Una lettura non breve ma consigliatissima
“Poi, in questo mondo abituato a relazionarsi ad ogni realtà in forma di negoziazione, dove tutto ha il suo prezzo, è emerso un soggetto dalle preferenze non negoziabili: un virus.
Non era naturalmente la prima volta che il sistema mostrava paurosi scricchiolii. Erano passati poco più di dieci anni dalla più grave crisi finanziaria del dopoguerra. Ma si trattava appunto di una crisi finanziaria, dunque di qualcosa che rientrava per definizione sul piano della ‘negoziabilità’. Si era intervenuti quel tanto che bastava per un ritorno in grande stile al business as usual. Dopo aver cullato per qualche settimana l’idea che ‘non si potesse andare più avanti così’, una volta passata la paura ai vertici della catena alimentare, tutto è andato avanti esattamente come prima, solo con qualcuno più povero e qualcuno più ricco.
Così, una crisi che era nata da decisioni politiche americane, dall’azzardo morale di istituti di credito multinazionali, e dalla più sordida speculazione finanziaria è stata trasferita in un batter d’occhio in debito pubblico degli Stati democratici e in colpevolizzazione dei popoli, chiamati a ripianarli. Il tutto senza colpo ferire. Le servitù mediatiche di tutto il mondo si sono affaticate nello spiegare ai propri cittadini come dovessero farsi carico di quell’onere, come dovessero portare quelle catene, perché se le erano meritate. La complessità dei meccanismi finanziari, la loro natura remota ed arcana ai più aveva fatto il resto, permettendo di convincere i popoli, un po’ ovunque nel mondo, che quei debiti, contratti per tenere in vita istituti finanziari ‘too big to fail’ e per contrastare ondate speculative di squali di professione, erano colpa di Mario il barista, di Emma la parrucchiera, di Giacomo il maestro elementare, tutti vissuti al di sopra delle proprie possibilità.
E questi hanno annuito e si sono chinati a portare il basto, che neanche i ‘cafoni’ di Fontamara.
Poi l’imprevisto. Un’epidemia, anzi una pandemia.
E questa volta non sembra così facile spiegare a Mario, Emma e Giacomo che è colpa loro.
Ma comunque ci proveranno, anzi ci stanno già provando. Sentiamo già mormorare, a seconda delle situazioni, che la colpa è/sarà dei debiti pregressi (come quelli della crisi subprime), o dei sistemi sanitari meno efficienti (quelli stroncati a colpi di privatizzazioni e tagli), o di strategie di contenimento meno efficienti (capita a chi si perde tra donne e vino, come usuale tra i PIGS, secondo il presidente Dijsselbloem). E col tempo certamente verranno fuori altri ingegnosi capi di imputazione, cui la servitù mediatica darà giusta eco.
(…) Oggi, tuttavia, le dimensioni colossali della crisi, la sua origine naturale e il suo carattere globale, limitano la capacità di ricorrere a espedienti che ne camuffino la natura.
Accade, perciò che si comincino a fare alcune scoperte.
Si è scoperto d’un tratto che gli Stati nazionali, quegli ‘orpelli inutili e superati dai tempi’, sono proprio l’unica cosa che può proteggere le popolazioni davanti a problemi non negoziabili privatamente sul mercato e non trasferibili a terzi con un magheggio finanziario. Per decenni quando alcuni facevano sommessamente notare che non esistevano altri ordinamenti rispetto agli Stati nazione che rispondessero al popolo, e che potessero aiutarlo in una situazione di necessità, frotte di astuti progressisti ribattevano sprezzanti con accuse di arretratezza culturale, oscurantismo, populismo.
Si è scoperto, di passaggio, che quei famosi Stati, fino a ieri obsoleti, inutili e impotenti di fronte allo strapotere dei mercati, possono con una parola bloccare le merci in transito destinate ad altri Paesi, chiudere le frontiere, convertire produzioni private a finalità socialmente utili, e chiudere in casa 4 miliardi di persone sul pianeta. Basta siano motivati a farlo.
