
“Senza addentrarci oltre in queste e altre coincidenze teoretiche, poco appassionanti nel merito ma istruttive nel metodo, torniamo ai più tangibili fatti dell’epidemia globale da Covid-19 e delle sue politiche di contenimento, che per molti hanno rappresentato il punto sinora apicale dell’identità Chiesa-mondo. Nella storia della cristianità le sospensioni dei servizi religiosi cum populo sono state rarissime e circoscritte. Tra tante guerre ed epidemie, l’unico precedente certo in Italia è quello della peste del 1576-77 a Milano, che in pochi mesi fece 18.000 morti in una città di 130.000 (come se oggi morissero 8,2 milioni di italiani) e durante la quale il card. Borromeo organizzava processioni e imponeva ai prelati di portare i conforti della fede nelle case dei milanesi in quarantena. Si comprende lo sgomento di chi, come il non certo tradizionalista Andrea Riccardi, ha visto riproporre le stesse misure ma in scala più severa, nazionale e internazionale, per un’epidemia i cui tassi di mortalità si approssimano allo zero per la maggior parte della popolazione.
La prontezza con cui la Chiesa ha ritirato i suoi presidi è pari a quella con cui ha fatto suo il discorso pandemico iniziato dal mondo e lo ha trasmesso alle chiese lasciando che occupasse ogni spazio, fisico e spirituale. Nei templi impregnati di cloro, con l’acqua «ad effugandam omnem potestatem inimici» sostituita dagli impiastri alcoolici del supermercato e i pasdaran dell’igiene a castigare la prossimità del prossimo, queste orecchie hanno udito dal pulpito che «oggi Elia e Gesù ci direbbero di tirare le mascherine fin sul naso». Hanno ascoltato mese dopo mese invocare ascolto al Signore per medici, paramedici, infermieri, farmacisti, ricercatori, OSS ecc. ma anche per «la scienza» e «affinché ci siano vaccini per tutti». Questi occhi hanno visto i fedeli fregarsi le mani coi disinfettanti portati da casa pochi istanti prima di prendere il Corpo di NSGC dalle mani già disinfettate del prete, nemmeno fosse la crosta di un lebbroso. Più che i corpi, il virus infettava le omelie e non mancava mai di ispirare alla fantasia del predicatore metafore, appelli e nuove categorie dottrinali. Il lockdown diventava un periodo di riflessione e purificazione (?), la pandemia un’occasione «per interrogarsi sull’essere comunità», il distanziamento una «riscoperta del prossimo». La via medicale alla secolarizzazione procedeva per facili contaminazioni: tra quarantena e quaresima, sacrifici sanitari e ascesi, isolamento e preghiera, guarigione e conversione, isolamento e carità fraterna, salute del corpo e dell’anima.
L’apice dell’apice si è raggiunto con l’arrivo dei nuovi vaccini. Sullo stesso tema la Chiesa si era invero già espressa qualche anno prima rispondendo a un’altra chiamata del mondo. Allora, era il 2017, si trattava di estendere per decreto gli obblighi di profilassi per l’infanzia sulla spinta di una presunta epidemia di morbillo, il cui vaccino polivalente è stato sviluppato utilizzando anche tessuti di feti umani abortiti volontariamente. C’era però un problema: in un parere del 2005 la Pontificia accademia per la vita aveva censurato questi prodotti raccomandando di «usare i vaccini alternativi e di invocare l’obiezione di coscienza riguardo a quelli che hanno problemi morali». Soluzione: poco più di un mese dopo l’entrata in vigore del decreto italiano la stessa Accademia pubblicò un successivo parere che ribaltava il precedente, questa volta negando «che vi sia una cooperazione moralmente rilevante tra coloro che oggi utilizzano questi vaccini e la pratica dell’aborto volontario». Alle stesse conclusioni sarebbe poi giunta anche la Congregazione per la dottrina della fede con una tempestiva Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19 del 21 dicembre 2020.
