Se è verò che gli Stati Uniti vogliono resuscitare il negoziato sul TTIP, nonostante l’iniziale ostracismo dimostrato da Donald Trump, ecco i pericoli cui sarebbero esposti i cittadini dei Paesi europei, ben sintetizzati nelle parole di Tiziana Beghin, europarlamentare del M5S.
partenariato transatlantico per il commercio e l’investimento
Alain De Benoist presenta “Il trattato transatlantico”
Modena, 7 maggio 2016.
Il Centro Studi Eurasia-Mediterraneo (CeSEM), con il patrocinio del Comune di Modena e insieme all’associazione Le Stelle Danzanti, incontra Alain De Benoist, autore de Il trattato transatlantico. L’accordo commerciale USA-UE che condizionerà le nostre vite, pubblicato da Arianna Editrice.
Una nomina che non sorprende
Se Matteo Renzi voleva puntualizzare la propria idea circa il futuro auspicato per l’Italia, non poteva scegliere di meglio.
Che nominare Carlo Calenda a titolare del dicastero dello Sviluppo Economico.
Sì, proprio lui, l’ultras del TTIP, “trattato che secondo Calenda rappresenta uno snodo essenziale per lo sviluppo e la difesa delle imprese e delle produzioni del Made in Italy”, come chiosa il Corriere della Sera.
TTIP, la «NATO economica»
Cittadini, enti locali, Parlamenti, governi, interi Stati esautorati dalle scelte economiche, messe nelle mani di organismi controllati da multinazionali e gruppi finanziari, violando i diritti dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e la sicurezza alimentare, demolendo servizi pubblici e beni comuni: per tali ragioni, espresse dalla Campagna Stop TTIP promotrice della manifestazione del 7 maggio a Roma, va respinto il «Partenariato transatlantico su commercio e investimenti» (TTIP), negoziato segretamente tra USA e UE.
A tali ragioni se ne aggiungono altre, di cui poco o niente si parla: quelle di carattere geopolitico e geostrategico, che rivelano un progetto molto più ampio e minaccioso. L’ambasciatore USA presso la UE, Anthony Gardner, insiste che «vi sono essenziali ragioni geostrategiche per concludere l’accordo». Quali siano lo dice lo U.S. National Intelligence Council: esso prevede che «in seguito al declino dell’Occidente e l’ascesa dell’Asia, entro il 2030 gli Stati in via di sviluppo sorpasseranno quelli sviluppati». Per questo Hillary Clinton definisce il partenariato USA-UE «maggiore scopo strategico della nostra alleanza transatlantica», prospettando una «NATO economica» che integri quella politica e militare. Il progetto di Washington è chiaro: portare la NATO a un livello superiore, creando un blocco politico, economico e militare USA-UE, sempre sotto comando statunitense, che – con Israele, monarchie del Golfo e altri – si contrapponga all’area eurasiatica in ascesa, basata sulla cooperazione tra Russia e Cina, ai BRICS, all’Iran e a qualunque altro Paese si sottragga al dominio dell’Occidente. Il primo passo per realizzare tale progetto è stato quello di creare una frattura tra Unione Europea e Russia.
Nel luglio 2013 si aprono a Washington i negoziati per il TTIP, che stentano a procedere per contrasti di interesse tra gli USA e le maggiori potenze europee, alle quali la Russia offre vantaggiosi accordi commerciali. Sei mesi dopo, nel gennaio/febbraio 2014, il putsch di piazza Maidan sotto regia USA/NATO innesca la reazione a catena (attacchi ai russi di Ucraina, distacco della Crimea e sua adesione alla Russia, sanzioni e controsanzioni), ricreando in Europa un clima da Guerra Fredda. Contemporaneamente, i Paesi della UE vengono messi sotto pressione dai flussi migratori provocati dalle guerre USA/NATO (Libia, Siria), cui essi hanno partecipato, e da attacchi terroristici firmati dall’ISIS (creatura delle stesse guerre). In questa Europa divisa da «muri di contenimento» dei flussi migratori, in cui si diffonde la psicosi da stato di assedio, gli USA lanciano la più grande operazione militare dalla fine della Guerra Fredda, schierando a ridosso della Russia cacciabombardieri e navi da guerra a capacità nucleare.
La NATO sotto comando USA, di cui fanno parte 22 dei 28 Paesi UE, intensifica le esercitazioni militari (oltre 300 nel 2015) soprattutto sul fronte orientale. Lancia allo stesso tempo, con unità aeree e forze speciali, operazioni militari in Libia, Siria e altri paesi del fronte meridionale, connesso con quello orientale. Tutto ciò favorisce il progetto di Washington di creare un blocco politico, economico e militare USA-UE. Progetto che ha l’incondizionato consenso dell’Italia, oltre che dei Paesi dell’Est legati più agli USA che alla UE. Le maggiori potenze, in particolare Francia e Germania, stanno ancora contrattando. Intanto però si stanno integrando sempre più nella NATO.
Il Parlamento francese ha adottato il 7 aprile un Protocollo che autorizza l’installazione sul proprio territorio di comandi e basi NATO, installazione che la Francia aveva rifiutato nel 1966.
La Germania – riporta der Spiegel – è disponibile a inviare truppe in Lituania per rafforzare lo schieramento NATO nei Paesi baltici a ridosso della Russia. La Germania – riporta sempre der Spiegel – si prepara anche a installare una base aerea in Turchia, dove già operano Tornado tedeschi ufficialmente in funzione anti-ISIS, rafforzando lo schieramento NATO in quest’area di primaria importanza strategica. La crescente integrazione di Francia e Germania nella NATO, sotto comando USA, indica che sulle divergenze di interessi (in particolare sulle costose sanzioni alla Russia) stanno prevalendo le «ragioni geostrategiche» del TTIP.
