Il Ponte sullo Stretto come il MUOS di Niscemi e Sigonella

Non prova neanche a mimetizzarlo il suo punto vista, Lucio Caracciolo, sul ponte sullo Stretto. Ne ha parlato in un pezzo scritto per La Stampa il 7 dicembre scorso. Per lui sono secondari gli argomenti, e gli scontri, sugli aspetti ingegneristici, economici, ambientali dell’infrastruttura d’attraversamento. Ciò che conta è la sua valenza strategica, geopolitica, militare. Per questa ragione assimila il ponte sullo Stretto al MUOS di Niscemi, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina militare USA per governare i conflitti globali del XXI secolo, “senza dimenticare le strutture di Sigonella e Pantelleria”. Perché ciò che conta è il valore strategico della Sicilia, il suo collocarsi in un’area che Limes chiama Caoslandia, nel Mediterraneo “allargato” che è tornato ad essere centrale per i flussi commerciali provenienti da Oriente e per l’intervento politico, militare, economico di Cina, Russia e Turchia.
Limes aveva già insistito in altre occasioni su questo tema. Proprio un anno fa la rivista di geopolitica, i cui redattori, dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, sono stabilmente sui canali tv nazionali, aveva pubblicato un numero speciale sulla Sicilia. “L’Italia senza la Sicilia non esiste”, questo era l’argomento. Per questa ragione la Sicilia non può “annegare” nel Mediterraneo. E nel pezzo pubblicato su La Stampa Caracciolo è esplicito fino al didascalico. “Se non lo volete capire la Sicilia è la Frontiera e senza la difesa della Frontiera gli Stati periscono”, sembra dire, perché dallo Stretto di Sicilia (così quelli di Limes chiamano il Canale di Sicilia per sottolineare la esigua distanza che separa l’Isola dall’Africa) passa la principale rotta migratoria, perché da lì passa la via della seta cinese, perché “i turchi e i russi della Wagner si sono acquartierati sul lato africano dello Stretto”, perché quel tratto di mare è attraversato dai cavi sottomarini transcontinentali della Rete.
Caracciolo ci ricorda che la Sicilia fu il luogo dell’invasione alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quella volta gli invasori erano i “liberatori americani” e ce la cavammo, ma stavolta chi potrebbe essere il nuovo invasore? Per questo l’Italia (ma a questo punto perché non l’Europa o l’Occidente?) senza la Sicilia non esiste. Perché la Sicilia deve essere la piattaforma militare nel Mediterraneo, la difesa dell’Occidente dalle armate dei Bruti o degli Extranei. Noi siamo la Barriera costruita a difesa. Questo è il nostro destino. Lucio Caracciolo si spinge fino a lamentare la scarsa presenza militare nell’area” e ad auspicare una “più incisiva presenza della Marina e delle altre Forze armate nelle acque” di quello che insiste a chiamare il “mare nostro”. L’ennesima ode al militarismo e al riarmo a cui gli analisti mainstream ci hanno abituato nell’ultimo anno di fratricida guerra in Ucraina. Ipocrita narrazione di una “Isola indifesa” quando è sotto gli occhi di tutti il devastante e invasivo processo di militarizzazione che ha investito ogni angolo della Sicilia e delle sue isole minori e l’abnorme presenza statunitense nella stazione aeronavale di Sigonella, “capitale mondiale dei droni”. Per questo il ponte serve, per Caracciolo: per la sicurezza, per stabilizzare le aree di frontiera e per collegare militarmente l’Italia, l’Europa, l’Occidente alla Sicilia, non viceversa.
In passato avevamo già invitato a guardare ai rischi che il ponte portava con sé anche sotto questo profilo. Ci avevano guardati un po’ perplessi. Il ponte ci metterebbe in pericolo, farebbe da traino ad una ulteriore forte militarizzazione e ad un più asfissiante controllo del territorio proprio perché naturale obbiettivo strategico in caso di conflitto. Eccoci serviti. Lucio Caracciolo ce lo sbatte in faccia senza neanche prepararci con parole di circostanza. E a chi pensa che con il ponte i propri figli non emigrerebbero più potremmo consigliare di arruolarli, che forse lì di lavoro ne troverebbero.
Ciò che è incredibile è che il ritorno del Mediterraneo come luogo centrale e l’importanza della Sicilia per la sua collocazione geografica debba essere necessariamente declinato sotto il profilo della guerra. La Sicilia, che nelle vecchie carte appariva più estesa di quanto lo fosse proprio per l’importanza che assumeva nei commerci mondiali, la Sicilia raccontata da sempre dai viaggiatori, deve essere piattaforma di guerra? E perché, invece, non potrebbe essere piattaforma di pace? Perché gli abitanti dell’isola non potrebbero trarre “vantaggio” dall’affacciarsi della propria terra su un continente africano in crescita? Perché non possiamo pensare di crescere insieme con le popolazioni africane che lavorano, viaggiano, portano avanti le loro famiglie, socializzano e trasferiscono risorse e conoscenza? Il nostro No al ponte è anche questo. Un No alle logiche di guerra, alle militarizzazioni dei territori e del mare, ai muri armati innalzati tra Nord e Sud. E’ il nostro Sì, forte, per la Pace, il Disarmo e la Giustizia tra i Popoli.
Antonio Mazzeo e Luigi Sturniolo

