Il male contro cui lottava Mattei

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“La morte di Mattei apparve immediatamente, agli occhi dei più accorti, per ciò che era. Tuttavia, i depistaggi da parte di apparati dello Stato che qualche anno dopo sarebbero diventati così comuni e funzionali a quella strategia della tensione contrassegnata da attentati sanguinari, fecero una prima ed efficace comparsa a seguito dell’assassinio del presidente dell’ENI. Interviste televisive tagliate o alterate; ritrattazioni di testimoni oculari con contestuali regali e favori a questi ultimi da parte di un ENI ormai avviato verso un nuovo corso; madornali ed inspiegabili errori nel trattamento dei reperti dell’aereo dell’Ingegnere; campagne stampa denigratorie e volte a sottovalutare l’operato dell’Ingegnere; un assordante silenzio che scende sulla vicenda e che decreta come causa dell’evento la tragica fatalità, dovuta al brutto tempo ed alle precarie condizioni psico-fisiche del pilota; ma soprattutto, la brutta fine che accomunerà chiunque si avvicini alla morte di Mattei cercando di capirne la verità.
Saranno solo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, nel 1994, a dare certezza ai dubbi mai del tutto dissipatisi e a permettere di riaprire le indagini accertando così l’esplosione di una bomba all’interno del Morane-Saulnier di Mattei. Stando alle parole del celebre ex boss dei due mondi, la morte del presidente dell’ENI sarebbe stata frutto del fortunato e pluriennale sodalizio esistente fra le famiglie mafiose italo-americane e il governo di Washington. In pratica, la mafia siciliana avrebbe fornito la manodopera per sabotare l’aereo di Mattei su ordine dei padrini d’oltreoceano, a loro volta incaricati dai servizi segreti americani di eliminare l’uomo che stava minando enormi interessi di carattere economico e geopolitico.
Dopo queste dichiarazioni, non fu difficile unire i puntini della vicenda e dare una risposta a tutte quelle morti, ritenute sino ad allora solo parzialmente spiegabili: la prima e forse più celebre perché strettamente collegata è quella del giornalista Mauro de Mauro, incaricato dal regista Francesco Rosi (autore del meritevole film “Il caso Mattei”) di ricercare quante più informazioni possibili sulla morte del presidente dell’ENI e che pochi giorni prima della sua scomparsa – per mano della lupara bianca – aveva dichiarato ai colleghi di essere venuto a conoscenza di uno scoop che avrebbe “scosso l’Italia”. Poi quella di Boris Giuliano, il superpoliziotto ucciso dal boss Leoluca Bagarella e che aveva iniziato ad indagare sui motivi della sparizione dello stesso De Mauro; il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che aveva dato il via allo stesso tipo di indagini per conto della Benemerita. Infine, i dubbi sulla morte del regista e scrittore Pierpaolo Pasolini, che con il suo romanzo Petrolio si era addentrato negli oscuri meccanismi che regolavano il mercato di approvvigionamento e produzione del greggio, scoprendo forse anch’egli cose di cui non sarebbe dovuto venire a conoscenza.
Se tutti questi personaggi siano morti perché realmente legati in qualche modo ad Enrico Mattei, non ci è dato saperlo con certezza. Ciò che rimane sicuro, dopo una perizia ordinata dalla procura di Pavia in seguito alle dichiarazioni di Buscetta, è la mano assassina dietro alla morte dell’Ingegnere e non la “tragica fatalità” come troppo spesso, purtroppo, si è provato a dire in un Paese che ancora fatica ad ammettere come alcuni dei suoi più cruenti fatti di cronaca abbiano avuto come mandanti quegli stessi personaggi che per spregiudicati interessi economici hanno dettato da oltre confine e per decenni la nostra politica estera, impedendo all’Italia di essere artefice del proprio destino e di condurre una politica estera congeniale alla sua posizione strategica. Un paese che a più di vent’anni di distanza dal crollo del Muro di Berlino ancora ospita (e ingrandisce) gratuitamente basi straniere e s’avventura in guerre camuffate da operazioni di pace mandando a morire i suoi soldati per interessi terzi, un Paese che viene obbligato a comprare armamenti di dubbia qualità e che ancora deve sopportare di subire colpi durissimi al suo prestigio e ad alla sua forza contrattuale (basti ricordare la ricaduta sulla nostra bilancia commerciale delle sanzioni imposte all’Iran da un’Unione Europea sempre troppo servile con gli Stati Uniti e la scellerata guerra in Libia che ha strappato all’ENI numerose concessioni a vantaggio di Francia e Stati Uniti). Il male contro cui lottava Mattei, per quanto ridimensionato, vive e lotta ancora in mezzo a noi.”

