La nostra inadeguatezza nella lotta alla guerra e nel conflitto sociale


Tra pochi giorni il primo anniversario della guerra in Ucraina e nella occasione vogliamo aprire una discussione dentro le realtà che si oppongono al conflitto, all’invio di armi all’Ucraina e alle politiche della NATO.
La prima considerazione riguarda la debolezza del movimento contro la guerra che ha portato nelle piazze numeri ridotti di manifestanti relegando al solo sindacalismo di base il compito, arduo, di indire scioperi contro le politiche di guerra che impongono tagli allo Stato sociale e sacrifici crescenti alle classi sociali meno abbienti. Invocare l’unità del popolo contro la guerra è anche un sintomo di debolezza perché a forza di creare ponti con posizioni contraddittorie e dettate dalla equidistanza e dalla negazione del conflitto di classe abbiamo scavato una fossa nella quale noi stessi stiamo sprofondando.
Per troppi anni abbiamo scisso le politiche economiche e sociali da quelle di guerra, l’assenza di una lettura oggettiva delle ragioni del conflitto spinge molti, troppi, a irrigidirsi sulle posizioni ideologiche e di principio perdendo di vista invece l’obiettivo di unificare il conflitto contro il nemico esterno e quello interno.
Se pensiamo alla Bussola europea è difficile trovare qualche analisi critica sulle strategie neokeynesiane di guerra della UE, come è ormai raro individuare qualche piazza apertamente schierata contro la NATO. La Bussola europea spinge l’Italia e il vecchio continente alla guerra, prima ce ne rendiamo conto meglio è.
La debolezza del movimento contro la guerra nasce a nostro avviso dalla debolezza di contrapporsi alle politiche economiche e sociali che le guerre alimentano, dalla debacle dei movimenti operai e conflittuali soprattutto in Italia.
Se pensiamo a quanto accade in GB, Francia e Spagna con milioni di manifestanti in piazza contro i tagli alla previdenza al welfare e contro le riforme previdenziali non possiamo che constatare quanto sia arretrato il conflitto in Italia e da qui comprendere anche i consensi elettorali alle destre.
Possiamo irrigidirci sulle parole d’ordine, possiamo inserire questa o quella frase per noi discriminante nei manifesti e nelle piattaforme di qualche iniziativa ma resta ineludibile il fatto che in Italia non ci si mobiliti contro la guerra, contro l’aumento delle spese militari e nello stesso tempo si assista passivamente alla ulteriore precarizzazione del lavoro e ai tagli al sociale.
Forse, con il beneficio del dubbio e senza certezze precostituite, è arrivato il momento di fare i conti con la nostra inadeguatezza e per farlo non servono posizionamenti ideologici ma una lettura della realtà oggettiva e pratiche politico sociali e sindacali conseguenti.

(Fonte)

“La nostra bandiera”


