Guerra climatica


Di Peter Koenig*, per globalresearch

“Chi controlla il tempo controlla il mondo” – Lyndon B. Johnson, 1962

Quello che stiamo vedendo in questi giorni con l’uragano “Ian” che devasta i Caraibi, le coste della Florida e l’entroterra, poi fino alla Carolina del Sud, causando la massiccia distruzione di infrastrutture, di terreni coltivati, la morte di animali e persone, così come la cancellazione di tutti voli da New York alla Florida, questo è uno stato di guerra.
È chiamato anche geoingegneria.
Negli ultimi due anni è diventato un luogo comune.
“Scie chimiche”, il termine ormai comune con cui si indica l’attività di spruzzare letteralmente nell’alta atmosfera tonnellate di decine di migliaia di particelle chimiche differenti da parte degli aeroplani, è diventato una tecnologia coperta da centinaia se non migliaia di brevetti. Non solo brevetti statunitensi. Brevetti da Paesi di tutto il mondo.
Lo sapevate che la Spagna insieme a oltre 50 Paesi stanno attualmente svolgendo “attività per cambiare artificialmente il clima”? Lo ha detto di recente l’agenzia meteorologica spagnola AEMET e parla di “scie chimiche di condensazione” o “scie chimiche”. Vedetevi questo.
Per avere un quadro completo su cosa si basa la geoingegneria, la sua storia – risalente almeno al 1947, probabilmente anche più indietro – il suo background scientifico, la segretezza – e la potenza – potenza bellica, letteralmente da usare per la guerra meteorologica, dovreste guardare The Dimming.
La geoingegneria potrebbe essere simile al Progetto Manhattan (Progetto Manhattan era il nome in codice dello sforzo guidato dagli Americani per sviluppare un’arma atomica funzionale durante la seconda guerra mondiale).
Secondo le stazioni meteorologiche della Florida, Ian è il peggior uragano che ha colpito la Florida da decenni, probabilmente da sempre.
La devastazione di Ian – la cui portata non può ancora essere misurata – sta lasciando dietro di sé danni, che potrebbero richiedere anni di lavoro per la pulizia e la ricostruzione.
Guardatevi questo video rivelatorio di 3 minuti.
Come l’estate calda e secca – in Europa e Nord America quasi due mesi senza una goccia di pioggia e temperature record – uccide i raccolti, gli animali, le scorte di cibo, persino le persone, le persone vulnerabili al caldo e i poveri. I poveri sono sempre in prima linea ad essere colpiti e feriti dalla miseria.
Naturalmente, lo scenario si inquadra perfettamente negli obiettivi del Great Reset e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Si adatta al quadro generale, che non dovremmo mai dimenticare, quando guardiamo ai singoli eventi catastrofici. Tutto quello che dobbiamo fare è unire i puntini.
In una conferenza a Davos, in Svizzera, alla fine di agosto 2022, un professore di meteorologia di una delle più importanti università tecniche d’Europa, si è rivolto al pubblico dicendo: “Non c’è bisogno di dirvi che il nostro clima è progettato a tavolino. È ovvio. Ma vi spiegherò come si fa”.
Quindi proseguì spiegando i diversi processi, le migliaia di differenti sostanze chimiche che vengono rilasciate nell’atmosfera, cosa fanno – e come vengono brevettate – e come queste particelle velenose, molte contenenti metalli pesanti e sostanze chimiche tossiche, finiscono nei corsi d’acqua, laghi e falde acquifere. Si sta utilizzando il clima per scopi militari. La sua devastazione potrebbe essere distruttiva quasi quanto una bomba nucleare. Forti tempeste, siccità, alluvioni, freddo – bufere glaciali – e altro ancora possono essere applicati in qualsiasi parte del mondo.
Con la propaganda massiccia e implacabile dei “Verdi” sarà semplicemente attribuito al “cambiamento climatico”. La gente spaventata e indottrinata – ancora una vasta maggioranza – non metterà in dubbio il motto del cambiamento climatico. Annuisce e accetta, e spera di poter sopravvivere e ricostruire. Coloro che perdono i propri cari, daranno la colpa al “cambiamento climatico” provocato dall’uomo.
Sì, è provocato dall’uomo. Ma non ha nulla a che fare con il “rilascio eccessivo di anidride carbonica”, o CO2. È la geoingegneria climatica trasformata in un’arma da guerra mortale. Vedetevi questo.
In molti luoghi, o in interi Paesi, in quest’estate del 2022 l’acqua è stata razionata.
Ingiustamente, perché ci sono stati anni nella storia recente, in cui le falde acquifere erano più basse in tutta Europa e Nord America, e nessun razionamento di acqua era capitato.
Il razionamento dell’acqua è una tattica intimidatoria. Tutti sanno che l’acqua è essenziale per la vita. Il razionamento diffonde paura e incita sottomissione alle autorità che decidono sul vostro accesso all’acqua. Fa parte dell’allarmismo, assoggettare le menti della gente in una dipendenza dall’autorità.
Le autorità vi permetteranno di utilizzare o meno acqua e/o energia e/o cibo. Vi è stato detto che ci sono scarsità. Queste scarsità saranno accompagnate da altre scarsità. Stanno provocando panico e carestia, in particolare nei segmenti vulnerabili della popolazione.
Nessuno vi dice che tutte queste scarsità – per lo più incolpando la Russia al posto loro, in modo falso ovviamente – sono create artificialmente – tutte con lo scopo di controllare l’umanità – il programma del Great Reset del Forum Economico Mondiale, alias Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
La combinazione di tutto questo, comprese le precedenti dosi multiple dei velenosi vaccini a mRNA, indebolendo il sistema immunitario umano, può anche causare enormi morti per carestia, una moltitudine di malattie e cause legate alla miseria, inclusi suicidi in aumento massiccio, ma non riportati.
Ancora una volta, nessuno ve lo dice – queste sono scarsità artificiali, scarsità arbitrarie create dall’uomo con lo scopo di creare danni, gravi danni – e fare avanzare l’agenda eugenista del Reset.
Il punto è che la geoingegneria è avanzata a un livello in cui Washington può facilmente dire “entro il 2025 possiederemo il clima”. Vedetevi questo e questo.
Possedere il clima, per il Pentagono significa utilizzarlo per scopi bellici.
Possibilmente usandolo al posto di – o in parallelo con – armi nucleari; esplosioni nucleari mirate a piccolo raggio.