Questi viraggi dottrinali pro re nata non erano che il preludio di una poderosa discesa in campo tra le fila del mondo per abbracciarne la nuova battaglia e ricondurre i recalcitranti al suo ovile, affidando agli altari la missione improbabile di spingere una campagna farmacologica. Qui possiamo solo offrire una scarna antologia degli eventi, partendo dall’alto. Nell’ultimo messaggio di Natale il Pontefice apriva le danze celebrando accanto alla «luce del Cristo che viene al mondo» anche «diverse luci di speranza, come le scoperte dei vaccini». Due settimane dopo era già passato all’imperativo: «C’è un negazionismo suicida che io non saprei spiegare, ma oggi si deve prendere il vaccino». A Pasqua esortava i capi di Stato «nello spirito di un internazionalismo dei vaccini» e il mese dopo ribadiva il concetto in un videomessaggio indirizzato al pubblico del concerto Global Citizen (sic) VAX Live, allestito coi quattrini del gotha capitalistisco planetario «per celebrare gli incontri e la libertà che il vaccino ci sta portando». Negli stessi giorni Anthony Fauci e i CEO di Pfizer e Moderna partecipavano a una conferenza sulla salute (ovviamente) globale organizzata dalla Santa Sede. In agosto lanciava un altro spot ai presuli sudamericani e al mondo: «Vaccinarsi è un atto d’amore».
Il coinvolgimento delle gerarchie ecclesiastiche non è stato né casuale né spontaneo. In marzo il nuovo dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale diffondeva un “Kit per rappresentanti della Chiesa” nelle cui pagine si trovano le risposte da dare ai fedeli dubbiosi, «risorse per omelie e conversazioni» e contenuti preconfezionati da diffondere sui social per trasformare ogni sacerdote in un apostolo della missione. I vescovi rispondevano con lo zelo di chi deve dare l’esempio. Quello di Pinerolo farà il testimonial in una campagna pubblicitaria della ASL per convincere gli indecisi, quello di Treviso promuove il siero nei TG, quello di Nuoro si fa i selfie con l’hashtag #iomivaccino, quelli campani promettono al presidente della loro regione «tutta la collaborazione possibile per velocizzare e rafforzare la campagna di immunizzazione attraverso la sensibilizzazione dei fedeli», quello di Macerata denuncia dal pulpito le fake news che si leggono in rete, quello di Rovigo aggiunge nuove definizioni al catechismo («chi si oppone al vaccino con motivazioni etiche e religiose, rifiuta la dottrina della Chiesa cattolica»), quello di Tempio Pausania esclude religiosi e laici non vaccinati dai servizi comunitari. In alcune diocesi le iniezioni si fanno direttamente nelle chiese consacrate, una scelta oggettivamente senza necessità e senza senso, se non appunto quello di rinsaldare il cerchio tra fiducia nel mondo e fede nell’oltremondo, di sacramentalizzare l’atto secolarizzando il tempio.
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Qui possiamo e vogliamo tralasciare i giudizi sulla direzione di questi interventi. Non ci interessa quanto siano desiderabili la riduzione del biossido di carbonio, l’internazionalismo, le vaccinazioni contro la polmonite, le mascherine chirurgiche, le migrazioni dai Paesi poveri. Da abitatori del mondo, ragioniamo di queste e altre cose nel mondo. Da cristiani, cerchiamo nelle chiese l’Eterno. Non ci disturbano la militanza e l’applicazione dei messaggi eterni alla comprensione e alla correzione dei tempi, al contrario! Ci rattrista la loro assenza, il loro liquefarsi nella ripetizione dei dettati del secolo e dei pruriti dei suoi padroni. Non bisogna stupirsi se le chiese si svuotano. Perché andare a messa se gli stessi messaggi li si può leggere su un giornale a caso o ascoltare in un monologo a caso di un politico a caso? Chi cerca il mondo non sa che farsene di un’imitazione sghemba appesantita da riferimenti sacri tutt’al più retorici, ma fuori contesto. Chi invece cerca il Cielo è un po’ stufo di dover setacciare una particola di eternità rovistando tra educazione civica, veline editoriali, consigli per la profilassi, ciarle filosofiche, logorrea pastorale, fantasie ermeneutiche, patetismo mediatico e contaminazioni spacciate per «dialogo».”
Da La messa in latino, di Stefano Mantegazza.