Da quando Donald Trump è divenuto presidente degli Stati Uniti, la destra italiana si è riscoperta «sovranista», facendo intendere che vuole difendere la sovranità nazionale senza, però, specificare da chi.
Non lo può dire perché il «sovranismo» è la mera reiterazione dello slogan di Donald Trump, è quindi l’ennesima dimostrazione di sudditanza psicologica e politica della destra nei confronti dell’alleato-padrone.
Invece, la sovranità nazionale è l’obiettivo primo di quanti si propongono di restituire l’Italia agli Italiani è per raggiungerlo l’ostacolo primo da rimuovere è rappresentato dalla politica coloniale degli Stati Uniti nei nostri confronti.
Come può l’Italia riacquistare la propria sovranità nazionale?
In un modo solo: uscire dopo 73 anni dal tunnel della sconfitta militare del 1945.
Sul finire del 2018, possiamo prendere atto che la classe politica dirigente imposta dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale all’Italia sconfitta è quasi scomparsa per un fisiologico ricambio generazionale, così che diviene possibile confrontarsi con la storia nazionale post-bellica.
Non sarà agevole perché non ci sono segnali da parte della classe politica italiana della volontà di percorrere a ritroso il cammino fatto dall’Italia sotto il dominio assoluto degli Stati Uniti per comprendere che siamo ancora una colonia americana.
Si può prendere coscienza di questa amara realtà ristabilendo la verità storica su quanto è accaduto nel nostro Paese perché è dalla sua affermazione che sarà possibile, per tutti gli Italiani, riconoscere che la prima conseguenza della sconfitta militare è stata proprio la perdita della sovranità nazionale, della dignità nazionale, della libertà di tutti e di ognuno a prescindere dallo schieramento ideologico nel quale si sono trovati a militare.
La verità è una sola, senza aggettivi, perché non può esistere una verità giudiziaria, una storica, una politica.
La verità si può raggiungere sia attraverso le indagini su episodi specifici svolte dalla magistratura, sia per mezzo delle ricerche fatte dagli storici ma tocca ai dirigenti politici – i soli che ne hanno i mezzi – la decisione di aprire gli archivi segreti dello Stato e di imporre a ufficiali, funzionari, dirigenti dei vari ministeri chiave (Esteri, Difesa, Interni) e della presidenza del Consiglio di dire quello che sanno.
In questo modo si potrà leggere la storia italiana senza ricorrere ai «distinguo» che la costellano per mantenere separati i fatti come se fossero avulsi dal loro contesto.
Non si possono, difatti, presentare le stragi di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 e quella di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974, come ispirate a una logica diversa da quella di un anticomunismo che si era preposto di utilizzare ogni mezzo per bloccare la lenta ma inesorabile avanzata elettorale del PCI, ritenuto nel 1947 e nel 1974 la «quinta colonna sovietica» in Italia.
Non sarà più possibile non collegare il piano predisposto nel giugno del 1964 per una manifestazione indetta a Roma dalle forze anticomuniste, primo il Movimento Sociale Italiano, destinata a degenerare in sanguinosi incidenti per fornire ai politici del tempo il pretesto per far intervenire le Forze armate e i Carabinieri, con quello poi attuato nel mese di dicembre del 1969 che prevedeva, dopo le stragi del 12 dicembre, una manifestazione missina a Roma con l’identico fine del giugno 1964.
Sappiamo che nell’estate del 1964 fu il generale Giovanni De Lorenzo a opporsi al piano che trova implicita ma chiara conferma nelle parole dette alla moglie al rientro a casa dopo la riunione presso l’abitazione del senatore Tommaso Morlino: «Volevano fare di me un nuovo Bava Beccaris, ma non ci riusciranno».
Nel mese di dicembre del 1969 non sappiamo se, viceversa, c’era un «nuovo» Bava Beccaris perché a vietare le manifestazioni sul territorio nazionale, compresa quella indetta a Roma il 14 dicembre dal MSI, fu il presidente del Consiglio Mariano Rumor.
Sarà anche possibile, finalmente, chiedere conto all’alleato-padrone della morte del presidente dell’ENI Enrico Mattei, del sabotaggio dell’aereo «Argo 16», della morte del generale Enrico Mino, del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro, fine all’uccisione del questore Nicola Calipari.
