La Russia ci minaccia!

“Oh, la Russia ci minaccia, urlano all’unisono gli organi del Minculpop! Non ci vuole più dare il gas e il petrolio, su cui noi, uomini giusti, per altro sputiamo tutti i giorni.
Noi riforniamo di armi i fascistoidi di Kiev per ammazzare i soldati russi e più che altro i civili russofili o solamente russofoni (nella sola DNR, che ha meno abitanti di Roma, in 200 giorni sono stati uccisi dai bombardamenti ucraini 369 civili di cui 19 bambini), e Putin ci taglia il gas. Cattivo, cattivo, cattivo.
In realtà il Cremlino sa che le forniture di armi della NATO all’Ucraina da un lato impoveriscono l’Occidente e dall’altro non possono spostare di una virgola l’esito della guerra: Donbass conquistato/liberato assieme a Odessa. Punto. Quel che rimarrà dell’Ucraina non avrà più sbocchi sul Mar Nero e sul mare di Azov e non avrà più risorse industriali e minerarie. Sarà un Paese dimezzato, quasi solo agricolo e per giunta con le terre arabili in mano alle multinazionali americane ed europee. Un Paese fallito.
Eppure c’era un modo per Kiev di evitare questa catastrofe. Bastava rinunciare ad entrare nella NATO e mettere in galera i caporioni nazisti. Ma questo era proprio quanto Washington gli impediva di fare, usando, per l’appunto, i nazisti come pretoriani.
Poi, ovviamente, siete liberi di pensare che Azov, Settore Destro, la Legione Bianca eccetera, non sono affatto nazisti ma combattenti per la libertà, che non leggono Hitler ma Kant (come riferisce la Repubblica) e che la svastica è solo un simbolo solare (come riferisce il Corriere della Sera).
Prima ancora, la UE avrebbe potuto evitare di esigere dall’Ucraina, per l’associazione, lacrime e sangue, i sempiterni e odiosi “aggiustamenti strutturali” che arricchiscono le élite finanziarie e impoveriscono la società tutta. Il presidente Janukovich avrebbe così potuto accettare di entrare nella UE e il pretesto per la Maidan non ci sarebbe stato. Ma tutto si tiene, volontà di potenza economica e volontà di potenza politica. I loro meccanismi si intrecciano, le cose vanno come vanno e i grandi commentatori, i grandi economisti, i grandi politologi, i grandi giornalisti fanno la figura dei cioccolatai quando non dei propagandisti e basta.
(…) L’altro giorno Maria Zacharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che gli USA stanno spingendo l’Italia al suicidio economico: E’ una cosa che tutti sanno perché si vede a occhio nudo, ma la compagnia di giro di politici e media ha dichiarato che è “una provocazione”. Anzi, qualcuno si è spinto ad affermare che l’unica possibilità per il “disperato Putin” è spaventare l’Europa.
Perché “disperato”? Perché il Rublo è ai massimi storici? Perché il saldo commerciale è ai massimi storici? Perché la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo, tra cui le due più grandi e in ascesa, non applica le sanzioni e ha rapporti amichevoli con Mosca? Perché ha le armi più potenti del mondo? Perché col 10% delle sue forze armate sta sconfiggendo un esercito tre volte più numeroso e sostenuto da tutta la NATO?
Sono dati di fatto, sia che Putin piaccia o non piaccia. Io penso che se fossi Russo non voterei per Putin. Ma per questo devo mettermi le fette di salame sugli occhi?
Perché “disperato”? Può essere, ma vorrei vedere le motivazioni e i dati che sostengono le motivazioni. Non le urla tribali.
Ma no, non c’è niente da fare: Maria Zacharova è solo una provocatrice! Stiamo andando a gonfie vele con solo qualche difficoltà (come dice Draghi). E avremo ancor più il vento in poppa.
Come no? Già dall’autunno si vedranno sequenze drammatiche (e si capirà che tutte le rassicurazioni del governo in scadenza sono fandonie).
Il futuro governo di centrodestra se la vedrà molto brutta. La Meloni, che è la più sveglia – e anche la più seria – dei tre leader della coalizione, è preoccupata fin da adesso. Sa che avrà grossi problemi, anche interni, perché dovrà gestire un’enorme e devastante crisi e non lo potrà fare nei termini che la sua ideologia – e quella dei suoi – vorrebbe (sovranità, tradizione, ordine sociale), ma nei termini che vorranno i signori della guerra e della finanza anglosassoni e nelle circostanze sociali che si produrranno. Che saranno circostanze di duri conflitti.
Si badi bene che a causa dell’abbandono della sinistra della conflittualità sociale per sposare gli interessi dei più forti, questi conflitti avranno delle caratterizzazioni politiche inedite, non ben definite, così come inedite e non ben definite saranno le loro cause: si sta andando verso la crisi di un sistema che è stato da una parte mitizzato da cialtroni e dall’altro scarsamente analizzato in modo serio nelle sue implicazioni economiche, sociali e ideologiche.
Potremo vedere nella stessa piazza chi è incazzato perché è stato licenziato dalla fabbrica o la sta perdendo a maggior gloria della concentrazione e centralizzazione del capitale e chi è incazzato perché non può più farsi l’happy hour quotidiano. Lo si è già visto durante la pandemia. Si mischieranno ideologie e persino etiche, con quella del lavoro che rischia di essere marginalizzata.
Grande confusione, quindi, in cui si spera che qualcuno a sinistra cerchi di capire prima di proferire anatemi.
Posso anche ipotizzare che l’incarico a Giorgia Meloni sia come la briscola chiamata. Si faranno alcuni giri di prova, magari una mano, ma alla fine salterà fuori una sorta di ammucchiata Draghi allargata. Che ovviamente peggiorerà ancor di più la situazione. Ma cosa importa? A quel punto saremo bene allenati a cascare dal peskov.”

Da Cadere dal peskov, di Piero Pagliani.

Ce lo chiede l’America

Manlio Dinucci, analista geopolitico ed esperto di questioni militari, ricorda come nel silenzio assoluto del nostro sistema informativo si stiano svolgendo adesso esercitazioni militari internazionali a guida statunitense a ridosso del territorio russo: “In Italia non esiste un dibattito degno di questo nome intorno a questioni decisive che riguardano la sicurezza di tutti noi”.