*

Solo quando una massa critica di gente sarà consapevole di ciò che sta accadendo – e di cosa ciò potrebbe significare per il futuro dell’umanità, noi, il popolo, potremo contrastare questi diabolici meccanismi di controllo di un oscuro culto e il suo obiettivo di un Ordine Mondiale – digitalizzazione totale, robotizzazione e globalizzazione della popolazione mondiale sopravvissuta.
Non lo raggiungeranno.
Perché noi umani risvegliati non lo permetteremo. Il nostro spirito, la fisica dinamica e quantistica, alla ricerca della luce, la nostra vibrazione con la luce, impediranno al culto oscuro di avere successo.

*Peter Koenig è un analista geopolitico ed ex Senior Economist presso la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dove ha lavorato per oltre trenta anni in tutto il mondo. Insegna in università negli Stati Uniti, in Europa e in Sud America. Scrive regolarmente per riviste online ed è l’autore di Implosion – An Economic Thriller about War, Environmental Destruction and Corporate Greed, e coautore del libro di Cynthia McKinney When China Sneezes: From the Coronavirus Lockdown to the Global Politico-Economic Crisis.
Egli è ricercatore associato presso il Centro di Ricerche sulla Globalizzazione. È anche ricercatore senior non residente dell’Istituto Chongyang della Renmin University di Pechino.

(Traduzione a cura della redazione)

La NATO culturale

Di Federico Roberti

Nel pieno della Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti destinò grandi risorse ad un programma segreto di propaganda culturale rivolto all’Europa occidentale, messo in atto con estrema riservatezza dalla CIA. L’atto fondamentale fu l’istituzione del Congress for Cultural Freedom (Congresso per la libertà della cultura), organizzato dall’agente Michael Josselson tra il 1950 ed il 1967. Al suo culmine, il Congresso aveva uffici in trentacinque Paesi (alcuni extraeuropei) ed a libro paga decine di intellettuali, pubblicava una ventina di prestigiose riviste, organizzava esposizioni artistiche, organizzava conferenze internazionali di alto livello e ricompensava musicisti ed altri artisti con premi e riconoscimenti vari. La sua missione consisteva nel distogliere gli intellettuali europei dall’abbraccio del marxismo, a favore di posizioni più compatibili con l’american way of life, facilitando il conseguimento degli interessi strategici della politica estera statunitense.