L’affermazione della verità, pertanto, non è fine a se stessa, non è circoscritta alla conoscenza dei nomi di esecutori e mandanti, viceversa è il mezzo più idoneo per riconquistare la sovranità nazionale.
Nelle tragiche pagine della storia italiana post-bellica, difatti, non ci sono responsabilità esclusivamente nazionali ma anche – e soprattutto – internazionali.
L’adesione alla NATO è stata un’operazione liberticida e suicida da parte della classe politica dirigente perché ha vincolato il Paese a una guerra alla quale, restando neutrale, poteva evitare di prendere parte.
Non conosciamo i protocolli segreti, le intese multilaterali e bilaterali stipulate con la potenza egemone e i suoi alleati, ma sappiamo con certezza assoluta che in questo Paese hanno agito con libertà d’azione e con totale impunità tutti i servizi segreti dei Paesi occidentali e che i servizi di sicurezza italiani sono ancora mero strumento di quelli americani.
Una condizione di servaggio che nessuno osa denunciare, che nessuno chiede di modificare perché nessuno osa scrivere la storia per quella che essa è stata.
La storia in Italia non rappresenta un problema politico, non è oggetto di dibattiti parlamentari né di esami sul piano governativo che dovrebbero concludersi con provvedimenti legislativi finalizzati a rivendicare l’indipendenza del Paese.
Nell’Italia dei rinnegati al potere, abbiamo assistito perfino alla richiesta, avanzata dal governo diretto dall’ex comunista Massimo D’Alema a quello americano, di non rendere pubblici i documenti desecretati della CIA sulle elezioni politiche del 1948.
Non risulta che i governi successivi abbiano revocato la richiesta perché temono che emerga la verità sui fatti che risalgono a 70 anni fa.
Non è che un esempio, questo, di tutto quello che hanno fatto nel tempo i governi italiani contro la verità.
Non si può sperare, oggi, che si possa invertire la tendenza quando al governo siedono i rinnegati della Lega Nord complici da un trentennio di ogni infamia perpetrata contro la verità e chi se ne è fatto portatore.
I Salvini passano, l’Italia resta.
Quando l’Italia firmò a Parigi il Trattato di Pace, le campane di tutte le chiese suonarono a morto per segnalare che era un giorno di lutto nazionale.
Può ancora arrivare il giorno in cui potranno suonare a festa per dire agli italiani che hanno ritrovato libertà, indipendenza e sovranità.
Il mezzo c’è e ha un nome breve: verità.
Vincenzo Vinciguerra
nicola calipari
“Succede quando ci sono di mezzo gli Americani”
Forse non sapremo mai cosa successe quella notte. La morte di Nicola [Calipari – n.d.c.], che conoscevo da appena venti minuti e che si è sacrificato buttandosi addosso a me per salvarmi la vita, resterà uno dei tanti misteri italiani come Ustica e il Cermis. Succede quando ci sono di mezzo gli Americani.
Giuliana Sgrena
(Fonte: Gazzetta di Parma, edizione cartacea del 28 giugno 2018)
Se non ci fosse stato Regeni, se lo sarebbero dovuto inventare
“Sono settimane che ci stressano a reti e destre e pseudo sinistre unificate sul povero ragazzo trucidato dagli infami del Cairo. Perorazioni, anatemi, invenzioni fantasmagoriche di dati e fatti, illazioni gonfiate a certezze ontologiche, latrati per chiedere giustizia e che trasudano una protervia razzista da far invidia agli Uebermenschen nazisti o sionisti. Al confronto l’accanimento sugli assassini di Calipari, punito per aver liberato la Sgrena ma, soprattutto, per aver scoperto chi davvero in Iraq rapiva giornalisti scomodi, o quello sui trogloditi che si divertivano sul Cermis a trinciare cavi di funivia e fare stragi, o quello sulle punizioni da infliggere – e sulle oscene grazie napolitanesche e mattarelliane concesse – ai rapitori CIA di Abu Omar, è stata un timido sussurro, un discreto flautus vocis. Vi torna la simmetria? E’ che, una volta, dall’altra parte c’era un Al-Sisi qualsiasi, un parvenu del Terzo Mondo che si permette di pretendere trattamenti alla pari; l’altra volta invece, il padrone. Il quale detta la musica in entrambi i casi.”