Intermarium, chi era costui?

“Dopo la guerra combattuta tra la Russia e la Polonia e conclusasi il 18 marzo 1921 col trattato di pace di Riga, il Maresciallo Józef Piłsudski (1867-1935), capo provvisorio del rinato Stato polacco, lanciò l’idea di una federazione di Stati che, estendendosi “tra i mari” Baltico e Nero, in polacco sarebbe stata denominata Międzymorze, in lituano Tarpjūris e in latino, con un neologismo poco all’altezza della tradizione umanistica polacca, Intermarium. La federazione, erede storica della vecchia entità politica polacco-lituana, secondo il progetto iniziale di Piłsudski (1919-1921) avrebbe dovuto comprendere, oltre alla Polonia quale forza egemone, la Lituania, la Bielorussia e l’Ucraina. È evidente che il progetto Intermarium era rivolto sia contro la Germania, alla quale avrebbe impedito di ricostituirsi come potenza imperiale, sia contro la Russia, che secondo il complementare progetto del Maresciallo, denominato “Prometeo”, doveva essere smembrata nelle sue componenti etniche.
Per la Francia il progetto rivestiva un certo interesse, perché avrebbe consentito di bloccare simultaneamente la Germania e la Russia per mezzo di un blocco centro-orientale egemonizzato dalla Polonia. Ma l’appoggio francese non era sufficiente per realizzare il progetto, che venne rimpiazzato dal fragile sistema d’alleanze spazzato via dalla Seconda Guerra Mondiale.
Una più audace variante del progetto Intermarium, elaborata dal Maresciallo tra il 1921 e il 1935, rinunciava all’Ucraina ed alla Bielorussia, ma in compenso si estendeva a Norvegia, Svezia, Danimarca, Estonia, Lettonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Jugoslavia ed Italia. I due mari diventavano quattro, poiché al Mar Baltico ed al Mar Nero si venivano ad aggiungere l’Artico e il Mediterraneo. Ma anche questo tentativo fallì e l’unico risultato fu l’alleanza che la Polonia stipulò con la Romania.
L’idea di un’entità geopolitica centroeuropea compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero fu riproposta nei termini di una “Terza Europa” da un collaboratore di Piłsudski, Józef Beck (1894-1944), che nel 1932 assunse la guida della politica estera polacca e concluse un patto d’alleanza con la Romania e l’Ungheria.
Successivamente, durante il secondo conflitto mondiale, il governo polacco di Władisław Sikorski (1881-1943) – in esilio prima a Parigi e poi a Londra – sottopose ai governi cecoslovacco, greco e jugoslavo la prospettiva di un’unione centroeuropea compresa fra il Mar Baltico, il Mar Nero, l’Egeo e l’Adriatico; ma, data l’opposizione sovietica e la renitenza della Cecoslovacchia a federarsi con la Polonia, il piano dovette essere accantonato.
Con la caduta dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’idea dell’Intermarium ha ripreso vigore, rivestendo forme diverse quali il Consiglio di Cooperazione nel Mar Nero, il Partenariato dell’Est e il Gruppo di Visegrád, meno ambiziose e più ridotte rispetto alle varianti del progetto “classico”.
Ma il sistema di alleanze che più si avvicina allo schema dell’Intermarium è quello teorizzato da Stratfor, il centro studi statunitense fondato da George Friedman, in occasione della crisi ucraina. Da parte sua il generale Frederick Benjamin “Ben” Hodges, comandante dell’esercito statunitense in Europa (decorato con l’Ordine al Merito della Repubblica di Polonia e con l’Ordine della Stella di Romania), ha annunciato un “posizionamento preventivo” (“pre-positioning”) di truppe della NATO in tutta l’area che, a ridosso delle frontiere occidentali della Russia, comprende i territori degli Stati baltici, la Polonia, l’Ucraina, la Romania e la Bulgaria. Dal Baltico al Mar Nero, come nel progetto iniziale di Piłsudski.
Il 6 agosto 2015 il presidente polacco Andrzej Duda ha preconizzato la nascita di un’alleanza regionale esplicitamente ispirata al modello dell’Intermarium. Un anno dopo, dal 2 al 3 luglio 2016, nei locali del Radisson Blue Hotel di Kiev ha avuto luogo, alla presenza del presidente della Rada ucraina Andriy Paruby e del presidente dell’Istituto nazionale per la ricerca strategica Vladimir Gorbulin, nonché di personalità politiche e militari provenienti da varie parti d’Europa, la conferenza inaugurale dell’Intermarium Assistance Group, nel corso della quale è stato presentato il progetto di unione degli Stati compresi tra il Mar Baltico e il Mar Nero.
Nel mese successivo, i due mari erano già diventati tre: il 25-26 agosto 2016 il Forum di Dubrovnik sul tema “Rafforzare l’Europa – Collegare il Nord e il Sud” ha emesso una dichiarazione congiunta in cui è stata presentata l’Iniziativa dei Tre Mari, un piano avente lo scopo di “connettere le economie e infrastrutture dell’Europa centrale e orientale da nord a sud, espandendo la cooperazione nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni digitali e in generale dell’economia”. L’Iniziativa dei Tre Mari, concepita dall’amministrazione Obama, il 6 luglio 2017 è stata tenuta a battesimo da Donald Trump in occasione della sua visita a Varsavia. L’Iniziativa, che a detta del presidente Duda nasce da “un nuovo concetto per promuovere l’unità europea”, riunisce dodici paesi compresi tra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico e quasi tutti membri dell’Alleanza Atlantica: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania, Bulgaria.
Sotto il profilo economico, lo scopo dell’Iniziativa dei Tre Mari consiste nel colpire l’esportazione di gas russo in Europa favorendo le spedizioni di gas naturale liquefatto dall’America: “Un terminale nel porto baltico di Świnoujście, costato circa un miliardo di dollari, permetterà alla Polonia di importare Lng statunitense nella misura di 5 miliardi di metri cubi annui, espandibili a 7,5. Attraverso questo e altri terminali, tra cui uno progettato in Croazia, il gas proveniente dagli USA, o da altri Paesi attraverso compagnie statunitensi, sarà distribuito con appositi gasdotti all’intera ‘regione dei tre mari’” .
Così la macroregione dei tre mari, essendo legata da vincoli energetici, oltre che militari, più a Washington che non a Bruxelles ed a Berlino, spezzerà di fatto l’Unione Europea e, inglobando prima o poi anche l’Ucraina, stringerà ulteriormente il cordone sanitario lungo la linea di confine occidentale della Russia.”

