“Le cosiddette indagini sul disastro MH-17 rappresentano un caso di studio, anche se uno abbastanza rozzo a causa dei rozzi metodi di guerra dell’informazione dell’Ucraina. Ma è evidente che quasi tutte le “prove” che coinvolgono la Russia o gli insorti della Novorussia sono state preparate dai servizi segreti ucraini, poi riciclate attraverso i social media, prima di essere presentate ai pubblici occidentali come la verità, l’unica verità, e nient’altro che la verità.”
(Fonte)
olanda
La bomba è autorizzata
La B61-12, la nuova bomba nucleare USA destinata a sostituire la B-61 schierata in Italia e altri Paesi europei, è stata «ufficialmente autorizzata» dalla National Nuclear Security Administration (NNSA), l’agenzia del Dipartimento dell’Energia addetta a «rafforzare la sicurezza nazionale attraverso l’applicazione militare della scienza nucleare».
Dopo quattro anni di progettazione e sperimentazione, la NNSA ha dato luce verde alla fase di ingegnerizzazione che prepara la produzione in serie.
I molti componenti della B61-12 vengono progettati e testati nei laboratori nazionali di Los Alamos e Albuquerque (Nuovo Messico), di Livermore (California), e prodotti (utilizzando in parte quelli della B-61) in una serie di impianti in Missouri, Texas, Carolina del sud, Tennessee. Si aggiunge a questi la sezione di coda per la guida di precisione, fornita dalla Boeing. Le B61-12, il cui costo è previsto in 8-12 miliardi di dollari per 400-500 bombe, cominceranno ad essere fabbricate in serie nell’anno fiscale 2020, che inizia il 1° ottobre 2019. Da allora cominceranno ad essere sostituite alle B-61.
Secondo le stime della Federazione degli scienziati americani (Fas), gli USA mantengono oggi 70 bombe nucleari B-61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180.
Nessuno sa però con esattezza quante effettivamente siano: ad Aviano ci sono 18 bunker in grado di stoccarne oltre 70. In questa base e a Ghedi sono già state effettuate modifiche, come mostrano foto satellitari pubblicate dalla Fas. Analoghi preparativi sono in corso nelle altre basi in Europa e Turchia.
La NNSA conferma ufficialmente che la B61-12, definita «elemento fondamentale della triade nucleare USA» (terrestre, navale e aerea), sostituirà le attuali B61-3, -4, -7 e -10. Conferma quindi quanto abbiamo già documentato.
La B61-12 non è una semplice versione ammodernata della precedente, ma una nuova arma: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, con una potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima; un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un attacco nucleare di sorpresa.
Le nuove bombe, che gli USA si preparano a installare in Italia e altri Paesi europei nel quadro della escalation contro la Russia, sono armi che abbassano la soglia nucleare, ossia rendono più probabile il lancio di un attacco nucleare.
La 31st Fighter Wing, la squadriglia di cacciabombardieri USA F-16 dislocata ad Aviano, è pronta all’attacco nucleare ventiquattr’ore su ventiquattro.
Anche piloti italiani, dimostra la Fas, vengono addestrati all’attacco nucleare sotto comando USA con i cacciabombardieri Tornado schierati a Ghedi.
In attesa che arrivino anche all’aeronautica italiana i caccia F-35 nei quali, annuncia la U.S. Air Force, «sarà integrata la B61-12». La prima squadriglia di F-35, di stanza nella base Hill nello Utah, è stata ufficialmente dichiarata «combat ready» (pronta al combattimento).
La U.S. Air Force dice di non prevedere quando la squadriglia di F-35 sarà «combat proven» (provata in combattimento), ma che è «probabile un suo schieramento oltremare agli inizi del 2017».
La ministra Pinotti spera che venga schierata in Italia, già «scelta» dagli USA per l’installazione del MUOS che «avrebbero voluto altre nazioni».
Con le B61-12, gli F-35 e il MUOS sul proprio territorio, l’Italia sarà anche scelta, dal Paese attaccato, quale bersaglio prioritario della rappresaglia nucleare.
Manlio Dinucci
Nuove bombe nucleari USA per la Germania
A partire dalla seconda metà del 2015, l’aviazione statunitense si appresta a trasferire nuove testate nucleari B-61 presso la base militare di Buchel, secondo il canale televisivo tedesco ZDF.
La base, situata nella regione della Renania-Palatinato nella Germania occidentale, ospita i caccia multiruolo Panavia Tornado dell’aviazione tedesca capaci di trasportare le testate nuclari USA che vi sono conservate. A partire dal 2007, quando sono state rimosse le testate conservate nella base di Ramstein, quella di Buchel è rimasta l’unica base in territorio tedesco dove siano presenti testate nucleari statunitensi, 20 per la precisione.
