Alto tradimento?

Premesse e retroscena della guerra di aggressione alla Libia

Se si intende portare alla luce specifica e somma delle complicità politiche e istituzionali che hanno affiancato i poteri forti del Bel Paese per regalarci una nuova guerra di aggressione, questa volta alla Jamahiriya, occorre partire dal 17 Aprile 2008 quando atterra in Sardegna, all’aeroporto di Olbia, l’Ilyushin 96-300 di Vladimir Putin.
Il premier russo arriva da Tripoli dove è stato graditissimo ospite di Gheddafi. Hanno parlato di nuovi, imponenti investimenti della Russia, di assistenza tecnica nell’estrazione di energia fossile, di concessioni petrolifere e dello sfruttamento del giacimento “Elephant“ che si sta rivelando il più gigantesco e promettente dell’intero asset della Libia, potenzialmente capace di rimpolpare da solo, per decine di anni, le già larghe capacità di esportazione di greggio del Colonnello.
L’accordo con Gheddafi prevede anche una consistentissima fornitura di armi, capaci di rendere la Jamahiriya lo Stato militarmente più forte nel continente africano dopo Egitto e Unione Sudafricana e appena qualche spanna sotto l’Algeria di Bouteflika.
La lista comprende batterie di micidiali missili antiaerei-antimissile S-300 Pm 2, gli altrettanto efficaci Thor M1-2 antiaerei-anticruise, 30-35 cacciabombardieri Sukhoi-30, un numero non precisato di carri da battaglia T-90 e un “upgrade” per T-72. Per un acquisto, iniziale, di 3.5-4 miliardi di dollari.
Fonti indipendenti accrediteranno la trattativa andata a buon fine anche nei numeri.
Con le sole dotazioni di batterie mobili di S-300 e Thor, Gheddafi avrebbe neutralizzato qualsiasi capacità della “Coalizione dei Volenterosi” di attaccare dall’aria la Jamahiriya e costretto gli USA a porre in campo, per mesi, nel Mediterraneo un grosso e dispendioso dispositivo di forze aereo-navali, mettendo peraltro in conto perdite “non sopportabili” senza ricorrere al meglio della sua tecnologia aerea come gli F-22.
Cacciabombardieri “stealth” che gli USA possiedono in un numero limitato per strikes contro “Stati canaglia” in possesso di centrali o armamento atomico come Iran, Corea del Nord e Pakistan.
Putin, in quell’occasione, assicura a Gheddafi che il pacchetto ordini sarà evaso in un arco di tempo di 4-5 anni.
Per rendere le batterie mobili pienamente operative sia a lungo raggio (120-200 km) che a breve (6- 12 Km), integrate da radar di sorveglianza e di tiro, occorrerà un bel po’ più di tempo. Addestrare dei piloti al combattimento aereo con cacciabombardieri di ultima generazione, oppure a “vedere” e “colpire” jets o missili in avvicinamento, sarà un lavoro duro.
L’addestramento del personale libico è sempre stato laborioso e spesso ha dato, in passato, risultati modesti anche con “istruttori“ italiani impegnati a far familiarizzare gli “utenti” con vettori jet ampiamente meno sofisticati di un Sukhoi-30 e di un Mig-35.
Il salto di professionalità che sarà richiesto alle forze armate libiche non potrà non essere severo.
Rafforzare l’alleanza con la Libia consentirà a Mosca di fare ottimi affari e di rientrare in gioco nel Mediterraneo centro-occidentale.
E’ un progetto che non potrà essere portato a termine. Continua a leggere

