Il servilismo non paga

“No, non mi piace proprio il facile tiro al bersaglio contro il presidente Joe Biden, ritenuto da tutti i commentatori internazionali e dagli uomini di governo dei Paesi NATO, l’unico (ir)responsabile della disfatta occidentale in Afghanistan. Mi sembra infatti che in ambito alleato, vertici militari in testa, abbiano trovato il capro espiatorio su cui focalizzare lo sconcerto generale per la ingloriosa fuga dal teatro afghano e la rioccupazione talebana. Un utile idiota (- sono “utili” alla narrazione comune le sue stesse idiote dichiarazioni pubbliche per giustificare la debacle USA – ) che consentono di occultare le altrettanto gravissime (ir)responsabilità dell’Alleanza Atlantica che esce del tutto sconfitta dalla ventennale disavventura in Medio Oriente ben più dell’amministrazione Biden.

Anche se pochi, molti pochi, lo vogliono ricordare, è la NATO che ha gestito in prima persona le missioni di “esportazione della democrazia” e “pacificazione” dell’Afghanistan. Sono stati gli alleati NATO ad assicurare il pieno sostegno al Pentagono in tutte le operazioni di guerra (anche con l’ausilio dei famigerati droni), mettendogli a disposizione le maggiori installazioni militari in Europa (Ramstein in Germania, Moròn e Rota in Spagna, Aviano e Sigonella in Italia), le stesse oggi utilizzate per l’”ospitalità transitoria” dei cittadini afghani evacuati dalle forze armate statunitensi con la neo-operazione Allies refugee, avviata senza alcun confronto con le organizzazioni internazionali preposte alla protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Ed è stato in abito NATO che è stata decisa unanimemente la disastrosa exit strategy dal conflitto afgano, oggi ipocritamente attribuita solo a Washington.”

Afghanistan. I fallimenti e le bugie della NATO (e dell’Italia), di Antonio Mazzeo continua qui.

Sotto il tricolore che sventola a Camp Darby


Mentre molte attività bloccate dal lockdown stentano a ripartire dopo l’allentamento delle restrizioni, ce n’è una che, non essendosi mai fermata, ora sta accelerando: quella di Camp Darby, il più grande arsenale USA nel mondo fuori dalla madrepatria, situato tra Pisa e Livorno. Completato il taglio di circa 1.000 alberi nell’area naturale «protetta» del Parco Regionale di San Rossore, è iniziata la costruzione di un tronco ferroviario che collegherà la linea Pisa-Livorno a un nuovo terminal di carico e scarico, attraversando il Canale dei Navicelli su un nuovo ponte metallico girevole.
Il terminal, alto una ventina di metri, comprenderà quattro binari capaci di accogliere ciascuno nove vagoni. Per mezzo di carrelli movimentatori di container, le armi in arrivo verranno trasferite dai carri ferroviari a grandi autocarri e quelle in partenza dagli autocarri ai carri ferroviari. Il terminal permetterà il transito di due convogli ferroviari al giorno che, trasportando carichi esplosivi, collegheranno la base al porto di Livorno attraverso zone densamente popolate. In seguito all’accresciuta movimentazione di armi, non basta più il collegamento via canale e via strada di Camp Darby col porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa. Nei 125 bunker della base, continuamente riforniti dagli Stati Uniti, è stoccato (secondo stime approssimative) oltre un milione di proiettili di artiglieria, bombe per aerei e missili, cui si aggiungono migliaia di carrarmati, veicoli e altri materiali militari.
Dal 2017 nuove grandi navi, capaci di trasportare ciascuna oltre 6.000 veicoli e carichi su ruote, fanno mensilmente scalo a Livorno, scaricando e caricando armi che vengono trasportate nei porti di Aqaba in Giordania, Gedda in Arabia Saudita e altri scali mediorientali per essere usate dalle forze statunitensi, saudite e altre nelle guerre in Siria, Iraq e Yemen. Proprio mentre è in corso il potenziamento di Camp Darby, il più grande arsenale USA all’estero, una testata toscana online titola «C’era una volta Camp Darby», spiegando che «la base è stata ridimensionata, per i tagli alla Difesa decisi dai governi USA». e il quotidiano Il Tirreno annuncia «Camp Darby, sventola solo il tricolore: ammainata dopo quasi 70 anni la bandiera USA». Il Pentagono sta chiudendo la base, restituendo all’Italia il territorio su cui è stata creata? Tutt’altro.
Lo US Army ha concesso al Ministero italiano della Difesa una porzioncina della base (34 ettari, circa il 3% dell’intera area di 1.000 ha) prima adibita ad area ricreativa, perché vi fosse trasferito il Comando delle forze speciali dell’esercito italiano (Comfose), inizialmente ospitato nella caserma Gamerra di Pisa, sede del Centro addestramento paracadutismo. Il trasferimento è avvenuto silenziosamente durante il lockdown e ora il Comfose annuncia che il suo quartier generale è situato nel «nuovo comprensorio militare», di fatto annesso a Camp Darby, base in cui si svolgono da tempo addestramenti congiunti di militari statunitensi e italiani.
Il trasferimento del Comfose in un’area annessa a Camp Darby, formalmente sotto bandiera italiana, permette di integrare a tutti gli effetti le forze speciali italiane con quelle statunitensi, impiegandole in operazioni coperte sotto comando USA. Il tutto sotto la cappa del segreto militare. Visitando il nuovo quartier generale del Comfose, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini lo ha definito «centro nevralgico» non solo delle Forze speciali ma anche delle «Unità Psyops dell’Esercito».
Compito di tali unità è «creare il consenso della popolazione locale nei confronti dei contingenti militari impiegati in missioni di pace all’estero», ossia convincerla che gli invasori sono missionari di pace. Il ministro della Difesa Guerini ha infine indicato il nuovo quartier generale quale modello del progetto «Caserme Verdi».
Un modello di «benessere ed ecosostenibilità», che poggia su un milione di testate esplosive.
Manlio Dinucci