Il nuovo modello di testata B-61, n. 12, sarà tecnologicamente più avanzato rispetto ai modelli n. 3 e n. 4 attualmente dislocati in Europa; oltre che in Germania, anche in Belgio, Olanda, Turchia ed Italia, che peraltro è l’unico Paese nel continente ad ospitare due basi nucleari (Aviano e Ghedi) e quello con il maggior numero di testate USA dislocate sul proprio territorio.
Il canale televisivo ZDF cita al proposito dei documenti di bilancio di provenienza statunitense che indicano un finanziamento per il futuro stoccaggio delle B-61 mod. 12 e l’ammodernamento dei caccia Tornado incaricati di trasportarle. La fonte ricorda che, nel 2010, il Parlamento tedesco aveva invitato il governo di Angela Merkel ad agire affinché le testate nucleari USA presenti in Germania fossero rimosse, una misura che avrebbe goduto e godrebbe tuttora di ampio sostegno popolare.
D’altro canto, nei piani del governo tedesco c’era anche l’intenzione di ritirare dal servizio la propria flotta di Tornado, senza pensare a sostituirli con altri velivoli in grado di trasportare le testate nucleari. Infatti, i costosi e contestati F-35 sono capaci di assolvere questo compito ma la Germania ha deciso di non acquistarli, scegliendo l’Eurofighter Typhoon quale successore dei Tornado. Nel 2012, altresì, il Berliner Zeitung aveva riferito che il governo tedesco avrebbe deciso senza clamori di mantenere operativi alcuni Tornado sino al 2024.
Le testate B-61 mod. 12 saranno più precise e meno distruttive rispetto alle precedenti, con il rischio che i responsabili militari e politici siano più tentati di utilizzarle, il che potrebbe avere serie ed imprevedibili conseguenze per la sicurezza globale, affermano gli analisti.
L’ex funzionario del ministero della Difesa tedesco Willy Wimmer ha detto che la decisione di ammodernare l’arsenale nucleare di stanza alla base di Buchel conferisce alla NATO “nuove opzioni di attacco contro la Russia” e costituisce “una consapevole provocazione dei nostri vicini russi”.
Dal canto suo, Mosca non ha cessato di tenere in considerazione la presenza di bombe nucleari USA in Europa quando lo scorso anno ha proceduto a riformulare la propria dottrina militare. La Russia rivolge le proprie critiche all’intero programma di condivisione nucleare tra Stati Uniti ed Europa, affermando che esso tradisce lo spirito del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare il quale proibisce il trasferimento di armamenti atomici agli Stati denuclearizzati, mentre Washington sostiene che il Trattato non vieta di mantenere testate in Europa a patto che esse rimangano sotto il controllo delle truppe statunitensi, inviate allo scopo. La preoccupazione russa deriva anche dal fatto che gli Stati Uniti addestrano altresì militari dei Paesi europei, inclusi quelli che non ospitano testate nucleari USA, ad impiegarle. Una situazione, quella dell’uso congiunto delle testate in ambito NATO, che sarebbe una violazione diretta dei primi due articoli del Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, configurando un’anormalità che dura da oltre quaranta anni e che per la Russia non sarebbe più accettabile. Tanto probabilmente da spingere Mosca a prendere adeguate contromisure per ripristinare l’equilibrio strategico in Europa, particolarmente attraverso il rafforzamento delle sue difese nell’enclave di Kaliningrad e in Crimea.
Non mancheranno certo gli argomenti di discussione nel faccia a faccia odierno tra Obama e Putin, previsto a New York.
Federico Roberti
50 anni di testate nucleari yankee a Ghedi. Per immagini
Per approfondire:
il resoconto della cerimonia per i 50 anni di “collaborazione” e “amicizia” fra Italia e Stati Uniti, celebrata presso la base di Ghedi (BS) lo scorso 31 Gennaio 2014, che ha coinvolto il personale del 6° Stormo dell’Aeronautica Militare Italiana e i circa 130 membri del 704° Munitions Support Squadron (MUNSS) dell’U.S. Air Force, ivi dislocati per curare la manutenzione delle testate nucleari statunitensi B-61.
Secondo le fonti più aggiornate, esse sono presenti in quantità non inferiore alle 20 unità, aggiungendosi alle 50 immagazzinate presso la base di Aviano (PN).