Manlio Dinucci
Di TTIP e altre nocività
Questo è quello che è di là da venire
“Sino ad ora, le limitazioni dell’autodeterminazione degli Stati e dei popoli in funzione dei diritti del capitale globale (sia che si proponesse di profittare con beni, servizi e moneta, sia che si proponesse profitti di guerra) hanno sempre dovuto passare per la mediazione necessaria di organizzazioni internazionali, quali UE e NATO, ovvero attraverso trattati multilaterali in cui gli Stati sovrani avevano un ruolo, quantomeno nell’azionamento delle cosiddette “clausole di salvaguardia”, le quali prevedevano la disapplicazione o la sospensione di una regola per fini politici interni. Nelle organizzazioni regionali, poi, la componente dello Stato sovrano recitava quantomeno un ruolo figurativo, prevedendo per esempio nella UE (al di là dell’inutile parlatorio costituito dal Parlamento) la presenza dei ministri competenti nel Consiglio dei Ministri UE, donde la necessità di coltivare all’interno degli Stati una componente politica asservita ai fini che via via venivano veicolati all’interno dell’organizzazione.
La natura sempre più palese dei fini necessitava allora di uno strumento di ricatto indipendente dai singoli governi che si sarebbero presentati sull’arengo politico, posto che prima o poi si sarebbe dovuto fronteggiare una componente politica anti-UE, giunta nelle stanze dei bottoni.
Per tale motivo si sta implementando il sistema dei trattati bilaterali (BITs) e regionali sugli scambi e gli investimenti, quale il TTIP per la nostra area, il TTP per l’area trans-pacifica, sottoscritto persino dal Vietnam.
In essi è contenuto un nuovo dispositivo di limitazione preventiva di ogni sovranità ed anche di ogni Costituzione interna che possa in qualche modo ostacolare gli interessi del capitale sovranazionale, chiamato nei trattati “investitore”.
Si tratta, per la sua onnicomprensività (i trattati riguardano i più svariati settori, dall’agricoltura, ai servizi finanziari, alla sanità, ai servizi sociali, al mercato del lavoro) e per la sua estensione (la giurisdizione coprirà oltre l’80% del PIL mondiale, praticamente la quasi totalità dell’economia) di una vera e propria dichiarazione dei diritti del capitale sugli uomini.
Il dispositivo chiave è fornito proprio dalle carte bollate. Nei vari trattati vi è sempre una clausola arbitrale denominata ISDS, Investor-State Dispute Settlement, vale a dire la “regolamentazione delle controversie tra Stato ed investitore”. Tramite tale dispositivo, un’impresa privata multinazionale, l’investitore, qualora si trovi di fronte ad una misura (legislativa o governativa) che in qualche modo ostacoli gli interessi del capitale investitore (resi nel trattato sottoforma di divieto di discriminazione della libertà di circolazione di merci, persone e capitali, di libertà di investimento e di impresa) potrà convenire lo Stato Sovrano avanti a questa Corte Privata internazionale istituita all’interno del trattato commerciale. E’ l’unico sistema di arbitrato internazionale “asimmetrico”, nel quale è previsto che lo Stato possa essere chiamato in causa, cioè svolgere il ruolo di convenuto, ma non è previsto che possa esso stesso citare un investitore. Nel giudizio non varranno le regole della Costituzione dello Stato, né le regole istitutive dei Trattati delle Organizzazioni Internazionali come la UE, che in qualche modo contenevano pur limitati riferimenti ai diritti dei singoli, delle collettività. Varranno solamente le regole dei trattati, e le regole dei trattati sono le regole delle sovrane libertà del capitale circolante. Nessun altro parametro considerato “ostacolante” come i fini di pubblico interesse o di utilità sociale presenti nel mandato costituzionale dei singoli Stati sovrani sarà considerato opponibile alla libertà dell’investitore di raggiungere il suo profitto.
Se si appelleranno ai loro mandati costituzionali ben facilmente gli Stati perderanno la causa andando incontro a severe sanzioni economiche.
Queste Corti di Arbitrato Commerciale sono tribunali internazionali privati e semisegreti, composti di regola da tre membri , scelti di volta in volta da una lista ristretta di avvocati privati nell’orbita ideologica e culturale di tali organizzazioni neoliberiste.
Come in ogni arbitrato, ciascuna parte nomina il proprio difensore ed entrambe si accordano sulla scelta del giudice. Tenuto conto che gli operatori giudiziari coinvolti sono sempre racchiusi nella lista ristretta di giuristi internazionalisti abilitati alle corti arbitrali, accade che chi ha svolto il ruolo di difensore dell’investitore in un processo, può essere giudice in un altro processo, anche se successivo o contemporaneo. Gli arbitrati si svolgono in segretezza, a porte chiuse e senza controllo pubblico, senza possibilità di appello ad altre forme di giustizia internazionale.
Casi emblematici di arbitrati sono quelli intentati dalla multinazionale svedese del nucleare Vattenfall contro le norme tedesche che prevedevano l’abbandono della produzione di energia elettrica con impianti nucleari (la richiesta di danni alla Germania è stata pari a 4,7 miliardi di euro), oppure quelle intentate dalla Philip Morris contro gli Stati dell’Uruguay, della Norvegia e dell’Australia contro le norme volte a restringere ed ostacolare il consumo di tabacco.
Qualora un illuminato governo di onesti decidesse una volta per tutte di abbandonare il progetto di un’opera inutile finanziata per soli scopi clientelari da precedenti governi, gli investitori multinazionali coinvolti nel progetto potrebbero convenire lo Stato avanti ad una di queste corti private e segrete.