Un commento pubblicato a margine di un mio recente post sul 25 aprile “ucro-atlantista” mi offre lo spunto per una considerazione sul “tricolore” italiano.
Partiamo da un’esperienza personale. Circa vent’anni fa, il Campo Antimperialista (qualcuno se lo ricorda?) organizzò alcune iniziative per “l’Iraq che resiste”. Si era alle porte dell’invasione americana dell’Iraq e questo piccolo gruppo “trozkista”, capeggiato da Moreno Pasquinelli, ebbe l’ardire di aprire le porte a chiunque, senza alcuna “pregiudiziale”. Una delle teste pensanti che si associò a quell’operazione politico-culturale fu Costanzo Preve, col quale, all’epoca, mi sentivo abbastanza spesso.
Se qualcuno si ricorda bene, quell’iniziativa dette parecchio fastidio ai piani alti che comandano nella colonia Italia, perché in un certo senso era “avanti” rispetto al sentire medio degli “antagonisti” di ogni risma. Era stata violata, nei fatti, quella muraglia innanzitutto mentale tra “destra” e “sinistra”, tra “fascismo” e “antifascismo”. Le accuse di “leso antifascismo”, rivolte da “sinistra” ai promotori del Campo Antimperialista, piovvero come chicchi di grandine. Dalle illazioni sui “fascisti infiltrati” di anonimi “commissari telematici” (termine che coniai all’epoca) su Indymedia (anche di questa si ricorda qualcuno?) alla pubblicazione, all’unisono, su tutti i quotidiani, alla vigilia della marcia sull’ambasciata americana di Via Vittorio Veneto, dei nomi dei “fascisti” che, “scandalosamente”, avevano firmato, insieme a nomi importanti della cultura italiana (ricordo tra gli altri Franco Cardini e Angelo Del Boca) l’appello del Campo (a “sinistra” c’è la mania degli “appelli da firmare”, ma quello, con tutti quei nomi così disomogenei per cultura politica, aveva comunque un suo perché). Leggere “Il Manifesto” e il “Corriere” che si ponevano la medesima domanda (“che ci fanno i fascisti in un’iniziativa di sinistra”?) fu l’ennesima conferma che questo è un regime dove le differenze sono pura facciata. Intendiamoci bene: non si trattò di un’alleanza di questo movimento “trozkista” con qualche partitino della cosiddetta “estrema destra”, ma solo dell’adesione di singole individualità che il regime (da Indymedia al “Corriere”) aveva l’interesse a dipingere come il Male con l’etichetta infamante di “fascisti”. Di lì a breve, scatenato l’inferno mediatico scattarono pure degli arresti per tre esponenti di punta del Campo, tanto per far capire chi comanda in Italyland.
Ma dopo questa lunga premessa veniamo al punto. Sempre se qualcuno ricorda bene, quella volta, alla viglia dell’invasione americana dell’Iraq (20 marzo 2003), a Roma venne organizzata una manifestazione oceanica di protesta (alcuni parlarono di un milione di persone!). Sui balconi e alle finestre delle case comparvero tantissime “bandiere della pace”. Sì, quelle arcobaleno che lasciano il tempo che trovano. Ad ogni modo, erano indice di un sentimento diffuso contro quella guerra (di fatto una strage a senso unico). Altri tempi rispetto ad oggi, quando dopo vent’anni di ulteriore istupidimento dell’italiano medio troviamo una maggioranza di persone pronte ad andare al macello per l’Ucraina testa di ponte della NATO.
Dicevo della “bandiera della pace”. Bene, in alcune conversazioni con Costanzo Preve, che era ascoltato a volte sì a volte no dal Pasquinelli (sono le classiche dinamiche tra “il braccio” e “la mente”), mi trovai a perorare la necessità, per dare un segnale forte, di mettere il tricolore italiano al tavolo degli oratori nelle varie iniziative. La cosa, detta oggi, sembra di nessuna importanza, ma vent’anni fa – lo ricordo ai più giovani – era considerato “scandaloso” per un gruppo comunque “di sinistra” adottare la bandiera nazionale, storicamente appannaggio delle destre d’ogni tipo. Con quel tricolore, a mio avviso, si sarebbe data plastica rappresentazione al superamento delle obsolete categorie politiche che tanto male hanno fatto, a danno del popolo. E così effettivamente fu fatto, perché – anche se in questo momento la memoria mi tradisce – a Roma, anche se il corteo non venne fatto arrivare all’ambasciata americana benché fosse del tutto pacifico, sventolarono anche dei tricolori.
Ma oggi, dopo altri vent’anni di scatafascio (penso al tradimento dell’alleato libico, ad oltre dieci anni di “governi tecnici” blindati dal Quirinale, alla follia del covid governata in senso pseudo-patriottico), mi chiedo: ha ancora senso il “tricolore” come simbolo dell’unità della Nazione? La mia risposta è no, e qui mi aggancio al mio post dell’atro giorno in cui, “provocatoriamente” ma non troppo, mi definivo “etrusco” e “italico”. La risposta è no perché quel tricolore è ormai completamente squalificato, in quanto, anche facendo la tara alle sue origini “giacobine”, è la bandiera di una massa di abbrutiti, di gente senza cervello che specialmente in questi ultimi due anni ha dato prova di non avere alcuna consistenza. Ed anche se s’è convinta – come lo è stato – di essere in guerra (in “guerra contro il covid”), ‘stringendosi a coorte’ attorno al governo, alle virostar e alle guardie che multavano per una mascherina abbassata, ciò non cambia d’un millimetro la mia convinzione che quel “tricolore” sia da lasciare a tutti costoro: a quelli che seguono ancora lo sport dei triplodosati, dei bollettini farlocchi sulla “pandemia” e le relative assurde “regole”, fino a quest’ultima pagliacciata di una Nazione che dovrebbe, sempre per chissà quale “patriottismo” (“atlantico”) andare al sacrificio estremo per salvare una banda di marionette e accodarsi alla russofobia di regime.
Enrico Galoppini