L’Italia ha quindi “l’onore” di essere il Paese NATO con il maggior numero di testate nucleari USA dislocate sul proprio territorio, un totale di 70 testate delle 180 ancora presenti in Europa (le rimanenti si trovano in Belgio, presso la base di Kleine Brogel; in Germania, a Buchel; in Olanda, a Volkel; infine in Turchia, presso la base di Incirlik).
L’Italia, altresì, è l’unico Paese in Europa con due basi nucleari.
L’F-35 va alla deriva
Ad Aprile 2009, titolando “L’F-35 è “invisibile”? No, è un bel bidone!“, demmo un conto, molto sommario, delle motivazioni tecniche che avrebbero impedito al cacciabombardiere Joint Strike Fighter Lightning II della Lockheed Martin, propagandato come “stealth“, di diventare un vettore con una penetrazione di mercato in linea con quella ottenuta dal suo diretto predecessore: l’F-16 Fighting Falcon della General Dynamics. Entrato in servizio nell’Agosto del 1978 con l’US Air Force e successivamente adottato da 26 Paesi con un numero di esemplari prodotto in numero superiore a 4.500 unità in dieci versioni successive, si distinguerà per longevità operativa, flessibilità di impiego ed efficienza bellica.
L’ultimo lotto di cento F-16I è stato consegnato ad “Israele“ che riceve a titolo gratuito, come si sa, annualmente 2.850 milioni di dollari di materiale militare USA.
Con “residuati accantonati“ Washington sta inoltre cedendo al Pakistan con eguali modalità 18 F-16 C/D per tentare di alleggerire l’appoggio della potente Inter Services Intelligence (ISI) alle formazioni pashtun nel conflitto che coinvolge ISAF ed Enduring Freedom nel pantano dell’Afghanistan.
Donazione finalizzata anche a contrastare la crescente influenza politica e militare di Pechino nell’area asiatica e l’opzione per l’acquisto fatta dall’ex Presidente Musharraf di 36 cacciabombardieri J-10 Chengdu (made in China) e la licenza di fabbricazione del caccia JF-17 Thunder. Una verità tenuta rigorosamente nascosta nell’intento di favorire Benazir Bhutto, sponsorizzata da Bush nella scalata alla presidenza del Pakistan, danneggiando l’allora Capo dello Stato, presentato dalla stampa occidentale, al contrario, come un lacchè della Casa Bianca.
Una scelta – quella di acquistare i J-10 Chengdu – che segnala, meglio di qualche resoconto giornalistico che riporta la dizione Af-Pak, il nuovo corso imboccato da Islamabad nei suoi rapporti con la (ex) Potenza Globale.
Le attuali continue violazioni dello spazio aereo del Pakistan con gli UAV Predator, i bombardamenti “mirati“, gli inseguimenti a caldo di pattuglie di rangers e marines nelle Regioni Autonome per catturare od eliminare nuclei appartenenti ad “Al Qaeda“ ed il ripetersi di continui, gravi “incidenti“ di confine, stanno lì a dimostrare il crescente gelo che è calato tra gli Stati Uniti ed il suo ex alleato durante l’occupazione russa del Paese delle Montagne.
Le recentissime rivelazioni di Wikileaks sulle pressioni esercitate dagli Stati Uniti per costringere il Pakistan a rinunciare al suo armamento nucleare od in subordine a chiudere le centrali di produzione del plutonio di cui dispone, per evitare fughe di tecnologia atomica nella Regione, sono il sintomo, se ce ne fosse bisogno, del crescente stato di tensione che si va manifestando tra Washington ed Islamabad.
Nel mese di Ottobre scorso, il Pakistan ha concesso l’uso del suo spazio aereo ad una formazione di Sukhoi-27 e Mig-29 di Pechino per raggiungere la Turchia via Iran, dopo che il governo di Ankara ha annullato la partecipazione USA alle esercitazioni “Aquila dell’Anatolia“.
Per la prima volta, velivoli militari della Repubblica Popolare di Cina hanno raggiunto il Vicino Oriente atterrando nella base di Konyia alla presenza di un rappresentante del governo Erdogan, dopo essersi riforniti in Iran presso la base di Gayem al Mohammad nel Khorassan (posizionata a 55 km di distanza da Herat), accolta dal generale comandante dell’aviazione iraniana Ahmad Mighani.
