
“Ma perché l’idea che Preiti possa semplicemente essere un disoccupato, magari anche mentalmente instabile, non riesce proprio a convincerti?
In realtà è proprio se penso a Preiti come un disperato che i conti non tornano. Se io non avessi un lavoro e non riuscissi ad arrivare a fine mese, perché dovrei partire il giorno prima dell’attentato e pagare un pernottamento in hotel, anziché prendere il treno la mattina stessa? E poi c’è la pistola: se fossi in condizioni economiche così disastrate, la prima cosa che farei sarebbe andare a rivendere una pistola, comprata al mercato nero, che vale da sola almeno 1200 o 1300 euro. Senza contare che quella non è una pistola qualunque. Si tratta di una 7 e 65 Pietro Beretta, modello A 35, usata già nella Seconda Guerra Mondiale, e spesso data in dotazione alle forze dell’ordine. La canna è facilmente estraibile: basta aprire il carrello, e con un colpo la si fa uscire; ed è per questo che è comoda anche da sostituire, ad esempio con una calibro 9 corto. È l’arma preferita dalla ‘ndrangheta, che infatti quando vuole lasciare una firma, spara sempre con quel modello lì, anche perché di fatto non si inceppa mai. Ha un solo difetto: non è molto precisa. E questo la dice lunga sulle capacità di questo Preiti, che va bersaglio quattro volte sparando sette colpi. Un’efficienza incredibile: io con quell’arma ho sparato decine di volte, e le assicuro che non è facile andare a bersaglio con tanta precisione, soprattutto in una situazione così concitata come quella, e soprattutto per uno che dice di aver mai sparato prima.
Poco credibile, in effetti.
E non solo: Preiti sapeva perfettamente che doveva sparare da vicino, perché quel modello di Beretta non è precisa a grande distanza. E sapeva anche, o almeno sospettava, che i carabinieri dovevano avere una qualche protezione al torace, magari un giubbotto antiproiettile. E guarda caso lui ne colpisce uno al collo e uno alla gamba. Una freddezza pazzesca. Viene da chiedersi dove abbia imparato a sparare così bene. Una cosa è indubbia: se vivi a Rosarno, non puoi certo metterti ad esercitarti al tiro al bersaglio, perché è praticamente impossibile non richiamare l’attenzione di chi, su quel territorio, ha il controllo assoluto. E poi, ancora, perché, se sono incensurato, devo comprare un’arma al mercato nero, con una matricola abrasa?
Ecco, perché?
Per un solo motivo: perché so già, fin dal giorno in cui la acquisto, che quell’arma mi servirà per uccidere. Altrimenti non ha alcun senso: Preiti era incensurato, poteva benissimo ottenere il porto d’armi e comprare regolarmente una pistola, se davvero intendesse usarla per difesa personale. Anche perché niente gli avrebbe vietato di utilizzarla, un domani, per fare una rapina. I disperati fanno così. Non comprano una pistola al mercato nero, tra l’altro con la matricola abrasa.
(…)
Nelle interviste che hanno rilasciato, i familiari sembravano sinceramente sconvolti. Erano molto lontani dall’immaginario comune della tipica famiglia ‘ndranghetista.
Vero. Ma molto spesso, mi creda, quando fai quel mestiere lì, i tuoi familiari non ti conoscono affatto. Soprattutto se sei un corpo riservato. Tra l’altro sembra che lui sia uscito di casa senza il borsello con cui poi è stato ritrovato davanti a Palazzo Chigi. Dove lo ha preso? Chi glielo ha dato? Anche questo, a mio avviso, potrebbe essere un indizio importante. E poi c’è la questione della cocaina. Se davvero Preiti aveva quel vizio, è impossibile che non fosse in contatto con ambienti criminali, specialmente se pensiamo che a Rosarno le ‘ndrine controllano anche lo spaccio in maniera capillare.
In molti potrebbero accusarti di alimentare, con questa sua lettura dei fatti, il luogo comune, un po’ meschino, per cui tutti i calabresi, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con la ‘ndrangheta.
Non è assolutamente vero. La Calabria è piena di persone per bene, onesti lavoratori. E lo stesso vale per Rosarno. Ma il punto è proprio questo: nessuna persona per bene, nessuna persona che non sappia di godere della protezione della ‘ndrangheta potrebbe anche solo pensare di partire da Rosarno e fare un atto del genere. Significherebbe condannare a morte non solo se stessi, ma anche la propria famiglia.
Ma qual è il segnale che voleva lanciare la ‘ndrangheta, allora?
Difficile dirlo. Però sicuramente un messaggio è arrivato chiaro: il fatto che Preiti, subito dopo esser stato immobilizzato, ha dichiarato che aveva intenzione di far fuori un uomo delle istituzioni, significa che la ‘ndrangheta ha lanciato un segnale a tutta la politica. Secondo me, Preiti è andato diritto contro il bersaglio che aveva designato: lui voleva ammazzare i carabinieri, quella mattina. Ma è evidente che non era un segnale di odio contro le forze dell’ordine; è alla politica che era diretto, quel segnale.
Un attentato politico, quindi?
Be’, certamente dei risultati li ha ottenuti subito, visto che molti giornali hanno immediatamente collegato quell’atto col clima di odio fomentato ad arte da un certo movimentismo politico. Ma preferisco comunque non entrare direttamente in questi risvolti.
Quest’attentato arriva poche settimane dopo la lettera inviata a Nino De Matteo, nella quale si dice chiaramente che non si può mettere il Paese in mano a comici e froci. Potrebbe essere il segnale che la ‘ndrangheta, e le altre organizzazioni criminali, vogliono ottenere qualcosa dallo Stato?
Guarda, quando la ‘ndrangheta alza il tiro è sempre perché vuole arrivare ad aprire una trattativa. Che ormai è una parola abusata. Quando si parla di trattativa si pensa spesso, perché così ci hanno abituato a fare, ad un grande tavolo in cui tutti si riuniscono per prendere chissà quali accordi. In Italia la trattativa si vive ogni giorno, tra lo Stato e le mafie: è fatta spesso più di silenzi che di parole, si regge su taciti accordi. Quando si spara, di solito, è perché si vuole arrivare ad una rinegoziazione.”
Da Un piano del terrore: la ‘ndrangheta dietro a Preiti?, intervista di Valerio Valentini a Luigi Bonaventura, ex ‘ndranghetista di spicco, reggente del clan Vrenna-Bonaventura di Crotone, che dal 2006 ha deciso di collaborare con la giustizia.
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