Imperialismo per principianti

Un gruppo di attivisti contro le guerre di aggressione ha realizzato in modo collettivo il video Tutto sarà dimenticato?, nel quadro del progetto “Verità contro le guerre”, in occasione del centesimo anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale. Intanto la tragica situazione in Libia mette sotto gli occhi di tutti l’effetto standard degli interventi armati imperialisti, avviati e portati avanti grazie anche al carburante delle fake news: circoli viziosi di menzogne e omissioni che hanno coinvolto attori svariati.
Tutto sarà dimenticato? si riferisce alla storia recente, alle ultime aggressioni internazionali a partire dal 1991, provocate da fake news di guerra e causa di immani tragedie, rapidamente dimenticate. L’Asse delle guerre (i Paesi della NATO e i suoi stretti alleati mediorientali) è riuscito a neutralizzare gli sforzi di altri Paesi e del movimento pacifista – negli ultimi anni decisamente minoritario quando non incapace di comprendere gli accadimenti -, ed a procurarsi una durevole immunità, l’altro nome dell’impunità.
Le aggressioni belliche sulle quali è stata concentrata l’attenzione si riferiscono ai seguenti Paesi: Libia, Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen, Jugoslavia. Ma non vengono dimenticate le destabilizzazioni, quelle tentate e quelle riuscite.

Pax romana o pax barbarica?

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Karl Marx al tempo della (declinante) egemonia globale USA

“Dal tempo di Agostino di Ippona, ma anche prima, il discorso della pax romana è sempre lo stesso. Certo, avevano ragione il cartaginese Asdrubale ed il celta Vercingetorige a difendere le loro comunità aggredite dai romani, ma alla fine l’impero è stato “provvidenziale” perché ha unificato il mondo (o almeno un pezzo di mondo che allora andava dalla Scozia al Golfo Persico). E su questa unificazione, sia pure conseguita con l’ingiustizia, le lacrime ed il sangue, può in un secondo momento innestarsi la rivelazione cristiana, che forse sarebbe stata impossibile in un mondo diviso fra Annibale, Vercingetorige, Mitridate, Porsenna, Pirro e Cleopatra.
La longue durée di questa concezione imperiale provvidenzialistica si chiama oggi americanismo, e nel nostro caso più esattamente “americanismo di sinistra”. Questa concezione ovviamente si presenta (apparentemente) divisa in molte varianti, unificate però tutte da un triplice codice teorico: approvazione della globalizzazione come possibile risorsa da rovesciare (e dunque New Global e non No Global), rifiuto della questione nazionale e confinamento della questione comunitaria a folklore protetto da ONG assistenziali di lingua rigorosamente inglese.
Su questa base ovviamente l’americanismo di sinistra confligge con quello di destra, e dunque Toni Negri confligge con Giuliano Ferrara. Ma si tratta a mio avviso di scontri tattici congiunturali all’interno di un’unica strategia storica. Bush può essere (ed è) un arrogante petroliere fondamentalista, ma se l’impero promuove la globalizzazione (e dunque distrugge le nazioni e le comunità) allora il suo ruolo resta contraddittoriamente provvidenziale. Qui le scuole operaiste del marxismo del general intellect, che per ragioni storiche ben ricostruibili hanno sempre trovato nell’Italia una terra di elezione particolare, possono incontrare la corrente culturale futurista e modernizzante di cui la “sinistra” è un vettore privilegiato. Questo marxismo-futurismo giocherà sulla pax americana, anche se ovviamente non cesserà mai di strillare sui suoi cosiddetti “eccessi”.
Voglio esprimermi in modo chiaro ed univoco. Marx è sopravvissuto a Kautsky, a Stalin, a Mao ed a Gorbaciov. Ma Marx potrebbe questa volta non sopravvivere alla sua incorporazione nel partito imperiale americano. Mi sembra chiaro come il sole che la classe operaia di fabbrica occidentale e le classi contadine povere orientali non erano, e non potevano essere, delle classi capaci di una transizione inter-modale strategica dal capitalismo al comunismo, e considero chi continua a sostenerlo non solo un Eremita, ma addirittura un Eremita Scemo. Dio ci guardi dagli ultimi uomini nichilisti e dagli uomini superiori radicalchic, ma ci guardi anche dagli eremiti scemi. Ma Marx può sopravvivere al ragionevole sbaglio dell’investimento metafisico in gruppi sociali magari simpatici ma subalterni come la classe operaia di fabbrica o la classe contadina povera, ma non potrebbe sopravvivere alla sua incorporazione nelle cosiddette moltitudini disobbedienti e desideranti, per il fatto che queste moltitudini sono già la forma antropologica assunta dall’impero, con la semplice differenza che queste moltitudini sognano di consumare senza pagare. Chi non ha ancora capito perché il New York Times, organo imperiale dell’alta finanza sionista, abbia prima giudicato il libro sull’impero di Negri e di Hardt come il punto più alto del marxismo del Terzo Millennio ed abbia poi definito il disordinato movimento pacifista la seconda superpotenza mondiale, deve essere giudicato un caso incurabile di scemenza teorica addirittura sublime.
Marx può sopravvivere a mio avviso solo se sapremo assumere la pax barbarica come il solo orizzonte praticabile dei prossimi decenni. Vi sarebbero centinaia di pagine in proposito da scrivere. Ma per ora, come dicevano i latini, intelligenti pauca.”