In quell’occasione, è circolata con insistenza la notizia che durante il trasferimento Cina-Turchia le squadriglie del Dragone abbiano lasciato sull’aeroporto militare dell’Iran due cacciabombardieri J-10 Chengdu, i cui piloti sarebbero stati rimpatriati su un cargo in partenza dal porto di Bandar Abbas con destinazione Shangai, per mandare un chiarissimo segnale politico agli USA sull’intenzione della Cina di mantenere ottimi rapporti politici, economici e militari con Teheran, aprendo contemporaneamente alla Turchia con cui ha stretto un’intesa per raggiungere nel corso di cinque anni un interscambio di 110 miliardi (in dollari, per ora) con pagamenti nelle rispettive valute. Decisione già adottata, tra l’altro, da due colossi dell’America indiolatina (Brasile-Argentina) e dell’Asia (Russia-Cina) per sostituire la moneta americana come unico riferimento di scambio nelle transazioni internazionali.
Accordi che limano un po’ alla volta l’influenza USA a livello planetario e ne aggravano la crisi politica e finanziaria. Persa ogni capacità di ingerenza per Washington anche in Libano, dopo la visita del primo ministro Hariri a Damasco ed a Teheran, viaggio che mette alla berlina il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e l’Europa a 27.
La visita di Erdogan nelle stesse capitali ha aperto un altro fronte nella politica estera di Washington, dopo le rivelazioni sugli aiuti che l’Amministrazione Bush ha offerto al PKK e che quella di Obama conferma con Biden per la creazione, al momento giudicato idoneo, di una repubblica separata dall’Iraq, allargata a territori attualmente appartenenti a Siria, Iran e Turchia: il “grande Kurdistan”.
D’intesa con il presidente Assad, Ankara ha inoltre sminato i confini di Stato tra Turchia e Siria, rafforzato le relazioni bilaterali a livello politico, commerciale e culturale con Damasco. Il terreno di confine liberato dall’esplosivo è stato assegnato ad una società mista turco-siriana per la piantumazione di ulivi e la produzione e la commercializzazione di prodotti agricoli. Un altro “messaggio“ fatto recapitare questa volta ad “Israele“.
Qualche flash, così a caso, in questo quadrante del mondo, tanto per non farci sommergere da dosi massicce di informazione spazzatura o da secchiate di cloroformio al “delitto di Avetrana“.
E ora l’argomento che ci interessa: l’F-35. Continua a leggere
Umar Farouk Abdulmutallab, bombarolo non per caso
All’attentatore natalizio di Detroit è stato volutamente e deliberatamente consentito di mantenere il suo visto d’ingresso in USA in conseguenza di un lasciapassare di sicurezza nazionale emanato da una sinora sconosciuta agenzia USA dell’intelligence o delle forze dell’ordine con l’obiettivo di bloccare la revoca di tale visto prevista dal Dipartimento di Stato.
Questo emerge dalle audizioni svoltesi il 27 gennaio davanti alla Commissione per la sicurezza Nazionale alla Camera, in particolare dalla testimonianza di Patrick F. Kennedy, Sottosegretario di Stato per il Management. La traballante versione ufficiale del governo USA sull’incidente del 25 dicembre a Detroit causato dal mutanda-bomber, maldestramente assemblata nel corso dell’ultimo mese e mezzo, ora è completamente crollata, e gli elementi chiave della rete canaglia che fomenta il terrorismo all’interno di agenzie e dipartimenti USA si presentano insolitamente vulnerabili nei confronti di una campagna di rivelazioni che sia risoluta.
Questi sviluppi confermano nettamente l’analisi fornita da chi scrive in un’intervista televisiva del 28 dicembre 2009 su Russia Today.
In tale occasione, la mia valutazione era che Mutallab fosse un capro espiatorio protetto, utilizzato da elementi canaglia della comunità dell’intelligence USA per la deliberata e intenzionale creazione di un incidente di alto profilo mirante a ottenere un effetto politico su grande scala. Il 4 gennaio, Richard Wolffe ha riferito nel corso del programma Countdown della MSNBC che la Casa Bianca di Obama stava indagando se per caso l’incidente di Detroit di Natale fosse stato “intenzionalmente” creato da una rete di intelligence con un’«agenda alternativa».
È stato in questo reportage che Wolffe ha posto l’alternativa «pasticcio oppure cospirazione.» Purtroppo, Obama il 5 gennaio ha optato per la versione raffazzonata.
Sulla base di quanto era già noto pochi giorni dopo l’incidente, era chiaro che le normali procedure di screening e sorveglianza siano state rigettate e interrotte in modo da consentire al giovane patsy nigeriano Omar Farouk Abdulmutallab di imbarcarsi nel suo volo da Amsterdam (Paesi Bassi) a Detroit. Il padre di Mutallab, un ricco, ben noto, ed eminente banchiere nigeriano si era recato presso l’ambasciata degli Stati Uniti nel suo paese per avvertire formalmente un funzionario del Dipartimento di Stato, nonché un rappresentante della CIA sul fatto che suo figlio si trovava in Yemen e con tutte le probabilità intendeva accordarsi con i terroristi.