(Fonte – il collegamento inserito nel testo è a cura della redazione)

Un Ponte molto americano

I neolaureati dell’area dello Stretto non si erano mai illusi che con il Ponte avrebbero trovato stabile occupazione, ma certo non potevano immaginare che con l’avvio dei lavori sarebbero stati scippati dell’unica infrastruttura creata in ambito locale a sostegno di attività imprenditoriali giovanili innovative. Venerdì 10 settembre, nel cuore del Polo scientifico di Papardo dell’Università di Messina, andrà in scena l’ultima beffa dei Signori del Ponte. Un’intera palazzina dell’Ateneo, realizzata con i fondi della legge 208 del 1998 riservati «agli interventi di promozione, occupazione e impresa nelle aree depresse», destinata a fare da “Incubatore” di 46 aziende di giovani imprenditori e ricercatori universitari, sarà convertita nei “Nuovi Uffici Direzionali del Ponte”. Vi s’insedieranno la società concessionaria Stretto di Messina, Eurolink (il consorzio general contractor per la progettazione e i lavori), il gruppo statunitense Parsons Transportation (impegnato nel “project management” dell’opera). Il cambio di destinazione delle finalità d’uso dell’incubatore mai nato avverrà con un “protocollo d’intesa” che l’Università di Messina firmerà alla presenza del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli e del plenipotenziario Pietro Ciucci, commissario straordinario del Ponte e presidente ANAS e della Stretto Spa.
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A rendere più amaro il sapore della beffa, l’evidenza che nessuna delle società di costruzioni che compongono l’ATI per i lavori del Ponte ha sedi o filiali nell’area dello Stretto (alcune sono, anzi, straniere) e che sono tutte di antica formazione e nella titolarità di corporation e gruppi azionari di rilevanza nazionale (famiglie Benetton, Gavio e Ligresti per Impregilo, società capofila Eurolink). Ancora più insostenibile dal punto di vista formale ed etico, la concessione dei locali universitari al Parsons Transportation Group che seguirà la progettazione definitiva del Ponte di Messina. Colosso statunitense del settore ingegneristico, Parsons ha sede in California e filiali in oltre 80 paesi del mondo. Si tratta di una delle società chiave del complesso bellico industriale statunitense. In Iraq sono stati affidati a Parsons contratti per svariati milioni di dollari per la ricostruzione di decine d’infrastrutture civili e militari. Parsons Transportation Group, che per il regime di Saddam Hussein aveva realizzato il ponte “14 luglio” sul Tigri e una megacentrale elettrica, è stato pure contrattato dal Corpo d’Ingegneria dell’Esercito USA per lo «sminamento e la distruzione di armi» ed il recupero delle maggiori reti petrolifere e dei gasdotti iracheni. Per conto dell’US Air Force, il gruppo Parsons ha riabilitato le infrastrutture della base di Taji, una delle più importanti aree operative delle forze armate della coalizione alleata.

Da I tentacoli del Ponte sul centro d’eccellenza dell’Ateneo di Messina, di Antonio Mazzeo.