I libri di alcuni scrittori europei furono promossi nel mercato editoriale come parte di un esplicito programma anticomunista. Fra questi, in Italia, “Pane e Vino” di Ignazio Silone, il quale registrò così la prima di molte apparizioni sotto l’ala del governo statunitense. A dire il vero, durante il suo esilio svizzero in tempo di guerra, Silone era stato un contatto di Allen Dulles, allora capo dello spionaggio statunitense in Europa e nel dopoguerra ispiratore di Radio Free Europe, altra creazione CIA sotto la maschera del National Committee for a Free Europe; nell’ottobre 1944, Serafino Romualdi, un agente dell’OSS (Office of Strategic Services, il precursore della CIA), fu inviato sul confine franco-svizero con il compito di introdurre clandestinamente Silone in Italia.
Silone, insieme ad Altiero Spinelli e Guido Piovene, rappresentò l’Italia alla conferenza fondativa del Congresso tenutasi a Berlino nel 1950, per la quale Michael Josselson era riuscito ad ottenere un finanziamento di $ 50.000 dalle risorse del Piano Marshall. Essa fu sconfessata pubblicamente da Jean-Paul Sartre ed Albert Camus che, invitati, si rifiutarono di parteciparvi.

Inizialmente, fra i presidenti onorari del Congresso, tutti filosofi rappresentanti di un nascente pensiero euro-atlantico, accanto a Bertrand Russell troviamo Benedetto Croce. Egli, ad ottant’anni di età, era riverito in Italia come padre nobile dell’antifascismo avendo sfidato apertamente Mussolini. Sicuramente, all’epoca dello sbarco alleato in Sicilia, era stato un utile contatto per William Donovan, allora il massimo responsabile dell’intelligence statunitense.

La sezione italiana del Congresso, denominata Associazione italiana per la libertà della cultura, fu istituita da Ignazio Silone alla fine del 1951 e divenne il centro propulsivo, anche e soprattutto sotto il profilo logistico ed economico, di una federazione di circa cento gruppi culturali quali l’Unione goliardica nelle università, il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, i Centri di Azione democratica, il movimento Comunità di Adriano Olivetti e vari altri.
Essa pubblicò la prestigiosa rivista “Tempo Presente” diretta dallo stesso Silone e da Nicola Chiaromonte, ed altre non meno conosciute come “Il Mondo”, “Il Ponte”, “Il Mulino” e, più tardi, “Nuovi Argomenti”. Nel suo gruppo dirigente, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario Pannunzio, figurava anche Ferruccio Parri, il padre della sinistra indipendente. Poi, in posizione più defilata, uomini politici di estrazione azionista e liberaldemocratica come Ugo La Malfa.
Uno degli uffici del Congresso era stato aperto a Roma nel palazzo Pecci-Blunt, dove Mimì, la padrona di casa, animava uno dei salotti più esclusivi e meglio frequentati della capitale. A due passi dalla storica dimora di palazzo Caetani che, prima di divenire tragicamente celebre per avere visto, sotto le sue finestre, l’ultimo atto del rapimento Moro, vedeva regnare un’altra regina dei salotti, la mecenate statunitense legata agli ambienti del Congresso Marguerite Chapin Caetani. Ella, con la sua rivista “Botteghe oscure”, promosse non pochi grandi nomi della letteratura e poesia italiana del Novecento. Suo genero era, guarda caso, Sir Hubert Howard, ex ufficiale dei servizi segreti alleati specializzato nella guerra psicologica ed in rapporti di fraterna amicizia con il nipote del presidente Roosevelt, quel Kermit Roosevelt che dapprima nell’OSS e poi, reclutato dalla CIA, fu tra i più convinti fautori del programma di guerra psicologica.
Una delle più strette collaboratrici della Caetani era Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto, il cui marito Raimondo Craveri, agente dei servizi segreti partigiani, dopo la Liberazione indicava all’ambasciata statunitense i politici di cui fidarsi. Elena invece selezionava gli uomini di cultura con cui valeva la pena parlare. Nella loro casa si potevano intrecciare le relazioni più cosmopolite, incontrandovi Henry Kissinger così come il futuro presidente FIAT Gianni Agnelli, ma su tutti dominava il magnate della finanza laica italiana, fondatore di Mediobanca, (don) Raffaele Mattioli. Gli Americani si fidavano a tal punto del commendator Mattioli che nel 1944, a guerra evidentemente ancora in corso, avevano già discusso con lui i programmi per la ricostruzione. Oltre a finanziare abbondantemente la cultura, don Raffaele prestò le sue non disinteressate, pur se discrete, attenzioni anche al PCI, con il quale aveva canali aperti già durante il Ventennio.
Ecco, dunque, che in Italia, oltre alla P2 e Gladio, esisteva anche un anticomunismo altrettanto tenace ma illuminato, progressista e persino di sinistra. La rete del Congresso ne costituiva la facciata pubblica o, se si preferisce, presentabile.