In circostanze normali, questo rapporto da solo sarebbe stato più che sufficiente per far revocare il visto statunitense di Mutallab nello stesso modo in cui gli era già stato negato l’ingresso in Gran Bretagna. Sarebbe stato anche di norma collocato sulla no-fly list, creando in tal modo due ostacoli insormontabili per poter salire sul volo destinato a Detroit e volar via fino a provocare un incidente che ha causato diverse settimane di isteria collettiva in questo paese, insieme alle richieste di body scanner negli aeroporti.
Inoltre, la comunità di intelligence USA aveva rapporti che riferivano che un nigeriano si stava addestrando con la presunta “al-Qa’ida nella penisola arabica” nello Yemen. Obama aveva convocato una riunione il 22 dicembre con i massimi funzionari di CIA, FBI e Dipartimento della Homeland Security per via delle relazioni su un imminente attacco terroristico durante le vacanze di Natale.
Il 27 gennaio le audizioni della Commissione per la Sicurezza Nazionale alla Camera sono state rivolte anche a Michael Leiter, il direttore assente ingiustificato del Centro Nazionale per il Controterrorismo, insieme a Jane Holl Lute, la direttrice della Homeland Security, che è stata delegata al posto della Segretaria della Homeland Security, Janet Napolitano, che ha boicottato le audizioni.
Ma la testimonianza importante è venuta da Kennedy, le cui responsabilità comprendono i Servizi consolari, e quindi i visti.
(…)
L’articolo di Webster G. Tarpley continua qui.
[grassetto nostro]
A ciascuno la sua (bomba nucleare)
“Testate nucleari? No grazie”.
Per la prima volta, alcuni paesi europei dell’Alleanza Atlantica starebbero prendendo seriamente in considerazione di chiedere agli Stati Uniti d’America di rimuovere l’arsenale nucleare ospitato nel vecchio continente.
La notizia è stata pubblicata da alcune testate giornalistiche tedesche e francesi.
Più precisamente, Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia sarebbero intenzionate a porre la questione all’ordine del giorno del prossimo summit NATO previsto per il mese di novembre 2010.
Il quotidiano “Der Spiegel” aggiunge che i ministri degli esteri dei cinque paesi avrebbero già inviato una richiesta in merito al segretario generale della NATO, Fogh Rasmussen, mentre sarebbero stati attivati i canali diplomatici per invitare altri alleati europei ad aderire alla richiesta di denuclearizzazione. Sempre per “Der Spiegel”, il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle avrebbe già richiesto agli Stati Uniti la rimozione di 20 testate nucleari dalla Germania.
L’agenzia France Presse, da parte sua, scrive che alcuni importanti esponenti politici del Belgio starebbero sostenendo la richiesta “No Nukes” presso il quartier generale NATO di Bruxelles, anche se il portavoce del ministero degli esteri belga, Bart Ouvery, ha dichiarato in un’intervista che “non è comunque in discussione la rimozione immediata di tutte le armi nucleari esistenti”. L’ipotesi di riduzione riguarderà inoltre solo le armi nucleari di proprietà degli Stati Uniti, mentre Francia e Gran Bretagna manterrebbero inalterati i loro arsenali di morte.
L’esistenza di contatti tra gli USA e i partner europei per un possibile smantellamento parziale delle testate ospitate nel vecchio continente è stata confermata dal “New York Times”; secondo il quotidiano, l’amministrazione Obama starebbe per completare una “Revisione dei piani di guerra nucleari” che “potrebbe potenzialmente condurre ad un cambiamento della politica USA”. Per Sharon Squassoni, ricercatore del Center for Strategic and International Studies, è tuttavia difficile prevedere oggi come Washington potrebbe reagire ad una formale richiesta degli alleati NATO di rimozione delle armi nucleari dall’Europa.
(…)
Date le posizioni esasperatamente filo-nucleari del governo italiano è però impensabile che Berlusconi, Frattini e La Russa possano prendere sul serio la proposta di denuclearizzazione parziale di Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia. A complicare le cose c’è poi l’articolato programma di potenziamento delle infrastrutture in atto all’interno della base di Aviano.
Per l’anno fiscale 2011, l’US Air Force ha richiesto al Congresso lo stanziamento di 19 milioni di dollari per costruire tre nuovi edifici che ospiteranno 114 abitazioni per il personale di stanza nella base. Essi dovrebbero sorgere accanto alle sei palazzine esistenti nella cosiddetta Area 1 dove sono concentrate le unità abitative, l’ospedale militare e le scuole per i figli del personale USA.