Nelle Corti Private dei trattati bilaterali sugli scambi non si tiene conto di utilità sociali, di illegittimità del progetto, nemmeno di eventuali dinamiche ed infiltrazioni criminali nell’investitore che propone causa.
Si applica, per l’appunto, tra quattro mura, il solo diritto del capitale, la corporate rule.
Rule è un’espressione che in inglese significa sia regola che dominio. Famoso è il motivo “Rule Britannia, Britannia rule the waves”, “Domina Britannia, domina sulle onde” a significare la passata posizione egemone dell’impero inglese (ma anche della Compagnia delle Indie) su tutti i mari e le rotte commerciali del mondo.
E’ evidente che un tale dispositivo, fondandosi sul potere economico e sulla forza deterrente dei risarcimenti monetari, può vincolare ogni tipo di governo, a prescindere da Costituzioni interne, Trattati internazionali di Organizzazioni regionali, Trattati e Convenzioni sui diritti dell’Uomo.
Dietro gli scranni dei giudici potrebbe idealmente figurare la massima “business is business”.
Un simile sistema, come ben argomenta Prabhat Patnaik, “non rappresenta quindi soltanto una grande limitazione della sovranità dello Stato-nazione, ma ostacola in linea di principio la capacità dello Stato di adempiere al suo mandato Costituzionale. Non c’è bisogno di dire che un tale trattato costituisce una grande violazione al principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli che è il fondamento della democrazia.” (Towards Global Corporate Rule).
Questo è quello che è di là da venire.”
Da Qual è l’impero del male? Ci viviamo dentro, di Enzo Pellegrin.
Il vassallo si fa recalcitrante
Mentre il governo stanzia 50 milioni di euro per promuovere i prodotti agro-alimentari italiani negli USA (“un mercato che ha ancora molti margini di crescita” secondo l’ultras del TTIP, nonchè vice ministro allo Sviluppo Economico per conto di Oscar Eataly Farinetti, Carlo Calenda), nei primi otto mesi del 2015 le esportazioni italiane verso la Russia segnano un ulteriore contrazione, crollando in valore del 29 per cento e fermandosi a 4,5 miliardi di euro dai 6,4 miliardi dello stesso periodo del 2014.
Il vassallo allora si fa i conti in tasca e, a Bruxelles, osa chiedere che il rinnovo delle sanzioni UE alla Russia non avvenga automaticamente.
Come finirà?
Entro pochi giorni lo sapremo.
Il Trattato Transatlantico
Le ragioni di questo volume si colgono nella lettura degli argomenti portati autorevolmente da Alain de Benoist. Per noi, con quest’ultima pubblicazione, si porta a compimento una triade di titoli – Sull’orlo del baratro, La fine della sovranità e il libro in essere – che ha percorso l’intero svolgimento dell’attuale crisi economica e sociale, unita alla torsione epocale della globalizzazione e dell’occidentalizzazione del mondo.
Il trattato sul commercio transatlantico, tema qui affrontato, non è la scontata conseguenza dell’ampliamento del libero mercato su scala mondiale, quale metastasi nella fibra più profonda delle società; questi accordi, di fatto, vedranno il venire meno della sovranità degli Stati a favore delle multinazionali e delle corporation internazionali. Il potere di citare in giudizio l’autorità statuale fino a rovesciarne le leggi sovrane che regolamentano questioni di primaria importanza – come le relazioni nel mondo del lavoro, l’inquinamento, la sicurezza agroalimentare, gli organismi geneticamente modificati – renderanno norma la mercificazione dell’esistente.
Non è un caso, che i contenuti del mercato unico transatlantico e le sue motivazioni restino privi di trasparenza e discussione pubblica. Le tecnocrazie sulle due sponde dell’Atlantico, in simbiosi con le lobby del profitto, stanno codificando un modello di società a uso e consumo dell’avidità della speculazione finanziaria, nella connivenza della servile rappresentanza politica e della deliberata privazione della partecipazione e legittimazione popolare.
(Dalla prefazione)
L’applicazione extraterritoriale delle leggi USA
“Un aspetto importante e poco analizzato di cosa significano trattati come il TPP e il TTIP (USA-UE) è che stanno creando un “diritto internazionale” che in realtà è basato sulle leggi e la giurisprudenza degli USA (perché nessun Trattato o Accordo con questo Paese può contraddire le leggi o il Congresso USA). Ciò significa che tutti i Trattati firmati da questo Paese istituzionalizzano de jure l’applicazione extraterritoriale delle leggi USA.
La liberalizzazione commerciale (OMC e Trattati di libero commercio) potenzia questa operazione su scala mondiale.
I “tribunali di arbitraggio”, da parte loro, finiscono per consolidare questa struttura istituzionale, perché alle loro decisioni non si può, nella pratica, fare appello attraverso meccanismi legali che siano al di fuori dei trattati. Nessuna decisione di questi tribunali può essere modificata perché essi sono al di fuori della portata dei parlamenti o del potere giudiziario di ogni Paese.
Questo “diritto internazionale” ha permesso di estendere e approfondire il diritto di proprietà delle grandi multinazionali, e naturalmente anche i mezzi per fare e difendere questo diritto. Salvo un rifiuto del Trattato, con tutto ciò che implica in materia di rappresaglie commerciali, politiche, diplomatiche ed eventualmente dell’enorme ventaglio di forme di destabilizzazione messe in pratica, i Paesi firmatari sono condannati ad applicare i suoi termini, il che implica che devono cambiare le leggi nazionali per renderle compatibili con le regole del Trattato e, di conseguenza, copiare le leggi statunitensi sul diritto di proprietà.