Da Marx e Nietzsche di Costanzo Preve, pp. 51-52.
Il saggio, edito nel 2004, può essere liberamente scaricato qui.

Se la lunga guerra fra Marx e Nietzsche è finita, e solo degli eremiti incorreggibili (peraltro largamente sostenuti dal circo identitario politico, universitario ed editoriale) vogliono continuare a combatterla, inizia invece l’epoca della resistenza. È una nuova guerra, veramente, ma data la sproporzione economica e militare essa si gioca per ora nei cuori e nelle menti. Si tratta dei cuori e delle menti che accettano l’impero americano, quasi sempre trasfigurato nell’immagine provvidenziale della pax romana, e delle menti e dei cuori che invece per ora avvertono in modo ancora confuso, ma sempre di più avvertiranno in modo chiaro e razionale, che l’accettazione dell’impero americano è semplicemente la morte di ogni civiltà.

La Svezia si arrende a USA/NATO

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Sottomarini fantasma sono impiegati per spingere alla resa della pacifica neutralità

Nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel 2005, il drammaturgo Harold Pinter stronco l’impero USA e notò che esso “ora occupa 702 installazioni militari in 132 Paesi di tutto il mondo – con l’onorevole eccezione della Svezia, certamente”.
Da allora, la presenza militare globale degli Stati Uniti ha continuato a crescere; ma il premiato scrittore era disinformato circa l’onorevole eccezionalismo della Svezia. Circa nello stesso momento in cui il mortalmente malato Pinter stava registrando il suo discorso, un funzionario del Ministero della Difesa svedese osservava che il Paese era già così profondamente coinvolto nel dispositivo USA/NATO che avrebbe costituito una piccola trascurabile differenza se ne fosse diventato formalmente membro.
Ciò era vero nel 2005, e lo è ancora di più dieci anni dopo. Benché la Svezia non sia ancora ufficialmente un Paese membro, le sue forze armate sono ora quasi completamente incorporate nel sistema USA/NATO. Truppe svedesi hanno partecipato alle guerre di aggressione ed occupazione degli USA e dei suoi alleati in Afghanistan, Libia e nei Balcani. Un gruppo segreto dei reparti speciali ha combattuto a fianco delle truppe USA/NATO in luoghi lontani come il Ciad e il Congo, ed è rappresentato al quartier generale delle forze speciali statunitensi in Florida.
Esercitazioni militari congiunte sono svolte con crescente frequenza nei cieli, in terra e nelle acque territoriali della Svezia. A partire da aprile dell’anno scorso [2014 – ndt], ad USA/NATO è stato garantito libero accesso allo spazio aereo svedese al fine di spiare la Russia mediante i suoi velivoli di sorveglianza AWACS.
Lo scorso agosto, il governo ha firmato un accordo cosiddetto di nazione ospitante che aumenta grandemente l’accesso USA/NATO al territorio svedese in caso di guerra e, come al tempo attuale, per i preparativi bellici. L’accordo – che deve ancora essere ratificato dal parlamento svedese – sembra inoltre violare il rifiuto svedese di lunga data degli armamenti atomici e le politiche connesse. E proprio recentemente, USA/NATO ha condotto l’esercitazione aerea più grande al mondo sul terzo più settentrionale del territorio svedese. Parte della sempre più intensa lotta con la Russia per il controllo dell’Artico in via di scioglimento, “Arctic Challenge Exercise” ha coinvolto 100 velivoli militari da 10 Paesi, inclusi gli USA, Germania, Francia e Inghilterra. Continua a leggere