Le risorse per la propaganda culturale euro-atlantica furono reperite in modo davvero geniale. Nei primi tempi del Piano Marshall, ciascun Paese beneficiario dei fondi doveva contribuire depositando nella propria banca centrale una somma equivalente al contributo americano. Poi un accordo bilaterale tra il Paese in questione e gli Stati Uniti permetteva che il 5% di tale somma diventasse proprietà statunitense: era proprio questa parte dei “fondi di contropartita” (circa 10 milioni di dollari all’anno su un totale di 200) che furono messi a disposizione della CIA per i suoi progetti speciali.
Così circa $ 200.000 di tali fondi, che già avevano giocato un ruolo cruciale nelle elezioni italiane del 1948, furono destinati a finanziare i costi amministrativi del Congresso nel 1951. La filiale italiana, ad esempio, riceveva mille dollari mensili che venivano versati sul conto di Tristano Codignola, dirigente della casa editrice La Nuova Italia.

La libertà culturale non venne a buon mercato. Nei diciassette anni successivi alla fondazione, la CIA avrebbe pompato nel Congresso ed in progetti collegati ben dieci milioni di dollari. Una caratteristica della strategia di propaganda culturale fu la sistematica organizzazione di una rete di gruppi privati “amici” in un consorzio ufficioso: si trattava di una coalizione di fondazioni filantropiche, imprese e privati che lavorava in stretto collegamento con la CIA per dare a quest’ultima copertura e canali finanziari al fine di sviluppare i suoi programmi segreti in territorio europeo. Nello stesso tempo, l’impressione era che questi “amici” agissero unicamente di propria iniziativa. Mantenendo il loro status di privati, essi apportavano il capitale di rischio per la Guerra Fredda, un po’ quello che fanno da un certo tempo a questa parte le ONG sostenute dall’Occidente in giro per il mondo.

L’ispiratore di questo consorzio fu Allen Dulles, che già nel maggio 1949 aveva diretto appunto la formazione del National Committee for a Free Europe, apparentemente iniziativa di un gruppo di privati cittadini americani, in realtà uno dei più ambiziosi progetti della CIA. “Il Dipartimento di Stato è molto lieto di assistere alla formazione di questo gruppo” annunciò il segretario di Stato Dean Acheson. Questa pubblica benedizione serviva ad occultare le vere origini del Comitato e che operasse sotto il controllo assoluto della CIA, che lo finanziava al 90%. Ironia della sorte, lo scopo specifico per il quale era stato creato, cioè fare propaganda politica, era categoricamente escluso da una clausola dell’atto costitutivo.
Dulles era ben cosciente che il successo del Comitato sarebbe dipeso dalla sua capacità “di apparire come indipendente dal governo e rappresentativo delle spontanee convinzioni di cittadini amanti della libertà”.

Il National Committee poteva vantare un insieme di iscritti di grandissimo rilievo pubblico, uomini d’affari ed avvocati, diplomatici ed amministratori del Piano Marshall, magnati della stampa e registi: da Henry Ford II, presidente della General Motors, alla signora Culp Hobby, direttrice del Moma; da C.D. Jackson della direzione di “Time-Life” a John Hughes, ambasciatore presso la NATO; da Cecil De Mille a Dwight Eisenhower. Tutti costoro erano “al corrente”, ossia appartenevano consapevolmente al club. Il suo organico, già al primo anno, contava più di 400 addetti, il suo bilancio ammontava a quasi due milioni di dollari.
Un bilancio separato di 10 milioni fu riservato alla sola Radio Free Europe, che nel giro di pochi anni avrebbe avuto 29 stazioni di radiodiffusione e trasmesso in 16 lingue diverse, fungendo anche da canale per l’invio di ordini alla rete di informatori presente al di là della Cortina di Ferro.

Il nome della sezione incaricata di reperire fondi per il National Committee era Crusade for Freedom e ne era portavoce un giovane attore di nome Ronald Reagan…

L’uso delle fondazioni filantropiche si rivelò il modo più efficace per far pervenire consistenti somme di denaro ai progetti della CIA, senza mettere in allarme i destinatari sulla loro origine. Nel 1976, una commissione d’inchiesta nominata per indagare le attività dell’intelligence statunitense riportò i seguenti dati relativi alla penetrazione della CIA nella fondazioni: durante il periodo 1963-1966, delle 700 donazioni superiori ai 10.000 dollari erogate da 164 fondazioni, almeno 108 furono totalmente o parzialmente fondi della CIA. Ancor più rilevante è che finanziamenti della CIA fossero presenti in quasi metà delle elargizioni, fatte da queste 164 fondazioni durante lo stesso periodo nel campo delle attività internazionali.
Si riteneva che le fondazioni prestigiose, quali Ford, Rockfeller e Carnegie, assicurassero “la migliore e più credibile forma di finanziamento occulto. Questa tecnica risultava particolarmente opportuna per le organizzazioni gestite in modo democratico, dato che devono poter rassicurare i propri membri e collaboratori ignari, come pure i critici ostili, di essere in grado di contare su forme di finanziamento privato, autentico e rispettabile – sottolineava uno studio interno della stessa CIA risalente al 1966.
Addirittura, all’interno della Fondazione Ford venne istituita un’unità amministrativa specificamente addetta a curare i rapporti con la CIA, che avrebbe dovuto essere consultata ogni volta che l’agenzia avesse voluto usare la fondazione come copertura o canale finanziario per qualche operazione. Essa era formata da due funzionari e dal presidente della fondazione stessa, John McCloy il quale era già stato segretario alla Difesa e presidente, nell’ordine, della Banca Mondiale, della Chase Manhattan Bank di proprietà della famiglia Rockfeller e del Council on Foreign Relations, nonché legale di fiducia delle Sette Sorelle. Un bel curriculum, non c’è che dire.