E’ attraverso questo “diritto internazionale” che è stata ampliata la “protezione al diritto di proprietà” dei potenti sull’area degli investimenti diretti (comprese le compensazioni se questi venissero impediti) e sulle operazioni finanziarie (obbligazioni di rimborso dei debiti sovrani non pagabili, ad esempio).
In particolare, ed essendo questo “diritto internazionale” diretto a rendere possibile un’estrazione delle rendite dai Paesi sottomessi alla potenza dominante, si sottolinea l’importanza che acquista la protezione totale del diritto della proprietà intellettuale, esteso nel tempo e ampliato già all’area della conoscenza pura (es. un algoritmo) e fino al patrimonio genetico, tra molti altri ambiti.
In questi trattati non si esclude, ma lo si assume, il principio della protezione della proprietà privata sulle risorse naturali che, come l’acqua dolce, già stano diventando una merce.
Seguendo questa scia si occupa, si espropria e si sviluppa tutto un ventaglio di interventi contro le possibilità di sovranità dei Paesi e soprattutto delle popolazioni.”
Il saccheggio come “diritto internazionale” di Alberto Rabilotta e Andrés Piqueras continua qui.
Oltre il TTIP: Trade in Services Agreement (TiSA)
Il TiSA spifferato: vincitori e sconfitti dell’accordo multinazionale sul commercio
WikiLeaks ha pubblicato un “testo centrale” segreto in riferimento al controverso accordo commerciale attualmente negoziato a porte chiuse tra gli Stati Uniti, l’Unione Europea e altri 23 Paesi. Le grandi società multinazionali sembrano essere le maggiori beneficiarie dell’accordo.
I documenti resi pubblici circa i negoziati del TiSA (Trade in Services Agreement) rivelano che il trattato mira a indebolire “i governi coinvolti” sostenendo le compagnie multinazionali invece delle aziende locali, secondo un comunicato stampa di WikiLeaks.
Le rivelazioni giungono appena una settimana prima che i negoziati sul TiSA riprendano, il 6 Luglio [u. s. – ndr]. Essi vanno avanti in segreto sin dall’inizio del 2013.
Le economie dei Paesi membri valgono per i due/terzi del PIL mondiale. A rendere la questione ancora più delicata, è il fatto che tutti i Paesi del BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – siano stati esclusi dai negoziati del TiSA.
Anche dopo che l’accordo sia stato raggiunto, WikiLeaks afferma che i documenti relativi al TiSA sono destinati a rimanere segreti per cinque anni.
L’accordo è parte della strategica “trinità del trattato con la T”: la Trans-Pacific Partnership (TPP), il TiSA, e la Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Esso completa gli altri due accordi commerciali globali relativi ai beni e agli investimenti, attualmente negoziati in segreto. Il TiSA è destinato ad esssere la più importante componente del terzetto. Continua a leggere
Una ricetta per il disastro
“1. Prendi una Nazione che, invece di combattere, risponde alle offese mandandoti all’inferno e rifiutandosi di avere ancora a che fare con te. Assicurati che sia una Nazione le cui risorse naturali siano essenziali per tenere le tue luci accese e le tue case riscaldate, per costruire i tuoi aeroplani e i tuoi caccia da combattimento, e per tante altre cose. Si tenga a mente che un quarto delle lampadine degli Stati Uniti sono accese grazie al combustibile nucleare russo, così come una interruzione del gas russo verso l’Europa sarebbe un cataclisma di prim’ordine.
2. Falli sentire sul punto di essere invasi installando un governo a loro ostile in un territorio che considerano parte della loro patria storica. L’unica vera parte non russa della Ucraina è la Galizia, da cui si è separata molti secoli fa e della quale la maggior parte dei Russi vi direbbe “Può andare all’inferno con te”. Se ti piacciono i tuoi neonazisti, puoi tenerteli. Si ricordi anche come i Russi trattano gli invasori: li escludono.
3. Imponi sanzioni economiche e finanziarie sulla Russia. Osserva sbigottito come i tuoi esportatori cominciano a perdere soldi quando, con una rappresaglia subitanea, essa blocca le tue esportazioni agricole. Tieni a mente che la Russia è una Nazione che, in virtù della sopravvivenza ad una lunga serie di tentativi di invasione, si affida tradizionalmente agli Stati stranieri potenzialmente ostili per finanziare la sua difesa contro di loro. Se essi non lo fanno, allora passerà ad altri modi per scoraggiarli, come l’esclusione. “No gas per i membri NATO” sembra uno slogan orecchiabile. Spera e prega che non prenda piede a Mosca.
4. Monta un attacco alla sua valuta nazionale, causando la perdita di parte del suo valore insieme ad un minor prezzo del petrolio. Osserva sbigottito come ridono i funzionari russi perfino alla banca centrale perché il rublo svalutato ha prodotto le stesse entrate fiscali nonostante i prezzi più bassi del petrolio, evitando un potenziale deficit di bilancio. Osserva sbigottito come i tuoi esportatori in Russia vanno in fallimento per i prezzi fuori mercato dei loro prodotti. Tieni a mente, la Russia non ha un debito nazionale di cui parlare, il suo deficit di bilancio è trascurabile, è piena di valuta straniera e ha grandi riserve auree. Tieni pure a mente che le tue banche hanno prestato centinaia di miliardi di dollari alle imprese russe, a cui hai or ora tolto l’accesso al tuo sistema bancario mediante l’imposizione delle sanzioni. Spera e prega che la Russia non congeli il pagamento dei debiti alle banche occidentali finché non siano rimosse le sanzioni, poiché questo farebbe scoppiare le tue banche.