(…)
Da Cinque paesi NATO contro le armi nucleari USA. Ma non l’Italia, di Antonio Mazzeo.
L’eredità di Jaap
Il Segretario Generale uscente della NATO, l’olandese Jaap De Hoop Scheffer, è in procinto di lasciare il posto ad Anders Fogh Rasmussen, che si è dimesso da Primo Ministro danese per subentrare nell’incarico il prossimo 1 agosto.
Durante le ultime settimane, De Hoop Scheffer ha tributato una serie di visite d’addio nei Paesi membri NATO di recente acquisizione (Bulgaria, Romania, Slovenia, Albania e Croazia) e presso altri che sono tuttora sulla soglia di ingresso (Macedonia e Finlandia). Durante il suo mandato quale rappresentante dell’unico blocco militare esistente nel mondo, la NATO ha ingrossato le proprie file con 9 nuovi Stati (oltre a quelli citati appena sopra, anche le tre repubbliche baltiche e la Slovacchia), pari a tre quarti dei Paesi fondatori sessant’anni fa.
Tutte le nuove acquisizioni sono in Europa orientale, tre confinano con la Russia e due terzi di esse erano precedentemente parte dei tre Paesi multietnici dell’Europa (e nei primi due casi, anche multiconfessionali) disgregatisi nel periodo 1991-1993: Unione Sovietica, Jugoslavia e Cecoslovacchia. I bocconi piccoli sono più facili da ingoiare.
In coerenza con ciò, lo scorso 9 maggio De Hoop Scheffer ha reso pubblica la propria soddisfazione circa il fatto delle nove adesioni realizzatesi durante il suo mandato, auspicando che la Macedonia diventi presto la decima, una volta che sia risolto il contenzioso in corso con la Grecia sul nome da assegnare costituzionalmente all’ex territorio jugoslavo.
Si tenga presente che il fattore determinante nella designazione di De Hoop Scheffer quale Segretario Generale della NATO fu il suo sostegno all’invasione dell’Iraq quando era Ministro degli Esteri dell’Olanda ed il suo impegno per il dispiegamento di truppe olandesi in quel Paese. Il suo successore, Rasmussen, ha svolto un ruolo simile come capo del governo in Danimarca a partire dal 2003.
Si noti, inoltre, che tutte le nove nazioni che De Hoop Scheffer ha contribuito a portare dentro la NATO hanno inviato i propri soldati sia in Iraq che in Afghanistan, in diversi casi prima del loro ingresso nell’Alleanza Atlantica e come precondizione per l’adesione alla stessa.
E’ stato sempre durante il suo mandato che la NATO ha lanciato l’Iniziativa per la Cooperazione di Istanbul, per aumentare la cooperazione e il dislocamento di militari con gli Stati partecipanti al Dialogo Mediterraneo (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia) ed alla Cooperazione del Golfo (Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), rafforzando così la presa dell’alleanza dalla costa atlantica dell’Africa al Golfo Persico.
Il suo canto del cigno è rappresentato dal consolidamento dell’integrazione militare di quella zona dell’Europa sudorientale dove, al termine della Guerra Fredda, iniziò l’espansione della NATO: i Balcani. Quale sia il grado di sovranità dei nuovi membri dell’alleanza e degli attuali canditati ad entrarvi, è ben delineato dalla notizia di stampa dello scorso 7 maggio secondo cui il governo albanese sta svolgendo negoziati con la NATO affinché essa prenda pieno controllo dello spazio aereo dell’Albania.
Al che, viene in mente la favola di Esopo del lupo che si offre di liberare la pecora dalla rude guida del cane pastore.
Il primo contratto per l’F-35
Il primo contratto per la produzione delle ali del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter (JSF), firmato da Robert Bolz per Lockheed Martin e Giancarlo Anselmino per Alenia Aeronautica, vale 15 milioni di dollari, mentre nessun dettaglio è giunto finora sugli altri sviluppi italiani del programma.
L’aeronautica e la marina italiane pianificano al momento l’acquisto di 74 F-35A convenzionali e 57 F-35B a decollo corto/atterraggio verticale, destinati a sostituire dal 2013-2014 gli AMX del 32° Stormo e gli AV-8B imbarcati.