Perché non aderiamo all’appello ed alla manifestazione del 24 Settembre

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Pur avendo sostenuto per anni la lotta del popolo curdo, siamo molto preoccupati delle scelte che una parte della sua dirigenza ha imposto in Siria. Queste scelte e le loro conseguenze non sono assolutamente messe in discussione dall’appello per il 24 settembre:
1) non viene minimamente condannato il fatto che l’esercito turco ha invaso uno stato indipendente, la Siria, in cui gli stessi Curdi vivono, violandone platealmente la sovranità;
2) Non viene chiarito che gli stessi Curdi della Siria, ed i loro alleati delle “forze democratiche siriane” (spezzoni di vecchie formazioni jihadiste facenti capo al sedicente Esercito Libero Siriano), hanno per primi essi stessi violato la sovranità del loro Paese consegnando nelle mani dell’alleato esercito statunitense una serie di basi su suolo siriano;
3) Viene taciuto che gli stessi statunitensi si servono di queste basi per attaccare e minacciare l’esercito nazionale siriano che difende l’unità, l’indipendenza e la sovranità del Paese, mentre contemporaneamente l’esercito nazionale viene bombardato anche da Israele, che cura anche i feriti di Fateh al-Sham (ex al-Nusra) e dell’ISIS nei propri ospedali..
L’ultimo deliberato bombardamento dell’esercito USA sulle posizioni dell’esercito siriano a Deir Es Zor, città assediata dalle bande dell’ISIS, che ha causato decine di morti, favorendo così gli attacchi dell’ISIS, dovrebbe far riflettere sulle reali intenzioni degli USA. Gli Statunitensi stanno anche sabotando la tregua umanitaria concordata con la Russia, non onorando l’impegno preso di costringere le formazioni armate da loro controllate a cessare il fuoco ed a distaccarsi dai terroristi estremisti dell’ex al-Nusra ed ISIS.
Fin dagli anni ’90 i neocons USA nei loro documenti indicavano una serie di Paesi da distruggere perché non compatibili con i loro sogni di domino mondiale, tra cui la Siria, la Jugoslavia, l’Iraq, l’Iran, la Libia e altri Paesi. A partire dall’amministrazione di Bush jr le indicazioni dei neocons sono state adottate ufficialmente come strategia della politica estera statunitense. Di questo ci sono oltre che i fatti, varie testimonianze, a partire da una famosa intervista rilasciata nel 2008 dal generale Wesley Clark.
Come conseguenza, fin dal 2011 è stata formata una vasta alleanza filo-imperialista con l’intento di distruggere lo Stato siriano laico e progressista, uscito dalle lotte anticoloniali, così come già è stato fatto per la Jugoslavia, Libia, Iraq, Ucraina, Somalia, Costa d’Avorio, Sudan.
Di questa alleanza fanno parte USA, UE, NATO, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, e bande di mercenari jihadisti terroristi che fanno capo all’ex al-Nusra, ISIS, e presunte formazioni “moderate” legate agli USA.
Il movimento curdo siriano, che dichiara di voler lottare per una Siria democratica, dovrebbe precisare se intende portare avanti le proprie rivendicazioni nell’ambito dello Stato laico e progressista siriano, che ha assicurato pieni diritti alle donne, e alle numerose religioni ed etnie presenti nel Paese, o cercare illusoriamente di realizzare le proprie aspirazioni a costo della distruzione della Siria, programmata da tempo dall’imperialismo, con la creazione di uno staterello fantoccio, stile Kosovo.
Altrettanta chiarezza richiediamo a tutte quelle organizzazioni sedicenti pacifiste e di sinistra, che non mancano occasione di attaccare e demonizzare il governo della Siria, e che oggi trovano un facile alibi nell’adesione all’ambigua manifestazione del 24.
Roma, 19 settembre 2016
Lista No Nato – Rete No War Roma

25 anni dalla Guerra del Golfo. Stessa guerra, stesso bisogno di pace

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Il 16 gennaio, a 25 anni dall’inizio della Guerra del Golfo, varie forze anti-guerra manifesteranno a Roma e in altre città contro le guerre in corso.

Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la fase storica che stiamo vivendo.
Questa guerra, preparata e provocata da Washington, veniva lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stavano per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Approfittando della crisi del campo avversario, gli Stati Uniti rafforzavano con la guerra la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo.
La coalizione occidentale, formata da Washington, inviava nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 % statunitensi, agli ordini di un generale USA. Per 43 giorni, l’aviazione statunitense e alleata effettuava, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciavano oltre 10 milioni di submunizioni.
Partecipavano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi.
Il 23 febbraio le truppe della coalizione, lanciavano l’offensiva terrestre. Essa terminava il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush.
La Guerra del Golfo fu la prima guerra a cui partecipava, sotto comando USA, la Repubblica Italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione. I caccia Tornado dell’aeronautica italiana effettuarono 226 sortite, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense.
Nessuno sa con esattezza quanti furono i morti iracheni nella guerra del 1991: sicuramente centinaia di migliaia, per circa la metà civili. Alla guerra seguiva l’embargo, che provocava nella popolazione più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini.
Subito dopo la Guerra del Golfo, gli Stati Uniti lanciavano ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).
La NATO, pur non partecipando ufficialmente, in quanto tale, a quella guerra, mise a disposizione le sue forze e le sue strutture. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico varava, sulla base della guerra del Golfo, il «nuovo concetto strategico dell’Alleanza». Nello stesso anno in Italia veniva varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo nuovamente la Costituzione, indicava quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario».
Nasceva così la strategia che ha guidato le successive guerre sotto comando USA – contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, la Siria dal 2013 – accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del PKK, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’ISIS e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia USA/NATO, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova Guerra Fredda e al rilancio della corsa agli armamenti nucleari.
Su tale sfondo il Comitato No Guerra No NATO ricorda la Guerra del Golfo di 25 anni fa, nel massimo spirito unitario e allo stesso tempo nella massima chiarezza sul significato di tale ricorrenza, chiamando a intensificare la campagna per l’uscita dell’Italia dalla NATO, per una Italia sovrana e neutrale, per la formazione del più ampio fronte interno e internazionale contro il sistema di guerra, per la piena sovranità e indipendenza dei popoli.
Noi non mettiamo tutti sullo stesso piano. Questa guerra viene dall’Occidente. Il terrorismo viene dall’Occidente. La crisi mondiale viene dall’Occidente.
Tutti coloro che hanno firmato l’appello di questo comitato, e che ne condividono l’analisi e gli scopi, sono invitati a partecipare alla manifestazione romana del 16, e alle manifestazioni che verranno realizzate nei centri minori di ogni parte d’Italia, con queste precise posizioni. Noi chiediamo a tutti i cittadini italiani di unirsi a noi nella richiesta di un’Italia neutrale.
Comitato No Guerra No NATO

Fonte

L’Atlante dei pacifinti

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Risposta ad un’amica “perplessa”

Cara amica, hai ragione ad indignarti per questo Atlante che si autodenuncia, come dici tu, “non vedo non sento non parlo”.
Ma….
Ma che ti aspetti da un carrozzone, la Tavola della pace (adesso si son divisi, è nata anche Rete della pace), che riuscì a non fare nulla contro la guerra nemmeno mentre Sirte in Libia era azzerata dalle bombe NATO? Alla marcia per la pace Perugia-Assisi del 2011, 25 settembre 2011, appunto mentre i Libici erano maciullati nelle ultime settimane, la guerra NATO fu praticamente ignorata. Avevano ragione i nostri cartelli ad urlare invano “Cinque guerre italiane in 20 anni 1991-2011, dove sono gli indignati?”.
Che ti aspetti da un carrozzone, la Tavola della pace, che in piena guerra in Libia come manovra diversiva andava a fare una delegazione in… Afghanistan?
Cosa ti aspetti da una Tavola della pace che durante la guerra NATO detta del Kosovo nel 1999 accoglieva fra i marcianti -oh, per pochi metri! – il primo ministro belligerante D’Alema… ricordo come ieri quando invano gli urlammo “vergogna!” mentre conversava con gli organizzatori.
Cosa ti aspetti da una Tavola della pace che nel 2012 e 2013 organizzava manifestazioni con il cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano, in Italia rappresentato dai Fratelli Musulmani, e ben finanziato da Arabia Saudita e altri modelli di pace?

Giù le mani dalla Libia

Strategos, think-tank di geopolitica, lancia un appello per fermare l’aggressione militare alla Libia, con l’auspicio di organizzare prossimamente una manifestazione a sostegno di tale obiettivo.