5. Osserva sbigottito come la Russia sigla importanti contratti di esportazione di gas con tutti fuorché te. Ci sarà rimasto abbastanza gas per te quando saranno firmati tutti? Bene, sembra i Russi non la considerano più una loro preoccupazione, perché li avete offesi ed essendo loro quelli che sono, vi hanno mandato all’inferno (non dimenticatevi di portare la Galizia con voi) ed ora essi trattano con altre, più amichevoli Nazioni.
6. Continua ad osservare sbigottito come la Russia cerca attivamente di tagliare tutti i legami commerciali con te, trova fornitori in altre parti del mondo ed organizza la produzione per sostituire le importazioni.
Ma ora ecco la sorpresa, come minimo un po’ sottaciuta. La Russia ha appena offerto un accordo alla UE. Se la UE rinuncia a siglare l’accordo Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP) con gli Stati Uniti, che fra l’altro la danneggerebbe economicamente, allora potrebbe unirsi alla Russia nella Unione Doganale Euroasiatica. Perché escludersi da soli quando fra tutti possiamo invece escludere Washington? Questa è la riparazione che la Russia accetterebbe per l’offensivo comportamento della UE riguardo l’Ucraina e le sanzioni. Venendo da uno Stato doganale, è una offerta generosa. Densa di implicazioni: il riconoscimento che la UE non minaccia militarmente la Russia e neanche economicamente; il fatto che i Paesi europei sono tutti carini e piccini e adorabili e fanno formaggi e salsicce saporiti; la comprensione che il loro attuale gruppo di politici nazionali è irresponsabile e vincolato a Washington, e che hanno bisogno di una grossa spinta per fargli capire dove si trova il loro vero interesse nazionale. La UE accetterà l’offerta, o prenderanno la Galizia come nuovo membro e si “escluderanno”?”
Da Particolarità dell’animo nazionale russo, di Dmitry Orlov.
Il Messico come laboratorio?
Centomila morti in sei-sette anni, 250 fosse comuni piene di cadaveri negli ultimi due anni e 27mila persone scomparse da quando l’ex presidente Calderón, nel dicembre del 2006, lancia la guerra al narcotraffico.
Nonostante questi dati terrificanti, il Messico non sembra attirare l’attenzione dei nostri media, tutti impegnati a seguire gli USA nella cosiddetta “guerra al terrorismo”.
Il massacro di Iguala, avvenuto fra il 26 e il 27 settembre scorsi nello stato di Guerrero, ha parzialmente riportato l’attenzione sulla violenza crudele e spietata del Messico odierno.
Nell’articolo a seguire, André Maltais cerca di far luce sulle origini del problema: il terrore si rivela lo strumento indispensabile per mantenere l’ordine sociale esistente, un ordine che si fonda sul saccheggio delle ricchezze naturali del Messico attraverso l’imposizione del liberismo selvaggio che si sostanzia nel NAFTA, il trattato di libero scambio con USA e Canada.
Il NAFTA, dal canto suo, rappresenta il modello ricalcando il quale gli Stati Uniti tentano di disegnare il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), i cui contenuti -attualmente negoziati con i delegati dell’UE- sono pressoché sconosciuti alla maggioranza dei cittadini europei.
Il terrore per governare il Messico
Meno di un mese prima dell’omicidio di sei giovani e della scomparsa di 43 studenti della Scuola Normale rurale Ayotzinapa per mano della polizia municipale di Iguala, un rapporto di Amnesty International ha rivelato un aumento del 600% dei casi di tortura inflitta da agenti statali in Messico, durante gli ultimi dieci anni.
Intitolato Fuori controllo: tortura e altri maltrattamenti in Messico, questo rapporto mostrava che l’impunità è quasi totale e che le due istituzioni incaricate di proteggere le vittime, il Procuratore generale della Repubblica e la Commissione nazionale dei diritti umani, non agiscono praticamente mai in loro favore.
Ora, il terribile massacro, avvenuto nella notte fra il 26 e il 27 settembre, evidenzia ciò che permette tutta la barbarie e tutta l’impunità: una profonda collusione fra il crimine organizzato e tutte le istituzioni messicane.
Quella notte, attorno a Iguala, la polizia ha più volte attaccato dei semplici studenti disarmati, prima di consegnarli vivi o morti ai loro complici del crimine organizzato. La sparatoria è andata avanti per ore, ma nessuna forza ufficiale di polizia, né locale né federale, ha protetto quei giovani, nonostante fosse presente in tutta la zona, presumibilmente per combattere i trafficanti di droga.
Alcuni feriti sono stati portati in una base dell’esercito federale e negli ospedali privati, dove si sono rifiutati di curarli.
Qualche giorno dopo la carneficina, i Guerreros unidos (GU), principale gruppo criminale della regione e presunto responsabile delle sparizioni, hanno tappezzato di scritte i muri delle città circostanti, chiedendo la liberazione degli agenti della polizia municipale detenuti e minacciando di rivelare altre complicità fra il narcotraffico e le istituzioni messicane.
L’amministrazione municipale d’Iguala, ci ha detto l’antropologo messicano Miguel Angel Adame, è una delle tante amministrazioni municipali totalmente dominate da una combinazione di gruppi criminali e di funzionari ultra-corrotti. Il sindaco, Jose Luis Abarca, finalmente arrestato il 4 novembre, è sposato con Maria de los Angeles Pineda, sorella di tre membri dei GU.
Abarca è stato eletto sindaco d’Iguala nel 2012, grazie a Lazaro Mason, attuale segretario alla Salute del governatore dello Stato di Guerrero, Angel Aguirre. Amico d’infanzia della moglie di Abarca, Mason ha scelto il nuovo sindaco proprio per i suoi legami con la criminalità organizzata.