Cairo-Roma: come tagliarsi le palle e vivere felici, di Fulvio Grimaldi continua qui.
Ricordate Calipari?
Riflessioni sull’uccisione dei due tecnici italiani in Libia.
La tragica vicenda – ancora misteriosa – dei due tecnici italiani ci induce a qualche riflessione in libertà, non basata su dati certi (che mancano), ma su considerazioni logiche e domande che chiunque abbia un minimo di raziocinio può porsi.
I tecnici italiani erano stati rapiti mesi fa da bande di jihadisti-criminali-mercenari (le tre cose non sono affatto in contraddizione nel panorama nordafricano e mediorientale), ritenute vicine allo Stato Islamico, nella città di Sabrata, posta a circa 60 Km ad ovest di Tripoli, verso la frontiera tunisina.
Queste bande si disputavano il territorio con le altre bande che hanno preso il potere a Tripoli (come “Alba Libica”) e Misurata, legate alla Fratellanza Musulmana e finanziate da Turchia e Qatar. Negli ultimi mesi era stata esercitata una forte pressione internazionale perché il “governo di Tobruk”, unico riconosciuto internazionalmente, di tendenze laiche e sostenuto dalle truppe del generale Haftar e dall’Egitto, si alleasse con il cosiddetto “governo di Tripoli”, formando un unico governo. Il parlamento di Tobruk ha finora rifiutato, ed anzi ha attaccato le bande jihadiste che dominavano a Bengasi (come “Ansar Al-Sharia”), potenziali alleate del “governo di Tripoli”.
Poco tempo fa aerei statunitensi partiti dall’Italia, probabilmente da Trapani o Sigonella (non si è mai detto da dove fossero partiti), hanno attaccato Sabrata uccidendo una quarantina di jihadisti. Contemporaneamente droni partiti da Sigonella hanno attaccato le posizioni dello Stato Islamico che si disputano il territorio con le bande di Tripoli e Misurata.
Possiamo immaginare quanto questi bombardamenti abbiano giovato alla faticosa trattativa che i servizi segreti italiani stavano tenacemente sviluppando per la liberazione dei nostri quattro connazionali sequestrati (ovviamente dietro pagamento di un riscatto, come già avvenuto nel caso di Giuliana Sgrena in Iraq e delle due ragazzette filo-jihadiste, Greta e Vanessa, catturate in Siria).
Ma quando sembrava che le trattative fossero finalmente andate in porto, ecco che scatta la provocazione. Le milizie dei Fratelli Musulmani, legate al “governo di Tripoli”, attaccano i jihadisti che stanno spostando gli ostaggi, presumibilmente per consegnarli ai servizi italiani. Due tecnici perdono tragicamente la vita, forse uccisi dagli stessi rapitori per rappresaglia, forse uccisi dal “fuoco amico” come i due ostaggi serbi uccisi dai bombardamenti americani (ma erano due “cattivi” Serbi: a chi interessa?).
Chi ha suggerito questa provocazione, e perché? Non possiamo dimenticare il caso del povero Calipari, ucciso in Iraq da una pattuglia dell’esercito statunitense in circostanze poco chiare (ma si sa che gli USA non gradiscono trattative con i “terroristi” fatte da altri).
Ma giungono altri segnali ancora più significativi. Poco tempo fa il Segretario di Stato Kerry ha dichiarato che un intervento militare a guida italiana contro l’ISIS in Libia (e quindi a sostegno delle bande di Tripoli e Misurata) sarebbe stato molto gradito. Oggi l’ambasciatore statunitense a Roma dichiara che il governo italiano aveva promesso un corpo di spedizione italiano di 5.000 uomini e rampogna l’Italia per le sue esitazioni. Forse l’attivismo dei concorrenti francesi che sono già scesi in campo ed hanno aiutato il governo di Tobruk a scacciare i jihadisti da Bengasi (il compenso potrebbe essere il petrolio della Cirenaica da concedere alla francese Total) ha innervosito gli USA.
Renzi e Gentiloni, dopo aver promesso interventi militari massicci, ora cercano di svincolarsi dall’abbraccio soffocante del “grande fratello” che si serve dell’Italia come della sua portaerei privata. E’ vero che il 10 febbraio è stato varato – al di fuori di qualsiasi dibattito parlamentare – un provvedimento che permette l’invio di forze militari speciali italiane, “con licenza di uccidere”, nel peggior stile dei film di 007. Ma Renzi, conscio dell’opposizione della maggior parte degli Italiani a questa nuova guerra (anche se pochi scendono in piazza rompendo il silenzio imposto dal Partito Democratico, da una TV corrotta e da una stampa venduta) cerca di liberarsi dalla trappola evitando di prendere, per ora, la decisione di un intervento più palese e massiccio.