(Fonte)

Un appello al presidente Mattarella

“2mila ettari, il poligono militare più grande d’Europa. Ufficialmente doveva essere un campo di addestramento reclute. Nella realtà, una terra di nessuno dove per almeno dieci anni l’esercito italiano e la NATO hanno testato e fatto brillare migliaia di ordigni, rilasciando in aria, nel terreno e nel mare tonnellate e tonnellate di inquinanti.
Una storia molto italiana, perché sarebbe potuta passare sotto silenzio per sempre se non fosse stato per l’impegno della Procura di Lanusei che, con estrema fatica, da otto anni cerca di dare giustizia a un territorio martoriato. E alle vittime, tra i civili come tra i soldati.
Una storia europea, perché mai in nessun paese del nostro continente dei militari sono finiti sotto processo per la gestione di una base militare.
Una base, quella del Salto di Quirra sorta in un territorio selvaggio e bellissimo: siamo nel comune di Perdasdefogu, nella Sardegna centro-orientale, a cavallo tra le province di Nuoro e Cagliari, appena sotto l’Ogliastra. Una terra unica e splendida, carsica, con un incredibile sistema di grotte, gole, anfratti; una macchia mediterranea , coste a picco sul mare cristallino. Siamo in una delle zone del pianeta dove si vive di più in assoluto: qui i centenari non sono una eccezione. Un territorio un tempo incontaminato, ricco di sorgenti, con pascoli verdissimi e dal 1956 in poi, con l’apertura del Comando Interforze, devastato per sempre e avvelenato per secoli.
Il caso Quirra e il relativo processo a carico di otto comandanti del poligono e del distaccamento (sul mare) di Capo San Lorenzo, quindi, è unico al mondo.
Ma i tempi della giustizia italiana, si sa, sono lunghi, specialmente in certi casi. Così questo processo va avanti ormai da otto anni e la prescrizione è sempre più vicina. Anzi: il primo tra i rinviati a giudizio, il Comandante Paolo Ricci, è già formalmente assolto per prescrizione. Per una seconda assoluzione è solo questione di settimane.
Perché il reato contestato è il 437 del codice penale [omissione e rimozione di cautele contro infortuni sul lavoro – n.d.c.], tempo di prescrizione: 10 anni.
(…) È il primo e unico processo di questo tipo in Italia, la prima volta che le Forze Armate vengono messe sotto accusa per aver provocato vittime e danni a civili e militari. Gli imputati rischiano pene fino a dieci anni di reclusione.
Il Giudice monocratico Nicole Serra potrebbe però, viste le evidenze che il processo sta raccogliendo, riconoscere anche l’articolo 434: disastro ambientale. In quel caso i tempi di prescrizione si allungherebbero di due anni. Ma la lista dei testimoni della difesa è lunga, sono più di 20. C’è poi un aspetto fondamentale: cosa accadrebbe se i comandanti dicessero di aver semplicemente obbedito a degli ordini, se si difendessero sostenendo che non potevano essere a conoscenza della tossicità degli elementi contenuti nelle bombe e nei missili (non sono tenuti a saperlo) se insomma le responsabilità venissero rimandate ai più alti gradi in comando? Ecco perché diventa cruciale il ruolo dell’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiamato a testimoniare dall’avvocato di parte civile Gianfranco Sollai. Una testimonianza che potrebbe svolgersi a inizio dell’anno prossimo.