Da Il cordone sanitario atlantico, editoriale di Claudio Mutti del n. 4/2017 di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.

Nave Elettra: Italia complice dei golpisti di Kiev

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La nave Elettra nel Mar Nero per spiare i Russi

L’intelligence italiana torna nel Mar Nero per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda per spiare le forze di Mosca e soprattutto le milizie secessioniste filo russe attive nel Donbass e nel sud est dell’Ucraina. La missione della nave spia Elettra doveva restare segreta ma è stata resa nota martedì dall’agenzia RIA Novosti che citando una fonte militare-diplomatica ha riferito che l’Elettra, con a bordo un equipaggio di un centinaio di persone tra marinai e personale dell’intelligence, entrerà nel Mar Nero il 15 giugno. Mosca considera la missione della nave italiana (che l’agenzia russa definisce “da ricognizione” e la Marina Militare di “supporto polivalente”) come continuità delle capacità della NATO di intercettare le comunicazioni ed effettuare spionaggio elettronico rilevando come la nave spia francese Dupuy de Lome abbia lasciato il Mar Nero il 29 maggio. In realtà le operazioni d’intelligence, incluse quelle di spionaggio elettronico “hanno sempre un carattere nazionale pur nel quadro dell’iniziativa della Nato nella crisi ucraina” come riferiscono ad Analisi Difesa fonti ben informate.
Ciò significa che la missione dell’Elettra è stata voluta e decisa da Roma anche se parte delle informazioni raccolte verranno condivise con gli alleati. Le stesse fonti riferiscono che la missione consentirà di cooperare con le marine alleate e di testare i sofisticati equipaggiamenti imbarcati per l’intercettazione di comunicazioni ed emissioni elettroniche (una trentina di sistemi). L’obiettivo sembra essere quello di raccogliere dati e informazioni sulle forze messe in campo da Mosca e sulla struttura dei movimenti secessionisti ucraini. Le operazioni di intelligence elettronico (Signal Intelligence –Sigint) potrebbero inoltre rivelare informazioni utili a cogliere i segnali di un eventuale intervento militare russo in Ucraina. Benché le fonti sentite sottolineino che l’Elettra si manterrà a distanza dalle coste russe e la sua missione non intende irritare Mosca è evidente che la presenza della nave-spia italiana nelle acque di casa non è gradita al Cremlino.
Lo dimostra anche l’iniziativa mediatica di rendere noto il prossimo arrivo dell’Elettra attraverso l’agenzia di stampa RIA Novosti che rischia di mettere in forte imbarazzo il governo italiano che non ha informato l’opinione pubblica e il Parlamento della missione della nave spia e probabilmente neppure il Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir) che tiene i rapporti con le agenzie d’intelligence.
Oggi il deputato della Lega Nord Gianluca Pini ha presentato un’interrogazione al ministro degli Esteri Federica Mogherini, chiedendo “conferme” o “smentite” ufficiali alla notizia della missione dell’Elettra. “Si tratterebbe di un atto politicamente sensibile – contesta il parlamentare del Carroccio – di cui non è stata data alcuna informativa ufficiale e che sconvolge la linea di equilibrio fino ad oggi tenuta dalla Farnesina (tanto che l’OSCE ha riconosciuto all’Italia un ruolo di mediazione nella questione russa). Gravissimo sarebbe avere solo ora conferma di una notizia potenzialmente esplosiva sotto il profilo geopolitico e, di riflesso, economico”. Nulla di nuovo a dire il vero dal momento che i governi italiani di tutti i colori politici hanno sempre cercato di tacere impieghi bellici o “delicati” delle nostre forze militari senza riuscire però mi a risparmiarsi figuracce quando le notizie c he avevano cercato goffamente di nascondere sono state rese note. L’ultimo episodio in ordine cronologico riguardò l’invio in segreto del cacciatorpediniere lanciamissili Doria nelle acque libanesi da parte del governo di Enrico Letta in occasione della crisi siriana che nel sewttembre scorso sembrava dover precipitare in un intervento militare internazionale contro Damasco.
La missione dell’Elettra evidenzia inoltre la scarsa coesione del governo Renzi caratterizzata da un Ministero della Difesa che sembra appiattito sulle posizioni filo-Kiev di Washington e una Farnesina che lamenta il mancato ruolo dell’Europa nel dialogo con Mosca. Ma come hanno fatto i russi a sapere della missione della nave spia italiana che prenderà il via tra dieci giorni? Probabilmente il Cremlino non ha dovuto scomodare i suoi 007 e l’informazione è stata dornita direttamente dalla Turchia, cui vanno segnalate tutte le navi in transito negli stretti di Dardanelli e Bosforo dirette nel Mar Nero e che ne informa gli Stati rivieraschi.
La presenza in quelle acque di unità appartenenti a Paesi che non si affacciano su quel bacino è infatti regolamentata dalla Convenzione di Montreux che limita a 21 giorni la permanenza di navi di stati non rivieraschi. Facile quindi ipotizzare che la richiesta di transito presentata alle autorità turche dalla Marina Militare non è sfuggita alle “orecchie” di Mosca sul Bosforo. Facile anche prevedere che la missione dell’Elettra si prolungherà fino alla prima settimana di luglio anche se Mosca ha accusato la NATO di aver mantenuto nel Mar Nero il cacciatorpediniere statunitense Taylor per ben 32 giorni tra il febbraio e il marzo scorso, in occasione della secessione della Crimea dall’Ucraina e della sua successiva annessione alla Federazione Russa. Attualmente, oltre alle flotte turca, rumena e bulgara che sono parte dell’Alleanza atlantica, nel Mar Nero sono presenti la fregata francese Surcouf e l’incrociatore americano Vella Gulf la cui presenza è considerata da Mosca una forma indebita di pressione militare ai suoi confini.
Gianandrea Gaiani