Ѐ stato fra il 2002 e il 2005, continua Adame, che Mason, allora sindaco d’Iguala, accetta sostanziose somme di danaro settimanali e garanzie di rielezione in cambio della protezione legale delle attività dei trafficanti di droga, compreso il riciclaggio dei loro soldi in attività economiche, sociali e commerciali del comune.
Arriva allora un primo gruppo criminale che “negozia” la semina e la raccolta di marijuana nei campi dei contadini. Più tardi, arrivano altre bande di trafficanti e si radica la cultura criminale che conosciamo: reclutamento di giovani sicari, rapimenti in cambio di riscatti, scomparse, sfruttamento di migranti centroamericani, esecuzioni, ecc.
I cartelli della droga, scrive Rafael de la Garza Talavera, dottore messicano in scienze politiche, non trovano nessuna difficoltà nel promuovere lo sviluppo della delinquenza nelle campagne di Guerrero, una delle tante regioni del Messico devastate socialmente da più ondate di privatizzazioni, deregolamentazioni economiche e tagli di bilancio alla salute, all’istruzione e al benessere.
I giovani della regione, continua Talavera, rappresentano più del 70% della popolazione e non hanno altro avvenire, nel loro paese espropriato, se non l’emigrazione verso il nord o la guerra contro altri giovani provenienti dalle loro stesse classi sociali.
Nel 2012, i GU finiscono per imporsi grazie a un regime di terrore completamente appoggiato dalla polizia municipale e dal comune di Iguala, dove sono appena arrivati Abarca e sua moglie. I GU utilizzano anche le infrastrutture della polizia municipale per le loro operazioni di tortura, esecuzioni e sepolture di cadaveri.
Questo accade sotto il naso del 27° battaglione dell’esercito federale che, dal 2006, ha, anche a Iguala, un quartier generale operativo, invaso dalle denunce della popolazione locale.
Queste ultime prendono di mira anche il governatore dello Stato, Angel Aguirre, che si è dimesso lo scorso 23 ottobre, in seguito all’ampiezza delle manifestazioni popolari. Aguirre non solo era a conoscenza di quanto stava accadendo a Iguala, ma era anche complice delle tante sparizioni forzate ed esecuzioni extra-giudiziali di ecologisti, studenti delle scuole rurali, oppositori politici, militanti di organizzazioni di agricoltori e membri di comunità di autodifesa.
Nonostante tutto ciò, né il Procuratore generale della Repubblica, Jesus Murillo Karam, né alcun’altra agenzia federale, hanno mai avviato una seria inchiesta su questi casi.
Abarca e Aguirre sono membri del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), supposto partito di centro-sinistra del Paese, fondato negli anni ottanta da Cuautemoc Cardenas. Mazon, che si prepara a sostituire Aguirre come governatore di Guerrero, appartiene al Movimento per la rigenerazione nazionale (MORENA), nuovo partito di centro-sinistra originatosi dal PRD, nel 2011, e guidato da Andrés Manuel Lopez Obrador.
Questo dimostra il livello di decomposizione raggiunto dalla sinistra politica ufficiale in Messico. Nel 2012, il PRD ha aderito al Patto per il Messico, un’unione di partiti politici di destra, per permettere al presidente Henrique Pena Nieto, eletto di recente in modo fraudolento, di adottare facilmente le sue “riforme strutturali di terza generazione” riguardanti, fra l’altro, il sistema dell’istruzione, i rapporti di lavoro e la privatizzazione del petrolio messicano.
L’appartenenza dei sospetti alla presunta sinistra, ci dice Manuel Aguilar Mora, è molto utile agli interessi del presidente e della destra messicana, poiché costringe il PRD e MORENA a difendere, davanti a un’opinione pubblica indignata, la tesi governativa di un episodio eccezionale di violenza, opera di una “coppia infernale”.
La verità, ci dice Talavera, è che il governo federale messicano non vuole per niente fermare l’infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni del Paese perché esso ne ha assolutamente bisogno per mantenere quell’insopportabile modello economico che esso impone.
La criminalità organizzata fornisce allo Stato l’arma del terrore che è in questo momento la sola che può impedire una nuova rivoluzione messicana. La violenza senza nome del crimine organizzato (uno degli studenti uccisi il 26 settembre è stato ritrovato col viso schiacciato e gli occhi strappati) consente al governo ogni tipo di violenza e repressione che può in seguito attribuire a quella stessa criminalità organizzata.
Ѐ questa, ora, la governabilità, in un Messico che, nel corso degli ultimi trent’anni, è stato poco a poco violentemente spogliato di quasi tutte le sue ricchezze naturali.
Secondo l’organizzazione Forze unite per i nostri scomparsi in Messico (FUDEM), la guerra contro la droga ha fatto, tenendo anche conto delle proporzioni temporali, quasi il doppio dei morti attribuiti allo Stato Islamico in Irak. Inoltre, fra il 2007 e il 2010, i cartelli messicani avrebbero ucciso 293 cittadini statunitensi, alcuni per decapitazione.
Nonostante ciò, scrive il politologo argentino Atilio Boron, nonostante le fosse comuni di corpi umani smembrati e bruciati che si continuano a scoprire, e nonostante l’impunità concessa alle forze dell’ordine e ai politici corrotti, il presidente messicano neoliberale non è minimamente attaccato dalla stampa internazionale, come è successo a quello del Venezuela, l’inverno scorso, per una situazione infinitamente meno grave.
(Introduzione e traduzione a cura di M. Guidoni)
Verso l’apocalisse?
No, se basta ignorare la Storia.