Spiega Sollai a EC: ”Mattarella è stato Ministro della Difesa dal 1999 al 2001. Ovvero nel periodo per noi cruciale per capire quale fosse la catena di comando, quali gli ordini, quali le procedure che si dovevano seguire nel Poligono. Ma non solo. Mattarella faceva anche parte dell’assemblea NATO. Quindi, solo lui può dirci che tipo di missili sono arrivati in Sardegna. Sappiamo che sono stati fatti esplodere più di 1.800 missili classe Milan. Ma cos’altro? E fino a quando? Anche questo non è chiaro. Qualche comandante dice che gli ultimi test missilistici sono stati nel 2003, altri nel 2008. Fino a quando a Quirra sono stati provati missili NATO? E chi, meglio dell’attuale Capo delle Forze Armate, può saperlo e può avere le chiavi per avere queste informazioni? La testimonianza di Mattarella è per noi cruciale, perché aprirebbe le porte alla verità dei fatti e ci permetterebbe anche di velocizzare i tempi del processo, rinunciando a tanti altri testimoni. È davvero l’occasione per dimostrare di essere a fianco degli Italiani e in particolare di noi Sardi che per decenni in questa isola abbiamo subito di tutto. Il Presidente Mattarella è garante sotto tutti i punti di vista. Può dare una svolta a questo processo e aiutarci nella ricerca della giustizia”.”

Da Testimone chiave, di Daniele De Luca.

Militari all’uranio

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“In amore e in guerra tutto è permesso”. È ciò che deve aver pensato il Ministero della Difesa quando ha mandato i nostri inconsapevoli militari italiani alle missioni “di pace” all’estero: Bosnia Erzegovina, Serbia, Kosovo, Eritrea, Afghanistan, Iraq e Gibuti senza avvisarli delle giuste precauzioni da prendere contro un nemico subdolo e all’apparenza innocuo come l’U235. Parliamo di uranio impoverito. Parliamo di 7.678 militari malati, 333 morti e di 72 sentenze di risarcimento vinte.

Da quando l’uranio impoverito ha fatto la sua comparsa nelle cronache italiane, si è detto e (soprattutto) non detto di tutto. In questo libro, la giornalista d’inchiesta Mary Tagliazucchi e Domenico Leggiero, ex pilota militare, ispettore agli armamenti C.F.E, coordinatore dell’Osservatorio Militare e consulente dell’attuale Commissione Parlamentare, cercano di spiegare cosa vi sia davvero dietro l’inspiegabile e impenetrabile muro di omertà, costruito sia da parte delle autorità militari che di quelle politiche.
Una “guerra silenziosa” fra chi tace la verità e chi la grida a gran voce. In questo libro si raccolgono non solo le tragiche storie, vicende e ingiustizie subite dai militari che ancora oggi non smettono di ammalarsi e morire ma anche alcuni importanti retroscena politici che, di fatto, hanno contribuito ad allungare i tempi di questo caso che non sembra conoscere fine.
Un “conflitto” che dura ormai da quasi sedici anni e in cui l’uranio impoverito non è l’unica minaccia. Attraverso il racconto dei due autori, senza zone d’ombra o reticenze, pian piano si arriva a capire più di una verità, che gli stessi consegnano al lettore senza alcuna presunzione. A parlare per loro sono i fatti e i documenti riportati.