Uno dei primi dirigenti della CIA ad appoggiare il Congresso per la libertà della cultura fu Frank Lindsay, veterano dell’OSS che nel 1947 aveva scritto uno dei primi rapporti interni in cui si raccomandava agli Stati Uniti di creare una forza segreta per la Guerra Fredda. Negli anni fra il 1949 ed il 1951, come vicedirettore dell’Office of Policy Coordination (OPC), dipartimento speciale creato all’interno della CIA per le operazioni segrete, Lindsay divenne responsabile dell’allestimento dei gruppi Stay Behind in Europa, meglio conosciuti in Italia come Gladio. Nel 1953 passò alla Fondazione Ford, senza per ciò perdere i suoi stretti contatti con gli ex colleghi dell’intelligence.

Quando, nel 1953, Cecil DeMille accettò di diventare consigliere speciale del governo statunitense per il cinema al Motion Picture Service (MPS), si recò all’ufficio di C.D. Douglas, il quale avrebbe poi scritto di lui: “ E’ completamente dalla nostra parte ed (…) è ben consapevole del potere che i film americani hanno all’estero. Ha una teoria, che condivido pienamente, secondo cui l’uso più efficace dei film americani si ottiene non con il progetto di un’intera pellicola che affronti un determinato problema, ma piuttosto con l’introduzione in un’opera “normale” di un certo dialogo appropriato, di una battuta, un’inflessione della voce, un movimento degli occhi. Mi ha detto che ogni volta che gli darò un tema semplice per un certo Paese o una certa regione, troverà il modo di trattarlo e di introdurlo in un film”.
Il Motion Picture Service, sommerso dai finanziamenti governativi tanto da diventare una vera e propria impresa di produzione cinematografica, dava lavoro a registi-produttori che venivano preventivamente esaminati ed assegnati al lavoro su film che promuovevano gli obiettivi degli Stati Uniti e che avrebbero dovuto raggiungere un pubblico sul quale bisognava agire attraverso il cinema. L’MPS forniva consulenze ad organismi segreti sulle pellicole appropriate per una distribuzione sul mercato internazionale; si occupava, inoltre, della partecipazione statunitense ai vari festival che si svolgevano all’estero e lavorava alacremente per escludere i produttori statunitensi ed i film che non sostenevano la politica estera del Paese.

Il principale gruppo di pressione per sostenere l’idea di un’Europa unita strettamente alleata agli Stati Uniti era il Movimento Europeo, cui facevano capo molte organizzazioni, e che copriva una serie di attività dirette all’integrazione politica, militare, economica e culturale. Guidato da Winston Churchill in Gran Bretagna, Paul Henri Spaak in Belgio ed Altiero Spinelli in Italia, il movimento era attentamente sorvegliato dall’intelligence statunitense e finanziato quasi interamente dalla CIA attraverso una copertura che si chiamava American Committee on United Europe. Braccio culturale del Movimento Europeo era il Centre Européen de la Culture, diretto dallo scrittore Denis de Rougemont. Fu attuato un vasto programma di borse di studio ad associazioni studentesche e giovanili, tra cui la European Youth Campaign, punta di diamante di una propaganda pensata per neutralizzare i movimenti politici di sinistra.
Per quanto poi riguarda quei liberali internazionalisti fautori di un’Europa unita intorno ai propri principi interni, e non conforme agli interessi strategici statunitensi, a Washington essi non erano considerati migliori dei neutralisti, anzi portatori di un’eresia da distruggere.

