Il bilancio occulto della “difesa” americana

pentagono

A fine giugno, Mother Jones ha pubblicato un’approfondita analisi sul bilancio militare degli Stati Uniti d’America, partendo dalla richiesta del presidente Barack Obama al Congresso di stanziare 534 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa. Ma l’ammontare reale di ciò che gli USA spendono per la “difesa” è molto maggiore. Per rendere il tutto più facilmente digeribile, ve ne proponiamo una sintesi divisa in quattro parti.
L’Office of Management and Budget ha elaborato un calcolo totale che tiene in considerazione le diverse parti del governo, e comprende i soldi assegnati al Pentagono, le attività relative alle armi nucleari svolte presso il Dipartimento dell’Energia ed alcuni esborsi nel campo della sicurezza effettuati dal Dipartimento di Stato (il ministero degli esteri statunitense) e dall’FBI. Nel bilancio 2010 (che in realtà ha il suo momento iniziale nell’ottobre 2009) la cifra ammonta a 707 miliardi, più della metà della spesa governativa cosiddetta “discrezionale” per l’anno prossimo. La spesa discrezionale è quella per cui gli stanziamenti sono decisi annualmente dal Congresso, a differenza di programmi quali ad esempio quello sanitario denominato Medicare il cui finanziamento è obbligatorio e ricorrente.
Ma la cifra reale è ancora più alta perché, fra le varie cose, l’ufficio governativo del bilancio non tiene conto della spesa aggiuntiva per le guerre in Iraq ed Afghanistan. Riepilogando tutte le diverse fonti di spesa in campo militare per l’anno 2010 che emergono dai documenti contabili, si ha:

  • bilancio del Pentagono: 534 miliardi
  • stanziamenti extra per il personale militare: 4,1 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2010): 130 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2009, ancora da legiferare): 82,2 miliardi
  • armi nucleari ed altra spesa “atomica” (Dip. dell’Energia): 16,4 miliardi
  • sostegno militare ed economico ad Iraq, Afghanistan e Pakistan (Dip. di Stato): 4,9 miliardi
  • sicurezza, controterrorismo ed aiuto militare a Paesi stranieri, incluso il Medio Oriente ed Israele (Dipartimento di Stato): 8,4 miliardi
  • Guardia costiera (Dipartimento per la Sicurezza Interna): 583 milioni

Spesa totale: 780,4 miliardi di dollari

In questo calcolo sono incluse solo le risorse direttamente collegate ad attività militari, non viene quindi preso in considerazione il Dipartimento dei Veterani la cui spesa di 55,9 miliardi porterebbe il totale a 836,3; e la parte restante del Dipartimento per la Sicurezza Interna (altri 54,5 miliardi), arrivando così alla colossale cifra di 890,8 miliardi di dollari, rispetto ai 534 ufficialmente stanziati.
Si tenga poi presente che i bilanci degli apparati di intelligence (CIA, NSA…) sono segreti e che perciò non possono essere aggiunti a questa contabilità.

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Nel 2008, il Pentagono ha calcolato che gli impegni correnti per i programmi di armamento costeranno al governo, ad ultimazione avvenuta, 1.600 miliardi di dollari. Una parte consistente – 296 miliardi – è rappresentata da costi aggiuntivi. Questi 296 miliardi non sono il risultato di grandi programmi che, in via eccezionale, hanno sfondato il tetto di spesa e sbilanciato i conti, ma rappresentano la norma. Tali incrementi di costo sono spesso significativi: considerando tutti i programmi, la media dell’aumento rispetto alle stime iniziali è pari al 26%. Rappresentano la normalità anche i ritardi nel loro completamento, che riguardano ben il 72% dei programmi.
Incrementi di costo e ritardi hanno subito un peggioramento durante le due amministrazioni Bush terminate nel 2008, ma se si volge lo sguardo ancora più all’indietro si scopre che i costi aggiuntivi sono aumentati ad un ritmo serrato per tutti gli ultimi quindici anni, ad una media del 1,86% annuo per essere precisi. Se la spesa del Pentagono continuerà a crescere al tasso attuale, la media degli incrementi di costo raggiungerà il 46% in dieci anni.
Facendo qualche confronto, lo spreco militare USA è quattro volte tanto l’intera spesa per la difesa della Cina (che oggi rappresenta il secondo bilancio militare nazionale al mondo con 70 miliardi di dollari) ed è anche superiore al bilancio militare di tutti i Paesi dell’Unione Europea messi insieme (pari a 281 miliardi).