Mary Tagliazucchi, nata a Roma nel 1975, è giornalista freelance e fotoreporter. Collabora con La Stampa, Ofcs.report e altre testate giornalistiche. Da sempre si occupa di cronaca e giornalismo d’inchiesta.
Domenico Leggiero nasce a Capua (CE) nel 1964. Arruolatosi nell’esercito nel 1985, diventa pilota militare nel 1988 e, dopo oltre 1000 ore di volo, viene qualificato Ispettore C.F.E. (Control Force Europe) e inserito nei pool internazionali per il controllo degli armamenti, attuazione e rispetto dei trattati internazionali per la riduzione degli armamenti. Consulente in tre commissioni parlamentari d’inchiesta sul fenomeno dell’uranio impoverito, dal 2005 continua la battaglia per i militari malati come Responsabile del Comparto Difesa dell’Osservatorio Militare Centro Studi di cui lui stesso fu cofondatore nel 1999.

Militari all’uranio,
di Mary Tagliazucchi e Domenico Leggiero
David and Matthaus, € 14,90

I militari spalano a pagamento

Mentre è in dirittura di arrivo la conversione in legge del decreto per le “missioni di pace”, con stanziamento previsto nel 2012 di 1.282 milioni di euro (cioè circa 3,5 milioni al giorno)…

I sindaci alle prese con l’emergenza neve vogliono l’aiuto dei militari dell’Esercito? Nessun problema, basta pagare: 700 euro al giorno per dieci spalatori (cioè soldati con una pala in mano), più il vitto, e l’alloggio. È quanto sta pagando, spinto da un’emergenza che si fa ogni ora più grave, il Comune di Urbino: nel circondario la neve ha raggiunto i 3-4 metri di altezza, l’accesso a singole abitazioni e intere frazioni è sempre più difficile, e i mezzi a disposizione non bastano più.
Decisamente più salato si prospetta il conto per il Comune di Ancona, che proprio oggi ha reclutato 14 spalatori del 28/o Reggimento di Pesaro e 17 militari (più sei mezzi spazzaneve) in arrivo da Piacenza, per liberare le frazioni rimaste off limits.
«Le Forze armate non avanzano richieste onerose alle amministrazioni locali per intervenire» precisa in serata il ministero della Difesa. «Il problema dell’onerosità dei concorsi – spiega in una nota – riguarda i rapporti tra le Amministrazioni ministeriali».
Cioè, sembra di capire, i rapporti fra ministero della Difesa e degli Interni: i sindaci dovrebbero essere risarciti se e quando per i loro territori verrà dichiarato lo stato di emergenza. Stato di emergenza che la Regione Marche non ha chiesto, almeno per ora, perché, lo ha ricordato il governatore Gian Mario Spacca, in base al decreto Milleproroghe a pagare sarebbero i cittadini, costretti a subire, come proprio qui è già avvenuto con l’alluvione di un anno fa, un aumento delle accise sulla benzina.
«Non voglio fare polemiche, in un momento così drammatico le istituzioni devono collaborare, e non polemizzare» premette il presidente Pd della Provincia di Pesaro Urbino Matteo Ricci, che ha sollevato per primo il tema. «Ma non mi sembra giusto che lo Stato faccia pagare i Comuni in un frangente simile, quando raggiungere o non raggiungere un’abitazione, un borgo sepolto dalla neve è spesso questione di vita o di morte per anziani, malati, bambini. I Comuni e le Province sono già strozzati dal Patto di stabilità, stanno spendendo milioni di euro, che non hanno, per mettere in campo spazzaneve, pale meccaniche, servizi di prima necessità, e devono pagarsi pure l’Esercito…».
Al sindaco di un piccolo comune della zona che aveva provato a saggiare il terreno è giunto un fax di risposta con un preventivo di 800 euro: doccia gelata, e la scelta di rinunciare all’impiego delle tute mimetiche. «Per fortuna – è l’amara ironia dell’assessore provinciale ai Lavori pubblici Massimo Galuzzi – Urbino risparmia qualcosa sull’alloggio: i militari arrivano al mattino da Pesaro, e tornano a dormire in caserma».
Sulla stessa linea il sindaco di Ancona Fiorello Gramillano. Duecento euro al giorno un bobcat, 800-900 euro per una ruspa, un somma «al di sotto dei 100 euro a testa» per l’impiego dei soldati, cui però vanno garantiti vitto e alloggio: questo il tariffario che il sindaco si è formalmente impegnato a onorare, in una comunicazione scritta passata attraverso la Prefettura del capoluogo, per poter avere l’aiuto dell’Esercito nell’emergenza maltempo.
«Naturalmente faremo fronte agli accordi – osserva – ma non trovo giusto che nel momento in cui c’è un’emergenza, una calamità, questa debba essere a carico della comunità colpita». «Questo al di là della professionalità e disponibilità mostrata dal maggiore e dal capitano che sono appena arrivati in città, e che ringrazio per il lavoro che hanno già cominciato a fare». Ad Ancona operano 14 spalatori del 28/o Reggimento di Pesaro, e 17 soldati (con sei spazzaneve) da Piacenza. Dovranno liberare le frazioni isolate dal maltempo. «Anche i costi di trasporto dei mezzi dal luogo di provenienza, in questo caso Piacenza, sono a carico dell’amministrazione comunale», sottolinea Gramillano, senza altri commenti.
Intanto, il ministro Giampaolo Di Paola «ha confermato al capo di Stato Maggiore della Difesa Biagio Abrate l’esigenza di utilizzare i reparti delle forze armate disponibili per fronteggiare l’emergenza neve».