La reticenza dei post-tutto italici

I post-tutto non ci dicono, però, dove l’Italia che si apprestano a dirigere, si approvvigionerà di materia prima energetica, nè in che modo costruiranno l’indispensabile e improcrastinabile diversificazione energetica. Vedono demoni dappertutto: compreranno alla Shell, BP o Exxon?
I D’Alema e i Fini, cioè i privatizzatori all’ingrosso di ieri e quelli nuovi che si apprestano ai saldi di fine stagione, con la svendita di Finmeccanica ed ENI, non hanno nessuno scrupolo quando spediscono l’esercito italiano ad aiutare gli USA a violare i diritti umani nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan. Oltretutto, in guerre perse in partenza.
Sono spudorati nel fiancheggiamento automatico e garantito degli Stati Uniti nell’epoca della sua decadenza persino militare e della “barbarie giuridica” – si dice così La Russa o Fassino? – della legalizzazione del sequestro di persona, della tortura e dei campi di prigionia clandestini. Chissà perchè a Washington diventano ipersensibili quando i “diritti umani” sarebbero violati da nazioni esportatrici di gas e petrolio. Eccezion fatta per l’Arabia saudita ed alcuni Emirati.
Eppure la Russia e la Libia non hanno invaso nè fanno guerra a nessuna nazione. Gli scolaretti romani salgono sul pulpito della loro immaginaria superiorità etica e tuonano contro “Putin e Gheddafi”, ossia contro chi mantiene sensate relazioni con Russia e Libia.
Due paesi con cui gli USA hanno scarse relazioni, il cui boicottaggio economico è autolesionista solo per l’Unione Europea – non per la Germania che se ne impippa – e soprattutto per un’Italia totalmente dipendente energeticamente, priva di qualsiasi fonte alternativa: nucleare, eolica o di altro tipo.
Il governo in gestazione, formato da Fini, D’Alema, Draghi, Montezemolo e molti riciclati del post-comunismo e post-fascismo, si sbarazzerà delle ultime strutture nazionali in campo energetico e della meccanica strategica, e metterà mano alla liquidazione delle scuole pubbliche. Privatizzerà l’INPS, cioè la trasferirà in mani rigorosamente anglosax, perchè sono gli ultimi superstiti balocchi appetitosi dell’ex giardino d’Europa.
Lo faranno in nome della modernizzazione, del “progresso” e del sano realismo finanziario, in realtà per acquiescenza agli sponsor che li stanno aiutando in tutti i modi – leciti e no
– stabiliti nell’ultima adunanza degli innominati del Bildberg in quel di Barcellona. Privatizzazione accelerata, rafforzamento dell’EuroNATO, condiscendenza piena e “carnale” al partecipare in tutte le avventure programmate dal Pentagono. Anche nei mari caldi e nei grandi fiumi delle Americhe meridionali, a fianco della IV Flotta. “Non è vero che l’Italia spenda molto per la difesa…” ha sillabato D’Alema.

Da Italia: contro Gheddafi o contro il petrolio dalla Libia?, di Tito Pulsinelli.
[grassetto nostro]

Questo è becero complottismo!