Nel 1962, la notorietà del Congresso per la libertà della cultura calamitò anche attenzioni tutt’altro che desiderate dai suoi ispiratori.
Durante un programma televisivo della “BBC”, That Was The Week That Was, il Congresso fu oggetto di una penetrante e brillante parodia ideata da Kenneth Tynan. Essa iniziava con la battuta: “E’ ora, le novità della Guerra Fredda nella cultura”. Poi continuava mostrando una mappa rappresentante il blocco culturale sovietico, dove ogni cerchietto indicava una postazione culturale strategica: basi teatrali, centri di produzione cinematografica, compagnie di danza per la produzione di missili “ballettistici” intercontinentali, case editrici che lanciano enormi tirature di classici a milioni di lettori schiavizzati, insomma dovunque si guardasse un massiccio indottrinamento nel suo pieno sviluppo. E si chiedeva: noi, qua in Occidente, abbiamo un’effettiva capacità di risposta?
Sì, era la risposta, c’è il buon vecchio Congresso per la libertà della cultura sostenuto dal denaro americano che ha allestito un certo numero di basi avanzate, in Europa e nel mondo, funzionanti come teste di ponte per rappresaglie culturali. Basi mascherate con nomi in codice, come “Encounter” – la più conosciuta delle riviste patrocinate dal Congresso – che è l’abbreviazione, si ironizzava, di Encounterforce Strategy.
Entrava allora in scena un portavoce del Congresso, con un mazzo di riviste che rappresentavano a suo dire una sorta di NATO culturale, il cui obiettivo era il contenimento culturale, cioè mettere un recinto intorno ai rossi. Con missione storica quella di raggiungere la leadership mondiale dei lettori, succeda quel che succeda, “noi del Congresso sentiamo come nostro dovere tenere le nostre basi in allarme rosso, ventiquattro ore su ventiquattro”.
Una satira mordace ed impeccabilmente documentata, che provocò notti insonni a Michael Josselson, organizzatore del Congresso.

Durante l’estate del 1964, sorse una questione assai preoccupante.
Nel corso di un’inchiesta parlamentare sulle esenzioni fiscali alle fondazioni private, diretta da Wright Patman, si verificò una fuga di notizie che identificava otto di queste come coperture della CIA. Esse sarebbero state nient’altro che buche per lettere cui corrispondeva solo un indirizzo, approntate dalla CIA per ricevere denaro dalla stessa, in modo apparentemente legale. Una volta che i soldi arrivavano, le fondazioni facevano una donazione ad un’altra fondazione largamente conosciuta per le sue legittime attività. Contributi, questi ultimi, che venivano debitamente registrati secondo la normativa fiscale vigente nel settore no profit, sui moduli denominati 990-A. L’operazione si concludeva infine con il versamento del denaro all’organizzazione che la CIA aveva previsto dovesse riceverlo.
Le notizie filtrate dalla commissione Patman aprirono, seppure solo per un breve momento, uno squarcio sulla sala macchine dei finanziamenti segreti. Alcuni giornalisti particolarmente curiosi, ad esempio quelli del settimanale “The Nation”, riuscirono a mettere insieme i pezzi del puzzle, chiedendosi se fosse legittimo che la CIA finanziasse, con questi metodi indiretti, vari congressi e conferenze dedicate alla “libertà culturale” o che qualche importante organo di stampa, sostenuto dall’agenzia, offrisse lauti compensi a scrittori dissidenti dell’Europa orientale.
Sorprendentemente (sorprendentemente?), non un solo giornalista pensò di indagare ulteriormente. La CIA eseguì una severa revisione delle sue tecniche di finanziamento, ma non ritenne opportuno riconsiderare l’uso delle fondazioni private come veicoli per il finanziamento delle operazioni clandestine. Anzi, secondo l’agenzia, la vera lezione da apprendere in seguito allo scandalo suscitato dalla commissione Patman era che la copertura delle fondazioni per erogare i finanziamenti doveva essere usata in maniera più estesa e professionale, innanzitutto sborsando fondi anche per i progetti realizzati sul suolo degli Stati Uniti.
Michael Josselson, dalla fine di quel anno, tentò di proteggere la sua creatura dalle rivelazioni, considerando pure di mutarne il nome, e cercò persino di recidere i legami economici con la CIA sostituendoli in toto con un finanziamento della Fondazione Ford.
Tutto ciò non valse a nulla se non a posticipare un esito ormai segnato. Il 13 maggio 1967 si tenne a Parigi l’assemblea generale del Congresso per la libertà della cultura che ne sancì la sostanziale fine, pur se le attività si trascinarono, stancamente ed in tono assai minore, fino alla fine degli anni settanta.