Fonte: ilsecoloxix.it

Le commesse del consorzio Iveco-Fiat-Oto Melara

“Scorrendo l’elenco dei programmi e dei contratti esaminati dalla Corte dei Conti, emerge come tutte le commesse del consorzio Iveco-Fiat-Oto Melara abbiano subito degli incrementi in corso d’opera. Da un minimo del 3,8% fino ad un massimo dell’11,7%.”

Tutto il resto, comprese alcune informazioni sul “rapporto di performance 2009” del Ministero della Difesa, già da alcuni anni caratterizzato da uno sbilanciamento finanziario verso le missioni all’estero, potete leggerlo qui.

AAA… patrimonio militare svendesi

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Si apre oggi a Cannes il Mipim, il principale salone internazionale della proprietà immobiliare, che proseguirà fino al 13 marzo. La novità di questo anno è la partecipazione del Ministero della Difesa italiano, presente per garantirsi l’attenzione dei possibili acquirenti che in un futuro non remoto potrebbero essere interessati a speculazioni sul patrimonio militare italiano. Questo futuro è legato ai tempi di approvazione in Parlamento del ddl 1373 di istituzione della Difesa Servizi S.p.A., forse la più grande operazione di privatizzazione e svendita mai tentata nel Paese.
“La costituzione della Difesa Servizi S.p.A consentirebbe di scavalcare tutti gli impedimenti frapposti dalla normativa vigente e, cosa più importante, uscire fuori dal controllo democratico del Parlamento”, sottolinea Massimo Solferino della RdB-CUB Difesa “Il principale obiettivo di questa società è quello di far cassa utilizzando il patrimonio collettivo, espropriando così cittadini della possibilità di una riconversione al sociale di queste risorse, con ricadute benefiche sull’intera collettività”.
“Ma la Difesa Servizi S.p.A. non si occuperà solo della svendita del patrimonio del demanio militare. Infatti – aggiunge Solferino – tra le funzioni ad essa attribuite figurano anche l’utilizzo, in proprio o con gestioni miste pubblico-privato, di aree demaniali per settori strategici quali lo smaltimento rifiuti e l’approvvigionamento energetico. Ci troveremo dunque di fronte al cambiamento della destinazione d’uso di immense aree, sottoposte oggi a vincoli militari, in cui sarà possibile costruire discariche, impianti per la produzione di combustibile da rifiuti (CdR), inceneritori e, potenzialmente, anche centrali nucleari. Il tutto senza dover dar conto a Comuni, Province, Regioni o al Parlamento ma rispondendo solo al suo unico azionista: il Ministro della Difesa”.
Prosegue il rappresentante RdB: “Il personale civile e parte di quello militare verrà assorbito, privatizzato e utilizzato a supporto di tutte queste operazioni, venendo spogliato di tutte le prerogative di pubblico dipendente al servizio dello Stato. Per tutte queste ragioni la RdB-CUB P.I. contrasterà questo progetto scellerato e fa appello a tutti i cittadini, gli amministratori, le forze sociali e parlamentari affinché vi si oppongano in tutte le sedi opportune”, conclude Solferino.

