sarebbe un errore molto grave”. Questa l’opinione del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che, entrando nella sede della Lega Nord di via Bellerio per partecipare al consiglio federale del Carroccio, ha sottolineato: ”Prima di decidere di bombardare, prima che i guerrafondai prendano il sopravvento, occorre sviluppare una politica di aiuti”. Per Maroni, ciò significa mettere a punto ”il piano Marshall prima di andare a bombardare e rischiare di trasformare la Libia in un nuovo Afghanistan”.
(ASCA)

Perle ai porci
Roma, 8 marzo – ”E’ un dovere dell’Unione Europea farsi carico nel suo complesso del problema libico. Infatti, quella frontiera sul Mediterraneo non rappresenta solo il confine con l’Italia, ma con tutto il mondo occidentale. Bisogna aiutare i profughi e i disperati e fermare e punire il despota, quel personaggio che, pur di rimanere al potere, sta attuando un vero e proprio genocidio”. E’ quanto afferma il presidente dell’IdV, Antonio Di Pietro, a margine del convegno ‘L’autotrasporto in Italia tra assistenzialismo e prospettive di sviluppo’, organizzato da Folder, centrostudi per l’economia del partito
(ASCA)

Proviamo ad immaginare questa semplice ipotesi:

Immaginiamo, per assurdo, che una qualunque barca a remi della flotta militare libica – in concomitanza con le infuriate e distruttive rivolte delle diseredate popolazioni afro-americane delle città di Atlanta, Denver, Las Vegas, Los Angeles, San Francisco, New York, etc., negli anni ‘60, ’70, ’80 o ‘90, in ogni occasione, largamente represse nel sangue dalla Polizia, dalla Guardia Nazionale e dall’Esercito degli Stati Uniti – avesse deciso, magari soltanto per curiosare o proporsi di distribuire qualche pacco dono ai necessitanti, di tentare di avvicinarsi alle coste del Massachusetts, della Pensilvania, della Florida o della Luisiana, come avrebbe reagito il Governo di Washington? E come avrebbero reagito, dal canto loro, i Governi di Londra e di Parigi, se la medesima barca a remi di cui sopra – in simultaneità e tempismo con le violente e pericolose sommosse, negli anni ’80, delle popolazioni di colore di alcune “outskirts” (periferie) delle città britanniche o con quelle molto più rabbiose e radicali delle “banlieues” francesi degli anni ‘90 e 2000 – avesse deciso di avvicinarsi alle coste dei suddetti Paesi?
Tutti scandalizzati ed oltraggiati, invece, in Occidente, dalle aggressive dichiarazioni del Leader libico (…“se mi attaccate, ci sarà un bagno di sangue”!), quando – a seguito dei disordini e degli scontri fratricidi che si stanno svolgendo in Libia dal 17 Febbraio scorso – la portaerei statunitense Uss Enterprise, la portaelicotteri Uss Kearsarge (con a bordo all’incirca 800 marines), la Uss Ponce (strapiena di munizioni e di mezzi da sbarco) e la Uss Andrid (con nella stiva numerosi blindati), la portaelicotteri francese Mistral e le fregate britanniche HMS Westminster (imbarcante alcuni elicotteri MK 8 Lynx e diversi lancia-missili) e HMS York (idem come sopra), decidono arbitrariamente di posizionarsi di fronte alle coste libiche, eventualmente… per imporre manu militari un’eventuale “no fly-zone” (divieto di decollo e/o di sorvolo) su territorio di quello Stato e/o per portare soccorso “umanitario” o, al limite, manforte militare agli insorti anti-Gheddafi.
Qualcuno potrebbe ribattermi: cosa ci sarebbe di anormale, nel comportamento dei suddetti Paesi occidentali? E soprattutto degli Stati Uniti d’America che, come tutti sanno – da provetti, ultra-sperimentati e permanenti “liberatori” del mondo – non potrebbero fare altro, per ragioni “umanitarie” (sic!), che intromettersi negli affari interni della Libia che, come sappiamo, non solo non rispetta né ha mai rispettato i “Diritti dell’Uomo” ma, si permette addirittura il lusso di far sparare addosso ai suoi propri cittadini in rivolta!
Questo genere di argomenti – anche se il lettore, molto probabilmente, lo avrà senz’altro dimenticato o, verosimilmente, non lo avrà nemmeno mai saputo – est simplement du déjà vu…
Io personalmente, ad esempio (per ricordare solamente le ingerenze militari USA più flagranti e conosciute, negli ultimi 30 anni), li ho già visti utilizzare dai “buoni” di Washington, in innumerevoli e differenziate occasioni. In modo particolare: a Grenada, il 25 Ottobre 1983, contro l’allora Governo legittimo di quell’Isola caraibica; in Nicaragua, tra il 1984 ed il 1990 – via la CIA ed i Contras o Milicias Populares Anti-Sandinistas (MIPLAS) o Fuerza Democrática Nicaragüense (FDN) – contro l’allora regolarmente eletto Governo sandinista del Paese; a Panama, il 23 Dicembre 1989, contro il loro ex-agente segreto Manuel Noriega, il suo governo ed il suo esercito; in Iraq, tra il 2 Agosto 1990 (l’invasione irachena del Kuwait) e l’Operazione Tempesta nel deserto (17 Gennaio – 28 Febbraio 1991) contro l’allora regime di Saddam Hussein; in Somalia, nel 1992, con la Missione USA/NATO, “restore hope”; in Serbia, nel 1999 – via l’aviazione US-Air-Force e NATO (quella italiana compresa) ed i separatisti albanesi dell’UÇK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës) e dell’ “Esercito di liberazione del Kosovo” (KLA) – contro l’allora Governo del Presidente Milosevic/Milošević; in Afghanistan – a partire dall’11 Settembre 2001 (il “provvidenziale”?… e, fino ad oggi, mai chiarito attacco aereo al Pentagono ed alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York) – contro il Governo dei Talebani, alleato di al-Qaeda; situazione che, a sua volta, provocò, il 7 Ottobre 2001, l’invasione USA e NATO di quel Paese, che ancora perdura…; in Iraq, di nuovo, a partire dal 20 Marzo 2003, con l’invasione e l’occupazione militare USA/Britannica & C. di quel Paese, che è tuttora sempre in corso.
Insomma, come in un ripetitivo, monotono e soporifero copione teatrale – ed anche se nessuno sembra stranamente accorgersene o notarlo – i Paesi occidentali, come al solito, sono sempre i “buoni”, ed i “cattivi”, sempre e comunque gli “altri”!

