Forze ed operazioni militari USA in Africa – una rassegna

Di Benjamin Cote in esclusiva per SouthFront

L’importanza delle Forze Militari in Africa
Il 4 ottobre 2017, forze nigerine e Berretti Verdi americani sono stati attaccati da militanti islamici durante una missione di raccolta di intelligence lungo il confine con il Mali. Cinquanta combattenti di una affiliata africana dello Stato Islamico hanno attaccato con armi di piccolo calibro, armi montate su veicoli, granate lanciate con razzi e mortai. Dopo circa un’ora nello scontro a fuoco, le forze americane hanno fatto richiesta di assistenza. I jet Mirage francesi hanno fornito uno stretto supporto aereo e i militanti si sono disimpegnati. Gli elicotteri sono arrivati per riportare indietro le vittime per l’assistenza medica.
Quando la battaglia finì quattro Berretti Verdi sono risultati uccisi nei combattimenti e altri due furono feriti. I sergenti maggiori Bryan Black, Jeremiah Johnson, Dustin Wright e il più pubblicizzato di tutte le vittime il sergente La David Johnson sono stati uccisi in missione. Il presidente Trump si è impegnato in uno scontro politicizzato con la vedova di Johnson e la deputata della Florida Federica Wilson in merito alle parole da lui usate in una telefonata consolante.
La battaglia politica sui commenti del Presidente Trump ha avuto l’effetto non intenzionale di spostare l’attenzione della nazione sulle attività americane in Africa. In precedenza il pubblico americano, e buona parte dell’establishment politico, mostrava scarso interesse o conoscenza delle missioni condotte dai dipartimenti di Stato e della Difesa all’interno delle nazioni africane in via di sviluppo. Il 5 maggio, un Navy SEAL era stato ucciso vicino a Mogadiscio mentre assisteva le forze somale nel combattere al-Shabaab. Questa morte è arrivata un mese dopo che l’amministrazione Trump aveva revocato le restrizioni sulle operazioni di antiterrorismo nelle regioni della Somalia.
Certamente l’evento non ha registrato la stessa attenzione del mainstream come la polemica circa il sergente Johnson; tuttavia, tutto rivela come l’Africa stia lentamente diventando un’area di interesse nazionale cruciale per gli Stati Uniti. Le questioni concernenti le nazioni africane riguardanti le minacce terroristiche sia esterne sia interne, così come i loro problemi economici, servono a garantire che i responsabili politici degli Stati Uniti si concentrino sul continente. Iniziative globali come la Combined Joint Task Force for Operation Inherent Resolve coinvolgono diverse nazioni africane fondamentali per combattere l’ascesa dell’estremismo islamico radicale. L’ascesa di gruppi estremisti coesi insieme all’espansione degli investimenti economici nell’Africa post-coloniale ha comportato un aumento dei dispiegamenti militari stranieri e americani nella regione. Continua a leggere

Il “sequestro” della Montecristo

Somalia, emergenza pirati: c’è una gran puzza di zolfo

Quando il 10 Ottobre alle ore 19.20 è uscito il comunicato dell’Adnkronos che dava notizia del sequestro della portarinfuse Montecristo (56.000 tonnellate di stazza lorda), della società di navigazione livornese D’Alesio Group, è apparso evidente che il contenuto fosse già stato precedentemente trattato da esperti in veline dell’Alleanza Atlantica.
L’allarme di “emergenza pirati“ lanciato alle ore 6.45 dal comandante Diego Scussat, che ha fornito le coordinate geografiche della nave al momento dell’arrembaggio, è stato ricevuto dai satelliti militari per essere poi ritrasmesso a terra in tempo reale e da qui irradiato a tutte le piattaforme della NATO di Ocean Shield e dell’altrettanto dispendiosissimo doppione europeo Eunavfor Atalanta, che controllano lo spazio marittimo e i cieli sulla direttrice ovest-est, dal Golfo di Aden a quello dell’Oman, e nord-sud, dallo stretto di Bab el Mandeb fino alle isole Seychelles, compreso il Madagascar e “proiezione di sorveglianza“ fino al Capo di Buona Speranza (!).
Inutile dire che la Repubblica delle Banane partecipa ad ambedue le “missioni“ con costosi assets satellitari, navali, aerei e ad ala rotante.
Il personale della Marina Militare e dell’Aviazione e Corpi Speciali, di stanza sia a terra che su piattaforme mobili, supera (non ufficialmente) le 750 unità dal 13 Dicembre 2008.
L’Ammiraglio Gualtiero Marchesi comanda la missione Ocean Shield da bordo del cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria (equipaggio 240 uomini) e il Maggior Generale Buster Howes lo fa per quella Eunavfor Atalanta dalla base di Gibuti, dove manteniamo ufficiali di collegamento, sede avanzata del Quartier Generale di Northwood in Inghilterra.
In più, l’Italietta dal Gennaio 2010 è schierata in Uganda con EUTM Somalia a Kampala e a Bihangha.
Ufficialmente, i “berretti verdi“ nazionali operanti a Kampala sono 19 mentre 17 sono gli “istruttori“ ied-antimine.
In Kenia, a Nairobi, il Ministro della Difesa La Russa mantiene “uffici di collegamento“ affiancati da personale della Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo dipendente dal Ministero degli Esteri.
A cosa possa servire questo ingente impegno in Uganda e Kenya è presto detto. Il 16 Ottobre l’esercito di Nairobi ha lanciato un offensiva in Somalia contro gli “islamisti“ Shebaab sospettati (siamo alle solite) di rapimento di cittadini stranieri in territorio keniano. L’ex serpente dell’Asia Ban Ki Moon non ha mosso foglia per dare fiato alle trombe. Il silenzio su una nuova aggressione dall’esterno al territorio della Somalia è stato totale.
“Siamo penetrati in Somalia per perseguire i responsabili di sequestri e di attacchi“, ha dichiarato il portavoce del governo di Nairobi K. Matua.
Dal mese di Agosto risultano “disperse“ due collaboranti di una Ong non meglio precisata.
Abbiamo rinvenuto due foto senza nome, cognome e nazionalità, di razza caucasica. Nient’altro.
Puzza lontano un miglio di “narcos“ messicani pagati dall’Iran per assassinare l’ambasciatore saudita a Washington. Questa volta tocca al Kenia tentare di “liberare“, a contratto, la Somalia dai residenti per conto di USA, NATO e Unione Europea, dopo la disastrosa, recente, sconfitta riportata dall’Etiopia nell’ex colonia italiana.
L’integrazione tra forze USA-NATO e UE anche nelle finalità militari e neocoloniali nel quadrante africano centro-settentrionale è ormai, da anni, un meccanismo costosissimo e ampiamente rodato. L’aggressione alla Jamahirya rientra in un piano strategico militare ed economico-energetico-minerario di ben più ampia portata, ai danni dell’intero continente africano. Continua a leggere