Comunicato stampa del 10 marzo 2009 delle Rappresentanze Sindacali di Base Pubblico Impiego – Confederazione Unitaria di Base.
[grassetto nostro]

A scuola dalla NATO, 1° parte

La NATO Communications and Information Systems School (NCISS) prepara a livello avanzato il personale militare e civile alla conduzione ed alla manutenzione dei CIS (sistemi di informazione e comunicazione) della NATO. La Scuola fornisce anche corsi di orientamento e di amministrazione sui CIS NATO ed offre corsi di orientamento ai Paesi alleati.
Istituita nel 1959, la Scuola da allora ha subito varie trasformazioni ed esiste con l’attuale nome dal 1989. Nel 1994 sono stati introdotti nuovi corsi nell’ambito del Partenariato per la Pace. Dal 1995, con l’inizio della proiezione della NATO in Bosnia-Erzegovina, la Scuola ha anche fornito corsi di sostegno alle forze NATO in ruoli operativi. Attualmente propone più di 50 corsi che durano da una a dieci settimane ed accoglie circa 2.700 studenti all’anno.
La Scuola è costituita da due dipartimenti, Addestramento e Supporto. L’Addestramento è a sua volta suddiviso in una sezione Network Domain, responsabile dei corsi relativi ai sistemi di trasmissione, sistemi di commutazione e controllo di rete; una sezione User Domain, responsabile dei corsi relativi ai sistemi di informazione di comando e controllo, della gestione e programmazione del software engineering; ed una sezione Infosec Domain, responsabile dei corsi relativi alla conduzione, manutenzione e riparazione di attrezzature crittografiche. Il dipartimento Addestramento offre anche corsi per ufficiali CIS e di orientamento, corsi di frequency management e un corso CIS per Paesi alleati.
Il dipartimento Supporto è responsabile del supporto logistico ed amministrativo del dipartimento Addestramento.
Il comandante della Scuola è un ufficiale italiano con il grado di colonnello o equivalente. Un esperto di telecomunicazioni gli fa da consulente tecnico. Il Training Management Office della Scuola si occupa di aspetti amministrativi come l’elaborazione del programma dei corsi annuali, i documenti per l’addestramento ed il monitoraggio delle statistiche.
La Scuola opera come sistema di istruzione e preparazione per entrambi i comandi strategici NATO. Riceve supporto amministrativo dal quartier generale dell’Allied Joint Force Command di Napoli e ricade sotto la responsabilità operativa della NATO CIS Services Agency, in stretto coordinamento con l’Allied Command Transformation. La Scuola riceve supporto dal Ministero della Difesa italiano attraverso il Reparto Addestramento dell’Aeronautica Militare Italiana a Latina, presso il quale ha sede.

NATO CIS School
04010 Borgo Piave
Latina
Tel: +39 0773 6771
Fax: +39 0773 662467

Caro Ministro, Caro Arturo

Dal sito NoDalMolin, una lettera che il commissario straordinario Paolo Costa mandò all’allora Ministro della Difesa Arturo Parisi, in cui si esprime la volontà di “eliminare alla radice le componenti locali del dissenso” nonostante poggino su “motivi ragionevoli” e “cause fondate”.