“Ormai è evidente che:
– La risoluzione ONU è stata oltrepassata e violata, anche alla luce delle nuove prove che hanno documentato la quasi completa inconsistenza dei principali capi d’imputazione contro Gheddafi (fosse comuni poi rivelatesi inesistenti, massacri mai filmati, bombardamenti sulla folla mai documentati ecc. …)
– La Libia è vittima di un’ennesima aggressione della NATO, politicamente per nulla diversa da quella contro la Serbia nel 1999 e da quella contro l’Iraq nel 2003, per scopi totalmente geopolitici (approvvigionamento petrolifero e insediamento di un governo non ostile a Washington) e geo-strategici (espansione della sfera d’influenza della NATO, attraverso il comando AFRICOM), volti al contenimento di potenze rivali nei fondamentale scenari del Vicino Oriente e del Mediterraneo.
– L’Italia è a tutti gli effetti un membro della coalizione atlantica e sta svolgendo un ruolo attivo all’interno del teatro operativo in Libia.
Eppure, stavolta, a distanza di otto anni dall’avvio dello sciagurato intervento in Iraq, nessun movimento, partito o gruppo è riuscito ad alzare una voce forte e decisa contro questa aggressione imperialista, tanto più a sinistra e nel mondo tradizionalmente “pacifista”, dove si è sostenuta la linea imperialista e neo-colonialista imposta da Obama, da Cameron e da Sarkozy, e dove addirittura le opinioni puramente personali e umorali in merito a Gheddafi hanno prevalso su qualsiasi ragionamento strategico e politico a lungo termine. Preso atto del fallimento storico e politico di queste componenti della società civile, e dell’impossibilità per le ragioni anti-imperialiste di avere una seria rappresentanza all’interno di istituzioni e grandi organi di stampa, risulta opportuno utilizzare al meglio la rete e qualunque mezzo a disposizione per sensibilizzare la pubblica opinione nazionale e mobilitarne le coscienze, affinché sia possibile organizzare una manifestazione popolare unitaria, per chiedere l’immediato ritiro delle truppe italiane dalla missione in Libia e da tutte le missioni per conto della NATO e degli Stati Uniti d’America, e per chiedere le dimissioni del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, del Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e del Ministro degli Esteri, Franco Frattini, in seguito alla gravissima violazione degli accordi bilaterali tra Italia e Libia, stabiliti nel 2008 all’interno del Trattato di Amicizia di Bengasi.”

La versione integrale dell’appello è qui.
Per adesioni, commenti e proposte scrivere a rivistastrategos@hotmail.it

La NATO a Lisbona

Dichiarazione del Consiglio mondiale della pace e del Consiglio portoghese per la pace e la cooperazione in vista del vertice NATO di Lisbona (19-20 Novembre 2010)

Il Consiglio mondiale della pace (CMP) e il Consiglio portoghese per la pace e la cooperazione (CPPC) salutano i popoli del mondo che amano la pace ed i movimenti della pace in instancabile mobilitazione per denunciare le guerre imperialiste, le occupazioni illegali e l’ingiustizia sociale, e li invitano a proseguire e rafforzare gli sforzi e la comune lotta contro l’imperialismo e le sue organizzazioni ed in particolare contro la NATO, la più grande macchina di guerra del mondo.
Il CMP denuncia davanti ai popoli del mondo i crimini che la NATO ha commesso e continua a commettere contro l’umanità con il pretesto sia di proteggere i «diritti umani» che di lottare contro il «terrorismo», secondo la propria interpretazione.
Sin da quando è stata fondata, nel 1949, la NATO è sempre stata un’organizzazione aggressiva. A partire dal 1991, con la sua nuova dottrina militare, si è trasformata in «sceriffo» mondiale degli interessi imperialisti. Si è spesso legata a regimi sanguinari ed a dittature, a forze reazionarie ed a Giunte. Ha partecipato attivamente allo smembramento della Jugoslavia, ai barbari bombardamenti della Serbia durati 78 giorni, al rovesciamento di regimi attraverso «rivoluzioni colorate», all’occupazione dell’Afghanistan. La NATO persevera nei suoi piani per un «Grande Medio Oriente», allargando il proprio raggio d’azione con il «Partenariato per la pace» e la «cooperazione speciale» in Asia ed in America Latina, in Medio Oriente, nel Nord Africa, ed anche con l’«Esercito europeo».
Tutti i governi degli Stati membri condividono responsabilità nella NATO, sebbene il ruolo di direzione spetti all’amministrazione statunitense. La presenza di approcci diversi su alcune questioni riflette punti di vista e rivalità particolari, ma conduce comunque ad un confronto aggressivo con i popoli.
Noi condanniamo la politica dell’Unione Europea, che coincide con quella della NATO e con il Trattato di Lisbona che con la NATO va a braccetto in materia politica e militare. Tra il 2002 e il 2009 le spese militari degli Stati Uniti in missioni estere sono aumentate da 30 a 300 miliardi di euro.
I popoli e le forze che amano la pace nel mondo non accettano il ruolo di «sceriffo» mondiale assunto dalla NATO. Respingono tutti gli sforzi tesi a incorporare la NATO nel sistema delle Nazioni Unite. Chiedono lo scioglimento di questa aggressiva macchina da guerra militare. Neanche il falso pretesto dell’esistenza del Patto di Varsavia ha più alcun senso. Continua a leggere