Scattano allora i messaggi mafiosi dell’ambasciatore USA, dell’aviazione statunitense e della NATO. Ricordate Calipari?
Vincenzo Brandi
Calipari misteri irrisolti
“Gabriele Polo, già direttore del Manifesto ai tempi del sequestro Sgrena, racconta con la specifica visuale della sua redazione la vicenda della morte di Nicola Calipari del SISMI a Baghdad. Tra le molte opzioni Polo sceglie quella agiografica che non entra in nessuno (o quasi) dei nodi irrisolti delle varie inchieste e della ricostruzione ufficiale. Non c’è nemmeno un’adeguata sottolineatura delle ragioni che hanno spinto gli italiani (istituzioni e cittadini) a chiamare Calipari “eroe” e il Presidente della Repubblica a conferirgli la medaglia d’oro. L’eroismo dell’uomo che, in quei momenti, rappresentava lo Stato è consistito, non appena iniziata la sparatoria al posto di blocco sulla via dell’aeroporto, nell’avere protetto con il proprio corpo quello della Sgrena, perdendo per questo motivo la vita. Un gesto che non può essere stato istintivo, ma frutto della precisa consapevolezza dei rischi che entrambi e il capitano dei Carabinieri Andrea Carpani, alla guida, stavano correndo. Polo non risponde a nessuno dei perché che, da allora, rimangono sul tappeto. Vediamoli”.
L’articolo-recensione di Domenico Cacopardo continua qui.
La morte di Nicola Calipari
Intervento di Carlo Remeny, direttore del sito Arabmonitor, durante la conferenza “Siria: baluardo dell’antimperialismo o Stato canaglia?”.
Memento, Italia!
Caro Ministro Frattini, forse Lei non comprenderà mai, ma noi siamo amici dell’Italia. A noi non piace vedere il Suo paese umiliato, costretto a mettere in atto i diktat di una potenza in declino e di un regime criminale, solo perchè nel 1945 avete perso la guerra.
Non crediamo che rientri nella dignità del paese Italia il fatto che le decisioni vengano prese a Villa Taverna invece che a Montecitorio, al Quirinale, a Palazzo Madama, al Colle ed ecc… .
Non è bello vedere che Calipari muore solo perché “non ha ascoltato gli ordini dei padroni” e ha negoziato con i rapitori della Sgrena per poterla liberare.
Non è bello che Vicenza venga svenduta contro la volontà della sua popolazione per allargare una delle 120 basi militari americane sul vostro territorio dove vi sono, dicono i media italiani, 90 bombe atomiche.
Non è bello che le povere famiglie che hanno perso i loro cari durante la tragedia del Cermis siano rimaste senza giustizia.
L’Italia sta ricommettendo un errore storico: negli anni ’30 si mise con la potenza più forte del momento e sappiamo tutti come andò a finire; oggi si mette con la potenza più forte del momento e anche con Israele, ma vogliamo scommettere che finirà anche peggio?
Da Iran/ Italia: “Alla cortese attenzione del Ministro Frattini”.
Scarronzoni per i “pappafichi”
Per capire le motivazioni ed il significato profondo delle dichiarazioni rilasciate di recente da La Russa a Massimo Caprara sul Corriere della Sera in cui chiede una revisione del codice militare di pace attualmente cogente in Afghanistan per i militari italiani, servirà ricorrere più avanti a Wikipedia ed al “caso“ Calipari. Il nesso tra il funzionario del SISMI ucciso da un marine USA a Baghdad ed il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio morto a luglio per un esplosione che ha coinvolto il Lince su cui prestava servizio in Afghanistan, si presta a più di una similitudine.
Il Ministro della Difesa non ha detto esplicitamente di volere l’introduzione di un codice militare di guerra ma ha fatto capire che quello di pace è di intralcio. Di intralcio a chi? Ce lo faccia capire senza manfrine.