Con la fine del 2009, anno di sconfitte strategiche per gli USA, si sta assistendo a una probabile ondata colorata nelle capitali europee: Roma, Parigi, Atene sono le prime piazze. Sicuramente altre se ne aggiungeranno: Madrid, Berlino, Bucarest; manifestazioni coloratissime che seguiranno di pari passo il tracciato dei gasdotti Southstream e Northstream, con altrettanti capetti piazzaioli che, edotti dalla famelica lettura di riviste di tecnologia bellica, decideranno dove compiere, di volta in volta, le loro prodezze antisistema: oggi a Roma, punita anche per i suoi recenti colpi di testa geopolitici. Infatti, come dice il sito statunitense di studi strategici Stratfor, in una recente valutazione della marina iraniana, ‘le Guardie Rivoluzionarie hanno esteso le loro capacità militari negli ultimi anni, grazie a navi e tecnologie provenienti dalla Cina, Corea del Nord e Italia e ora implementate su alcune delle imbarcazioni più veloci della regione. Ciò dovrebbe comportare minare lo Stretto di Hormuz e gli stretti canali di navigazione del Golfo Persico’. L’impatto ‘Sarebbe immediato e drammatico … L’effetto sui prezzi del petrolio sarebbe grave.’ L’Italia, così, si mette sotto una pessima luce, agli occhi del suo potente patron d’oltreatlantico e del suo amichetto occupante ‘Galilea e Samaria’.
Domani, già avvertono i trombettieri delle giubbe viola, toccherà a Parigi, dove Sarkozy ha deciso di vendere a Mosca alcune unità navali per operazioni anfibie, della classe ‘Mistral’.
Ovviamente i nostri ‘coloured bloc’ si affannerebbero a leggere anche cartine geografiche e quotidiani economici, con la speranza di rilevare accordi economico-commerciali tra nascenti ‘imperialismi’. Come, appunto, nel caso dei gasdotti volti a scavalcare quel muro yankee posto a oriente dell’Europa. Un muro formato dai governi filo-statunitensi del Baltico, di Polonia, Ucraina, Georgia, Albania…
Notare come in Grecia, oggi, dopo tre giorni di scontri e manifestazioni, tra i mille fermi e i 150 arresti causati delle dimostrazioni, e che il sistema mediatico atlantista definisce, certo disinteressatamente, la ‘prima rivolta locale a livello mondiale’, vi siano centinaia di giovani di 26 paesi di quattro continenti, i cui più attivi e presenti sono albanesi, seguiti da georgiani e ucraini,… poi italiani, tedeschi, finlandesi, inglesi, e… bulgari, lettoni e polacchi. Il virus rivoluzionario, anarcoide e anticapitalista ha già infettato le ex-repubbliche del Blocco Orientale? E tutti costoro, casualmente, si sono scoperti ferventi nemici del capitalismo non a casa propria, ma ad Atene. Già, Atene, altra coincidenza, la Grecia negli ultimi anni ha acquistato notevoli quantità di materiale bellico. Materiale proveniente dalla Federazione Russa: hovercraft d’assalto anfibio, blindati, cingolati e i famigerati missili S-300, venduti a Cipro, via Atene. È questo il vero motivo della presenza di albanesi, bulgari, ucraini e georgiani, cioè di tizi provenienti, casualmente, da nazioni che hanno subito le rivoluzioni colorate finanziate dalle fondazioni di Mr. Soros?
La calata dei coloured-bloc, succedanei ai black-bloc nordeuropei, è stata determinata solo dalla crisi economica che colpisce Atene, crisi causata dalle politiche neoliberiste e monetariste imposte anche dal succitato miliardario genocida George Soros? Oppure c’entra abbondantemente, anzi decisamente, il fatto che la ‘Seconda Roma’, stringendo la mano alla ‘Terza Roma’, abbia irritato i soliti notissimi circoli dominanti presenti allo SHAPE, a Bruxelles, o schierati lungo il ‘braccio di mare’ che si estende tra Londra e New York (il cosiddetto Atlantismo)?
Questo è becero complottismo! Direbbero diverse categorie di presunti ‘antimperialisti’ e di ancor più presunti ‘marxisti-leninisti’ colorati di viola e guidati da duci come il ‘Vecchio Forcone’, il ‘Giovane Forcaiolo’ e la ‘Forchetta Ululante’… Forse è così, ma rimarrebbe da spiegare l’ampia presenza per le strade di Atene di scalmanati casseur, provenienti da ‘casuali’ paesi poveri, dai servizi costosi e dai bassi redditi, quali l’Albania, l’Ucraina e la Georgia.
Una differenza salta subito agli occhi: ad Atene si testa la versione hard del tele-sovversivismo colorato, quello armato di mazze e violento. A Roma, e prossimamente a Parigi, si utilizza la versione soft, da ‘indiani-colorati-metropolitani’, da ‘società civile’, per portare avanti l’agenda dei notissimi burattinai. Le società di marketing avranno fatto le dovute ricerche, analizzando la società in cui operare, per spacciare e vendere il ribellismo sociale preconfezionato dalle ‘Ditte’ dedite alla ‘Democracy Export’. Nero black-bloc ad Atene, Viola moralista a Roma. Ma non è detto che le suddette aziende non pensino di somministrare la ricetta ateniese anche al resto dell’Europa, a quella ‘civilizzata’, mitteleuropea e occidentale. Dipenderà da quanto persisteranno il Papi, Sarkò e friends nel volere allacciare scandalosi rapporti con una Noemi da Mosca o con una Patrizia da Ankara. Rapporti non graditi presso i notissimi rotary di Washington-London-Telaviv, e ritenuti vergognosissimi presso i kiwanis salottieri di Roma, Torino e Ginevra…
Lì, sono più graditi i ‘sani’ rapporti intimi con la ‘Brenda’ di Chicago, citofonare al 1600 di Pennsylvania Avenue, o con la ‘Natalì’ che riceve al N°10 di Downing Street…
Di certo, queste professioniste ci stanno preparando, assistite dai loro pusher, magnaccia e dal gramsciano ‘popolo di scimmie’, dei ‘giochetti’ niente male per il 2010.

