Gli Stati Uniti d’America consegnavano alla Germania la dichiarazione di guerra, entrando ufficialmente nel primo conflitto mondiale.
Il grande Paese d’oltreoceano proclamava di abbandonare il suo tradizionale isolazionismo, per difendere le democrazie del Vecchio Continente dall’autocrazia degli Imperi Centrali.
Di fatto, cento anni fa iniziava una lunga marcia verso est che ha portato la (ex) superpotenza mondiale, intrisa di ambizioni messianiche, a ridurre l’Europa in stato di sudditanza.
Arrivare ai confini dell’attuale Russia, dipinta come minaccia all’ordine unipolare, è l’esito intenzionale di tale percorso.
Federico Roberti
messianismo
La debacle dell’unipolarismo
“Il retrogusto lasciato da questo 11/9, con la lettera di Putin come elemento rivelatore simbolico, è un dato che informa sul miopismo dell’elite, aggrappata con forza al “secolo XX”, ai fasti effimeri della globalizzazione, a cui non è ancora “pervenuto il multipolarismo”. Contrapposti alla sensazione di sollievo diffusa alla base quasi come uno “scampato pericolo”. Diffondere il grido di “Annibale alle porte” è un fragile scudo difensivo, perchè non è il trionfo di Putin. E’ peggio. E’ la debacle di chi ha centralizzato tutto il potere nel Pentagono e Wall Street, minimizzando la democrazia in casa e la convivenza pacifica all’estero.
Analogie da brivido con il periodo agonico dell’URSS, con ricambi vertiginosi e frequenti dei vertici militari, ricorso a leggi speciali e vessatorie, e protagonismo smisurato di troppe polizie politiche segrete. Cominciò tutto quell’11/9 e le Torri: nelle Americhe molti lo identificaro come un golpe, e non si è più fermato. Fino a trattare capi di stato, governi terzi, sedi di organismi internazionali, ambasciate e compagnie concorrenti straniere alla stregua delle discriminate minoranze interne. In nome di un “antiterrorismo” divenuto un grimaldello passepartout. No, non è solo il crepuscolo d’un presidente o dell’occidente.
E’ l’appannato processo decisionale degli Stati Uniti approdato visibilmente all’egemonismo relativo perchè scricchiola il sistema liberista, ormai privo dell’aura del progresso inarrestabile e obbligatorio. Il ritorno alle origini ataviche anglosax, cioè all’arrembaggio della filibusta e alle ardite gesta corsare, disvela e svaluta l’espansionismo globalista come un vuoto messianismo. Gli abiti di scena de couturier liberista, non nascondono più le zanne del nichilismo economico. Inconciliabile con le maggioranze sociali, con le nazioni e i popoli, con l’umanesimo e la tradizione.”
Da USA/11-9: crisi della struttura reale del potere, di Tito Pulsinelli.
Un rituale che si ripete in ogni guerra
“Sulle origini degli Stati Uniti, sulla loro missione e sul «Destino manifesto» si è scritto molto. L’esodo dei «Padri Fondatori» dalla madrepatria inglese al «nuovo mondo» viene compiuto in primo luogo da minoranze religiose, molto spesso epurate e perseguitate nell’Inghilterra teatro delle guerre di religione del ‘600: quaccheri, battisti, levellers, ranters, seekers, ma soprattutto puritani. Secondo Tocqueville «L’intero destino dell’America è contenuto nel primo puritano che sbarcò in America». Perchè i puritani, dopo essere entrati in contrasto con la Corona inglese che non accoglieva le loro richieste contenute nel Millenary Petition, richieste principalmente di carattere morale, emigrarono in nassa e in maniera strutturata ed organizzata in America (principalmente nell’America del Nord), identificata nella loro letteratura come la nuova Israele, paese che sarebbe stato il regno millenario di Cristo precedente il giudizio universale. La base teologica dei puritani proviene da una lettura dell’Apocalisse di Giovanni. Il proliferare di chiese e sette americane, fino ai telepredicatori e agli internetpredicatori, trova la sua origine proprio da diverse interpretazioni dalla lettura dell’Apocalisse di Giovanni.
Noi Europei rimaniamo piuttosto stupiti quando, nell’analizzare discorsi cli importanti politici americani, ci imbattiamo in concetti assoluti come quello del «Bene» contro il «Male» o quando apprendiamo che il nemico non si sconfigge ma si distrugge. Alla base di tutta questa retorica c’è la visione del mondo propria dei puritani. Con gli anni magari la maggior parte degli statunitensi non pensa che gli USA siano il regno millenario di Cristo, ma sicuramente è opinione largamente diffusa che il loro sia il paese migliore al mondo, portatore e garante di libertà, con una missione storica da compiere.