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Passiamo ora in rassegna i principali programmi militari statunitensi:

cacciabombardiere F-22 Raptor: progettato per sfidare i velivoli di concezione sovietica, un F-22 costa 351 milioni di dollari, più del doppio delle stime originali.
Fu messo in produzione ancora prima di essere pienamente testato e – non sorprendentemente – è incorso in ogni genere di intoppi; non ha partecipato a nessuna azione di combattimento in Afghanistan né in Iraq. Il titolare del Pentagono Robert Gates ha deciso di acquistarne altri quattro, per un totale di 187 rispetto ai 243 che inizialmente l’USAF voleva.
Addirittura, all’inizio di quest’anno, 194 deputati e 44 senatori statunitensi hanno scritto ad Obama per sollecitarlo ad acquistare più F-22, ed a metà giugno i parlamentari del comitato militare della Camera hanno previsto uno stanziamento per altri 12 caccia. Sollecitazioni che però non sono servite a rianimare la morente linea di produzione del velivolo, almeno per l’uso domestico. Infatti è notizia fresca il via libera da parte del comitato finanziario del Senato statunitense allo sviluppo di una versione del F-22 per l’esportazione, privato degli accorgimenti tecnologici “segreti” presenti nella versione originale. Probabilmente la decisione vuole far fronte alla perdita di migliaia di posti di lavoro causata dallo stop della produzione per l’aviazione USA; fra i probabili acquirenti figurano Giappone, Corea del Sud, Australia ed Israele;
aereo da trasporto C-17 Globemaster III: l’aeronautica USA ne possiede 205 esemplari e non ne chiede di ulteriori, ma il Senato intende introdurre nel bilancio per la difesa del 2010 l’importo di 2,5 miliardi per comprarne altri 10;
Future Combat Systems: si tratta di apparati in cui armi, veicoli e robot coesistono, uniti da un comune sistema di comunicazione, ed è un altro caso in cui le intenzioni di spesa sono state messe in pista prima che la tecnologia in questione sia stata effettivamente testata. Dal 2003, il costo totale è aumentato del 73% fino ad arrivare a 159 miliardi, tanto che Gates nei mesi a venire vuole ripensare l’intero programma;
elicottero presidenziale VH-71: Lockheed Martin ed Agusta Westland (del gruppo Finmeccanica) vinsero nel 2005 la commessa per il sostituto dell’attuale “Marine One”, un Sikorsky VH-60 entrato in servizio nel 1989. La flotta di 28 (!) esemplari doveva costare inizialmente 6 miliardi di dollari, ma poi i correttivi introdotti durante l’amministrazione Bush avevano portato il conto totale quasi a raddoppiare fino ad 11,2 miliardi (400 milioni ad esemplare). Il programma è stato cancellato a maggio, ed una conferma pubblica del suo annullamento è stata data dallo stesso presidente Obama ad agosto in un discorso ai veterani di guerra;
DDG-1000 Destroyer: navi che dovrebbero costare 4 miliardi di dollari ma fonti alternative stimano un costo reale vicino ai 6 miliardi. Mentre la marina statunitense inizialmente desiderava acquistarne fra un minimo di 16 ed un massimo di 24, Gates tenterà di ridurre il programma a soli 3 Destroyers.

E’ comunque inquietante notare come Gates abbia dato il via libera ad un paio di palesi catorci. Del primo abbiamo già parlato su questo blog, si tratta del Littoral Combat Ship (LCS), un altro progetto Lockheed Martin sviluppato prima di completare i test. Nonostante i suoi costi siano quasi raddoppiati rispetto alle prime stime, Gates si è impegnato ad acquistare 55 di queste unità navali.
Ma forse l’indizio più evidente della continuità del bilancio militare USA è la decisione di più che raddoppiare l’ordine di cacciabombardieri F-35 Lightning II Joint Strike Fighter (JSF), facendone il più grande programma di acquisizione del Dipartimento della Difesa (quasi a voler placare l’industria produttrice, l’onnipresente Lockheed Martin, per la cancellazione del F-22). Ciò nonostante l’F-35 sia ben lontano dall’essere pronto, visto che a novembre 2008 era stato implementato solo il 2% dei voli di prova previsti.
Secondo l’attuale calendario, gli Stati Uniti spenderebbero 57 miliardi di dollari per acquistarne 360 unità prima che i test siano completati. Per velocizzare i tempi, la Lockheed ha elaborato un piano per svolgere solo il 17% delle prove richieste mediante test di volo, il restante 83% affidandole ai simulatori. Sfortunatamente, secondo un rapporto della Corte dei Conti americana (GAO) “la capacità di sostituire i voli di prova con laboratori di simulazione non è stata ancora dimostrata”.
Ciò non fa che aumentare i dubbi sulla decisione del Dipartimento della Difesa di acquistarne 2.456 (sì, avete letto bene, duemilaquattrocentocinquantasei!).
Fonti ufficiali hanno stimato un costo per l’intero programma superiore al trilione di dollari (più di mille miliardi) – circa la stessa cifra del deficit nazionale -, sommando ai 300 miliardi per l’acquisizione dei velivoli i 760 miliardi per la loro operatività, manutenzione compresa. Ma poiché il Pentagono ha deciso di comprarne così tanti esemplari prima di verificare l’efficienza della tecnologia, ritardi ed incrementi di costo saranno inevitabili.