Era infatti successo che la rivista californiana “Ramparts”, nell’aprile 1967, aveva pubblicato un’inchiesta sulle operazioni segrete della CIA, nonostante una campagna di diffamazione lanciata a suo danno nel momento in cui l’agenzia era venuta a conoscenza del fatto che la rivista era sulle tracce delle sue organizzazioni di copertura. Le scoperte di “Ramparts” furono prontamente rilanciate dalla stampa nazionale e seguite da un’ondata di rivelazioni, facendo emergere le coperture anche al di fuori degli Stati Uniti, a cominciare dal Congresso e le sue riviste.
Già prima delle denunce di “Ramparts”, il senatore Mansfield aveva chiesto un’indagine parlamentare sui finanziamenti clandestini della CIA, alla quale il presidente Lyndon Johnson rispose istituendo una commissione di soli tre membri. La commissione Katzenbach, nella sua relazione conclusiva emessa il 29 marzo 1967, sanzionava ogni agenzia federale che avesse segretamente fornito assistenza o finanziamenti, in modo diretto od indiretto, a qualsiasi organizzazione culturale statale o privata, senza fini di lucro. Il rapporto fissava la data del 31 dicembre 1967 come limite per la conclusione di tutte le operazioni di finanziamento segreto della CIA, dandole così l’opportunità di concedere un certo numero di sostanziose assegnazioni finali (nel caso di Radio Free Europe, questo importo le avrebbe permesso di continuare a trasmettere per altri due anni).
In realtà, come si evince da una circolare interna poi emersa nel 1976, la CIA non vietava le operazioni segrete con organizzazioni commerciali statunitensi né i finanziamenti segreti di organizzazioni internazionali con sede in Paesi stranieri. Molte delle restrizioni adottate in risposta agli eventi del 1967, più che rappresentare un significativo ripensamento dei limiti alle attività segrete dell’intelligence, appaiono piuttosto misure di sicurezza volte ad impedire future rivelazioni pubbliche che potessero mettere a repentaglio delicate operazioni della stessa CIA.

Ne vogliamo riparlare?

N.B.: la fonte principale delle informazioni presentate in questo articolo è il libro “Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale” di Frances Stonor Saunders, pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1999 ed in traduzione italiana da Fazi Editore nel 2004 nella collana “Le terre” e nel 2007 in quella “Tascabili saggi”.

L’isola delle meraviglie

Se i bombardieri B52, B1 e B2 decollano dalle nostre terre per portare “democrazia e libertà” in tutto il mondo, per quale ragione esse devono rimanere assenti nelle isole Chagos? Può qualcuno portarle a milioni di persone e chilometri quadrati quando è incapace di farlo in 60 kmq?
Nicole Besage

Chagos è un arcipelago situato nell’Oceano Indiano, a sud delle Maldive ed a nord-est rispetto all’isola di Mauritius, distante circa milleseicento chilometri dalle coste indiane. Queste isole, insieme ad altri piccoli arcipelaghi, formano dal 1965 il Territorio Britannico dell’Oceano Indiano (BIOT, secondo l’acronimo in lingua inglese).
Destinate a colonia penale dai francesi, le isole – i cui primi insediamenti di schiavi prelevati da Somalia, Mozambico e Madagascar risalgono alla fine del diciottesimo secolo – scoprirono la loro vocazione nella modesta produzione dell’olio di palma da cocco. Sconfitto Napoleone, le Seychelles e Mauritius – alla quale amministrativamente appartenevano le Chagos – divennero britanniche, fino a quando, con la decolonizzazione, si trasformarono in Stati sovrani associati al Commonwealth.
Sono gli anni della crisi di Cuba, della nuova minaccia rappresentata dalla Cina di Mao che si aggiungeva alla crescente influenza sovietica in Africa Orientale. Con l’impero britannico in ritiro progressivo dai territori ad oriente di Aden, le Chagos assumono una straordinaria importanza strategica per gli Stati Uniti d’America, alla ricerca di un ancoraggio sicuro nell’Oceano Indiano. Nel 1964, il primo ministro inglese Harold Wilson ed il presidente americano Lyndon Johnson avviano colloqui segreti che portano ad un accordo (cinquantennale, valido fino al 2016, ma rinnovabile per altri 20 anni) per l’insediamento sulla principale delle Chagos, l’isola di Diego Garcia (che trae il proprio nome da un navigatore portoghese del XVI° secolo) di una piccola stazione per le telecomunicazioni. In cambio, Londra godrà di un enorme sconto pari a 14 miliardi di dollari sull’acquisto di missili Polaris da installare nei propri sottomarini nucleari. Ma ci sono alcune questioni da risolvere.
La prima, preliminare, consisteva nel sottrarre le Chagos alla sovranità di Mauritius, che divenuta indipendente avrebbe legittimamente potuto rivendicarle. Si giunse quindi alla decisione di concedere l’indipendenza a Mauritius ma non alle Chagos, che andavano invece a formare una nuova colonia di Sua Maestà Britannica (il BIOT, appunto). A Mauritius veniva concesso anche un sussidio pari a 3 milioni di sterline per accogliere i rifugiati. Quali? E’ presto detto.
Prima di venire ceduti agli statunitensi le isole andavano, come si diceva nei documenti dell’epoca, “ripulite e bonificate”. Vi abitavano infatti circa 1.500 discendenti degli originari schiavi, di lingua creola, ma l’ammiraglio Elmo Zumwait, all’epoca capo delle operazioni della US Navy, non tollerava che ci fossero “abitanti suscettibili all’influenza della propaganda comunista e che potessero porre problemi politici”. La prima mossa fu quella di certificare all’ONU che le isole rappresentassero poco più che scogli, abitate solo da “lavoratori a tempo determinato” i cui contratti potevano venire rescissi invitandoli a lasciare l’isola. Una parte degli abitanti venne quindi abbindolata con viaggi premio a Mauritius, distante cinque giorni di navigazione, per poi apprendere – una volta giunti a destinazione – che il ritorno sarebbe stato loro interdetto per sempre. Quelli rimasti in patria tentarono di resistere, ma gradualmente vennero privati di ogni mezzo di comunicazione e sostentamento. Gli ultimi isolani furono deportati nel 1973 e l’anno seguente un memorandum congiunto USA-Gran Bretagna stabiliva che “sull’isola non c’è alcuna popolazione nativa”.
I lavori per quella che diventerà una tra le più importanti basi militari statunitensi nel mondo erano comunque già iniziati nel 1971, per poi assumere un ritmo sempre più spedito a partire dal 1979, successivamente alla caduta dello Scià di Persia ed alla nascita della Repubblica Islamica dell’Iran.
La prima Guerra del Golfo del 1991 rappresenta il momento di maggiore attività operativa da parte della base di Diego Garcia, che risulta un importante centro logistico anche nell’ambito dell’intervento in Afghanistan del 2001 e nella seconda Guerra del Golfo del 2003.