Da qui deriva quella che potremmo identificare come l’ideologia imperiale: gli Stati Uniti sono il faro della civiltà, portatore di democrazia e di diritti umani, il paese migliore che deve intervenire per diffondere il bene nel mondo. Tale ideologia serve da collante da un punto di vista interno – gli statunitensi vivono nel paese migliore del mondo – e giustifica le campagne militari in terre straniere: gli statunitensi esportano la democrazia, la civiltà, i diritti umani, in una parola, il «Bene».
Ancora, questa convinzione di essere il paese «faro di civiltà» e guida per l’umanità tutta, paese caratterizzato da valori di carattere universale, viene diffusa nel mondo non solo con le «missioni di pace», ma soprattutto con la cultura popolare. Assistiamo quotidianamente ad una certa spettacolarizzazione della storia attraverso pellicole e sceneggiati televisivi di vario genere, cosicché è diffusa l’opinione che Hollywood sia una sorta di «ministero della propaganda» americano. La conoscenza storica popolare che il mondo ha degli USA viene in gran parte da lì, da quei film che spesso hanno un taglio autocelebrativo. Del resto gli americani sono maestri nel saper sfruttare e diffondere le immagini e la propaganda è stata una delle armi che ha permesso agli USA di vincere la Guerra Fredda; perciò sarebbe poco intelligente pensare che tutta quella struttura di elaborazione e diffusione di notizie e cultura, presente capillarmente in molti paesi del mondo, sia stata smantellata dopo il 1989. Con l’uso sapiente della cultura popolare, non solo cinematografica, gli USA hanno disegnato la propria immagine da proporre al mondo, l’immagine di un paese «buono», impegnato nel fare guerre «giuste» e nell’annientare i nemici, che sono cattivi tout court, l’incarnazione del Male, in un rituale che si ripete in ogni guerra, con una forma assolutamente manichea.”
Da Perché gli USA non sono un Impero, di Massimo Janigro, in “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, anno X, n. 1, Gennaio – Marzo 2013, pp. 90 – 91.
Un gigantesco fenomeno culturale
All’intervistatore che, rilevando come sia ormai un dato di fatto il sostegno di numerosi ambienti progressisti all’impero USA, si rammarica dell’indifferenza della sinistra europea al “messianesimo realizzato” americano, mentre per lungo tempo le lotte anti-imperialiste degli anni ’50 e ’60 erano state un suo importante riferimento ideale, Costanzo Preve replica:
“In realtà a questa domanda è difficile rispondere, perché cerca di trovare le radici di un gigantesco fenomeno culturale che è la riconversione dell’identità culturale di sinistra dalla vecchia fase classista anti-imperialista alla nuova fase della religione olocaustica e della religione individualistica dei diritti umani. Nel caso di Obama si tratta di una delle tante illusioni. Da questo punto di vista si tratta dell’incapacità strutturale di una cultura come quella europea, che ha perduto ogni sovranità storica e geografica e che perciò è costretta dopo il 1945 a correre dietro a dei miti esotici. Il mito di Kennedy negli anni sessanta e di Obama negli anni duemila non sono diversi, come può sembrare, dal mito di Che Guevara o di Mao Tse-tung. Si tratta in ogni caso di miti esotici, che non sarebbero tali se non ci fosse prima una totale mancanza di radici, una totale mancanza di sovranità della cultura europea. La sovranità culturale è parzialmente autonoma ma dipende anche dalla sovranità politico-militare. La grande filosofia greca del tempo di Platone e Aristotele si basava sulla sovranità politica dei Greci, non ancora occupati né dall’impero persiano né dalla repubblica romana né dai regni ellenistici. E’ vero che ci può essere una cultura interessante anche in condizioni di oppressione politica, pensiamo ad esempio alla cultura greca sotto l’impero ottomano o alla cultura polacca sotto l’impero zarista, però in generale una grande cultura presuppone una sovranità politico-militare. L’Europa non esiste più, esiste una eurolandia, che è soltanto uno spazio di banchieri, uno spazio monetario. In mancanza di Europa è chiaro che si cercano miti stranieri: il mito della Cina come grande Paese industriale produttivo, il mito di Obama, che per di più è anche un nero, il che vuol dire che sembra il portatore della famosa emancipazione antirazziale di Martin Luther King. Si tratta fondamentalmente di un mito di oppressi, di un mito di una cultura senza più radici e sovranità, perciò non ha molta importanza. Questi miti cambiano continuamente, tra uno o due anni non ci sarà più il mito di Obama e se ne cercherà un altro.