Da All’origine dei mali d’Italia: l’assassinio di Enrico Mattei, di Federico Capnist.
[collegamenti nostri – ndr]

Mauro De Mauro e il caso Mattei

“La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni”.
In 2.199 pagine, depositate ieri pomeriggio, i giudici della prima sezione della Corte d’assise di Palermo ricostruiscono così l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, sequestrato da Cosa Nostra il 16 Settembre 1970 e mai più tornato a casa.
Pur assolvendo l’unico imputato, Totò Riina, il collegio presieduto da Giancarlo Trizzino, a latere Angelo Pellino (estensore della motivazione) ricostruisce il torbido contesto in cui il cronista del quotidiano “L’Ora” pagò il suo scoop sulla morte del presidente dell’ENI, Mattei, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 Ottobre 1962.
“La natura e il livello degli interessi in gioco – scrive il giudice Pellino – rilancia l’ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista, ndr) nel 1970. E fa presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all’epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l’organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli”.
(Fonte)

Palermo, 8 Agosto – Misteri nel mistero: due nastri e pagine di appunti scomparsi che avrebbero potuto essere la chiave di lettura dell’omicidio del cronista de L’Ora Mauro De Mauro, scomparso a Palermo il 16 Settembre del 1970. Un capitolo della lunghissima sentenza che ha assolto il boss Totò Riina dal delitto, depositata ieri dalla Corte d’assise, è dedicato ai tasselli mancanti, documenti e registrazioni che i giudici ritengono fondamentali per la risoluzione di uno dei maggiori gialli italiani. Prove che portano tutte al movente che la Corte individua come l’unico possibile, tra i tanti ipotizzati per la morte del giornalista: quello delle scoperte che De Mauro avrebbe fatto, lavorando per il regista Francesco Rosi, sul caso Mattei.
A sparire nel nulla furono, infatti, la registrazione dell’ultimo discorso che l’ex presidente dell’ENI fece prima di morire, a Gagliano, in provincia di Enna, la registrazione dell’intervista che De Mauro fece a Graziano Verzotto, ex dirigente ENI secondo i giudici al centro del complotto internazionale ordito per eliminare Mattei, e sette pagine di appunti scritti dal cronista de L’Ora preparò per Rosi.
Il discorso fatto da Mattei era l’ossessione di De Mauro che, dopo averlo trovato e trascritto, lo ascoltava continuamente. Dell’originale non c’è traccia né al Comune di Gagliano né all’ENI.
“Cosa potesse esserci nella registrazione in possesso di De Mauro di tale interesse da indurlo ad ascoltarla ossessivamente non lo sapremo mai; – scrivono i giudici – e non è tanto peregrino il dubbio che l’interesse non fosse tanto per le frasi pronunziate da questo o quell’oratore, ma per le voci in sottofondo, che, nelle registrazioni realizzate più o meno clandestinamente sono andate perdute. Ha confermato Puleo, che fu a suo tempo autore della registrazione in diretta dei discorsi pronunziati dal balcone del municipio di Gagliano, che dall’originale in suo possesso – che a sua volta sarebbe andato perduto – si udivano distintamente anche le voci di coloro che parlavano nei pressi del microfono piazzato davanti all’oratore di turno”.
La Corte parla di una “micidiale bonifica” fatta dagli assassini. “Se fosse vero che De Mauro – scrivono – è stato eliminato per impedirgli di divulgare ciò che aveva scoperto sulla morte di Mattei, allora gli assassini per prima cosa avrebbero dovuto preoccuparsi di fare sparire o di mettere le mani sul materiale che il giornalista aveva raccolto e sugli eventuali elaborati in cui avesse trasfuso il contenuto delle proprie scoperte”. E per i giudici l’unico modo sicuro per mettere le mani sul materiale raccolto da De Mauro, senza correre il rischio che in tutto o in parte restasse in circolazione anche dopo la scomparsa del giornalista, dunque, era di farselo consegnare dall’interessato.
“Ma a chi la vittima avrebbe ingenuamente potuto consegnare il frutto della sua inchiesta, proprio nel momento più delicato, in cui si accingeva a spedire la bozza di copione a Rosi, che doveva contenere già un’anticipazione della sua ricostruzione in chiave di sabotaggio dell’incidente aereo accaduto a Mattei?”, si chiede la Corte. Solo a un uomo di cui si fidava e che riteneva l’avesse aiutato nel suo lavoro di ricerca: Graziano Verzotto.
(ANSA)