Pandemia di pacifismo in Europa?!?

L’ultima barzelletta di Robert Gates, ministro della “Difesa” USA.
Dalla tribuna della National Defense University di Washington, lo scorso 23 febbraio, in occasione del seminario organizzato dalla NATO concernente l’elaborazione del suo nuovo Concetto Strategico, che verrà formalmente adottato al vertice di Lisbona, in Portogallo, il prossimo novembre. Seminario che, come i precedenti tre al riguardo svoltisi in Lussemburgo, Slovenia e Norvegia, vengono presentati quali sedi di deliberazione ed anche spazi di informazione pubblica quando invece le questioni rilevanti sono già state decise con anni di anticipo.
Accusando gli “alleati” europei di scarsa volontà nell’affiancare gli Stati Uniti nel proprio impegno di spesa in campo militare (che l’anno venturo toccherà il record di 708 miliardi di dollari…), Gates ha affermato che “dalla fine della Guerra Fredda, i bilanci della NATO e della difesa nazionale sono diminuiti in maniera consistente – nonostante le nuove operazioni al di fuori del territorio della NATO negli ultimi cinque anni”.
Il titolare del Pentagono ha quindi precisato: “Queste limitazioni di bilancio sono collegate ad una più vasta tendenza culturale e politica che tocca l’Alleanza. Una dei trionfi del secolo scorso è stata la pacificazione dell’Europa dopo età di guerra rovinosa. Ma, come ho detto prima, io credo che abbia raggiunto un punto di flessione, dove gran parte del continente è andata troppo in là nell’altra direzione. La demilitarizzazione dell’Europa – dove vaste fasce della pubblica opinione e della classe politica sono contrarie alla forza militare ed ai rischi connessi – da benedizione nel ventesimo secolo è diventata un ostacolo per raggiungere reale sicurezza e pace durevole nel ventunesimo”.

Dichiarazioni che risultano poco meno che surreali, oggi che quasi l’intero continente europeo è stato assorbito dalla NATO e praticamente ogni Paese ha inviato proprie truppe in zona di guerra in Asia, a 5.000 chilometri di distanza dal quartier generale dell’Alleanza.

[La NATO del Terzo Millennio tra guerra ed affari]

Qualcosa che non accadrà più

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Arlington, 11 novembre – ”I nostri veterani in Vietnam hanno servito il Paese con grande onore. Ma spesso al loro ritorno a casa non sono stati accolti con gratitudine e sostegno, ma con parole di condanna e di disprezzo. Questo è qualcosa che non accadrà più”.
La promessa, rivolta ai militari statunitensi attualmente impegnati nei conflitti in Iraq ed Afghanistan, è stata pronunciata dal presidente Barack Obama, che oggi al Cimitero Nazionale di Arlington ha presieduto le commemorazioni della Giornata dei Veterani. ”Se dobbiamo essere onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che alcune volte come nazione abbiamo tradito la fiducia dei nostri soldati”, ha aggiunto Obama. ”Per generazioni i nostri uomini e le nostre donne in divisa hanno fatto il loro dovere e fino a che resterò il comandante in capo, l’America farà il suo dovere con loro”.
Accompagnato dalla moglie Michelle, Obama ha rivolto un pensiero a ”coloro che stanno svolgendo oggi il loro servizio in posti lontani: quando vedranno la nostra bandiera, quando torneranno a casa, capiranno che l’America è sempre qui con loro, così come loro sono andati laggiù per noi. Questa è la mia promessa, la promessa della nostra nazione”.
(ASCA-AFP)

E non dubitiamo che la manterrai, Barack.