Intervistato da Sky Tg24, La Russa ha fatto sapere all’opinione pubblica del Bel Paese che serve una “terza via“ ed il dissequestro urgente disposto dalla Procura di Roma di tre, dicasi 3, Lince. Volete sapere quanti LMV “bidone“ erano in forza, a gennaio 2009, al Comando Regionale di Herat? Duecentoquarantanove (249). Proprio così. Avete letto giusto.
In Italia, come abbiamo già detto, a disposizione delle Forze Armate ce ne sono la bellezza di 1.270. Con un C-130, in otto-dieci ore, se ne possono far arrivare ad Herat due. Perdiamo efficienza sul terreno avendone operativi da quelle parti 246 anziché 249? Macchè. E allora?
Dal 2002 al 2009, abbiamo movimentato Italia-Afghanistan e ritorno 29.000 tonnellate di logistica e materiali militari; 15, all’ingrosso, in più per rimpiazzare i LMV distrutti che differenza fanno? Semplicemente nessuna.
Il nostro signor Auricchio, quello “piccante“, nasconde altri obbiettivi, anche economici, che potrebbero danneggiare la FIAT Iveco? Non è affatto escluso, anzi, a dirla tutta…
A ben vedere potrebbero esserci profili penali. Che la FIAT Iveco possa vendere ad Inghilterra, Belgio, Croazia, Spagna, Repubblica Ceca, Slovacchia ed Austria degli scarronzoni ed a che costo unitario non è affare che riguarda la Procura di Roma, ma se i Lince rappresentano un pericolo per l’incolumità dei militari italiani la magistratura ha pieni titoli per accertarne i limiti operativi e la pericolosità per chi li ha in dotazione.
O no?
Se la magistratura lo dovesse accertare, gli affaroni della famiglia Elkann subirebbero una battuta d’arresto. E’ questo che non si vuole? A naso sembrerebbe proprio di sì.
La Russa e Cossiga (Giuseppe, figlio di Francesco) sono del mazzo? Mai dire mai. L’ ISTRID non lavora forse per lobby?
Il ministrone auspica, inoltre, un nuovo codice che non sia di pace né di guerra, da rimaneggiare, per azzerare – questo lo diciamo noi con la certezza che questa sia la finalità che si prefigge di raggiungere il Governo – i poteri di indagine della magistratura italiana nel Paese delle Montagne.
Governo e Difesa non tollerano, di fatto, occhi indiscreti sulla “missione di pace“? La risposta anche in questo caso è affermativa. Vogliono conquistarsi forse gli stessi poteri di veto che servirono al Ministro della Giustizia dell’amministrazione Bush per mettere a pagliolo le rogatorie internazionali dei pm Franco Ionta e Pietro Saviotti?
Angelino Alfano non ha forse annunciato che, a settembre, prenderà il via il ridimensionamento per legge dei poteri di indagine della magistratura inquirente? La Russa è uno dei colonnelli di Berlusconi. Allineato e coperto.
Facciamo ora entrare in campo l’enciclopedia abbastanza “libera“ del web, la più affermata e conosciuta per la distribuzione di contenuti su internet, per quel che riguarda il funzionaro del SISMI ucciso dal marine Mario Lozano.
“ …negli Stati Uniti è stata istituita una commissione d’inchiesta ai cui lavori sono stati ammessi osservatori italiani (nessun inquirente legale – nda) nominati dal Governo in carica di centrodestra. In Italia la magistratura ha incontrato impedimenti e difficoltà (eufemismo – nda) nelle svolgimento degli accertamenti a causa del particolare status in cui si sono svolti i fatti che risultava essere territorio dell’Iraq sottoposto a controllo del codice militare USA ed a sovranità, di fatto, assegnata al Segretario alla Difesa; negato anche il permesso di far analizzare a magistrati e tecnici della polizia scientifica italiana il veicolo su cui viaggiava Calipari. I giudici italiani hanno dovuto attendere la conclusione dell’inchiesta USA. Il diniego motivato da esigenze di natura militare ha di fatto provocato lo scadimento del valore probatorio del reperto (leggasi manomissione intenzionale della Toyota Corolla – nda).”
La Procura di Roma dopo la morte del mitragliere Di Lisio ha sequestrato tre Lince per capire come stavano le cose.