Da Crisi libica o attacco all’Italia?, di Alberto B. Mariantoni.

In 42 per l’opzione diplomatica
Roma, 9 marzo – ”Quanto accade in questi giorni in Libia appare connotato da non facile decifrabilità. Nonostante la confusione, il Governo italiano ha mostrato, finora da solo nel quadro europeo, concretezza nell’intervento umanitario, sia sul territorio nazionale, sia al confine con la Tunisia sia, ancora a Bengasi: con questo si è preso carico, nei fatti e non a parole, della dignità di tanti esseri umani. L’oggettiva complessità della situazione è acuita dalle notizie – che fanno alternare conferme e smentite – di trattative in corso fra le parti in conflitto. Alla vigilia di importanti appuntamenti europei e internazionali, siamo convinti che tutto ciò che realisticamente rafforza l’opzione diplomatica è da sostenere con decisione, anche nell’interesse dell’Italia. Sostenere con decisione significa battere il più possibile la strada della soluzione ragionevole, invece che quella militare”.
E’ quanto sottoscrivono 42 parlamentari del PdL. Di seguito i loro nomi: On. Alfredo Mantovano, On. Edmondo Cirielli, On. Barbara Saltamartini, Sen. Francesco Paolo Bevilacqua, On. Francesco Biava, On. Mario Landolfi, On. Andrea Augello, Sen. Bruno Alicata, Sen. Laura Allegrini, Sen. Franco Asciutti, Sen. Paolo Barelli, Sen. Antonio Battaglia, Sen. Domenico Benedetti Valentini, On. Isabella Bertolini, Sen. Laura Bianconi, On. Maurizio Bianconi, On. Marco Botta, Sen. Battista Caligiuri, Sen. Valerio Carrara, On. Carla Castellani, Sen. Maurizio Castro, Sen. Gennaro Coronella, Sen. Cristiano De Eccher, Sen. Mariano Delogu, On. Marcello Di Caterina, On. Giovanni Dima, Sen. Raffaele Fantetti, sen. Vincenzo Fasano, On. Paola Frassinetti, Sen. Giuseppe Menardi, On. Bruno Murgia, Sen. Pasquale Nessa, On. Alessandro Pagano, Sen. Antonio Paravia, On. Vincenzo Piso, Sen. Filippo Saltamartini, On. Souad Sbai, Sen. Cosimo Sibilia, On. Gabriele Toccafondi, Sen. Oreste Tofani, On. Raffaello Vignali, Sen. Tomaso Zanoletti.
(ASCA)