Fonte

La Russia nel mirino della NATO globale

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Intervista di RT a Rick Rozoff, curatore di Stop NATO e dell’omonimo sito
(traduzione e collegamenti inseriti sono nostri)

RT: Quale è il problema se la NATO svolge più esercitazioni militari? Viviamo in un mondo pericoloso e l’esercizio rende efficienti, non è così?
Rozoff: Certo, dobbiamo contestualizzare le questioni. Se stiamo parlando delle più recenti esercitazioni militari della NATO sul Mar Baltico, le cosiddette operazioni o esercitazione Steadfast Jazz 2013. Dobbiamo considerare che si tratta della più vasta esercitazione militare congiunta svolta dalla NATO negli ultimi sette anni. Ed è stata tenuta in due Paesi che condividono i propri confini con la Russia -Lettonia e Polonia- con l’esplicito obiettivo di compattare la cosiddetta NATO Response Force, che è una forza militare globale di intervento. Si è inoltre svolta su larga scala: 6.000 soldati, con componenti aeree e navali così come di terra e fanteria in Paesi confinanti con la Russia. Non è un fatto di tutti i giorni, come i vostri commenti possono suggerire. Se qualcosa di analogo succedesse al confine americano, a dire in Messico e Canada, e soldati provenienti da 40 Paesi, tutti membri della NATO, e una serie di Paesi partner della NATO dovessero impegnarsi in esercitazioni militari congiunte sul confine americano, si sentirebbe qualcosa da Washington, ve lo assicuro. Peraltro non si tratta di un innocuo affare quotidiano di una o due nazioni che svolgono esercitazioni militari; si tratta del più grande blocco militare nella storia, onestamente parlando, con 24 Paesi membri, con oltre 70 Paesi partner nel mondo, che è oltre un terzo delle nazioni al mondo, e nell’ONU, ad esempio. Questa rappresenta un’ulteriore indicazione che il blocco militare guidato dagli USA, la NATO, ispira, prima di tutto, lo svolgimento di quelle che potrebbero essere interpretate come incaute e forse anche pericolose esercitazione militari vicino ai confini della Russia e allo stesso tempo progetta di sviluppare ulteriormente e dare una veste all’attivazione della propria forza internazionale di intervento.

RT: Queste esercitazioni non sono a buon mercato comunque – e molte nazioni europee non sono finanziariamente nella migliore forma. Ne vale davvero la pena per loro?
Rozoff: Certo che no, è un fantasma, una minaccia immaginaria che è stata contestata. Vale la pena notare che il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen e altri funzionari dell’Alleanza Atlantica incluso il vice Segretario Generale Alexander Vershbow, che è l’ex ambasciatore statunitense in Russia, hanno precisato che le esercitazioni militari svolte in Lettonia e Polonia erano dirette a consolidare i risultati conseguiti negli ultimi dodici anni in Afghanistan, dove la NATO, attraverso la missione ISAF, ha consolidato – sono le sue parole – l’operatività di forze militari provenienti da 50 diverse nazioni. I popoli europei, i cittadini dei rispettivi 26 Stati membri in Europa possono comprendere questo genere di stravaganza? No, certamente non possono. Così ciò che resta da credere è che gli Stati Uniti trovano il pretesto per utilizzare la NATO e sono pronti a sostenere la maggior parte dei costi derivanti dalle esercitazioni o dalla creazione delle installazioni militari, per rafforzare i propri interessi geopolitici in Europa e nel mondo.

RT: La NATO ha appena terminato le esercitazioni in Polonia e negli Stati baltici. C’è qualche ragione per la scelta di queste precise collocazioni?
Rozoff: Se vi riferite alla forza di risposta rapida, che è un dispositivo dell’Alleanza utilizzato presumibilmente per interferire quando la NATO interviene militarmente, come fa negli ultimi quattordiici anni fuori dalla sua area di responsabilità, l’autodichiarata zona di protezione dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Stiamo parlando ovviamente di una seria azione militare, seria come lo è la guerra, infatti. Quattordici anni fa nell’Europa sud-orientale, nella ex Jugoslavia, per gli ultimi dodici anni in Afghanistan, in Asia, e due anni fa in Libia e Nord Africa, poi hanno scelto un così delicato posizionamento di fronte alla Russia – gli Stati baltici, il confine nord-occidentale della Federazione Russa – a me sembra quasi come una provocazione. Ma la spiegazione ufficiale della NATO è che, essendosi ormai configurata come una forza militare internazionale per missioni che possono essere condotte in Africa, Medio Oriente, nel Golfo di Aden, nell’Oceano Indiano, in Asia Meridionale e Centrale, adesso deve ristabilire la propria capacità di difendere gli Stati membri. Chi altri se non la Russia può essere presa di mira quando gli Stati NATO, e, nel caso di Lettonia e Polonia – devono essere in grado di difendere i nuovi Stati membri dell’Alleanza come Lettonia, Estonia, Lituania a Polonia – nessuna altra nazione potrebbe essere il potenziale aggressore in quel contesto se non la Russia. Perciò questa è un’aperta provocazione nei confronti della Russia.