Il 9 agosto, il Cocer Esercito ha chiesto per bocca del generale Domenico Rossi – mai fidarsi degli altri gradi! -che i magistrati della Procura di Roma facciano con urgenza sopralluoghi in Afghanistan e tolgano i “sigilli“, senza cercare il pelo nell’uovo. Bel sindacalista, questo signore! Anche lui, come la Russa, chiede un intervento urgente di dissequestro degli Iveco perché servono i “pezzi di ricambio“.
Si potrebbe fare, volendo, le pulci anche a lui.
La sicurezza chi ci sta dentro interessa o no a questo signore? Sembrerebbe poco o nulla. Brunetta il nano cattivo ha previsto di tagliare dall’organico dell’Esercito 50.000 militari definendoli con disprezzo “pappafichi” e “pancioni in esubero”. La guerra della Repubblica Italiana delle Banane in Afghanistan costa sempre di più.
Quanto?
Ne riparleremo.
Giancarlo Chetoni
Nervosismo italiano in Afghanistan
La notizia dell’uccisione di una bambina e del ferimento dei suoi parenti, da parte di soldati italiani in Afghanistan, ci riempie di dolore e ci fa istintivamente condannare l’accaduto, attribuendo esso alla reiterazione della volontà dei governi italiani a mantenere truppe in quel teatro di guerra, pur sapendo che esse vanno incontro sempre più a rischi per se stessi oltre che al ripetersi di deprecabili incidenti come quello accaduto.
Le circostanze del fatto, così come sono state spiegate dai portavoci militari italiani, squarciano parzialmente il velo di silenzioso riserbo che ultimamente è caduto sulla nostra presenza militare in Afghanistan e sulla ulteriore decisione di rafforzare, anche su richiesta del presidente USA Obama il nostro contingente militare.
“… Più aerei, più mezzi più uomini, sperando che questo serva a dare quel colpo di grazia alla guerriglia talebana più intransigente e cercando la collaborazione dei talebani moderati, ovvero i signori dell’oppio più malleabili all’odore dei dollari.”…
Purtroppo nel frattempo la situazione sul campo è tesissima, se dobbiamo vederla analizzando quanto è successo oggi e i nervi, anche per i soldati più esperti, sono a fior di pelle.
Se a soli quattro chilometri del campo militare più importante della zona di Herat, tre mezzi militari potentemente armati e blindati vedendo arrivare, anche se a velocità sostenuta, sulla sua naturale corsia di marcia una macchina, si son sentiti tanto minacciati per porre in essere manovre quali quelle che hanno poi portato al tragico incidente, dobbiamo dire che la situazione anche per noi italiani è molto grave e dà troppo l’impressione di reazione da contingente assediato, per lo meno psicologicamente.
Le circostanze ci ricordano amaramente un altro incidente, quello in cui furono coinvolti l’agente dei servizi Calipari e l’inviata del Manifesto qualche anno fa, a Baghdad.
Anche lì si parlò di velocità sostenuta dell’auto italiana, che il marine aveva fatto i segnali luminosi atti a far segnalare l’alt alla macchina dei Servizi italiana , che il marine avesse sparato in aria e poi solo una piccola raffica e che l’autista dell’auto non si era voluto ostinatamente fermare se non dopo il fattaccio.
(…)
La cosa più grave è poi il fatto che ben tre mezzi dopo aver fatto fuoco contro un’automobile sospetta, se la siano svignata senza curarsi di sapere che cosa avevano combinato o neanche provare ad inseguire probabili terroristi che avrebbero potuto fare qualche macello contro altri colleghi e che solo in seguito hanno saputo che ben diversi erano gli occupanti dell’auto sospetti, beh… questa suona proprio come la balla raccontata dal marine Lozano sulla strada dell’aeroporto di Baghdad!
Quale sarà la naturale conclusione delle inchieste aperte sul caso?
Due sono le possibili soluzioni:
1) i soldati che hanno fatto fuoco così prontamente ed efficacemente come da disposizioni ricevute avranno un encomio;
2) il responsabile della pattuglia, i diretti superiori, generali compresi, che hanno impartito le regole d’ingaggio tali da portare a questo incidente, dovranno essere tutti processati non lasciando solo o soli coloro che hanno materialmente premuto il grilletto.
L’esperienza c’insegna che la prima soluzione sarà in pole position per il verdetto finale.
Da Il ferimento della bambina afgana e il caso Calipari, di Antonio Camuso.