Grazie a Dio, non tutti hanno smarrito l’intelligenza.

Se lo dice lui…
Washington, 12 marzo – Il ministro della Difesa USA, Robert Gates, è il più strenuo oppositore dell’adozione di una ‘no-fly zone’ sulla Libia. Per il capo del Pentagono è qualcosa che gli USA e i loro alleati possono fare se vogliono ma non è certo che si tratti di una mossa “saggia” .
(AGI)

Vergognose esitazioni
Tripoli, 16 marzo – ”Credo che sia una vergogna la posizione da codardi assunta dal mondo occidentale, soprattutto gli Stati Uniti, che si propongono come difensori della democrazia e dei diritti umani”. E’ il duro commento di Ali Tarhouni, esponente degli insorti libici e membro della commissione Economia e petrolio del Consiglio provinciale costituito nell’est della Libia.
Affermando che il popolo libico si ricorderà di chi si è dimostrato amico, in un’intervista a ‘Voice of America’ Tarhouni ha precisato: ”Non chiediamo molto, solo la creazione di una no-fly zone”. L’atteggiamento del presidente USA Barack Obama, a suo giudizio, è in ”netto contrasto” con quanto affermò nel 2009, in uno storico discorso ai musulmani pronunciato al Cairo. ”Obama fece un appello per la democrazia e la libertà e ora il minimo che possa fare è appoggiare la no-fly zone – ha detto – Il sangue del popolo libico non è a poco prezzo, a noi costa caro versarlo”.
(Adnkronos/Aki)

Aspettando un nuovo Faraone

Nel Marzo 2010 Hosni Mubarak, ad 82 anni suonati, fu operato per “calcoli alla cistifellea“ nella clinica universitaria di Heidelberg.
Dopo una degenza di tre settimane in Germania, ad Aprile venne sottoposto ad analisi e cicli di chemioterapia presso il Sinai Mount di New York.
A Luglio tornò ad Heidelberg, dopo un incontro con Abu Mazen e Netanyahu, per controlli medici dopo essere passato per l’ospedale di Percy, a margine di un vertice con Sarkozy all’Eliseo.
In quei giorni, il Washington Times scriveva che l’Amministrazione Obama si stava preparando ad affrontare il dopo-Mubarak mettendo in allerta il Consiglio Nazionale per la Sicurezza, il Dipartimento di Stato ed il Comando Militare Centrale.
Il quotidiano americano fece inoltre il nome di El Baradei come possibile successore del “rais“ alla guida dell’Egitto. Non si sa se per bruciarne la candidatura o per aprire alla “democrazia“ dei rifugiati di nazionalità egiziana tenuti al caldo nelle università USA.
Per quanto il rais abbia cercato di nascondere agli egiziani le sue attuali condizioni di salute, ricorrendo a foto ufficiali ritoccate ed a riprese televisive a campo lungo, il tumore, ormai esteso a fegato e pancreas, prevedibilmente non gli lascia che una manciata di mesi di vita.
Che lo si voglia o no, la transizione alla guida del Paese delle Piramidi sarà molto, molto più breve di quanto si auspichi negli Stati Uniti ed in Europa.
La successione familiare che Mubarak avrebbe voluto imporre agli egiziani con la copertura di Washington e Bruxelles, con il secondogenito Gamal, è andata nel frattempo a carte quarantotto.
Il “pescecane“, come lo chiamano gli egiziani per la insaziabile ingordigia negli “affari“, insieme al fratello maggiore Alaa è da un bel po’ di tempo a Londra, anche se la giornalista britannica Christiane Amanpour lo da, per certo, accanto al padre, nel Palazzo Presidenziale. Tanto per confondere le idee all’opinione pubblica europea.
Sarà dunque Omar Suleyman, 75 anni, il nuovo Faraone? Continua a leggere