Incursione sionista tra Scilla e Cariddi

 

Giunge da Israele un nuovo progetto per il collegamento stabile nello Stretto di Messina. Si tratta di un Ponte basato su “Piattaforme di calcestruzzo galleggianti”, dove travi e piloni saranno ancorati nell’acqua e ampi spazi del manufatto saranno destinati a centri commerciali, uffici, alberghi, parcheggi, parchi alberati, cinema, ecc.. Nel Ponte galleggiante si potranno costruire anche case a schiera per migliaia di residenti e finanche decine di porticcioli turistici che proteggeranno barche a vela e yacht dalle correnti e dai gorghi di Scilla e Cariddi. Più di 3 milioni di metri quadri di abitazioni con invidiabile vista sullo Stretto, la cui vendita assicurerà le risorse finanziarie necessarie a realizzare quella che è stata presentata come una «concreta alternativa» al Ponte da 7 miliardi di euro che governo e concessionaria statale hanno affidato al general contractor guidato da Impregilo.
Il progetto del Ponte-shopping è frutto delle ricerche dell’architetto israeliano Mor Temor, una laurea al Politecnico di Milano, a capo di uno studio privato specializzato nella progettazione di grandi opere con sede a Shaf-amer, cittadina nei pressi di Nazareth. «Il governo italiano deve sforzarsi per cercare un’alternativa molto più conveniente, economicamente e finanziariamente sostenibile, al tempo stesso socialmente più desiderabile», dichiara Mor Temor. «Il 15 novembre 2009 ho inviato via e-mail il progetto del Ponte Galleggiante Abitato al Ministero delle infrastrutture italiano, ma finora non ha ricevuto alcuna risposta. Eppure grazie alla possibilità di costruire gran parte delle piattaforme in un cantiere navale che poi saranno trascinate galleggiando sull’acqua, si risparmierà nei costi e nei tempi di costruzione». «L’impatto ambientale del Ponte Galleggiante –aggiunge l’architetto – è di molto inferiore rispetto a quello degli altri progetti proposti (si pensi alle non necessarie opere di raccordo, gallerie viarie e ferroviarie per circa 27Km, movimento terra, ecc). Il vantaggio economico ottenuto si farà sentire ad ogni livello non solo per il miglioramento dell’attraversamento tra Reggio Calabria e Messina, ma anche per il prevedibile sviluppo regionale su entrambi lati dello Stretto, in particolare nel settore dell’industria del turismo».
In verità a guardare il breve cartone animato sul progetto, postato da Temor su Youtube, resta forte il dubbio di trovarsi di fronte all’ennesimo bluff della lunga sacra dei Ponti e dei tunnel sullo Stretto, dove d’“innovativo” c’è solo la riconversione dell’opera a megacomplesso immobiliare e commerciale.
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Sul suo curriculum vitae, Mor Temor scrive di essere in procinto di conseguire il dottorato di ricerca sui “ponti galleggianti” al “Technion – Israel Institute of Technology”, sotto la guida dei professori Michael Burt e Yehiel Rosenfeld. Un particolare che non è certo di poco conto. Il Technion (con sede ad Haifa) è infatti l’istituto israeliano per eccellenza nel settore delle tecnologie avanzate (ingegneria, elettronica ed informatica in testa), con una spiccata tendenza alla ricerca nel settore militare, nucleare ed aerospaziale. Nel solo periodo 2000-2007, Technion ha sottoscritto una decina di contratti con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per un monto totale di 525.000 dollari, relativamente alla fornitura di “servizi” e “attrezzature” top-secret. Alcuni dei contratti vedono come committente il FISC – Fleet & Industrial Supply Center che ha sede presso il Comando dell’US Navy di Sigonella (Sicilia).
Per lo sviluppo dei Sistemi di Gestione Integrata della Sicurezza, l’istituto tecnologico israeliano ha sottoscritto recentemente un accordo di collaborazione con l’Università del Massachusetts, nell’ambito di un programma promosso dalla task force sulla commercializzazione delle tecnologie militari della U.S.-Israel Science and Technology Commission (USISTF), con fondi del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e dell’omologo ministero israeliano. Altro importante settore chiave finanziato dall’USISTF è quello relativo allo sviluppo delle micro e nano-tecnologie militari (tra cui le cosiddette “armi nucleari di quarta generazione”), già sperimentate da Israele nelle operazioni di guerra in Libano e Gaza.
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In Da Israele un Ponte-shopping sullo Stretto, di Antonio Mazzeo.

[Dello stesso autore è appena uscito nelle librerie I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Edizioni Alegre.
L’opera, sulla base di una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, fornisce una sistematizzazione di innumerevoli denunce ed indagini sugli interessi criminali che ruotano attorno alla costruzione del Ponte sullo Stretto]