Sulle cartine geografiche, l’atollo di Diego Garcia assomiglia all’impronta di un piede, tanto è vero che la torre dell’acquedotto posto all’ingresso della baia è decorata con una scritta che recita: “Diego Garcia, the Footprint of Freedom” (l’Impronta della Libertà). Grazie al divieto di qualsiasi insediamento umano, è un paradiso naturale in perfetto stato di conservazione. L’isola è in pratica un lingua di terra alta poco più di un metro sul livello del mare, dove oggi vivono circa quattromila persone fra militari e civili, questi ultimi per lo più provenienti dalle Filippine e da Singapore. Rappresenta una delle destinazione favorite tra i giovani militari, che nel tempo libero vi si possono dedicare alla pesca, al windsurf, allo snorkelling nonché al golf, nel relativo campo a nove buche.
E’ dotata di due piste da cinque chilometri ciascuna, di due rifugi nucleari nonché di hangar climatizzati per i bombardieri “invisibili” B2, mentre gli alti fondali della laguna consentono l’ormeggio anche a trenta unità navali (sommergibili compresi) contemporaneamente. La massima autorità residente è un ufficiale britannico della Marina, coadiuvato da una ventina di fanti, da sei poliziotti ed un paio di doganieri.
Negli ultimi tempi hanno cominciato a circolare notizie insistenti sulla possibilità che vi siano stati detenuti, nella prigione denominata Camp Justice oppure a bordo di imbarcazioni al largo delle sue coste, sospetti terroristi. Una conferma in tal senso è venuta da un generale statunitense in pensione, Barry McCaffrey, ora docente all’accademia militare di West Point.

Dopo aver riconosciuto, con lo sbalorditivo verdetto del 3 novembre 2000, il carattere illegale dell’espulsione degli abitanti delle Chagos ed il loro diritto, in linea di principio, a ritornare nelle proprie terre, nel settembre 2003 l’Alta Corte britannica ha respinto le richieste in questo senso. Nel giugno 2004, il governo britannico ha confermato la decisione di impedire indefinitamente il ritorno. Ha fatto opportunamente tesoro delle osservazioni fatte pervenire, il 21 giugno 2001, dal Sottosegretario di Stato statunitense Eric Newson al suo pari grado britannico Richard Wilkinson, secondo le quali nuovi insediamenti nelle isole intorno a Diego Garcia avrebbero potuto contribuire ad “interrompere, danneggiare o mettere a rischio le operazioni militari di vitale importanza” condotte presso la base.
Nel maggio 2007, la Corte di Appello britannica ha infine stabilito che il diritto di tornare alle proprie case è “una delle più importanti libertà riconosciute agli esseri umani”.