RT: L’anno prossimo la NATO terminerà la sua missione di combattimento in Afghanistan, che è durata oltre un decennio. Che cosa faranno tutte queste truppe dopo il ritiro del 2014?
Rozoff: Ci sarà un periodo di riposo e recupero per le attuali forze terrestri. E considerate che i comandanti NATO in Afghanistan e i comandanti militari USA hanno discusso circa il mantenimento in territorio afghano di un numero tra gli 8.000 e i 14.000 soldati statunitensi e di altri Paesi NATO per un futuro indefinito. E ciò si aggiunge certamente all’intenzione statunitense di mantenere e forse anche espandere la propria presenza e la propria capacità bellica nelle grandi basi aeree che gli Stati Uniti hanno migliorato a Shandan, Kandahar, e le basi terrestri fuori dalla capitale Kabul, e così via. Pertanto ciò che la NATO evidentemente intende fare, e gli USA in primo luogo, è la compiuta integrazione delle strutture militari di oltre 50 Paesi – un evento molto importante, non c’è nulla di anche lontanamente paragonabile che sia avvenuto prima nella storia. Bisogna essere onesti riguardo ciò. In nessuna guerra, neanche nella Seconda guerra mondiale, c’è stata la presenza di personale militare da 50 Paesi, tanto meno da una sola delle parti in conflitto, tanto meno in un solo teatro di guerra e in un sola nazione. Perciò quello che la NATO ha fatto è stato usare i dodici anni di incerto impegno bellico in Afghanistan al fine di mettere in piedi una NATO globale, nei fatti. E una volta concluso questo percorso con il vertice dell’Alleanza svoltosi a Chigago, lo scorso vertice NATO del Maggio 2012, l’Alleanza ha annunciato la nascita di un altro programma di partenariato. E questo sarà il primo che non è geograficamente connotato, diversamente da quelli che riguardano il Golfo Persico, il Mediterraneo, la regione del Medio Oriente o l’Europa Orientale, il Caucaso, l’Asia centrale. Quest’ultima iniziativa della NATO comprende inizialmente otto nazioni appartenenti alla più grande regione dell’Asia-Pacifico: Iraq, Pakistan, Afghanistan, Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Corea del Sud e Mongolia. La Mongolia anche, come il Kazakhistan, che è un membro del programma NATO Partenariato per la Pace, confina sia con la Russia che con la Cina. Ciò cui stiamo assistendo è che a dispetto di tutti i suoi sforzi per convincere il mondo che è diventata un’aggiunta all’ONU, o che costituisce in qualche modo un apparato per il mantenimento della pace, la NATO si è in realtà trasformata in una forza militare globale. Essa può avere una limitata capacità di allargamento, almeno non fino al punto che vorrebbe. Ma le sue intenzioni sono chiare. Il nuovo quartier generale della NATO in costruzione a Bruxelles, che costerà più di un miliardo di dollari, sarà concluso a breve. Bene, la NATO non ha intenzione di accettare un’altra limitazione al bilancio e altri fattori che possano giustificare il suo ridimensionamento, le sue ambizioni al contrario sono più grandiose di quanto siano mai state prima.

RT: Che cosa riserva il futuro per l’Organizzazione in generale? Come può continuare a contare ed essere una forza importante nel mondo?
Rozoff: Lo scopriremo al prossimo vertice di Berlino l’anno a venire, nel 2014. Ciò che sappiamo è che al vertice di Chigago dell’anno scorso, una delle più importanti fra le decisioni prese riguarda il cosiddetto sistema di missili intercettori con approccio adattativo graduale -inizialmente progettato dai soli Stati Uniti sotto l’amministrazione di George W. Bush e ora pienamente integrato con la NATO sotto l’amministrazione di Barack Obama – ha raggiunto la capacità operativa iniziale, con piani per installare infine centinaia di missili intercettori a raggio intermedio e medio a terra in Paesi come Romania e Polonia, e anche su cacciatorpedinieri e altri tipi di unità navali nel Mediterraneo. Alla fine, sospetto, nel Mar Baltico e nel Mar Nero, poichè gli Stati Uniti stanno usando ancora la NATO come un cavallo di Troia, per controllare non solo militarmente ma anche politicamente l’intera Europa Orientale, dal Mar Baltico al Mar Nero. Ogni singolo membro di quello che era il Patto di Varsavia, con l’eccezione della Russia, è ora parte a pieno titolo della NATO. Metà degli Stati appartenenti alla ex Repubblica di Jugoslavia sono adesso membri a pieno titolo della NATO. Vediamo quindi che gli Stati Uniti usano la NATO per estendersi militarmente da Berlino, al termine della Guerra Fredda fin fino al confine russo. E la cosa più allarmante ultimamente è che hanno intensificato i propri sforzi per incorporare l’Ucraina, che possiede un rilevante confine con la Russia, quale importante partner della NATO. L’Ucraina sta per unirsi alla forza di risposta rapida, così come Georgia, Finlandia e Svezia. La Svezia è l’unico fra questi Paesi a non avere un confine con la Russia. Finlandia, Ucraina e Georgia possiedono confini rilevanti. Quello cui assistiamo è che la NATO in un modo o nell’altro sta continuando la spinta verso i confini della Russia e di fatto l’accerchiamento militare della Federazione Russa.

Differenze

Quello che centinaia di basi militari USA/NATO sul continente europeo non sono in grado di provocare in alcun Parlamento nazionale…

Mosca, 27 aprile – Con 236 voti a favore, il Parlamento ucraino ha approvato l’accordo fino al 2042 del contratto d’affitto della base navale di Sebastopoli. La base ospita la flotta russa del Mar Nero.
Una ratifica ‘a tradimento’ con un voto ‘vergognoso’, ha detto l’ex premier Iulia Timoshenko. In parlamento è zuffa tra deputati della maggioranza e dell’opposizione che fa capo all’ex premier. L’aula è invasa dal fumo di lacrimogeni, i parlamentari si sono presi a botte lanciandosi anche pacchi di carta.
(ANSA)

Mai a mani vuote

Washington, 3 settembre – L’amministrazione Bush annuncerà oggi un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari alla Georgia per aiutarla nella ricostruzione dopo il conflitto con la Russia. Lo ha detto un funzionario del governo USA.
L’annuncio sarà fatto stamani dal vicepresidente USA Dick Cheney, che è diretto nelle repubbliche ex sovietiche di Georgia, Azerbaigian e Ucraina, in un viaggio studiato per mostrare l’appoggio di Washington ai suoi alleati nella regione dopo l’intervento di Mosca a favore di due regioni separatiste della Georgia.
Gli aiuti USA saranno spalmati su diversi anni, ha detto il funzionario USA a Reuters.
Cheney inizierà il suo viaggio dall’Azerbaigian, il paese ricco di petrolio sul Mar Caspio, poi andrà in Georgia, quindi a Kiev per incontri con il governo filo-occidentale, che come Tbilisi sta sfidando Mosca chiedendo di aderire alla NATO.
(REUTERS)