Adunque. L’Italia e l’Europa tutta in recessione. Guerre e stragi in Ucraina, in Siria, a Gaza, in Irak, in Libia e ovunque un marine USA abbia lasciato le sue impronte: persino Don Camillo Bergoglio dall’alto soglio pontificio intravede il terzo conflitto mondiale. Epperò nessuno sul convoglio che deraglia pensa a frenare, a cambiare binario, a sostituire il conducente, visto che non si può saltar giù su un pianeta devastato dai cambiamenti climatici. Ma Gaia, il pianeta vivente, sopravviverà – ha scritto Kurt Vannegut – perché eliminerà le sue tossine, gli esseri umani. Che è una gran bella soddisfazione.
Davanti all’apocalisse è d’uopo tornare al latino di Cicerone per smentirlo. “Mendaci neque quum vera dicit creditor.” Non è vero, perché il mentitore ormai non può essere creduto a prescindere, in quanto la verità non la dice neppure per sbaglio.
Eppure c’è qualcuno che gli crede, magari per disperazione, perché non sa più a quale santo votarsi, perché il falso è sempre meglio del vuoto spinto dove è scomparsa la sinistra. Già. Parliamo del Bel Paese che sta rapidamente diventando brutto a sua insaputa, sempre più piccolo ogni qual volta viene definito grande dalla sua classe cosiddetta dirigente. Parliamo del Bimbo di Pontassieve, come viene chiamato alle ‘ascine e a San Frediano, mezzo bischero e mezzo becero, reincarnazione di Michele di Lando del tumulto de’ Ciompi, che andò a ciompare, a rottamare le grandi corporazioni , finì con l’accordarsi con esse e venne “ciompato”. Nulla di male che cianci dalla mattina alla sera, che faccia promesse da realizzare in 60 giorni, poi in sei mesi, poi in tre anni.
Ha avuto predecessori più famosi ed infausti, come l’altro cavaliere del ventennio che parlava di otto milioni di baionette mentre non si arrivava a quella cifra con le forchette e i coltelli da tavola. Ma gli italiani sconfitti con quei coltelli da cobelligeranti si convinsero di aver vinto la guerra. Fino a due mesi fa avevano creduto agli ottanta sghei di Renzi, che poi sono scesi a sessanta e, tra quattro mesi, non lasceranno traccia nelle loro tasche o nell’economia nazionale perché privi di copertura. (Sì, meniamo gran vanto di appartenere a quella specie di uccelli della saggezza che sono i gufi).
I problemi veri per la nostra gente non sono le promesse mancate del consocio di Berlusconi, i problemi veri sono quelli dei guasti già apportati al sistema Italia, alla sua democrazia, al suo futuro.
Dalle riforme istituzionali, prima fra tutte quella del pasticciaccio brutto del senato, all’Italicum che con le modifiche in fieri al Nazareno va peggiorando di giorno in giorno, a quella della giustizia che già si delinea pro domo sua, e cioè di Silvio. E dopo mesi e mesi di silenzio sulla politica estera assistiamo ad un improvviso, vorticoso presenzialismo del Presidente del Consiglio su tutte le piazze; due ore a Bruxelles, dieci minuti al Cairo, venti minuti a Bagdad. Certo dal primo luglio dovrebbe rappresentare – andiamoci piano – anche l’Europa, ma cosa ci sta mettendo di suo Matteo Renzi? Poco o nulla che si discosti di un millimetro dal mattinale dello Italian Desk, State Department, USA: migliaia di vecchi mitragliatori sovietici confiscati nell’ex-Jugoslavia ai Kurdi, aviogetti da addestramento e da combattimento Aer-Macchi ad Israele, un contributo tutto italiano alle stragi dei civili a Gaza (nessuna risposta in parlamento all’interpellanza SEL sulla necessità di sospendere queste ed altre forniture di armi per un valore di ottocento milioni di dollari al governo di tel Aviv). E poi un’adesione incondizionata alla guerra finanziaria e commerciale scatenata dagli Stati Uniti contro la Russia che costerà al nostro paese decine di migliaia di posti di lavoro. Gran Bretagna e Germania hanno aderito a queste sanzioni, ma dilazionandole nel tempo e dopo dibattiti ai Comuni e al Bundestag sui loro costi reali che diventeranno astronomici se colpiranno il settore energetico.
Silenzio invece nel nostro parlamento su questo tema, lo stesso silenzio che sta accompagnando una apparente preliminare adesione italiana al TTIP, il trattatato commerciale transatlantico discusso in questi giorni a Bruxelles, fortemente voluto dagli Stati Uniti, e destinato ad apportare il colpo di grazia alla vacillante economia del nostro paese.
Basta tutto questo ad evocare incubi da apocalisse? Lo temiamo, perché se si ripete in farsa, la storia, ignorata, si trasforma in tragedia. Alla fine dell’ottocento il neo-liberismo, l’abbattimento delle tariffe, il prepotere delle importazioni dagli USA, gli accordi sottoscritti da primi ministri britannici, da Bismark e da Cavour – “Jesus Christ is free trade, and Free Trade is Jesus Christ” – portarono alla disoccupazione di massa, alla recessione ed alla prima guerra mondiale. Negli anni venti l’ossessione per il pareggio dei bilanci, e non le guerre commerciali, produsse il crash del 1929 – 1930 e il tardivo ricorso a Keynes non bastò a risollevare completamente l’America di Roosevelt dalla recessione. Bastò invece lo sforzo bellico che accompagnò l’entrata in guerra degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale.
Sarebbe bello, da smemorati di Collegno, affidarsi alla farsa e non credere alla tragedia.