Vicenza, 17 settembre 2007

Ill.mo Signor
On. Prof. Arturo PARISI
Ministro della Difesa
Caro Ministro, Caro Arturo,
è giunto il momento di prendere decisioni definitive circa il progetto di ampliamento dell’insediamento militare americano all’aeroporto Dal Molin di Vicenza.
Sono decisioni che si possono prendere oggi sfruttando le premesse poste in questi mesi di lavoro del Commissario (e che sono amministrativamente riassunte nella determina del Direttore Generale del GENIODIFE, gen. Resce) e che devono esser prese ora per imprimere una inerzia positiva alla realizzazione del progetto ed eliminare alla radice le componenti locali del dissenso.
Sulle componenti non locali (pacifismo apolitico e antiamericanismo) occorrerà comunque intervenire con una accorta campagna di comunicazione che naturalmente non può riguardare il solo Commissario.
La tre giorni di protesta a crescente caratterizzazione no-global svoltasi da giovedì 13 a sabato 15 settembre a Vicenza, a conclusione di un presidio-campeggio “pacifista” durato dal 6 al 16 settembre, può diventare l’ultima manifestazione di un dissenso sostenuto anche localmente; ma solo se si interviene tempestivamente per togliere le cause ragionevoli, perché fondate, di questo dissenso. Mi riferisco alle preoccupazioni relative alla viabilità di accesso al nuovo insediamento militare, che avrebbe potuto aumentare i disagi di un traffico cittadino già difficile per la conformazione storica di Vicenza, e a quelle relative all’utilizzo ai fini di ampliamento della base dell’ultima grande area verde pregiata della città. Motivi ragionevoli che vanno definitivamente separati da quelli legati all’antiamericanismo, all’antimilitarismo e/o pacifismo apolitico, cioè dai motivi che nulla hanno a che fare con le caratteristiche del nuovo insediamento militare americano a Vicenza.
Dopo i mesi di relativa tranquillità, garantiti sia dall’estate sia dalla prospettiva di soluzione meno impattante fatta intravedere dal Commissario nella sua comunicazione e nei suoi atti di autorizzazione all’avanzamento del progetto, questa è oggi di nuovo a rischio per le attività del Presidio Permanente sostenuto dai movimento no-global del Nord Est, se non italiani e oltre. E’ facile prevedere che la tensione salirà non appena si darà il via al programma di bonifica bellica dell’area già contrattualizzato.
E’ questo dunque il momento per intervenire decisamente e trasformare le prospettive di soluzione, già fatte intravedere, in soluzioni certe, a utilizzare fin d’ora anche a fini di comunicazione.
Occorre poter arrivare molto presto a dire – fondatamente – che il nuovo insediamento militare americano altro non è che un riuso, con qualche espansione, della sola area ad ovest della pista di aviazione già utilizzata dall’aeronautica militare italiana e che, quindi, l’area ad est della pista, il grande prato verde che sarebbe stato distrutto dall’intervento previsto nella proposta che ha scatenato l’opposizione locale, rimane intatto. Questa affermazione, assieme a quella già acquisita che si organizza, sia in via temporanea sia in via definitiva, una accessibilità viaria che non interferisce con la viabilità normale soprattutto quella di attraversamento del centro storico di Vicenza, toglierebbe ogni motivo di opposizione ragionevole.
Se si può aggiungere, come si deve aggiungere, che Vicenza verrà ricompensata per questo suo “sacrificio” con il completamento della tangenziale a nord della città e con eventuali altri interventi in tema di università e di sanità, il pacchetto completo dovrebbe spianare la strada al progetto.
Ma occorre poter spendere tutto e subito. Continua a leggere

Vicenza: i conti non tornano

VICENZA, 26 MAG – Il carteggio relativo alla realizzazione della nuova base USA di Vicenza e’ stato reso disponibile, oggi, al Codacons. Lo ha reso noto lo stesso Codacons indicando che, da una prima visione della carte messe a disposizione dal ministero della Difesa, emergerebbero alcuni aspetti poco chiari.
Sembrerebbe, secondo quanto detto dall’associazione dei consumatori in una nota, che l’autorizzazione al progetto sia avvenuta prima della necessaria valutazione di impatto ambientale (Via). I legali del Codacons hanno chiesto inoltre di ottenere sia il progetto presentato l’11 giugno 2007, sia gli atti emessi dal Commissario governativo, dal comune di Vicenza e dall’esercito americano, oltre che il consenso del Governo.
Il ministero della Difesa – ha riferito il Codacons – ha chiesto 48 ore di tempo per consultare gli organismi superiori al fine di valutare quali documenti siano da considerare riservati e quindi non accessibili. La vicenda amministrativa avra’ un’ulteriore passaggio al Tar il 18 giugno.
(ANSA).