Infatti…
Washington, 3 settembre – Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha annunciato un pacchetto finanziario di aiuti per la Georgia per un valore di un miliardo di dollari (690 milioni di euro), 570 milioni dei quali saranno consegnati entro la fine dell’anno. Il denaro servirà ad aiutare Tbilisi in opere di ricostruzione a seguito del suo conflitto con la Russia. Washington ha già fornito all’ex repubblica sovietica quasi 30 milioni di dollari in aiuti umanitari.
(ASCA-AFP)

Tutto il mondo libero, liberale e liberista
Tbilisi, 4 settembre – Il vicepresidente statunitense Dick Cheney ha detto oggi che “l’illegittimo” tentativo della Russia di modificare i confini della Georgia ha creato dei dubbi sull’affidabilità di Mosca come partner internazionale.
“Dopo che la vostra nazione si è guadagnata la libertà con la rivoluzione delle Rose, l’America è venuta in aiuto di questa coraggiosa e giovane democrazia”, ha detto Cheney ai giornalisti in una conferenza stampa congiunta tenuta a Tbilisi con il presidente georgiano Mikheil Saakashvili. “Stiamo facendo la stessa cosa ora che state lavorando per respingere un’invasione del vostro territorio e un tentativo unilaterale di cambiare i vostri confini con la forza, che è stato universalmente condannato da tutto il mondo libero”, ha aggiunto Cheney.
“Le azioni della Russia hanno creato dei gravi dubbi sulle intenzioni della Russia e sulla sua affidabilità come partner internazionale, non solo in Georgia ma in tutta la regione e anche nel sistema internazionale”, ha detto Cheney.
(REUTERS)
Intanto Tsotne Gamsakhurdia, figlio del primo presidente della Georgia indipendente, Sviad, è stato arrestato ieri sera a Tbilisi con l’accusa di aver tentato un golpe nel novembre scorso e di aver avuto contatti con i servizi segreti russi…

A loro quanto?
Kiev, 5 settembre – Il vicepresidente Usa, Dick Cheney, discute oggi della crisi in Georgia con i leader dell’Ucraina, un paese profondamente diviso sull’ingresso nella Nato e alle prese con una crisi di governo. Cheney è atterrato a Kiev al termine di un tour negli stati del Caucaso del sud e del Mar Nero, per portare il sostegno di Washington agli alleati americani dopo la guerra di cinque giorni tra Russia e Georgia.
(…)
Il presidente ucraino, Viktor Yushchenko, ha lanciato un appello per far aderire rapidamente il suo paese alla Nato dopo il conflitto in Ossezia del Sud, una regione separatista della Georgia, ma i suoi rivali politici si sono mostrati freddi, se non contrari, all’ingresso nell’alleanza, visto come un atto ostile verso il grande vicino russo.
(…)
La crisi della Georgia ha allarmato i vicini della Russia e Yushchenko sostiene che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sia un passo necessario per proteggere l’integrità territoriale del suo paese. I paesi dell’alleanza hanno rifiutato lo scorso aprile di riconoscere ad Ucraina e Georgia un Map (Membership action plan) – il primo passo per l’adesione a pieno titolo – ma hanno detto che un giorno entrambi entreranno nella Nato. Ma è probabile che la reticenza di Francia e Germania ad avviare una roadmap per l’ingresso dell’Ucraina si sia rafforzata dopo la crisi georgiana.
Secondo gli analisti, la Crimea – la penisola del sud dell’Ucraina – potrebbe essere usata dalla Russia per destabilizzare il paese. Il porto di Sebastopoli sul Mar Nero ospita la flotta russa e la maggior parte degli abitanti è di etnia russa.
La tensione tra Russia e Georgia è tornata alta lo scorso mese, quando Yushchenko, sostenitore della Georgia, ha imposto rigide regole per i movimenti delle navi da guerra russe dal porto che l’Ucraina ha affittato a Mosca. Yushchenko si è risentito per il fatto che le navi in partenza da Sebastopoli siano state impiegate nel conflitto con la Georgia, dicendo che l’Ucraina è stata coinvolta “passivamente” nella guerra. E ha ricordato che il contratto d’affitto della base, che scadrà nel 2017, non sarà rinnovato.
Malgrado la sua voce grossa, l’ingresso nella Nato rimane molto impopolare in Ucraina e la guerra in Georgia non ha cambiato le cose. I partiti riformisti filo-occidentali sono divisi sulla questione e il leader dell’opposizione Viktor Yanukovich, che raccoglie consensi nelle regione russofone del paese, è apertamente ostile. La visita di Cheney giunge poi nel mezzo di una crisi politica. Yushchenko ha annunciato ieri che il governo di coalizione è morto e ha minacciato di indire elezioni legislative anticipate.
Yushchenko ha preso il potere durante la “rivoluzione arancione” del 2004, promettendo una maggiore integrazione con l’Occidente.
(REUTERS)

Carta igienica, spazzolini e dentifricio… ad alta tecnologia
Tbilisi, 5 settembre – La nave ammiraglia della Sesta Flotta della Marina statunitense, con un carico di aiuti umanitari a bordo, sta per attraccare nel porto georgiano di Poti. A riferirlo è la portavoce del Consiglio di Sicurezza di Tbilisi, Tata Khundadze. ”La USS Mount Whitney arriverà a Poti alle 16 (ora locale) e attraccherà alle 17 per consegnare il carico di aiuti umanitari”, ha detto Khundadze.
Nella foto, le proteste contro l’arrivo a Sebastopoli di un’altra unità della Marina statunitense.
Qui dettagli.