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Il Dipartimento della Difesa è presente dal 1995 nell’elenco di apparati governativi ad alto rischio stilato dalla Corte dei Conti statunitense. Per gestire gli acquisti, la contabilità e la logistica, le varie agenzie e servizi del Pentagono mantengono 2.480 diversi sistemi informatici, molti dei quali non sono interconnessi. Di conseguenza, nessuno conosce con sicurezza quanto il Pentagono abbia speso in passato, stia spendendo adesso e spenderà in futuro. Al contrario, esso fonda le sue decisioni di bilancio prevalentemente sulle informazioni delle aziende private vincitrici degli appalti.
Un rapporto del Defense Science Board Task Force on Developmental Test and Evaluation rileva che, fra il 1997 ed il 2006, benché il 67% dei sistemi d’arma non abbia superato i parametri di prova, molti di essi sono stati egualmente messi in produzione. Il concetto che il Pentagono dovrebbe “provare prima di comprare” risale almeno agli anni Settanta, ma i funzionari della difesa ed i parlamentari statunitensi non l’hanno mai veramente messo in pratica. Anzi, i funzionari sono fortemente incentivati a sottoscrivere contratti sottostimati perché se rendono noti i veri costi fin da subito, rischiano di non poter avere i loro “giocattoli”. Ogni tanto il Congresso o la Casa Bianca chiedono di insediare un’agenzia indipendente in grado di produrre stime attendibili dei costi, ma ciò è estremamente difficile a causa dello stretto rapporto tra i funzionari del Pentagono e l’industria bellica.
Nel 2006, 2.435 ex funzionari del Pentagono, generali ed ufficiali lavoravano per aziende private operanti nel settore della difesa, ed almeno 400 di questi erano impiegati nell’ambito di appalti direttamente collegati al loro precedente datore di lavoro governativo. Quando i calendari slittano di anni ed i bilanci sforano di miliardi, le aziende sono già state pagate; inoltre, è prassi fra i parlamentari dare il via libera al proseguimento dei programmi nonostante la legge preveda che essi devono essere informati su quei programmi che sforano il bilancio per più del 30% e che quelli con aumenti superiori al 50% devono essere ricertificati o cancellati.
Quest’anno, la Casa Bianca ha promesso di impiegare altri 20.000 funzionari nel prossimi quinquennio per tenere sotto controllo i contratti militari e la relativa spesa, ma bene che vada ci vorranno diversi anni prima che ciò porti frutti. La legge di riforma circa l’acquisto dei sistemi d’arma patrocinata dal candidato repubblicano alle ultime elezioni presidenziali, John McCain, prevede anche l’istituzione di un ufficio per l’accertamento imparziale dei costi che però non dovrebbe occuparsi di tutti i programmi. Ufficio il cui primo direttore, comunque, è William Lynn, lobbysta precedentemente al servizio proprio di un’azienda privata del complesso militare, la Raytheon.

Fincantieri sbarca in America (o il contrario?)