(…)
La cultura americana continua ad essere per gli Europei sostanzialmente un enigma. Gli Europei hanno sempre esaltato la rivoluzione americana come una rivoluzione illuministica ed è sempre rimasto poco noto il sottofondo vetero-testamentario di questo messianesimo. In mancanza di questa comprensione si appiccica all’America la dicotomia sinistra/destra, per cui Obama è di sinistra e Bush di destra, e non si vede il comune aspetto messianico di entrambi. A questo punto la cultura europea non è in grado, tolte piccole eccezioni, di capire non tanto il fenomeno Obama quanto il fenomeno imperiale americano.”
Fra queste “piccole eccezioni”, John Kleeves, del quale è da poco tornato disponibile “Un Paese pericoloso. Storia non romanzata degli Stati Uniti d’America”, originalmente pubblicato nel 1999.
Qui, in formato pdf.
I caratteri dell’Alleanza Atlantica
I caratteri che contraddistinguono il Patto atlantico sono almeno tre: la sua lunga durata; la limitazione della sovranità della maggior parte dei partner, a beneficio degli USA; l’ aggressività della sua Organizzazione (la NATO).
Per quanto concerne la prima caratteristica, il Patto atlantico ha sicuramente superato di gran lunga quel limite temporale cui sembrano soggiacere, generalmente, le coalizioni militari, e che Tucidide aveva fissato intorno ai trent’anni.
Spesso, a proposito della durata dell’Alleanza atlantica, che proprio quest’anno compie ben sessanta anni, si considera, la sua anomalia rispetto al principio che avrebbe sempre guidato la politica estera degli USA, quello di affidarsi soltanto ad alleanze temporanee e in casi di straordinaria emergenza.
In realtà, quando si tratta questa questione, non si tiene conto di almeno due importanti fattori: il primo, specifico, contenuto proprio nella formulazione del principio guida fatta da Washington nel suo Farewell address. Washington parlò di temporanee alleanze finalizzate a mantenere gli Stati Uniti “on a respectably defensive posture”, con ciò riferendosi chiaramente ad accordi che dovevano durare tutto il tempo necessario per mantenere la Nazione appunto in una posizione difensiva; il secondo, d’ordine più generale, è da mettere in relazione alla pulsione messianica che, oltre ad animare il patriottismo statunitense e ad impregnare il carattere nazionale dei nordamericani, condiziona e regola le scelte espansioniste ed imperialistiche di Washington.
L’ eccezionalismo messianico è sempre stato per i governanti statunitensi una categoria cui ricorrere per costruire e giustificare le strategie più convenienti agli interessi nazionali. La “straordinaria emergenza”, nella prospettiva religiosa veterotestamentaria propria della tradizione statunitense, avrà, pertanto, una durata che si dilaterà con l’espansione di questi stessi interessi su scala mondiale.
La limitazione di fatto della sovranità di molti membri dell’Alleanza atlantica è dovuta non solo alla sua genesi, avvenuta in un periodo in cui le nazioni europee, uscite distrutte dalla guerra, avevano scarsa capacità di contrattazione con la potenza d’Oltreoceano; ma, principalmente, a quella serie di vincolanti “misure di accompagnamento” che, costituita da Accordi, Trattati e Clausole segrete tra i singoli Paesi europei e gli USA, ha riguardato (e continua a riguardare) la diffusione di istallazioni logistiche e basi militari NATO ed statunitensi in tutta l’Europa.
Tanto per fare un solo esempio, consideriamo, a questo proposito, il caso emblematico dell’Italia, ove di basi e istallazioni militari di vario genere, direttamente o indirettamente collegate agli USA ed alla NATO, se ne contano un centinaio.
(…)
In riferimento al terzo carattere menzionato, quello relativo all’aggressività dell’Organizzazione dell’Alleanza nordatlantica, osserviamo che esso è ben chiaro e manifesto, se si considera l’articolata strategia messa in campo dagli USA al termine del secondo conflitto mondiale ai fini di una vera e propria egemonia a livello mondiale. Continua a leggere