Mosca, 5 settembre – Da parte di Mosca “non ci sarà alcuna reazione militare” all’arrivo della nave da guerra americana “Mount Whitney” nel porto georgiano di Poti, sul mar Nero. Lo ha assicurato il portavoce del ministero degli Esteri russo, Andrei Nesterenko, che è tuttavia tornato a mettere in discussione l’utlizzo di navi da guerra da parte degli Stati Uniti per consegnare aiuti umanitari. “E’ improbabile – ha affermato nel corso di una conferenza stampa – che navi da guerra di questo tipo possano consegnare aiuti umanitari in grandi quantità. Certamente su queste navi ci sono stive, ma nornalmente contengono attrezzatura per l’equipaggio, a parte i beni essenziali che possono essere necessari durante il viaggio. Come è possibile che grandi quantità di aiuti umanitari possano essere consegnati da queste navi?”.
(ADNKRONOS)

Qualcosa da dichiarare?
Sevastopol, September 5 – The Black Sea Fleet source also said the flagship of the U.S. Sixth Fleet was big enough to carry heavy weapons, which – the Russian military believes – is probably the main part of the delivery.
An intelligence source said Russia was scrutinizing the vessel. “Very soon it will be clear, what the ship has really brought to Georgia,” the source said.
(RIA Novosti)

Piccoli atlantici crescono

La Youth Atlantic Treaty Association (YATA) nasce a Roma nel 1996 nell’ambito della Atlantic Treaty Association, di cui costituisce la sezione giovanile. Oggi la YATA si estende dall’America del Nord fino alla Russia ed ai Paesi del Caucaso, comprendendo 38 filiali nazionali (una per ciascun Paese membro della NATO più varie altre di Paesi che attendono/aspirano all’adesione, con l’eccezione della Russia). Ne risulta ciò che i suoi Presidenti degli anni trascorsi definiscono “one of the strongest and most influential youth NGO networks in the world”.
I membri della YATA hanno organizzato svariati eventi a carattere sia nazionale che internazionale, sui temi della sicurezza e della cooperazione transatlantica, al fine di creare un quadro al cui interno studenti, giovani professionisti e ricercatori possano scambiare le proprie idee e dar vita ad una “genuina” comunità transatlantica, con la possibilità di dialogare direttamente con i decisori di livello mondiale, “including George W. Bush”. E perbacco!
Uno dei più importanti obiettivi futuri della YATA è la creazione di forti filiali nazionali in Asia Centrale e nella regione del Mar Nero, il che – poco casualmente – si trova in sintonia con la più generale politica di espansione verso est fino al cuore dell’Eurasia della organizzazione madre. A tal fine il reperimento di nuovi sostenitori finanziari appare assolutamente fondamentale.
Come detto, la YATA nasce nel 1996 come sbocco naturale di tutte le iniziative organizzate dai gruppi giovanili attivi all’interno di quasi tutti i circoli nazionali atlantici facenti capo alla Atlantic Treaty Association. Sotto questo aspetto, la filiale danese ha rivestito un ruolo di pioniere, organizzando fin dal 1985 il cosiddetto DAYS (acronimo di Danish Atlantic Youth Seminar), le cui tematiche riguardano sempre questioni legate ai conflitti internazionali ed alla gestione delle crisi derivanti. Sede del seminario, che quest’anno giunge alla sua 23° edizione, è la base aerea NATO di Aalborg…
Fra le “many exciting activities at national and international level around Europe and North America” organizzate nell’anno trascorso, citiamo:
Aliante 2007, gara studentesca sulle tematiche della cooperazione euro-atlantica, le cui finali si sono svolte alla base militare di Rheindahlen, in Germania. Premio in palio un viaggio di due settimane… negli Stati Uniti;
Norsec 2007, l’annuale Nordic Regional Security Conference dedicata alla discussione delle questioni legate alla sicurezza a livello regionale. In questa edizione, tenutasi a Tartu in Estonia, si sono incontrati 50 giovani fra i venti ed i trent’anni, con acclarate doti dirigenziali, già coinvolti nei processi decisionali dei rispettivi Paesi (scandinavi e baltici) di provenienza;
Simotan 2007, organizzato a Lisbona dal Comitato Atlantico Portoghese e dalla Facoltà di Scienze Sociali e Politiche della locale Università Tecnica, ha messo in scena – come ogni anno – la simulazione di una sessione straordinaria del Consiglio NATO in risposta all’emergere di una crisi internazionale;
 la 6° Conferenza Internazionale di Sipan, in Croazia, riservata a giovani “leaders” provenienti in particolar modo dall’Europa Sud-orientale che hanno discusso tematiche di cooperazione regionale e del processo di allargamento della NATO;
 infine, per concludere in bellezza, il NATO DAY Ostrava, durante il quale ad un pubblico di 55.000 visitatori sono stati mostrati i mezzi che la Repubblica Ceca ed i suoi alleati hanno a disposizione per garantire la sicurezza: il programma prevedeva, tra le altre cose, esibizioni di attrezzature militari e di tecnologie di polizia e salvataggio, nonché la possibilità di assistere all’addestramento delle unità speciali e toccare con mano i diversi tipi di equipaggiamento utilizzati.
Voi, quel giorno, dove eravate?

NATO: la storia

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La NATO (acronimo di North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) nasce a Washington il 4 aprile 1949 per volontà di dodici Paesi fondatori: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America. Nel 1952 vi furono le adesioni di Grecia e Turchia, che almeno in quella occasione misero tra parentesi la loro storica rivalità. Essa si configurò subito come un sistema militare a carattere esclusivamente difensivo, nel quale ogni Stato aderente si impegnava a dare aiuto militare nel caso di aggressione ad una o più delle parti contraenti. La NATO fu legittimata dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che inseriva nel quadro del diritto internazionale anche il “diritto alla legittima difesa”.
La legittimazione esclusivamente “anticomunista” della NATO perde parte della propria credibilità se si considera che il Patto di Varsavia – l’alleanza militare in chiave antioccidentale dei Paesi del blocco comunista – fu sancito ufficialmente solo il 15 maggio 1955, ben 6 anni dopo l’istituzione della NATO stessa. Alla quale nello stesso anno aderì, non a caso, anche la Repubblica Federale Tedesca.
La strategia militare statunitense degli anni seguenti si è sempre ispirata a due principi fondamentali: da una parte, preservare il territorio degli Stati Uniti da un eventuale attacco nucleare sovietico; dall’altra, limitare l’area del possibile conflitto al solo scacchiere europeo. In questo quadro si inserisce non solo la NATO ma anche la presenza in territorio europeo di basi militari alle dirette dipendenze di Washington, sull’attività delle quali i governi europei hanno sempre avuto un controllo assai debole. Continua a leggere