Fincantieri ha annunciato di aver raggiunto un accordo per l’acquisizione di Manitowoc Marine Group (MMG) dalla società controllante The Manitowoc Company. All’acquisizione, i cui termini sono stati già approvati dai consigli di amministrazione delle due aziende, partecipa anche la Lockheed Martin con una quota di minoranza; l’azienda statunitense guida uno dei due gruppi industriali che partecipano al programma Littoral Combat Ship (LCS), quello a cui aderisce Fincantieri con la fornitura di diesel generatori Isotta Fraschini ed i sistemi di stabilizzazione Ride Control System prodotti nel cantiere di Riva Trigoso, in provincia di Genova.
L’operazione, che ha un valore di circa 120 milioni di dollari, sarà perfezionata entro la fine dell’anno, dopo le consuete autorizzazioni regolamentari, tra cui quelle dell’antitrust USA e della Commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti.
Il Manitowoc Marine Group è uno dei principali costruttori navali di medie dimensioni negli Stati Uniti ed opera per clienti civili ed enti governativi, fra cui la US Navy e la Coast Guard. Esso possiede due cantieri nel Wisconsin: a Marinette c’é il Marinette Marine Corporation focalizzato nella costruzione di navi militari, mentre a Sturgeon Bay ha sede il Bay Shipbuilding Company per la costruzione di navi commerciali e riparazioni; un terzo stabilimento per le riparazioni e trasformazioni navali è nell’Ohio, a Cleveland. MMG occupa quasi 1.600 persone ed ha realizzato nel 2007 ricavi per circa 320 milioni di dollari.
L’acquisto da parte dell’azienda italiana, che da tempo aveva annunciato sue acquisizioni sul mercato internazionale, è da inquadrare nella partecipazione di Fincantieri al programma Littoral Combat Ship. Fincantieri entra così nel più grande mercato mondiale della “difesa”, quello statunitense. Oltre ad acquisire nuovi contratti su questo mercato, essa avrà modo di affermarsi anche nell’export – sia militare che mercantile – verso i Paesi nella sfera di influenza USA, oggi assolutamente preclusi all’Italia in quanto vincolati con accordi commerciali soprattutto agli Stati Uniti. Con rilevanti conseguenze previste anche per l’indotto italiano, fra i 200 ed i 400 milioni di dollari in termini di meccanica, componentistica, ingegneria e servizi.
I cantieri americani stanno lavorando anche alla realizzazione di 30 Response Boat Medium commissionate dalla Guardia Costiera USA e vi sono progetti futuri per 34 Fast Response Cutter, pattugliatori costieri di poco inferiori ai cinquanta metri, che rientrano nel più ampio programma Deepwater, della durata di venticinque anni e del valore di 24 miliardi di dollari, per l’ammodernamento della flotta della Guardia Costiera statunitense.
Fred P. Moosally, presidente della Lockheed Martin’s Maritime Systems & Sensors Business, ha dichiarato che “l’operazione aumenterà la capacità del consorzio per il programma Littoral Combat Ship di consegnare navi di elevata qualità e valore aggiunto, in grado di sostenere al meglio la delicata missione della US Navy”. Da parte sua Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, ha affermato che “questa acquisizione rappresenta un passo importante nel percorso di crescita di Fincantieri e delle sue attività nel settore militare. Con essa raggiungiamo un importante traguardo nell’attuazione del nostro Piano industriale”.
Lo scorso 26 agosto è quindi arrivato in Liguria per una visita di due giorni agli stabilimenti Fincantieri di Muggiano (La Spezia) e Riva Trigoso, il Segretario della Marina Militare statunitense, Donald Winter. Nell’occasione, Winter ha potuto vedere con i propri occhi le strutture di produzione della Direzione Navi Militari e ricevere informazioni sull’organizzazione generale dell’azienda, le sue strategie industriali e di mercato. Sono stati affrontati anche i dettagli e le prospettive del recente accordo per l’acquisizione da parte di Fincantieri dei cantieri americani di Manitowoc Marine Group. A Muggiano, Winter è salito a bordo della portaerei Cavour, nuova nave ammiraglia della Flotta italiana, e del cacciatorpediniere Caio Duilio, realizzato nell’ambito del programma di cooperazione italo-francese Orizzonte, dove è stato ricevuto dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Italiana, Ammiraglio di Squadra Paolo La Rosa, e dal Direttore Generale degli Armamenti Navali, Ammiraglio Ispettore Capo Dino Nascetti.

Littoral Combat Ship

Annunciato nel novembre 2001 dalla US Navy nell’ambito del Future Surface Combatant Program, il programma militare Littoral Combat Ship (LCS) – fregate leggere destinate a missioni di tipo costiero – deriva da un antico progetto dell’italiana Fincantieri. La scelta del tipo di carena è stata infatti ripresa dal motoscafo veloce Destriero costruito da Fincantieri e poi utilizzato per numerosi traghetti, mercantili e navi militari.
Il programma LCS prevede la costruzione di 55 navi per un valore di circa 19 miliardi di dollari. A realizzarle saranno due consorzi, di cui uno guidato da Lockheed Martin – principale operatore statunitense nel settore militare, nonché azienda appaltatrice del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter – che coinvolge per la parte costruttiva Marinette Marine e Bollinger Shipyards e per la parte ingegneristica Gibbs & Cox.
Gli LCS sono unità di medie dimensioni particolarmente innovative ed adatte ad essere impiegate in diverse tipi di missioni nell’ambito della difesa da minacce di tipo asimmetrico, essendo dotate di tre tipi di moduli da combattimento per un’unica piattaforma nave (superficie, cacciamine, antisommergibile).
Queste navi hanno un dislocamento di 3.000 tonnellate, sono lunghe 115,3 metri e larghe 17,5. Hanno un ponte di volo particolarmente ampio ed un hangar in grado di ospitare due elicotteri H-60. Grazie ad un sistema di propulsione combinato diesel/turbine a gas, possono raggiungere una velocità superiore ai 40 nodi.
Il prototipo della LCS, che ha effettuato le prime prove nel lago Michigan alla fine dello scorso mese di luglio, ha suscitato l’interesse anche di altre marine militari, fra le quali anche quella di Israele con cui la Lockheed Martin ha in corso di finalizzazione un accordo per la realizzazione di un massimo di quattro unità, con valore totale di circa 2 miliardi di dollari.

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