Il contratto siglato alla fine di settembre è il primo di una serie che gradualmente, attraverso i lotti Low Rate Initial Production (LRIP) da 2 a 6, porterà l’azienda torinese a diventare la seconda fonte di produzione per le ali del JSF: un ruolo che allo stato attuale potrebbe raggiungere le 1.200 serie per un valore di sei miliardi di dollari nell’arco di venticinque anni. Nella LRIP 2 saranno coinvolti gli stabilimenti Alenia di Nola (NA) e Foggia, quelle successive coinvolgerà anche Caselle (TO) e Casoria (NA). Dalla fase LRIP 3 partiranno anche i contratti per i sottosistemi, nella quale saranno coinvolte aziende italiane quali Selex Galileo, Selex Comms, Sirio Panel e Aerea.
Dal proprio canto Alenia continua a quantificare l’impatto occupazionale in Italia del programma JSF a pieno regime in 10.000 persone. Per realizzare invece la Final Assembly and Check Out (FACO) presso l’aeroporto militare “Natale e Silvio Palli” di Cameri, in provincia di Novara – una struttura di 60.000 mq coperti e 500 persone specializzate sulla quale il governo italiano dovrà decidere entro fine anno per consentire l’avvio dei lavori nei primi mesi del 2009 e le prime consegne di aerei completi a fine 2013 – si parla di un investimento di ben un miliardo di dollari.
Dal punto di vista della produzione, la FACO consentirebbe di svolgere in Italia il montaggio delle sezioni costruite in USA, Gran Bretagna e Italia, ma anche l’applicazione dei delicatissimi trattamenti esterni che conferiscono al JSF le sue caratteristiche di bassa osservabilità. La FACO, che al momento lavorerebbe per Italia e Olanda, potrebbe poi diventare il polo manutentivo e logistico europeo.
Nel frattempo, oltre oceano si sprizza ottimismo da tutti i pori.
Lockheed Martin ci fa sapere che il primo F-35 ha ultimato tutti i test pianificati nella base aerea di Edwards, in California, dimostrando che il velivolo, l’equipaggio di supporto ed il personale militare e civile sono pronti per ulteriori e più approfonditi collaudi di volo che si prevedono nell’immediato futuro.
“Questa fase iniziale di collaudi nella base è solo l’inizio”, ha detto Doug Pearson, vice presidente dell’F-35 Integrated Test Force della Lockheed Martin. “L’eccezionale performance del velivolo e di quelli che lo supportano dimostra che la squadra è pronta per le attività dei test di volo – che stanno progredendo a grandi passi – programmate presso la base aerea di Edwards e presso la stazione aerea navale di Patuxent River nel Maryland”. Entro la fine del 2009, tutti i 19 velivoli F-35 da collaudo saranno completati e le attività per testare i voli si intensificheranno nel periodo 2013-2014, nel rispetto dei tempi previsti.
Per “festeggiare” il centenario dell’aeroporto di Cameri (e la relativa base NATO ivi ospitata), iniziativa a Novara il prossimo sabato 1 novembre.
In Olanda tanti dubbi sul JSF
La Corte dei Conti olandese, in un rapporto reso pubblico nel dicembre 2007, ha esposto le proprie osservazioni riguardo la partecipazione del ministero della Difesa al progetto di sviluppo del nuovo caccia F-35 Lightning II (Joint Strike Fighter, acronimo JSF).
Il governo olandese ha deciso di partecipare al progetto in questione avendo identificato l’F-35 come il velivolo più adatto a succedere agli F-16 di cui è dotata l’aviazione nazionale, sebbene la decisione definitiva sulla loro sostituzione non arriverà prima del 2010.
Il punto di dissenso più fortemente espresso dalla Corte dei Conti olandese concerne l’impossibilità di stabilire con esattezza il costo del progetto (e quindi il costo di ciascun velivolo, se e quando il governo olandese decidesse di procedere all’acquisto), per diverse ragioni. In primo luogo, i ministeri della Difesa e degli Affari Economici hanno un accesso limitato ai dati finanziari elaborati dalla Lockheed Martin, l’azienda risultata vincitrice della relativa gara di appalto. In secondo luogo, alcuni dei costi del progetto ricadono al di fuori di quello che il ministero della Difesa ha chiamato “programma per la sostituzione del F-16”. In terzo luogo, i costi non possono essere comparati in quanto i due ministeri, nelle rispettive rilevazioni, hanno utilizzato diversi indici dei prezzi e diverse valute. Conseguenza di tutto ciò è che il Parlamento olandese non ha attualmente a disposizione una valutazione precisa dei costi complessivi dell’operazione, ed anzi esiste il rischio che tale mancanza perduri anche quando esso dovrà decidere se acquistare o meno il velivolo: probabilmente, il costo unitario reale sarà noto con precisione solo quando ne terminerà la produzione (sembra nel 2052…).