Si sta scoprendo (qui con qualche fatica in più) che il denaro è uno strumento, prodotto e messo a disposizione come medio di scambio e riserva di valore dagli Stati. E che perciò esso può essere messo a disposizione a costo zero nella quantità ritenuta utile alle operazioni economiche correnti. Questa scoperta è quella che viene più duramente ostacolata, perché una volta che l’idea fosse passata, milioni di persone che hanno vissuto per anni impiccate ad un raffreddore dei mercati, potrebbero reagire con le immortali parole del ragionier Fantozzi Ugo, illuminato da letture eversive nel suo sottoscala: “Ma allora m’han sempre preso per il culo.”
Già. Perché per anni hanno tagliato l’istruzione, il welfare, la sanità pubblica, la ricerca, le pensioni, hanno lasciato in strada lavoratori e piccoli imprenditori, hanno distrutto il tessuto produttivo, hanno costretto all’emigrazione centinaia di migliaia di persone, il tutto per la semplice ragione, si diceva, che non c’era alternativa: non c’erano soldi. E guai ad alzare la testa a chiederli. Perché allora ti spiegavano che i mercati (cioè i detentori di grandi capitali privati) avrebbero perso fiducia in noi, e sarebbero saliti gli interessi su debito. E oggi si inizia a scoprire, così, di passaggio, come fosse un dettaglio, che sia l’erogazione di credito che lo spread sono controllati dalle Banche Centrali. E quelli che per anni hanno sostenuto menzogne, muti. Ora si occupano di altro.
Ma non solo.
Si sta scoprendo che scommettere le carte della propria economia su filiere produttive lunghissime e fortemente internazionalizzate è un fattore di fragilità. A chi in passato lo faceva notare si rispondeva con la retorica di: “Allora vuoi l’autarchia?” Come se la scelta fosse tra far cucire palloni a bambini pakistani con pelli importate dall’Argentina per risparmiare un centesimo, o sigillare i confini versione Corea del Nord.
Si sta scoprendo che scommettere le proprie carte migliori sulle esportazioni, sacrificando i mercati interni espone a paurosi contraccolpi ad ogni crisi internazionale. Finora, infatti, figuravano come Paesi ‘virtuosi’ quelli che erano disposti a contrarre i salari all’interno per far guadagnare competitività alle proprie esportazioni. Era un dettaglio, naturalmente, che tale virtù, quando universalizzata, comportasse semplicemente una compressione di tutti i salari a livelli di sussistenza e generasse crisi di sottoconsumo, da far scontare di nuovo ai lavoratori, licenziandoli.
Si sta scoprendo che l’unica ricchezza reale è il lavoro della gente, il loro ingegno, la loro volontà, e che il denaro è solo un mezzo per agevolare il funzionamento della divisione del lavoro, ma che senza poggiare sul lavoro umano è letteralmente nulla, un numero su un conto, un pezzo di carta. Se non hai medici e infermieri non li puoi comprare. Se non hai scoperto una cura, non la trovi sul mercato. Se la gente fosse quella che gli economisti pensano sia, invece di avere medici in pensione che tornano al lavoro rischiando la vita, avresti medici in servizio che si danno malati in massa.
E infine si sta scoprendo qualcosa di semplice, impalpabile, ma forse decisivo: si sta scoprendo che quello che sembrava un meccanismo universale capace di triturare ogni cosa, un destino inciso nell’acciaio di immensi ingranaggi storici, può essere spazzato via in un momento. Nonostante l’immane tragedia, nonostante gli angoscianti pronostici sulle ristrettezze future, nonostante la condanna agli arresti domiciliari, circola in queste terribili settimane una atmosfera vitale. Dopo tanto tanto tempo in cui vigeva solo la cappa di un sistema senza alternative o vie di fuga, dove potevi anche sapere che stavi devastando il pianeta e la salute dei tuoi figli, ma non importava, perché l’inesorabilità del meccanismo non poteva essere messa in discussione. Questa crisi forza gran parte del mondo ad una pausa di riflessione. E nelle pause di riflessione accade che molte persone che di solito non hanno modo per farlo, inizino a pensare. E non c’è cosa più minacciosa per un’organizzazione sociale ed economica come quella del capitalismo avanzato di una popolazione che esca dal circolo compulsivo delle richieste di sistema e si dia il tempo di guardare sentieri laterali.”
Da Scenari della “grande frattura”, di Andrea Zhok