Avanti il prossimo

bandiera ucraina

Il 15 gennaio, il presidente Viktor Jushenko (quello dei rubinetti d’oro), il primo ministro Julija Timoshenko (detta la Pasionaria di Kiev) ed il presidente del parlamento Arsenij Jaceniuk hanno firmato la richiesta affinché l’Ucraina sia accolta nel piano di azione per diventare membro della NATO (Membership Action Plan, acronimo MAP) in occasione del prossimo vertice di Bucarest. “Condividendo appieno i valori democratici europei, lo Stato si riconosce parte dello spazio di sicurezza euroatlantico ed è pronto a lottare alla pari insieme alla NATO ed agli alleati contro le comuni minacce alla sicurezza” si legge nel comunicato ufficiale. Scontate le reazioni: le accuse dell’opposizione di violare la Costituzione che sancisce la neutralità dell’Ucraina, le intenzioni della Russia di “rivedere” le relazioni bilaterali, ma soprattutto i salti di gioia degli Stati Uniti secondo i quali l’Ucraina, per aderire alla NATO, neanche necessiterebbe dello svolgimento di un referendum popolare.
Secondo gli ultimi sondaggi, risalenti a febbraio, quasi il 77% degli ucraini vorrebbe invece essere consultato in materia; la percentuale di quelli contrari all’adesione si attesterebbe al 58,5%. Il referendum “autogestito” svoltosi in Crimea nel 2006, ha registrato la vittoria degli oppositori all’adesione con una percentuale plebiscitaria vicino al 99%. Sono quegli stessi che, all’indomani della notizia circa la formalizzazione dell’istanza pro NATO, sono tornati subito in gran numero a manifestare in piazza. La Crimea, del resto, non porta bene agli Stati Uniti. In occasione delle prime esercitazioni congiunte fra truppe statunitensi ed ucraine, si è verificata infatti una vera e propria sollevazione popolare, iniziata con la reazione indignata dei lavoratori del sanatorio di Fedosia, trasformato per l’occasione in alloggio per i soldati. Gli addetti alle pulizie, i cuochi, i camerieri, tutto il personale insomma, si sono licenziati in blocco pur di non servire coloro che avvertivano come nemici e calpestatori della loro dignità. Qualcuno, rischiando più del proprio stipendio, ha persino tagliato l’acqua, il gas e la corrente elettrica all’edificio.
Ad ogni modo, un’eventuale ingresso dell’Ucraina nella NATO richiederebbe sforzi notevoli e sacrifici non indifferenti anche in termini economici, considerata la necessità di convertire l’esercito agli standard dell’Alleanza Atlantica, tramite l’acquisto di sofisticati equipaggiamenti di produzione occidentale. L’Ucraina dovrebbe inoltre dire addio a molte delle sue grandi aziende che operano nel settore della difesa, che certamente non sopravviverebbero al cessare del fondamentale sostegno attualmente offerto dalla Russia. Dovrebbe fornire con regolarità proprie truppe per le missioni internazionali intraprese dalla NATO. Ultimo e non meno importante aspetto è che l’ingresso nella NATO non potrebbe avvenire prima che l’ultima base militare russa, quella navale a Sebastopoli sul Mar Nero, venisse smantellata. Si parla del 2017, ma con l’aria che tira è davvero difficile ipotizzare che la Russia si lasci soffiare una infrastruttura di così fondamentale importanza strategica. Anzi, i russi non paiono neanche disponibili ad accettare un aumento del canone d’affitto, 100 milioni di dollari annui dedotti dal debito che l’Ucraina ha accumulato per le forniture energetiche.

Amicizie pericolose

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Prima per “gioco”, poi sul serio.
La Marina israeliana ha preso parte per la prima volta, nel giugno 2006, ad un esercitazione navale della NATO tenutasi nel Mar Nero. Durante la “Cooperazione Mako”, sono stati simulati combattimenti tra navi lanciamissili, con annesse operazioni di ricerca e salvataggio. Fino ad allora Israele aveva partecipato a precedenti giochi di guerra soltanto in qualità di osservatore, nell’ambito del programma denominato “Dialogo Mediterraneo” al quale prendono parte anche i cosiddetti Paesi arabi moderati (verso la politica sionista, si intende) quali Egitto, Giordania, Marocco, Tunisia etc. Già da anni, comunque, i piloti della sua aviazione si addestrano insieme a quelli turchi, ad esempio. Ciò senza necessariamente presentare formale domanda di adesione alla NATO, come in passato aveva auspicato l’ex ministro della Difesa italiano Antonio Martino. Un patto militare ha vantaggi e svantaggi – aveva commentato il Capo di Stato Maggiore israeliano Dan Halutz – non esserne parte consente di prendere decisioni senza la necessità di consenso degli altri membri.
Probabilmente,  con la Cooperazione Mako si era di fronte alla prova generale del successivo, fallimentare, intervento contro il Libano del luglio-agosto 2006. A breve distanza da esso, Israele si è di nuovo agganciata alle iniziative sviluppate in ambito NATO, partecipando a pieno titolo all’operazione di pattugliamento navale “antiterrorismo” detta Active Endeavour, previa la firma di un vero e proprio accordo di cooperazione bilaterale. L’intesa raggiunta è stata quindi celebrata ad un convegno svoltosi ad Herzlya, vicino a Tel Aviv, sui rapporti NATO-Israele ed il Dialogo Mediterraneo, durante il quale il vice segretario generale della NATO, Alessandro Minuto Rizzo, ha espresso viva soddisfazione per la velocità del processo di convergenza.
Da quel momento in poi, un ufficiale di collegamento di Tsahal, l’esercito israeliano, è assegnato in maniera permanente presso la sede del comando della Forza di Intervento Rapido della NATO a Napoli.