Nel frattempo, i dati disponibili segnalano un aumento del costo unitario dai circa 37 milioni di dollari dell’ottobre 2001 ai quasi 48 milioni nel dicembre 2006. Il ministero della Difesa ha previsto invece di pagare 5,5 miliardi di euro per l’acquisto di 85 velivoli, il che comporterebbe un costo unitario di 65 milioni.
Per quanto riguarda invece la partecipazione delle aziende olandesi al programma di sviluppo del JSF, uno studio ha rilevato che essa costerebbe più dell’acquisto “diretto”. I costruttori olandesi hanno acconsentito quindi a colmare questo divario rimettendo una certa percentuale del fatturato che realizzano con il programma JSF allo Stato. Fino al 30 giugno 2008 la percentuale devoluta allo Stato è stata del 3,5%. Il caso dovrebbe essere riesaminato nel mese in corso e la percentuale ristabilita, probabilmente ad un livello superiore al 5%. Tra il 2002 ed il 2012, si prevede che l’Olanda investirà 800 milioni di dollari nel programma di sviluppo del JSF ed ulteriori 359 milioni durante la fase produttiva. A fronte di tali investimenti, le previsioni di contratti per le aziende olandesi coinvolte nel progetto assommerebbero a circa 800 milioni di dollari, di cui effettivamente 679 milioni sono stati firmati alla data del dicembre 2006.
Una buona ragione per aver rifiutato la Costituzione Europea
Sognate un’Europa che costruisce una politica di pace portando avanti una politica indipendente dagli Stati Uniti?
La Costituzione Europea, sonoramente bocciata dai cittadini francesi ed olandesi nella primavera del 2005, avrebbe permesso all’Unione Europea di impegnarsi in operazioni militari offensive anche a migliaia di chilometri dalle sue frontiere. E, precisava, sarebbero stati rispettati gli obblighi derivanti dal Trattato del Nord-Atlantico per quegli Stati membri dell’Unione Europea che considerano la loro difesa comune realizzata nel quadro di tale patto.
Per essere chiari: l’Europa è sottoposta agli Stati Uniti – ed alla loro supremazia militare – attraverso la NATO.
La pace, invece, dipende dalla capacità dell’Europa di trovare una centralità politica come “grande spazio” autonomo, orientato a svolgere una funzione di equilibrio strategico in un mondo policentrico, o multipolare che dir si voglia. In tal senso, l’Europa dovrebbe essere sempre meno “occidentale” e sempre più “europea”.
Quelle imbarazzanti novanta atomiche in giardino
La ong statunitense Natural Resources Defense Council (NRDC) ha pubblicato la mappa degli ordigni atomici presenti in Europa, ed in Italia: si tratta di circa 390 sparse fra Germania, Belgio, Olanda, Turchia e Regno Unito, ed altre 90 in Italia per un totale di 480 testate.
Rainews 24 ha intervistato Hans M. Krinstensen, l’autore del rapporto della NRDC, ed alcuni dei cittadini di Aviano che hanno citato in giudizio civile il governo degli Stati Uniti con la richiesta che vengano rimosse le 50 armi atomiche presenti nella locale base, in quanto “pericolose ed in contrasto con il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, sottoscritto e ratificato dall’Italia, che sancisce l’obbligo per il nostro Paese di non ospitare ordigni nucleari e per un paese nucleare, come gli Stati Uniti, l’obbligo di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio”.
Rainews 24 ha inoltre intervistato gli ex ministri greci della Difesa e della Giustizia che hanno promosso il trasferimento al di fuori della Grecia degli ordigni nucleari NATO presenti, come già aveva fatto il Canada. Anche i parlamenti di Belgio e Germania hanno cominciato a discutere di questa eventualità. Secondo il Direttore del Gruppo di Pianificazione Nucleare della NATO Guy Roberts “ogni decisione in questo campo è rimessa alla sovranità nazionale. Ogni nazione è libera di decidere se intende o meno partecipare attivamente alla gestione condivisa dei dispositivi nucleari”.
Ma quale può essere la necessità di stoccare nelle basi italiane bombe atomiche come le B-61 che avrebbero un tempo di attivazione addirittura di alcuni mesi? Il rischio sembra quello che le attuali testate, vecchie ed obsolete, vengano sostituite presto da ordigni di nuova concezione e di potenza scalabile che potrebbero aggirare i vincoli dei trattati di non proliferazione.
Il collegamento al video è alla seguente pagina: http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/inchieste/04042007_atomiche/