Mubarak il sarcofago ambulante e “Israele”

Dal Canale d’Otranto a Gibilterra lungo le coste dell’intero Mediterraneo, dallo stretto di Bab el-Mendeb al Golfo Persico, ad est, e più in là, dall’Oceano Indiano al Pacifico, il vento impetuoso della storia sta arricciando a uragano l’orizzonte.
Da dove vogliamo cominciare?
Dal narcocriminale dell’Albania Sali Berisha, che appare in televisione con la bandiera USA alle spalle oltre che a quella della NATO e della UE, che non lo annovera ancora (!) tra i suoi membri, quando la sua “guardia repubblicana” spara per uccidere sulla folla che manifesta, o dal “re” torturatore ed assassino, alleato di Obama e Barroso, che occupa con la forza militare la Terra del Fronte Polisario, Mohammad VI° del Marocco?
Questa volta partiremo dal Canale di Suez, perché tra il Sinai, ad est, ed il porto di Alessandria, ad ovest, è lì che si gioca la partita più importante e decisiva dei primi cinquanta anni del XXI° secolo per gli equilibri geopolitici, economici e militari dell’intera area del Vicino Oriente.
Lo sconquasso del sistema di condizionamento euro-atlantico partito dalla Tunisia, che ha coinvolto, con diversa intensità, le regioni del Maghreb e del Mashreq fino allo Yemen, e sta investendo con una forza devastante in questi giorni l’Egitto, va analizzato con grande attenzione.
Anche se l’effetto che potrà produrre è lontano dal poter essere, oggi, adeguatamente inquadrato, dopo il terremoto manifestatosi con la fuga del despota Ben Alì in Arabia Saudita, quello che sta uscendo allo scoperto è il logoramento ormai traumatico, terminale, del potere di un altro “amicissimo” a tutto campo di USA ed Europa: quello del “rais” Mubarak che, dal 24 Ottobre 1981, ha imposto al popolo egiziano, oltre che un brutale e sanguinoso pugno di ferro, anche la fame ed una corruzione dilagante dopo aver sbriciolato il sistema educativo e sanitario messo in piedi da Gamal Nasser.
Regalini che il “rais” si sta apprestando a lasciare al suo Paese a 30 anni dall’insediamento alla presidenza, dopo la convalescenza causatagli da tre proiettili dell’AK-47 di Kalid al-Islambuli che lo attinsero mentre affiancava Anwar el Sadat in una tribuna allestita durante una sfilata militare al Cairo. Mettiamo insieme un po’ di dati.
I soli detenuti, politici, sulle sponde del Nilo sono al momento oltre 42.000, di cui 18.000 in “detenzione amministrativa” (cioé, senza che sia stato formulato nei loro confronti alcun capo d’imputazione).
Il 45% della ricchezza nazionale è concentrato nelle mani delle oligarchie copte che dissanguano il Paese – il magnate Naguib Sawiris delle telecomunicazioni è la testa del serpente – , i tre/quinti degli egiziani sopravvive con un reddito di 2 dollari al giorno, i senza lavoro compresi nella fascia d’eta dai 18 ai 45 anni sono quantificabili in oltre 21 milioni.
Il consumo pro-capite di pane è il più alto in assoluto a livello planetario.
In Egitto si usano semolati di granaglie per l’approntamento del 75% dei pasti alimentari. Il consumo di  pollame, carne ovina, bovina o proveniente dalla macellazione di cammelli, è considerato un bene usufruibile nelle sole occasioni delle festività dal 60% della popolazione.
File interminabili, dal primo mattino al tramonto, per acquistare pane sono ormai da anni “normalità” in Egitto. La prime sollevazioni popolari per la farina macinata arrivarono nel 1977. Sadat la definì con ributtante cinismo  la “rivolta dei ladri”.
Dal 1975 ad oggi la popolazione è aumentata da 45 a 80 milioni. I delitti commessi con armi bianche o da sparo dai fornai egiziani contro “rapinatori di pane”  sono in costante aumento.
L’aumento vertiginoso del prezzo della farina, passato da 3 a 15 piastre nel corso del 2010, è stata la scintilla che ha fatto esplodere l’Egitto. Il pane cotto è lievitato nel costo d’acquisto da 5 a 20 piastre.
Dal 1977 ad oggi, si contano a migliaia i morti per “fame” liquidati dalle forze di repressione di Mubarak ed a decine e decine di migliaia gli egiziani passati per un lungo soggiorno nelle galere del “rais”, per spezzare le rivolte generate dalla miseria e dalla totale mancanza di qualsiasi libertà politica. Continua a leggere