Lucio Manisco
Il “grande mercato transatlantico”: un’immensa minaccia
In vista della quinta sessione di negoziati prevista a partire dal prossimo 19 Maggio ad Arlington negli Stati Uniti, torniamo a parlare di Partenariato transatlantico per il commercio e l’investimento (acronimo inglese TTIP), proponendo un significativo estratto da La fine della sovranità, di Alain De Benoist, Arianna editrice, pp. 90-92:
“Il Wall Street Journal, l’ha riconosciuto con una certa ingenuità: il partenariato transatlantico «è un’opportunità per riaffermare la leadership globale dell’Ovest in un mondo multipolare». Una leadership, che gli Stati Uniti non sono riusciti a imporre tramite l’intermediario dell’OMC. A Doha, capitale del Qatar, nel 2001 la leadership statunitense ha lanciato un ambizioso programma di liberalizzazione degli scambi commerciali, ma in seno a questa organizzazione, il cui nuovo presidente, successore del francese Pascal Lamy, è il brasiliano Roberto Azevêdo, gli americani si scontrano da più di dieci anni con la resistenza dei Paesi emergenti (Cina, Brasile, India, Argentina) e dei Paesi poveri. L’unico risultato ottenuto è stato, lo scorso dicembre, l’accordo raggiunto a Bali. È per questa ragione che gli Stati Uniti hanno adottato una nuova strategia, il cui frutto è il TTIP. L’istituzione di un grande mercato transatlantico è, per loro, un mezzo per schiacciare la resistenza dei Paesi terzi, reclutando l’Europa in un insieme il cui peso economico sarà tale da imporre gli interessi di Washington al mondo intero.
Per gli Stati Uniti, si tratta quindi di tentare di mantenere l’egemonia mondiale togliendo alle altre nazioni il controllo degli scambi commerciali a beneficio delle multinazionali ampiamente controllate dalle loro élite finanziarie. Parallelamente, essi vogliono contenere la salita al potere della Cina, diventata oggi la prima potenza esportatrice mondiale. La creazione di un grande mercato transatlantico offrirebbe loro un partner strategico capace di fare soccombere le ultime piazzeforti industriali europee. Permetterebbe di smantellare l’Unione Europea a favore di un’unione economica intercontinentale, cioè di fare rientrare definitivamente l’Europa nel grande insieme “oceanico”, tagliandola fuori dalla sua parte orientale e da ogni legame con la Russia. D’altronde, siccome gli americani sono preoccupati per l’impatto negativo della caduta dell’attività economica europea sulle esportazioni americane, e di conseguenza sul loro utilizzo negli Stati Uniti, si può capire la fretta che hanno di concludere l’accordo.
È significativo il fatto che nel 2011 sia stato lanciato dagli Stati Uniti un grande “Partenariato transpacifico” (Trans-Pacific Partnership – TTP). Questo partenariato – che contava inizialmente otto Paesi (Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Perù, Malesia, Brunei, Vietnam), ai quali nel 2012 si è aggiunto il Giappone – mira a contrastare principalmente l’espansione economica e commerciale della Cina. Come ha affermato senza tanti giri di parole Bruce Stokes, dell’istituto di ricerca statunitense German Marshall Fund, l’obiettivo è quello di «garantire che a restare la norma mondiale sia il capitalismo nella versione occidentale, e non quello dello Stato cinese». In seguito all’arrivo del Giappone, il TPP non rappresenta neppure un terzo del commercio mondiale e il 40% del PIL mondiale; vale a dire che il Partenariato transpacifico e il trattato transatlantico, ai quali si può aggiungere il NAFTA, coprirebbero, solo loro tre, il 90% del PIL mondiale e il 75% degli scambi commerciali.
Ancora più a lungo termine, l’obiettivo è chiaramente quello di stabilire delle regole mondiali sul commercio.
(…)
Barack Obama, da parte sua, non ha esitato a paragonare il partenariato transatlantico a una «alleanza economica forte quanto l’alleanza diplomatica e militare» rappresentata dalla NATO. La formula è abbastanza esatta. È proprio una NATO economica, posta come il suo modello militare sotto la tutela americana, che il TTIP cerca di creare allo scopo di diluire la costruzione dell’Europa in un vasto insieme interoceanico, senza alcuno scossone geopolitico, per fare dell’Europa il cortile di servizio degli Stati Uniti, consacrando così l’Europa-mercato a detrimento dell’Europa-potenza.
La posta in gioco è politica. Attraverso un’integrazione economica imposta forzatamente, la speranza è di istituire una nuova governance, comune ai due continenti.
A Washington come a Bruxelles, non si nasconde il fatto che il grande mercato transatlantico altro non è che una tappa verso la creazione di una struttura politica mondiale, che prenderà il nome di Unione transatlantica.
Così come ci si aspetta che l’integrazione economica dell’Europa sfoci sull’unificazione politica, allo stesso modo si tratterà di creare a breve un grande blocco politico-culturale unificato, che vada da San Francisco fino alle frontiere della zona d’influenza russa. Venendo così il continente euroasiatico tagliato in due, potrebbe essere creata una vera Federazione transatlantica dotata di un’assemblea parlamentare, che raggruppi alcuni membri del Congresso americano e del Parlamento europeo, e rappresenti 78 Stati (28 Stati europei, 50 Stati americani),. La sovranità europea potrebbe essere trasferita quindi negli Stati Uniti, una volta che le sovranità nazionali fossero già state annesse dalla Commissione di Bruxelles. Le nazioni europee resterebbero dirette da normative europee, dettate però dagli americani. Come si vede, il progetto è molto ambizioso e la sua realizzazione segnerebbe una svolta storica, eppure sulla sua opportunità nessun popolo è mai stato consultato.”