P.S.: Fa specie che personaggi della cosiddetta controinformazione, pretesi amici della Russia, (ma chi frequenta Gorbachov e la sua fondazione, in fondo, quanto è amico della Russia?) nonostante sappiano benissimo cosa si cela dietro le kermesse colorate, si schierino a fianco delle tele-rivolte, che possono solo sfociare in governi ‘tecnici’, pronti ad attuare riforme di strutture e politiche internazionali dettate dalla City e dal Pentagono. Tanto per essere chiari: saccheggio del risparmio delle famiglie, conservato nel sistema bancario nazionale, e abbandono di ogni accordo con il cerbero Putin-Gheddafi-Erdogan, magari sostituendo il gas di questi ’orchi’, con quello israeliano, così elegantemente sottratto a Gaza, proprio un anno fa.

Coloured-Bloc, di Alessandro Lattanzio.
[grassetto nostro]

Uno che se ne intende

kossiga

(…)
Potrebbe non bastare, c’è chi sospetta che l’intrigo abbia ormai dimensioni internazionali.
La questione è seria, ma di un’operazione del genere sarebbero capaci solo pochi Stati. Vediamo: la Francia non può essere stata perché ha bisogno dell’Italia per contrapporsi agli Stati Uniti; la Federazione russa neanche, perché Putin ha un eccellente rapporto con Berlusconi; Israele non ne avrebbe interesse, e comunque non fa operazioni di disinformazione ma solo omicidi mirati…
Dunque, non resta che…
Non resta che l’America. E’ infatti noto che Obama non ama l’Italia e non mi meraviglierei che disertasse pure il G8.
Non amare l’Italia le pare un motivo sufficiente?
Se ha ragioni concrete, sì. La principale riguarda l’evidente asse politico che lega Berlusconi a Putin e l’accordo miliardario appena sottoscritto dall’ENI con Gazprom per la costruzione di un colossale gasdotto che approvvigionerà l’Italia e l’Europa.
Iniziativa che intacca gli interessi americani?
Sì, perché rafforza Putin e penalizza fortemente il gasdotto che passa per l’Ucraina, sul quale gli Stati Uniti hanno una sorta di egemonia di fatto.
Altre ragioni di inimicizia?
Ci sono, e sono sempre legate alla politica estera ed energetica. Ne dico due: Berlusconi è amico di Gheddafi ed ha firmato un trattato in base al quale l’Italia non concederà le proprie basi militari in caso di attacco alla Libia; l’Italia, a differenza degli Stati Uniti, è interessata a mantenere buoni rapporti con l’Iran.
Insomma, abbiamo individuato il burattinaio.
Ma no, affatto. L’avremmo individuato se non fosse che Obama è un noto pacifista e se non avesse ordinato agli agenti della CIA di sospendere l’attività di intelligence per dedicarsi unicamente al gioco del golf e del baseball.

Da Ho spiegato al Premier l’intrigo contro di lui. Intervista a Cossiga: “Pesta i piedi agli USA”, di Andrea Cangini, “Il Giorno/Il Resto del Carlino/La Nazione” di sabato 30 maggio 2009.