La diplomazia sporca di Frattini ed i bambini della Palestina

Sappiamo per certo che nella sesta tappa della trasferta africana il ministro degli Esteri Frattini ha promesso al Cairo al suo omologo Abul Gheit un ragguardevole ma non ancora precisato contributo dell’Italia per allungare l’estensione del muro d’acciaio che Mubarak sta facendo costruire sul confine della Striscia di Gaza, con l’assistenza finanziaria del Dipartimento di Stato e di ingegneri USA.
Un progetto che prevede la messa in opera di una condotta d’acqua parallela con prelievo dal mare prospiciente la costa mediterranea per allagare, con conseguenti frane, eventuali gallerie che dovessero essere scavate a profondità superiori allo sbarramento in putrelle di acciaio (spessorato), destinate ad essere inserite nel terreno fino a una profondità di 30 metri. Con l’espressione da parte italiana di un particolare ringraziamento per “l’azione intrapresa dal governo egiziano contro l’organizzazione terrorista di Hamas“, accusata per l’occasione da Frattini di usare gli attraversamenti sotterranei per contrabbandare armi leggere e pesanti dal Sinai con la complicità di Sudan, Eritrea ed Iran.
Un contrabbando – avrebbe sottolineato il titolare della Farnesina – suscettibile di incrinare i rapporti del Cairo con Gerusalemme sulla frontiera tra i due Stati ed attentare alla sicurezza di Israele.
Frattini avrebbe parlato con Abul Gheit anche della minaccia del governo Netanyahu, fatta trapelare dai quotidiani israeliani, di occupare militarmente un fascia di 1 km di territorio egiziano in corrispondenza del valico di Rafah per “stroncare l’approvvigionamento illegale di armi offensive, in particolare di razzi con una gittata superiore ai 30 km“.
Nell’agenda di Frattini anche l’invito al ministro degli Esteri Abul Gheit ad incrementare le pressioni su Hamas per la liberazione del soldato Shalit, uno scambio di opinioni sulla possibilità di rafforzare la presenza navale del Cairo in prossimità del Golfo di Aqaba e nello Stretto di Bab el-Mendeb, la possibile partecipazione di un contingente militare egiziano all’AMISOM (ormai asserragliata a Villa Italia) a Mogadiscio.
Altro argomento dei colloqui è stata la stabilità interna del regime egiziano minacciato, si è sostenuto concordemente, dall’insediamento nel Paese del Nilo di nuclei terroristi di Al Qaeda che potrebbero agire in collaborazione con i Fratelli Musulmani per avversare il passaggio della consegna dei poteri tra l’attuale presidente Mubarak ed il figlio Gamal, un ricchissimo uomo d’affari con le mani in pasta in banche, appalti e concessioni di Stato, al momento di un grave impedimento o della morte della “vacca che ride“.
Un azzeccatissimo nomignolo affibbiato dagli egiziani al Rais, che la dice lunga sulla popolarità del padre-padrone dell’ Egitto con le mani lorde di sangue. Continua a leggere

Abu Omar come l’Achille Lauro?

achillelauro

Il “caso Abu Omar”, ossia la vicenda del rapimento, a Milano ed in pieno giorno, del predicatore integralista islamico da parte di un commando della CIA, presenta caratteristiche di simmetria e specularità con un caso ancora più clamoroso, conseguenze incluse, che appassionò il mondo ventiquattro anni fa, il sequestro della nave Achille Lauro.
Ricordiamolo per sommi capi.
Il 7 ottobre del 1985, un gruppo di palestinesi armati nascosti a bordo sequestra l’ ammiraglia della flotta turistica italiana, appena salpata da Alessandria d’Egitto, con tutto l’equipaggio e 450 passeggeri a bordo, di varie nazionalità. A quale scopo, ci si chiede subito…? Allo scopo, rispondono i sequestratori, che Israele liberi 52 detenuti palestinesi: viceversa, l’Achille Lauro salterà in aria. Figuriamoci.
Un curioso sistema, da parte di un commando terrorista ritenuto “vicino” al Fronte di Liberazione Popolare, di ottenere lo scopo: attaccando militarmente cioè, nel piroscafo (che ne fa parte integrale ai fini del diritto di navigazione) il territorio di un paese naturalmente amico della causa palestinese; e per di più allora guidato da un governo “Craxi-Andreotti” che ancor oggi il sito “liberali per Israele” designa ingiustamente come “amico dei terroristi”. Che tale non era affatto, naturalmente: ma bensì desideroso di contribuire alla pace in Medio Oriente, risolvendolo alla stregua delle risoluzioni ONU che prevedono la costituzione di uno Stato Palestinese sulle terre occupate da Israele durante l’attacco bellico del giugno 1967, Cisgiordania in primis. E in questa chiave aveva accolto in Italia, con protocollo da Capo di Stato incluso discorso in Parlamento, Yasser Arafat nel 1983.
Agli occhi di qualcuno, una colpa imperdonabile…
Bene, dopo due giorni di sequestro, e di frenetiche trattative triangolari fra Italia, Egitto, OLP di Arafat e Abu Abbas capo del FLP residente in Egitto, al quale gruppo risulta aderente l’autolesionista commando di sequestratori, gli stessi cedono: otterranno un salvacondotto per giungere in Italia ove saranno giudicati dalla giustizia italiana, perché i ponti, le cabine, la tolda di una nave italiana sono territorio nazionale a tutti gli effetti. Garanti della mediazione con il governo italiano sono il Presidente egiziano Hosni Mubarak ed il capo dell’OLP Yasser Arafat, che ne rispondono alle opinioni arabe se qualcuno tradisse il compromesso stesso.
Il 9 ottobre il commando abbandona la nave, non senza aver firmato la provocazione con un delitto gratuito ed odioso, solo apparentemente “inutile”: l’assassinio a sangue freddo, e senza giustificazione di alcun tipo, di un solo passeggero. Leon Klinghoffer, un crocerista paralitico di appartenenza ebraica, con passaporto USA.
La vicenda, fin qui solo “drammatica”, allora assume di colpo un profilo “tragico” ed emozional-mediatico che ribalta completamente quello “solo” giuridico: ai fini del quale invece, non cambia nulla; solo un altro reato, il più grave peraltro (l’omicidio in forma abbietta), si aggiunge alla lista di quelli addebitabili al commando in sede penale. E coinvolge, insieme dalla stessa parte, Stati Uniti e Israele contro l’Italia: perché il governo, ad onta dello scandalo, intende mantener dritta la barra del compromesso stipulato con garanti così autorevoli che rischierebbero grosso in caso opposto. “Bruciare” politicamente Mubarak ed Arafat agli occhi arabi – come responsabili di un accordo tradito dall’ Italia, che dovrebbe, negli intenti israelo-USA, consegnare loro i sequestratori – lo Stato italiano questo non può farlo.
A questo punto entrano in scena i “diversori” per linee interne: Continua a leggere